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Castel del Monte ai primi del Novecento

Castel del Monte

presso Andria

di mons. Emanuele Merra


XIII
Don Arrigo di Castiglia prigioniero in Castel del Monte

Perché sempre più si comprenda la grande importanza del novello prigioniero lungamente incatenato in Castel del Monte, stimo premetterne questo cenno biografico.

Don Arrigo Infante di Castiglia, figliuolo del santo re Ferdinando, prima ribelle a suo fratello Alfonso il saggio, poi capitano di ventura agli stipendi del re di Tunisi, fu amico e favoreggiatore di Carlo d’Angiò nell’impresa di Sicilia, avendogli prestato forte somma di danaro, che teneva depositato presso negozianti genovesi (1). Principale patto di tale prestito fu, che l’Agioino, non appena conquistato il reame, avesse dovuto dargli stati ed onori in Italia o fuori. Vinto Manfredi, e Carlo impadronitosi del regno; Don Arrigo, che allora si trovava in Africa, impazientemente attendeva da suo cugino l’adempimento delle promesse; invano! Intanto papa Clemente IV, temendo che la potenza dell’Angioino si estendesse troppo pensò contrapporgli in oriente un rivale di parte latina, nella persona di Don Arrigo, che n’era capacissimo, mentre era il più ardito e valoroso capitano di quei tempi. A tale scopo gli propose il matrimonio con la vedova di Manfredi, Elena, la figlia del nobile Micalicio, dandogli in dote l’isola di Corfù e gli altri paesi dell’Epiro a lei soggetti. Per attuare però un tale progetto era necessario il consenso di re Carlo, nelle di cui mani, al dire dello istesso pontefice ad Ottobono cardinale di Sant’Adriano, stavano pacificamente tutto il regno, il putrido cadavere di quell’uomo pestilenziale, che fu Manfredi, la moglie, i figli ed il tesoro (2). Se non che Carlo astutamente fece sì che tale matrimonio non si effettuasse mai. Vedendo pertanto Don Arrigo deluse le sue speranze, ritornò dall’Africa in Italia, e da amico divenne nemico mortale del re di Sicilia. Finse di non essersi adontato affatto della reale perfidia, e pazientemente attese il momento opportuno per combatterlo. Questo momento non si fece troppo aspettare. Eletto senatore di Roma, seguì le parti di Corradino di Svevia, e lo accolse trionfalmente e con la massima pompa, che mai, nella città dei papi (3). Accolse più volte Galvano Lancia, e gli ambasciatori dello Svevo: fece lega con costui; fece arrestare e condurre nei Castelli la maggior parte della nobiltà guelfa: costrinse le loro famiglie ad uscire dalle proprie case, facendole abitare dai Teutonici: occupò il palazzo dello stesso pontefice, e saccheggiò i tesori, che si conservavano nelle chiese. Per la qual cosa Clemente IV, stando in Viterbo, il giovedì santo del 1268, dichiarò scomunicati lui, il vicario Guido da Montefeltro e tutti gli aderenti (4). Intanto assegnò loro un mese per tornare all’obbedienza della Chiesa (5).

Da quel momento Don Arrigo si dichiarò pel più acerrimo nemico dell’Angioino. Infatti Carlo medesimo in una lettera, datata dall’assedio di Lucera, il 13 luglio 1269, e diretta al re Alfonso di Castiglia, fratello di Don Arrigo, e Giacomo d’Aragona, consanguineo di lui, così descrive le gravi colpe dell’Infante, e la sua clemenza per avergli risparmiata la vita. «Contro gli antichi costumi dei suoi illustri antenati si oppose iniquamente alla Santa Chiesa Romana ed a Noi, sforzandosi in tutti i modi con cui poté, in compagnia del fu Corradino e di altri nemici della Chiesa, di procurare non solo la rovina del Nostro Regno, ma anche la Nostra morte, come evidentemente appare non solo dalle cronache del medesimo Corradino, ma dal fatto ancora che gli Spagnuoli ed i Tedeschi, mentre ferveva la battaglia, credendo di uccidere l’istesso Re, avevano crudelmente scannato un nobile uomo, Maresciallo del Re di Francia, il quale vestiva le insegne reali, cosi da farlo credere essere il Re (6); elevando esso Don Arrigo ed i suoi grida di gioia e di acclamazioni per la supposta Nostra morte. Anzi Don Arrigo non contento del malfatto, volle pure con detti e con scritti infamare la Nostra memoria, senza curarsi di essere egli dell’istessa discendenza, e di appartenere egli ed i suoi Castigliani alla medesima razza dei Franchi, di modo che invece di prendere la difesa dei Teutonici, avrebbe dovuto coi Franchi contro quelli combattere» (7).

Intanto nella terribile giornata di Tagliacozzo, re Carlo, essendo improvvisamente entrato in campo, assalì l’esercito tedesco, che a così inaspettato assalto, ed alla vista del conte d’Angiò creduto redivivo, fu sorpreso da immenso spavento. Corradino col duca d’Austria e con Giordano Lancia fecero in quel dì prodigi di valore e sforzandosi col loro esempio di rincorare gli animi, di riaccendere la battaglia, e di resistere a quei cavalieri vestiti di ferro; inutilmente! Don Arrigo dopo avere coi suoi Castigliani inseguito Giacomo di Cantelma, o come altri vogliono Guglielmo Estendardo, altro Capitano di Carlo, dopo avere uccisi alcuni di quei fuggitivi, sicuro ritornava nel campo; quand’ecco farsegli innanzi una forte mano di armati. In sulle prime egli credette che fossero amici; ma quando si accorse che erano Francesi, capitanati da Carlo, si meravigliò fortemente, e senza perdersi di animo riattaccò nuova e terribile battaglia! Se non che vedendosi ormai sopraffatto dai nemici, si dette a precipitosa fuga; ma sciaguratamente arrestato da un certo Sinibaldo Aquilone, fu consegnato al re (8), che senza dubbio l’avrebbe messo a morte, se non gli avesse offerto centomila oncie d’oro in riscatto della vita, come dice il Muratori (9), e se non si fosse interposto in favore di lui Bernardo, abate di Montecassino, amicissimo di Carlo!

Frattanto mentre l’Angioino in Roma fece troncare il capo a Galvano Lancia e suo figlio Galeotto, che erano stati i primi ad entrare in quella città coll’odiato vessillo Svevo (10); mentre in Napoli, il 29 ottobre 1268 fece barbaramente decapitare il giovanetto Corradino e Federico di Baden, duca d’Austria (11); mentre punì i baroni ribelli col fare alcuni impiccare, altri morir di ferro, altri abbacinare, condannò altri a perpetuo carcere, tra i quali Don Arrigo di Castiglia, che fin dal 1269 mandò prigioniero nel Castello di Canosa (12). Mentre il valoroso Castigliano quivi era detenuto; Filippo de Courtenay, primogenito di Baldovino, Imperatore di Costantinopoli, ricorse a re Carlo, suo suocero, perché permettesse di far parlare con D. Arrigo Bernardo de Sancto Signo, suo milite. Il re gli concesse il permesso; ma il 21 giugno 1269 dall’assedio di Lucera ordinò al castellano del Castello di Canosa, Giovanni di Cinno, che gli permettesse parlare; però stesse presente al colloquio, e badasse che quel milite nulla dicesse o facesse né pubblicamente, né segretamente che egli non avesse veduto od ascoltato (13).

Eleonora di Castiglia, il 30 dicembre 1272, volendo prendere conto del modo come Carlo trattasse il fratello; dalla Sicilia fece conoscere pei suoi messi al re, che ella avrebbe inviati alcuni suoi fedeli a visitare Don Arrigo. Carlo intorno a ciò così scrisse al castellano della rocca di Canosa, Guglielmo de Sacrais: «Qualora la moglie del Magnifico Eduardo, o lo stesso Eduardo mandassero loro famigliari a visitare Don Arrigo, vogliamo e comandiamo, che non più di tre persone potessero essere ammesse a parlare con lui, e queste senz’armi; vogliamo che tu loro prevenga con cortesi parole, che lettera veruna chiusa o aperta, o qualunque altro scritto non gli debbano recare, e non con altro linguaggio parlargli che col gallico; vogliamo che sia ad ogni modo proibito ai servienti od altri, dimoranti in quel castello, conversare coi detti inviati o palesemente o di nascosto, e che esso castellano e Suketto de Glix, nostro valletto, sieno presenti al colloquio, e veggano ed ascoltino attentamente ciò che facciano e dicano i famigliari di quei principi con Don Arrigo, da poterne avere piena coscienza. Che se i detti inviati non vorranno stare a queste condizioni, non sieno in verun modo ammessi a parlare col prigioniero. Badi intanto, o castellano che, quando verranno gl’inviati, trovino il carcere ove dimora Don Arrigo, così mondo e pulito da apparire evidentemente che il principe sia detenuto in luogo comodo e decente. Infine ogni sinistro, che in ciò possa avvenire, sappi che sarà punito colla tua persona!» (14).

Il 9 decembre 1273 il re da Corato consentiva che il nobile Giovanni de Graliaco, in presenza di Giovanni de Alneto e del castellano Giovanni de Burlasio, iuniore, potesse vedere Arrigo prigioniero nel castello di Canosa (15).

Il 29 luglio 1274 Carlo da Lagopesole inviava alcuni suoi fedeli, cioè il vescovo di Melfi, il milite Anselmo de Caprosia, ed i maestri Alessandro de Verulis e Milone procuratore del Fisco, a parlare con Arrigo nel carcere, alla presenza però del castellano (16). Quale commissione fosse stata data dall’Angioino a questi suoi famigliari, non appare dal documento.

Intanto re Carlo temendo che il castigliano gli sfuggisse dalle mani, il 3 decembre 1273, con un diploma, datato da Corato, ordinò che nel castello di Canosa, ove era pure prigioniero Corrado, conte di Caserta, mancando la forgia ed i ferri con cui solevansi legare i prigionieri, si eseguissero subito, e ad essi per maggior custodia si applicassero (17). E ciò in risposta alle fervide preghiere a lui rivolte per la liberazione di Don Arrigo da Isabella di Aragona, regina di Francia, e da Eleonora di Castiglia, regina d’Inghilterra! In questo castello gli si passavano pel vitto sei tarì d’oro al giorno, non comprese le vestimenta per le quali gli si davano altre tre oncie d’oro (18).

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Il 28 marzo 1277 Carlo da Bari scriveva al suo diletto milite e famigliare Guglielmo Brunello, affinché dal Castello di Canosa menasse prigionieri in quello di Santa Maria del Monte D. Arrigo di Castiglia e Corrado conte di Caserta, facendosi avere a tale scopo dal vicemaresciallo del regno di Sicilia, Acamo Ferrerie, cinquanta stipendiarii da servirgli di scorta nel viaggio.

Nell’istesso giorno l’Angioino scriveva a Giovanni di Burlasio Juniore, castellano del Castello di Canosa, perché consegnasse al Brunello Arrigo e Corrado. Come pure in quel dì medesimo scriveva al vicemaresciallo, affinché avesse dato al Brunello i cinquanta soldati.

Finalmente il giorno 29 dirigeva una lettera a Giovanni Galardo di Sumariaco, castellano di Santa Maria del Monte, perché ricevesse dal Brunello Arrigo e Corrado, come prigionieri in quel castello, ingiungendogli che, con occhi aperti li custodisse e li facesse custodire così di giorno come di notte, e con tanta accurata diligenza, sollecitudine, vigilanza e custodia, da essere essi davvero bene e diligentemente custoditi. Inoltre badasse attentamente a non liberare i prigionieri, e a non affidarli a chicchessia, senza suo speciale mandato da consegnarglisi da un particolare suo nunzio (19).

Quando Don Arrigo ed il conte di Caserta vennero in Castel del Monte, il re da Venosa, il 26 maggio 1277, ordinò al segretario di Puglia che ai trenta serventi militari, che stavano a guardia della rocca, aggiungesse, per maggior custodia, altri dieci (20).

Ai due illustri prigionieri Carlo I assegnava quattro servitori destinati per la loro custodia. Per la qual cosa al castellano Galardo da Sumariaco, comprese le spese pei due nobili carcerati, si passavano duecento diciotto once d’oro da Landolfo di Oferio, già segretario e maestro portolano di Puglia, come si rileva dai conti della gestione da lui tenuta, dal 18 luglio 1283 al 30 maggio 1284 (21).

In seguito il castigliano stando infermo. Carlo II con un decreto, datato da Napoli ai 6 di settembre, III Indizione del 1289, ordinò al castellano di Santa Maria del Monte di permettergli, ben guardato ed accompagnato, di potere qualche volta la settimana cavalcare un mulo nel circuito di detto Castello, facendo prima diligentemente da vigili ed attente sentinelle esplorare per ogni dove il luogo, e custodirlo così da non esservi timore alcuno di fuga, pena. la sua vita (22).

Andria, cripta della Cattedrale con le tombe delle imperatrici sveve

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Ai 13 aprile 1277 con un decreto datato da Brindisi, re Carlo, come gli aveva suggerito Americo di Mondragone, provveditore dei castelli di Puglia, e suo familiare e fedele, ingiungeva al Giustiziere di Puglia, che sulle torri del Castello del Monte si facessero quanto prima a spese dello Stato le bertesche, o propugnacoli, e quattro guaitarole, ossia vedette, per esplorare se mai qualcuno nemico s’avvicinasse; ed infine ordinava pure che si ferrassero tutte le finestre (23). Questi provvedimenti pare fossero stati presi principalmente per Don Arrigo, al quale, per le continue e forti istanze delle corti d’Inghilterra e di Castiglia, se non furono tolte le catene, venne però concessa più comoda abitazione, chiamata da Carlo ospizio e non carcere.

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Mentre l’infelice castigliano, gravato di catene, traeva mestissimi i suoi giorni in Castel del Monte, sua sorella Eleonora, moglie di Eduardo III, re d’Inghilterra, non cessava presso il pontefice e presso l’Angioino d’implorare per lui grazia e perdono. Carlo però fu inflessibile alle fervide preghiere della regina (24). Se non che avvenuti i disastri di Sicilia, la prigionia del principe di Salerno il 5 giugno 1284, e la morte del re Carlo in Foggia ai 7 gennaio 1285; ecco un lieto raggio di speranza balenare, attraverso le ferrate finestre del Castello del Monte, allo sguardo dell’illustre prigioniero. La corte d’Inghilterra e la regina Eleonora tornarono a fare forti premure presso papa Onorio IV, massime quando il Legato pontificio, il cardinale Gerardo arcivescovo di Sabina ed il conte Roberto d’Artois reggevano il reame. Il pontefice ai 10 marzo del 1286, secondando le preghiere di Don Arrigo, scrisse al cardinale Gerardo, che dopo avere udita o per sé o per mezzo di altri la confessione del nobile uomo, e fattogli promettere con giuramento di riparare ai danni cagionati a molti cardinali nel tempo della sua senatoria, lo assolvesse e lo facesse assolvere da ogni scomunica (25).

Carlo II, posto in libertà dagli Aragonesi, mediante la opera di Eduardo, il 5 luglio 1291, da Aix spedì una lettera al conte d’Artois, luogotenente del regno, nella quale attesta che il re d’Inghilterra con suo messaggio gli aveva richiesta la liberazione di Don Arrigo, annunziandogli che in pari tempo aveva su di ciò indirizzata preghiera al papa. Egli per i tanti benefizi ricevuti da re Eduardo, che tanto erasi colla corte d’Aragona adoperato per ridonagli la libertà, con piacere annuiva alla richiesta grazia, ed ordinava che qualora la santa romana Sede non si fosse opposta, il nobile suo consanguineo Don Arrigo di Castiglia fosse posto in libertà (26). Papa Niccolò IV, che stava in buoni accordi col re d’Inghilterra, non tardò a concedere il suo assenso, e l’eroe della battaglia di Tagliacozzo, principe imparentato con tutte le case regnanti d’Europa, dopo circa 24 anni di dura prigionia, usciva dal Castello del Monte nel 1291, e tornava a rivedere la sua cara Castiglia. Ivi circondato di venerazione e di stima, dopo di avere aiutato il trono di suo nipote minorenne, Ferdinando IV, contro la ribellione di Diego Ara, ed averne per qualche tempo tenuta la reggenza, moriva nell’anno 1304 (27).

[Tratto da: Emanuele Merra, "Castel del Monte - presso Andria", 3ª edizione, Scuola Tip. Istituto Apicella per Sordomuti, Molfetta, 1964, pp. 74-83.]


NOTE - (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero capitolo)

(1) «D. Arrigo, ch’era venuto di Tunisi, prestò al re Carlo fiorini quarantamila di doppie d’oro». R. Malespini, c. CXXXI.

(2) «Charissimus in Christo fìlius Rex Siciliæ illustris tenet pacifice totum regnum, illius hominis pestilentis cadaver putridum, uxorem, liberos obtinens et thesaurum». Raynald, Ann. Eccl., an. 1266, tom. XIV. Contin. ad Baronium.

(3) Saba Malaspina, IV, cap. VI.

(4) «Furono scomunicati con D. Arrigo: Corradino; Galvano Lancia; Federico di Castiglia; Manfredi Maletta; Giovanni di Manerio; Guglielmo de Parisiis capitauo dei Saraceni di Lucera; Luigi di Baviera; il Conte di Gorizia; Federico d’Austria; Gerardo da Pisa; Corrado Trincia; Corrado d’Antiochia ed altri». Bullani, III, part. I, 466.

(5) Raynald, Ann. Eccl., an. 1266, tom. XIV. an. 1268, n. 24.

(6) «Henricus de Cusanciis … presentiam regis armorum insignis repræsentas, tandem gladiis hostium, licet viriliter restiterit, membratim sub regis imagine detruncatur». Guillelmi de Nunciaco, Gesta S. Lud., IX.

(7) Reg. 1269 E, fol. 126.

(8) Carlo I donò a Sinibalbo Aquilone i feudi «Carbarii et Staffilli in justitieratu Aprutii», perché «in conflictu quondam Coradini Regni Sicilie invasoris … de persona cepit Dominum Herricum de Ispania fugientem, et eum assegnavit ipsi domino (Carulo)». Reg. 1307 B, n. 168, fol. 241 a t. — Del Giudice, La famiglia di re Manfredi, pag. 273.

(9) «Qui dominus Enricus et Comes Galvanus … redemptione mortis eorum tradere voluerunt centum milia uncias puri auri, volentes esse perpetuo carceri obligati». Chron. ver. apud Muratori, ss. VIII, 639.

(10) Salimbene, De Cherrier, ecc.

(11) Del Giudice, Giudizio e condanna di Corradino, pag. 110.

(12) Bart. da Neocastro, D'Esclot, «Omnes nobiles, qui captivi fuerunt de comitiva Corradini, mandavit rex Carolus decapitari, præter Henricum qui nepos eius erat. Voluit tamen, quod maneret in Apulia, in quodam Castro inclusus». Ptolomæi Lucensis, Hist. Eccl.

(13) Del Giudice, Codice Diplomatico, vol. II, app. I, pag. 285.

(14) Del Giudice, Codice Diplomatico, vol. II, app. I, pag. 288.

(15) Del Giudice, Codice Diplomatico, vol. II, app. I, pag. 288.

(16) Del Giudice, Codice Diplomatico, vol. II, app. I, pag. 291.

(17) Del Giudice, Codice Diplomatico, vol. II, app. I, pag. 290.

(18) Del Giudice, Codice Diplomatico, vol. II, app. I, nota 1, pag. 289.

(19) Vedi Documento XXXI.

(20) Vedi Documento XXXII.

(21) «Quondam Johanni Galardo Castellano Sancte Marie de Monte computatis expensis Domini Henrici et quondam Comitis Casertani, qui custodiuntur ibi et quatuor servientium deputatorum ad eorum custodiam uncias ducentas decem et octo». Reg. Ang., 1288 C, n. 50, fol. 431 t., 18 mag. 1282. «Per la terra di Bari, nel Castello di S. Maria de Monte, ove sono 40 serventi, è castellano il milite Galardo, e riceve 6 tarì al giorno. Nello stesso Castello si trovano Errico de Ispania, ed il Conte olim di Caserta, i quali ricevono 6 tarì al giorno, e quattro valletti destinati alla toro custodia, che hanno ognuno 3 tarì di oro al giorno». Ratio Thesaurariorum della Cancel. Ang., an. 1282. Reg. 43, fol. 125. N. Barone, Arch. stor. per le Prov. Nap., an. X, pag. 659.

(22) Vedi Documento XXXIII.

(23) Vedi Documento XXXIV.

(24) «Verum cum regina eadem supplicaret regi Karolo, ac ipsum instanter et cum devocione requireret, ut Domnum Enricum regis Castelle ac ipsius regine fratrem dignaretur a quibus ipsum tenebat inclusum, carceribus relaxare, rex ipse acquiescere regine precibus recusavit, nolens ipsum domnum Erricum a dictis liberare carceribus». Pertz, Ann. di Genova, XVIII, an. 1273.

(25) Raynaldi, Ann. Eccl., an. 1286, 20, tom. XIV. Contin. ad Baronium.

(26) Vedi Documento XXXV.

(27) G. Del Giudice, Don Arrigo Infante di Castiglia, Narrazione storica, p. 86. «Quo tempore Henricus Regis patruus Neapoli, ubi tamdiu in custodia fuerat, dimissus in Ispaniam venit, eo adiuncto Burgis itum in Viscaiam adversus Harum etc.». Mariana, lib. 14, I, l54.