Porta Santa

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Porta Santa

Porta Santa

Giacinto Borsella (1770-1856)
Dopo di che venendo alla Porta Santa raccogliamo essersi edificata alla gotica sotto Manfredi nel 1265.
La porta d’ingresso ben manifesta a tutta prima il tipo. Un triangolo isoscele scorniciato, dentellato, sporto un palmo e mezzo dal frontespizio forma l’architrave della medesima. Ai fianchi ergonsi due pilastri con basi e capitelli, in mezzo dei quali propriamente nell’uovolo, sono con raffinata finezza rilevati in uno i gigli della Casa di Francia, e nell’altro un’aquila con vanni spiegati, impresa degli Svevi. Due teste di angioletti soggiacciono ai capitelli. Ed infine dei suddetti due pilastri un vivace leoncino, non che la testa alata di altro angioletto. Osservandosi da ciò, che lo stile gotico abbonda di siffatte teste. Alla base della seconda fascia dei pilastri due mezze chiocciole, ed ai piedistalli gli stemmi della città, cui soggiacciono due quadretti con nastri pendenti. Sotto il frontespizio della porta ricorre una fascia ad arco con cornice, avendo rilevati cinque rosoni. Alla punta della fascia di un esagono di rilievo sulla porta, è fissato un finestrone di figura rotonda, internamente scorniciato a cerchi rientranti, che da lume alla chiesa. Il diametro del foro è di circa palmi tre, incrociato da otto colonnette inanellate nel mezzo, tenendo come raggi al centro a guisa di una stella. Il diametro esterno di detto rosone è di circa palmi otto. Simile finestrone abbella eziandio la chiesa arcivescovile di Trani. Scorgonsi nel mezzo delle due fascie de’ pilastri i ritratti di Federico e di Iolanda.
Si osservi, a dilucidazione dello spartimento architettonico di questa porta, che nella stessa veggonsi due ordini a fianchi cioè uno rientrante e l’altro sporgente, entrambi abbelliti di pilastri con basi, capitelli e fregi diversi. Ragguardevole benanche è tutta la facciata di questa chiesa formata di ampie lastre quadrate. Venne la stessa appellata di Porta Santa, a causa che per questa antica porta della Città entrarono un tempo i due Nunzii del Cielo, S. Pietro e S. Riccardo, quando vennero a stabilire la Fede. Tanto il frontespizio di questo tempio e l’intera sua architettura, quanto la facciata della porta di S. Agostino da noi a suo luogo minutamente descritta, han formato sempre lo stupore dei forestieri, i quali inoltre ne hanno esemplato i lavori come monumenti classici del medio evo, siccome accennammo di sopra. A proposito delle porte illustri che decorarono i tempii, dicesi che Michelangelo studiava continuamente nelle opere di bronzo del Ghiberti, e sole a dire che la porta di S. Giovanni di Firenze era degna di essere la porta del Paradiso. Motto entusiastico che venne da un contemporaneo di Michelangelo tradotto nel seguente epigramma:
Dum cernit valvas aurato ex aere nitentes
In tempio Michael Angelus obmutuit
Attonitusque diu, sic alta silentia rupit:
O divinum opus, o Ianua digna Polo!
In questi fatti sono descritti i fatti più importanti dell’antico testamento, ove l’arte ha superato la Natura. Per quest’opera furon chiamati a concorso li più eletti artefici di Firenze e di Toscana tutta. Fra sette concorrenti ebbe il primato Lorenzo Ghiberti, giovane disegnatore, pittore, orefice, fonditore di bronzo e scultore, di soli ventisei anni, che menò a fine quel miracolo dell’arte.
La figura della volta di questa chiesa di forma esagona a due cupole, divise da un grand’arco; le quali suddividonsi in lunghi pannelli ricorrenti al centro, a sesto acuto. Le colonne laterali, che sostengono le cupole, sono di pietra, con basi e capitelli semplici, sporgenti a tre tagli acuti, mirabilmente connesse fra loro.
Di pietra è altresì l’altare minore, a sinistra entrando. Spiccane in esso due colonne marmoree, che il fiancheggiano dal suolo. Le intorno ad esse fasce spirali stanno avvolte, in cui sono sculti dalla nascita alla morte del Redentore in fino al Calvario, i principali misteri della Religione; e sopra i capitelli sono allogate due anfore striate, in forma d’una pera, con fiamma in cima, quasi che contenessero profumi; [1] se il piedistallo della colonna destra espone una processione di fratelli vestiti di sacco preceduto da chi porta la croce, se nella base dell’altra è rilevata la Misericordia, che copre sotto l’ampio di lei manto tanti orfanelli nudi, se minuti e naturali rilievi, ammirazione e diletto insieme, destano all’occhio dei riguardanti, non è a restarne sorpreso, tendendo le arti belle ora al sublime ed ora al bello. Fra le dette sculture scorgesi Giuda, cader penzolone con l’infame laccio al collo dal ramo dell’albero, in cui giacque strozzato. Dante al proposito immaginò, nella divina sua cantica, l’Imperatore del doloroso regno con tre facce, i denti della media, a guisa di maciulla, secondo la fantasia di quel sommo, stritolavano le ossa del Traditore. Eccone:
Da ogni bocca dirornpea coi denti
Un peccatore a guisa di maciulla;
Sicchè tre ne facea così dolenti,
A quel dinanzi il morder era nulla
Verso il graffiar, chè tal volta la schiena
Rimanea della pelle tutta brulla.
Quell’anima lassù, c’ha maggior pena,
Disse il maestro, è Giuda Scariotto
Ch’il capo ha dentro, e fuor le gambe mena.
Non credo, annota il Cesari, che al traditor del Figliuol di Dio potesse affiggersi più degno ed appropriato castigo; ma la pittura è proprio infernale, cioè al tutto divina. Vedesi inoltre il giudizio di Salomone per le due Madri, che a lui ricorsero circa l’appartenenza della prole. L’immagine di questo altare cospicuo, riposta in nicchia di cristallo, s’intitola la Madonna della neve dipinta a fresco, che in lattare il Pargoletto, con modesta gioia ne contempla le divine fattezze. Un manto celeste ammanta la Vergine. La tonicella del fanciulletto color porpora gli sta sotto posto, come uno strato, è verde, come un piccolo mantello.
In questo altare prendon possesso i Priori della cappella di S. Riccardo, quinta dignità del Capitolo Cattedrale, alla cui nomina ha dritto la Università come ius patronato. Invano se ne è fatta menzione in antica carta di Monsignor Antonio Lupicini andriese, vescovo di Bisceglie, che con procura speciale del vescovo di Andria che era il cardinale Nicolò de Flisco, dei conti Lavagna, venne eletto a funzionare, per tal possesso. Lo stesso Lupicini occupò la sede di Bisceglie a 18 Novembre 1507 avendo ivi cessato di vivere nel 1545, essendo stato tumulato nella Chiesa di S. Lorenzo. Riportiamo qui un brano della epigrafe del sepolcro:
O. D. M.
Antonius Lupicinus Andriensis
Vigiliensis Ecclesiæ Præsul incljtus
Hic albo tegitur marmore
Cuius si quis genus
Pertinet ad Canusii Comites
Si nomen Pietas
Si sceptrum Virtus
Claurint hanc Urbem
Suis clarando ipse cœlo etc.
In tale procura erano nominati alcuni nobili soggetti Andriesi. Il sindaco era Sergio Tesoriere, e gli eletti Bartolomeo de Leopardis, Bartolomeo Marulli, Nicola Paolo Mele, Geronimo Quarto, Nicola De Robertis, Dionisio Campanile, Marino Conoscitore, Giovanni Curtopassi, e Luigi Lupicino.
Intorno la nicchia risaltano di rilievo in pietra maschere, teste di morti, nastri, scudi, frutta, cariatidi, rabeschi, volatili, secondo le fantasie di quei tempi.
Nell’altare maggiore spiccano tre quadri con cornici dorate. La immagine di mezzo riposta in nicchia con cristallo è la Vergine della Pietà, o della Misericordia col bambino al seno, di greco pennello, come mostrano, le tuniche accollate, con ricami in punta, colore scarlatto, e diademi screziati d’oro. Il dipinto alla vaghezza delle forme unisce la perfezione del disegno, e del pennello che il ritrasse. Potendosi affermare, che le tele degli antichi tempi erano assai più pregevoli dei moderni; mentre quei Maestri si accostavano più ai tempi dei primi artisti, che si resero famosi. Il quadro a dritta è l’Annunziata modestamente genuflessa ad uno sgabello, meditando la Bibbia fra le mani. Quello a sinistra é il Paraninfo col giglio alla destra, in atto di annunziarle l’ave redentore delle genti. A proposito cantava il senator Filicaia nella canzone 44:
In un pensier soave
S’adagia il suo bel viso
Chi sa, chi sa, forse rimembra o quando
L’angel, che a Lei diss’Ave,
Con amorosa chiave
Il cuor le aperse, o quando all’alto avviso
Del gran Parto ammirando
Turbossi, o quando fede
Al grande annunzio diede
E al sacro eterno onnipotente foco
Nel casto sen diè loco.
I suddetti due quadri, opera recente, cedono di gran lunga al merito del primo. In cima dell’altare lo spirito fecondatore in un tondo.

L’altro altare è dedicato a Giovanni d’Iddio, a di cui onore la pietà degli Andriesi, eresse adiacente alla chiesa un’ospedale assistito da buoni fratelli. La immagine del santo sta con le mani conserte al petto, sul di lui capo due Cherubini che scendon dall’alto stanno nelle mosse d’inghirlandarlo con due serti di fiori per esprimere l’ardente sua carità, e verso Dio, e verso il prossimo. Due altri serafini gli stanno dappresso, uno con la regola dell’ordine in mano e l’altro in atto di baciargli il lembo della tunica. Altro serafino a’ suoi piedi, con nastro nelle mani, in cui leggesi Charitas. In cima della tela altre teste di Angioletti, che scendono dalle nubi.
Questo dipinto bastantemente fa vedere l’ingegno ed il color del pennello nel complesso delle espressioni, del colorito, delle ombre che il commendano: sicché potrebbe dirsi per chi non ne rimanesse soddisfatto, exsurdatum habere palatum, che val quanto dire non avere gusto. La introduzione di questa casa religiosa in città avvenne nel 1754 sotto Urbano VIII. La Università considerando, che per essere ben assistiti e governati gl’infermi, non eravi altro mezzo più proprio, che chiamare questa pia adunanza. Coll’opera del Vescovo si assegnarono ai frati annui ducati quattrocento dalle rendite dell’ospedale della Misericordia, e diedesi loro l’ospizio attaccato alla chiesa col dritto di alzare un altare al loro patriarca.
Il quarto altare è dedicato all’Addolorata esposta nell’alta sua angoscia a piè della croce, sostenuta questa da un serafino. Accanto altro serafino con la spada che trafissele il seno, ed altro, che in bianco lino serba i santi chiodi, e l’ultimo vicino la Pia con le palme alle gote compiangendo lo strazio di Gesù. Sul Santo legno due teste alate di angioletti accorsi al miserando spettacolo.
Nei lati della chiesa in lapidi sono infissi gli emblemi della città e quello dei Bauci in una stella raggiante. Sotto l’impresa della città leggesi: Ius patronato universitatis Civitatis Andriæ 1571.
Sopra i descritti altari sporgono cornici a triangolo lapidee al par di quelli della porta.
A sinistra e a destra dei muri eranvi delle finestre bislunghe ad arco, a sesto acuto, onde immettere la luce; ma oggi son chiuse per le nuove finestre che spandon la luce. Nel pavimento avvi un sepolcro con questo titolo: Ioannes de Molina Lentnus (Lentini città in Sicilia) fieri fecit hæc tria sepulcra pro se et pauperibus. Obiit Ianuarii 1329.
Compresovi l’altro per li Frati dell’ordine, in cui è inciso lo stemma della Religione cioè, un cuore con crocetta in cima.
Affinchè non si avvisi taluno poco versato nelle istorie delle illustre famiglie del Regno, che quelle dei Balzi, ripetesse il suo maggior lustro dell’essersi imparentato con gli Angioini per quel verso da noi anteriormente riportato:
A quo deducta est Baucio magna Domus
saper deesi, che questa casa già grande prima di tal matrimonio, da Bertrando del Balzo venne riprodotta, protetta, ovvero da lui menata in questo Regno. Sebbene i Balzi, come ognun conosce, vennero dalla Francia con Carlo I d’Angiò per la conquista della corona di Napoli, nondimeno il sovrano potere non era titolo ignoto per essi; anzi per titoli di preminenza ed anteriorità precedono agli Angioini. Difatti per comun sentimento degli scrittori questa famiglia ripete la sua origine da uno dei tre re Magi, che dalla Armenia vennero nella Palestina a presentare le prime onoranze al Messia, e propriamente quello che nomavasi Baldassarre. Ed è questa la ragione perché i signori del Balzo hanno per loro impresa una stella argentea di sedici raggi in campo vermiglio. In pruova di che ecco una iscrizione, ricavata da quell’antichissimo epitaffio esistente nella Chiesa di Casaluce, castello vicino Aversa, fabbricata dai Balzi.
Arma gerens stellæ, qua cum Rex Cristus Olympo
Virginis in uterum late descenderit almæ,
Advenere loco, stella præcedente Ducatum
Alta decora nimis Regum diademata trina
Tertius ex illis Baldassar nomine dictus
Principium generis tanti fuit, inclita cuius etc.
Facendo quant’altro trovasi in molti considerevoli monumenti, credo sufficiente quella sola iscrizione esistente in una delle Cappelle della R. Chiesa di S. Chiara di Napoli.
Illustrissimæ Bauciorum familiæ
Quæ a priscis Armeniæ Regibus, quibus stella duce
Mundi Servator innotuit, originem duxisse traditur,
Hic potentissimorum virorum, qui in Gallia Arelatorum
Principes, Genevæ Comites, et in provincia Magni Reguli
Eiusdem principatum sæpius sibi bello compararunt.
In Græcia Imperatores, Romaniæ despoti, Acahiæ Principes
In Neapolitano Regno primi Ducati stemmate redemiti.
Faventi atque Althamuræ principes, Andriensum
Venusinorum, atque Neritimorum Duce Montis Caveosis.
Avellini, Soleti, Vigiliarum, Cupertini, Castri, Ugenti, Nohæ,
Alexsani, atque Aversarum Comites. Regni magni
Contestabili Iustitiarii, Camerarii, Siniscalchi etc. etc.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ossa hinc dejecta, quot quot colligi potuere
Ieronymus Baucius, gentilium suorum pietate
Antoniæ quoque Bauciæ Reginæ Neapoli,
Ceciliæ Comitisse sabaudiæ
Sibbillæ Piedimontium Principis
Mariæ Delfinæ Viennæ, et Isabellæ
Dispotissæ Serviæ, memoriæ monumentum P. [2]

È degna di attenzione la fonte di marmo eretta in questa chiesa, contenente l’acqua benedetta, nel di cui piede osservasi l’epoca del 1566, con la impresa di tre chiocciole, allusiva alla antica famiglia Pellegrini, nobile di questa città, di cui trovasi da noi fatta mensione in descrivere la Cattedrale. Nel mezzo di questa fonte vi è un gruppo di quattro piccioli delfini messi a croce, e nel d’intorno veggonsi dei pesci; e non indarno, anzi con maturo accorgimento e con efficace ragione; imperciocchè i primi cristiani dagli apostoli della fede, e massime da Tertulliano son chiamati Piscicoli, sendochè come i pesci non vivono che per l’acqua, così la vita dei Cristiani non può essere né fecondarsi santamente, se non vivon prima nell’acqua del Battesimo. Pensiero che non di rado da vetusti scultori si attuò nelle sacre fonti. A ciò si arroge, che S. Ambrogio in … … paragona i fedeli ai pesci con queste parole: Pisces enim sunt qui hanc enavigant vitam. Dal che si deduce, che non è nuovo nello stile della Chiesa, il tenere sotto l’allegoria dei pesci del mare tirati da una barca i popoli, che dal secolo procelloso riduconsi nella pace della Chiesa, simboleggiata nella navicella di San Pietro. E lo stesso Gesù Cristo a San Pietro, che meravigliavasi della pesca prodigiosa, disse: Ora finirai di essere pescatore di pesci e ti farò pescatore di uomini. Nella cattedrale del pari dentro la fonte messa fuori la porta della Sagrestia, fluttuano tre pesci nel fondo del bacino.
Nel pinnacolo della Chiesa avvi un arco, che contiene la campana per chiamare i fedeli alle funzioni della Religione.
Due memorie vetuste e reverende vivono e vivranno nei petti Andriesi per questa chiesa.
L’una che S. Pietro, venuto a stenebrare i padri nostri nell’ombra della morte seduti, entrò per essa; l’altra che S. Riccardo inviato a ritornargli ai pascoli intemerati di Cristo, ebbe l’ingresso pure per la stessa Porta. E qui notiamo che il Santo nostro Prelato prima di giungere in Andria dalla via Egnazia, che dovè tracciare, adagiossi su di un gran sasso, poco distante dall’abitato, che volgarmente appellasi Chiancone di S. Riccardo; e che nell’aver passato per una straduccia adiacente, fin d’allora prese il nome di strada del Paradiso, nome che tuttavia tiene.
Facciamo qui rimarcare, che non molto lungi dalla nostra città erano traversate le tanto famose vie Appia ed Egnazia. La prima, prendendo capo da Venosa, proseguiva per Spinazzola, Garagnone, Gravina, e radendo le vicinanze di Altamura, chiamata anticamente Sublupatia, toccava Caniles, ossia Castellaneta, Orias, Messapia, terminando a Brindisi. La seconda, partendo da Canosa inoltravasi per Ruvo, Bitonto, Ceglie, Arezio o Netium (cioè Rutigliano, o Conversano) e terminava ad Egnazia città donde prende nome.
Ritornando alla Chiesa di cui teniam discorso, riflettiamo che i greci ed i Romani, avriano eternato la venuta dei due Eroi con archi e trionfi magnificentissimi; ma i nostri grand’avi modesti figliuoli della Chiesa, sdegnosi di perpetuare con monumenti profani e gentileschi l’arrivo felice dei medesimi, meglio si consigliarono ergere una Casa, ove laudi e glorie, salmi e prieghi, e sospiri salgono al Santo, ove offrirgli si dovea l’immacolato Agnello. Oh onnipotenza del Cristianesimo! Una pietra umilmente eretta, ma santificata dai suoi ministri, oh quanto è più gloriosa ed ispiratrice di santi pensieri, a fronte dei sozzi templi preziosissimi delle bugiarde Deità.
Accanto a questa Chiesa eravi un avanzo di prospettiva di stile Normanno; nel demolirsi la quale si rinvenne la testa e parte del corpo del Dio Baccante, reliquia del gentilesimo, che precedè la venuta del nostro anglicano pastore.
Sul pinnacolo del tempio eravi una irnmaginetta della Vergine vedendosene appena gli avanzi. Non manca una campana dedicata alla Beatissima Vergine.
[integralmente tratto dal libro di Giacinto Borsella, "Andria Sacra", edito a cura di Raffaele Sgarra, Tip. Francesco Rosignoli, 1818, pagg. 216-226]

[1] La figura di questi due vasi può dirsi simile all’urna fumante che ogni giorno il sommo sacerdote deponeva sull’ara de’ timiami nel Tabernacolo.
[2] Non merita essere preterito il testamento dell’andriese Francesco Remontizzi, rogato dal magnifico notaio Nicolangelo Facinio, nel quale istituì eredi di tutti i suoi beni l’arciconfraternita dei bianchi sotto il titolo di Gesù in porta Santa ed il monte della Pietà.