L’Inventio e la Chiesa inferiore

Contenuto

Andria

Escursione nella valle di S. Margherita in lamis
e la Grotta delle Rose

dell’Ing. Riccardo Ruotolo


- A -
La “Valle di Santa Margherita in lamis”
e l’ “Inventio” della Madonna dei Miracoli

        I primi racconti dell’Inventio
e l’evoluzione della Chiesa inferiore del Santuario

Gli storici che hanno parlato della Valle di Santa Margherita sono quelli che hanno raccontato la storia dell’“Inventio[14] dell’immagine della Madonna dei Miracoli con le relative predizioni a partire da quella di Francesco II del Balzo, dei suoi numerosissimi miracoli verificatisi nei primi decenni dopo la scoperta, della costruzione del Santuario e dell’annesso Convento dei Benedettini.

Il primo a raccontare dell’Inventio e della Valle è stato il monaco benedettino cassinese dom Andrea Ariano che già nel periodo 1596–1597 aveva scritto una cronaca del ritrovamento dell’Immagine della Madonna, il cui manoscritto è stato rinvenuto recentemente nella grande biblioteca–archivio dell’Abbazia di Montecassino (si può affermare “casualmente”) quando, su richiesta del padre Antonino Giovannetti di rintracciare documenti riguardanti il ritrovamento dell’immagine della nostra Madonna d’Andria, l’archivista inviò questo manoscritto. Del monaco don Andrea Ariano O.S.B. ci ha relazionato padre Rocco Ronzani O.S.A. [15] in una conferenza tenutasi nel Santuario della Madonna dei Miracoli il 18 maggio 2017, dandoci anche la notizia che stava procedendo alla difficile trascrizione del testo latino del manoscritto ed alla sua traduzione in italiano in modo che lo stesso possa essere letto da tutti.

Nella conferenza che padre Rocco Ronzani ha tenuto il 7 maggio 2022, sempre nel Santuario della Madonna dei Miracoli, ha dichiarato che la traduzione del manoscritto è stata completata e che, dopo gli approfondimenti, per poter con più certezza stabilire una precisa datazione, la stessa potrà essere pubblicata nel corrente anno.

Padre Rocco Ronzani, molto disponibile al colloquio e all’approfondimento delle questioni che riguardano il Santuario della Madonna dei Miracoli, mi fece pervenire già nell’anno 2021 (con mia somma gratitudine) la traduzione di uno stralcio molto significativo del manoscritto di dom Andrea Ariano che riguarda sia il nome stesso dato inizialmente all’immagine della Madonna sia una breve descrizione della Valle.

Riporto fedelmente qui di seguito il testo inviatomi.

Sul nome di questa santissima immagine e sui suoi edifici
Prima di dedicarmi a redigere l’elenco dei miracoli (dirò che) questa santissima icona era chiamata (di) “Maria Incoronata” per via della corona che le cingeva tutt’intorno il capo, ma in seguito quel nome fu esaminato attentamente dinanzi al papa Gregorio XIII. Udita la lunga serie di miracoli, il santissimo Padre dalla propria bocca emise il responso «d’ora in poi questa santissima immagine sarà chiamata “Maria dei miracoli” e assolutamente con questo nome dev’essere chiamata poiché dal momento in cui è stata rinvenuta fino ad ora ha operato moltissimi miracoli».
Inoltre questa Valle è detta “Lama” della santissima Margherita, poiché anche se dista dal mare Adriatico quattro o cinque miglia, tuttavia si estende fino a quello e così una parte di quell’acqua marina raccogliendosi fin qui un tempo causava una lama, parola che nient’altro significa che “raccolta d’acqua”. Oggi in verità, anche se non trattiene più le acque raccolte, tuttavia conserva l’antico nome e il fatto che ciò che narro sia la verità è evidente. Infatti, mentre i nostri operai spaccano grandi pietre per costruire qui, al loro interno spesso vengono ritrovati in gran numero ostriche, gusci di conchiglie marine, e altri reperti dello stesso genere.
Posti ormai al sicuro i beni del monastero, il primo dei monaci che dopo i chierici secolari diede inizio alla costruzione di questo edificio, fu proprio il già nominato don Geronimo. Egli, infatti, pose la prima pietra della nuova chiesa situata sopra la grotta della santissima Maria dei miracoli ed inoltre promosse per primo la costruzione del dormitorio, dei laboratori ……… . comprò anche per il monastero molti vigneti e terreni affinché i monaci potessero vivere secondo la regola del santo padre Benedetto”.

Durante la conferenza del 7 maggio padre Rocco Ronzani ci ha informato che il manoscritto del monaco benedettino dom Andrea Ariano è costituito da una breve lettera indirizzata ad un altro monaco cassinese di nome Girolamo Ruscelli, figura diventata importante nell’Ordine di San Benedetto, a cui è allegata una relazione composta da 30 piccoli “capitoli” in cui sono descritti sia l’Inventio della Madonna sia i primi miracoli avvenuti per sua intercessione. Ha precisato anche che, se la datazione del manoscritto viene confermata nella forbice temporale stretta 1597-1597, il racconto di dom Andrea Ariano è da considerarsi la prima cronaca scritta del rinvenimento dell’immagine della Madonna e dei miracoli avvenuti per sua intercessione.

Lo stralcio sopra riportato fa parte del capitolo IX del manoscritto. Quando questo fu redatto, erano trascorsi poco più di vent’anni dalla scoperta dell’immagine della Vergine Maria, pertanto, questo documento, a pieno titolo, entra nella storia del nostro Santuario e può essere considerato il primo racconto del rinvenimento della sacra immagine della Madonna.

Si riporta qui di seguito il foglio del manoscritto su cui è scritta la lettera che dom Ariano ha inviato a dom Girolamo Ruscelli [16], lettera alla quale era allegata la relazione dell’Inventio.

Testo della lettera inviata a dom Girolamo Ruscelli.
Testo della lettera inviata a dom Girolamo Ruscelli alla quale dom Andrea Ariano
allega il manoscritto intitolato L’Inventio effigiei Sanctae Maria de Andria
(Arch. Montecassino, Codice 649 I, f. 2r)

Prima di concludere il discorso sull’importanza del documento di dom Andrea Ariano, la parte del manoscritto che senza alcun dubbio mi ha colpito di più è la preghiera, riportata nell’ultimo capitolo, il trentesimo, che il monaco rivolge alla Madonna, aprendo il suo cuore: è una preghiera che a me è apparsa intensa, struggente e dolce nello stesso tempo.

Riporto qui di seguito sia alcuni brani di questa preghiera, giusta autorizzazione di padre Rocco Ronzani e di padre Antonino Giovannetti, sia l’immagine del foglio originale del manoscritto su cui essa è scritta, per comprendere le grandi difficoltà che sono state affrontate per l’interpretazione e traduzione di tutto il testo del documento.

Preghiera dell’autore, dom Andrea, alla Vergine per i propri peccati. Capitolo XXX
O vergine Maria santissima, fonte di vita dal tuo virgineo e castissimo grembo, fuoco di carità, datrice di misericordie, redentrice del mondo, distruttrice dell’inferno, guida del Paradiso, Cristo Gesù, Dio e uomo, per opera dello Spirito Santo ti elargì a noi per la nostra salvezza.
Tu, madre del Figlio, figlia del Padre, sposa dello Spirito Santo, mediatrice tra la santissima Trinità e l’uomo, patrona nostra, madre nostra, carne della nostra carne, eternamente beata, con i tuoi occhi misericordiosi, ti prego, volgi il tuo sguardo a me che sono pieno di difetti, misero servo tuo Andrea.
……….
A Gesù Cristo tuo figlio, o Madre dolcissima, chiedi che, come già due volte all’invocazione del tuo nome santissimo mi liberò da una malattia mortale, anzi, da morte sicura, anche ora per rendere maggior gloria e lode a te, si degni dare pace a questa mia anima, curandola e purificandola da ogni imperfezione, da ogni macchia di fragilità, da ogni peccato.
E questo otterrò se irrorerà sopra di me anche solo una goccia della sua grazia. Essa, infatti, sarà sufficiente per me, anzi per lavare, purificare e rinvigorire il mondo intero, così che libero d’ora in poi e animato da un ardore più grande, possa io servire Gesù Cristo tuo figlio, che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
Dio sia lodato.
Dom Andrea Ariano da Napoli
monaco cassinese

Testo della preghiera alla Vergine di dom Andrea Ariano.
Testo della preghiera alla Vergine di dom Andrea Ariano a conclusione del manoscritto Inventio
Effigiei Sanctae Maria de Andria (Archivio dell’Abbazia di Montecassino, Cod. 649 I, ff. 16v-17r)

Ritornando a parlare della Valle, alla luce di quanto prima riportato, è proprio dom Andrea Ariano il primo a riferire che, prima della scoperta dell’immagine della Madonna, la Valle era “luogo davvero spaventoso, forse sede di briganti”; successivamente, come sarà documentato nel prossimo capitolo, tutti gli altri storici hanno fatto propria questa descrizione, ampliandola ed anche arricchendola, a volte esagerando, però, senza essere confortati da nessun documento storicamente accertato.

Nell’anno 1606 in Napoli fu pubblicato il manoscritto di Giovanni di Franco, canonico e teologo catanese, dal titolo: “Di Santa Maria de’ Miracoli D’Andria” Libri tre – del M.R.S. Don Giovanni di Franco da Catania. Napoli, Stamperia di Tarquinio Longo” che, pertanto, diventa la seconda storia che racconta l’Inventio (Doc. -12-).

Doc. -12- Disegno eseguito da Giovanni di Franco e inserito nella sua pubblicazione.
Doc. -12- Disegno eseguito da Giovanni di Franco e inserito nella sua pubblicazione

Quella del di Franco è la prima storia, fino ad ora pubblicata, della scoperta dell’immagine della Madonna dei Miracoli, della costruzione del Santuario e dei numerosi miracoli che la Vergine fece nei primi quarant’anni dal ritrovamento. A questa fonte hanno attinto tutti gli altri storici fino ai giorni nostri.

Il testo del di Franco è dell’inizio del Seicento, difficoltoso da leggere oggi, pertanto necessita a volte di essere interpretato. Proprio perché è la fonte principale della storia del Santuario, si riporta qui di seguito la traslitterazione delle prime pagine del manoscritto, fornitomi da Padre Antonino Giovannetti, attuale Priore della Comunità dei Padri Agostiniani di Andria e Rettore del Santuario della Madonna dei Miracoli. Si tratta di una scelta di brani presi dalla pagina 1 alla pagina 53 del libro pubblicato in Napoli il 1606, trascritti con lo stesso linguaggio dell’autore, ma in modo più comprensibile e tralasciando alcune riflessioni bibliche e religiose. Si riportano soltanto i passaggi che riguardano la Valle e le prime descrizioni della grotta della Madonna e di Santa Margherita.

Così narra Giovanni di Franco nel primo capitolo della sua storia:

Giace nella fertilissima provincia di Puglia del Regno di Napoli, nel territorio della città di Andrj da quivi circa un miglio discosta verso il ponente una non men dilettevole che fruttifera Valle detta dagli antichi Lama di S.ta Margherita per rispetto di una grotta quasi a mezzo detta Valle nella riva verso levante: dentro la quale v’è pittura antichissima dell’effige di questa S.ta Vergine e Martire….Qual fortunata Valle benché per molt’anni a dietro fusse abitata, come è pubblica voce, e per le caverne e grotte parte con l’arte e parte dalla natura stessa composte qui si veggono, da diverse persone spirituali a vita anacorese ed eremitica. In processo poi di tempo, per la malignità di perversi, da quei buoi e sancti huomini spogliata, si vestì con ciò che cambiò infelice di scellerati, di ladri ed assassini. Dove che di domestica e santa per la frequenza d’huomini civili e virtuosi quali a gara venivano dalla detta città e altrove per visitare questi Santi Romiti, era prima; diventò tutta silvestre e orrida anzi in tutto pervia e fuor d’ogni civile conversazione per tema ch’avevano i viandanti d’essere in quella da quei perversi rubbati e maltrattati. Piacque poi alla divina Provvidenza per i suoi occulti ed imperscrutabili giudizi, ….che la divenisse tutta bella, fruttifera e gioconda quanto all’esteriore, ed in tutto spirituale e santa e come un paradiso di delitie all’interiore…”

Nel capitolo secondo del suo libro, il di Franco parla “Dell’Antichità della Valle, e Grotta” e così narra: “Nella sboccatura di detta Valle quasi al meggio vi fosse incavata nel tufo a ponta di scarpello una Grotta: nella quale a guisa di Choro di Chiesa vi erano ancora incavate parimente le Sedie dalle bande, dove, è raggionevole opinione, officiavano in colleggio quei Santi Religiosi che tal luogo pio servivano. Nel fondo poi di detta grotta verso ponente v’era uno altare ed in una tribunetta dietro a quello vi era dipinta l’immagine di Santa Margherita Vergine e Martire con li miracoli a torno quali a sua intercessione aveva oprato la divina Bontà in vita e in morte di Lei verso i suoi devoti. e nella falda di detta pittura v’erano scritte queste parole, cioè: MEMENTO DOMINE FAMULI TUI IOANNIS ET UXORIS EIUS GEMMAE (RICORDATI SIGNORE DEL TUO SERVO GIOVANNI E DI SUA MOGLIE GEMMA). Il che dona manifesto segno che tali persone pie habbian fatto incavare, dipingere e dedicare alla sopra detta S.ta Martire quest’allor sacrata grotta. E nella parte di dentro verso Tramontana per un arco tra mezzo s’entrava in un’altra, benchè alquanto minore, grotta; incavata anco essa, e l’arco pur nel medesimo modo nel tufo. La quale in cima quasi al colmo del tetto verso il ponente, avea una apertura picciola da circa doi braccia in torno, fatta dalla madre natura qual per avante, come è raggionevole giudizio, dava lume all’istessa Grotta Seconda …

"

A questo punto ho ipotizzato come poteva essere lo stato dei luoghi prima dell’Inventio dell’immagine della Madonna ed ho disegnato le due Grotte così come descritte dal di Franco, confrontando questo stato dei luoghi con il successivo primo allargamento che esse subirono dopo l’Inventio, con la loro fusione e, quindi, loro utilizzo come prima Chiesa. Questi lavori furono portati a termine nel primo anno dopo il giugno 1576 quando la scoperta fu resa pubblica e le due grotte riunite ed ampliate diventarono a tutti gli effetti una Chiesa rupestre, come quella della vicina “Santa Croce”.

Successivamente, per la grande affluenza di pellegrini e per i molti miracoli avvenuti, si procedette a dotare l’insieme delle Grotte di un grande vestibolo a tre navate e di una facciata in pietra scolpita, preludio del grande progetto del Santuario che fu realizzato su tre livelli, in modo da abbandonare l’accesso dalla Lama e consentire l’ingresso dalle strade che provenivano da Andria, Barletta e Canosa.

Si riportano di seguito l’ipotesi iniziale della forma delle Grotte, i disegni della primitiva Chiesa inferiore, ed il rilievo dell’intera Chiesa inferiore come esistita fino all’anno 1876, eseguito dall’ing. N. Milella e riportato a pag. 119 del libro “La Madonna d’Andria” di AA. VV., edito da Grafiche Guglielmi – Andria 2008, in occasione del centenario di elevazione a Basilica del Santuario.

disegni della primitiva Chiesa inferiore dell'ing. N. Milella.  disegni della primitiva Chiesa inferiore dell'ing. N. Milella.  disegni della primitiva Chiesa inferiore dell'ing. N. Milella.
disegni della primitiva Chiesa inferiore dell'ing. N. Milella.

rilievo dell’intera Chiesa inferiore come esistita fino all’anno 1876, eseguito dall’ing. N. Milella.   rilievo dell’intera Chiesa inferiore come esistita fino all’anno 1876, eseguito dall’ing. N. Milella.
rilievo dell’intera Chiesa inferiore come esistita fino all’anno 1876, eseguito dall’ing. N. Milella.

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La parete del vestibolo della Chiesa inferiore, realizzata in aderenza alle Grotte riunite, è tutta in pietra ed è formata da tre ordini.

Facciata della Chiesa inferiore costruita in aderenza alla Sacra Grotta (foto Samele).
Facciata della Chiesa inferiore costruita in aderenza alla Sacra Grotta (foto Samele).

Il primo è costituito da tre ingressi ad arco da cui si accede alle Grotte; il secondo presenta oggi due finestre alle estremità, un grande vano centrale in cui è inserito l’organo, intervento maldestro che ha deturpato e interrotto la composizione originaria della facciata, e due nicchie laterali con bassorilievi; il terzo ordine è costituito da due aperture alle estremità e due riquadri centrali, ai lati dell’organo, contenete dei dipinti molto deteriorati. Tra il secondo ed il terzo ordine, su una larga fascia orizzontale di pietra (che purtroppo è interrotta dall’apertura in cui è posizionato l’organo) è riportata un’epigrafe.

Quando nel 1911 si procedette con scalpelli e martelli a rimuovere gli stucchi che erano stati apposti nel Settecento sull’intera facciata, alcuni elementi di pietra (figure, lettere, cornici) furono rovinati per cui, non solo l’epigrafe è monca essendo stato rimosso il tratto centrale quando in esso fu inserito l’organo, ma anche alcune lettere subirono dei danni. Fortunatamente l’intero testo dell’epigrafe è riportato nel manoscritto del di Franco, per cui oggi è possibile ricostruirlo e darne il significato, come fece lo stesso di Franco nella sua storia pubblicata nell’anno 1606.

Lo stesso di Franco nella pagina 15 del suo manoscritto ne dà una traduzione, anche se non strettamente letterale, pur tuttavia ossequiosa del messaggio autentico che l’epigrafe ci vuole dare: “Picciol luogo veramente era questa oscura Grotta, ma sacrato a Dio e sua B.ma Madre: e per la antichità di tempi ascoso tra gl’arbusti e macchie a guisa d’una rosa tra le spine: posto in oblivione all’humane menti. Ma per voler divino poi nell’anno di nostra salute 1576 (come più diffusamente si dirà appresso) al primo Sabbato cioè della prima settimana qual fu in quell’anno a doi (2) del mese di Giugno, fu fatto manifesto…

PARVVM IN ASCONDITO SACRUM, OBLIVIONI RELICTUM,
MEMORI PIETAIS, VIRGINI: PIORVM AVXILIO, MAGNUM REPONITUVR ET,
PATENS. DIE PRIMI SABBATI IVNII. ANNO SALUTIS. M.D.LXXVI

Parti dell’epigrafe oggi leggibili

Porzione dell’epigrafe sul lato sinistro della facciata (foto Samele).
Porzione dell’epigrafe sul lato sinistro della facciata (foto Samele).

Porzione dell’epigrafe sul lato destro della facciata (foto Samele).
Porzione dell’epigrafe sul lato destro della facciata (foto Samele).

Ingrandimento della data 1576, con abrasioni sull’ultimo carattere dopo l’anno (foto Samele).
Ingrandimento della data 1576, con abrasioni sull’ultimo carattere dopo l’anno (foto Samele).

Pagina 15 del Capitolo primo del libro del di Franco.
Pagina 15 del Capitolo primo del libro del di Franco.

Una traduzione più vicina al testo, senza nulla aggiungere, è la seguente:

PICCOLO SACRO LUOGO NASCOSTO ABBANDONATO NELL’OBLIO,
TESTIMONIANZA DI AMORE PER LA VERGINE,
RESTITUITO GRANDE CON L’AIUTO DEI DEVOTI (UOMINI PII),
GIORNO DEL PRIMO SABATO DI GIUGNO. ANNO DELLA SALVEZZA 1576.

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Nella “Rivista Diocesana Andriese” numero 2 del maggio-agosto 2011, è apparso un saggio intitolato “Nuove ricerche sul Santuario della Madonna d’Andria” a firma del naturalista Nicola Montepulciano e dell’architetto Vincenzo Zito. Nel paragrafo secondo, intitolato “Le epigrafi sulla facciata della grotta” i due autori, pur avendo accertato con convinzione una lunga presenza del dottore in Sacra teologia Giovanni di Franco presso il Santuario della Madonna d’Andria tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, avendo notato che alla fine dell’epigrafe c’è un segno costituito da un tratto verticale e due inclinati su ambo i lati o altro simbolo che frequentemente si incideva alla fine di un’epigrafe, e interpretando questo segno come se fosse il numero uno, hanno convenuto che la data dovesse essere modificata, facendola diventare non più 1576 ma 1577. Se invece si guarda con attenzione l’ingrandimento di questo particolare, si nota subito che il tratto verticale è diverso da quello del precedente numero 1, ed inoltre, ai lati di questo tratto verticale ci sono tratti inclinati da ambo i lati, molto abrasi a causa dello scalpellamento avvenuto quando furono rimossi gli stucchi: l’insieme rappresentava un simbolo che frequentemente si incideva alla fine di un’epigrafe. Interpretando questo segno come se fosse il numero uno conduce a conclusioni errate, per nulla condivisibili, perché nettamente contrarie a quanto per oltre quattro secoli una schiera di valenti storici hanno affermato, ma soprattutto, nettamente difforme dalla storia.

È da chiedersi: come poteva aver sbagliato il di Franco nel riportare la data 1576 essendo stato parecchi anni presso il Santuario e avendolo studiato in tutte le sue componenti architettoniche? Come poteva l’incisore, certamente coadiuvato e sotto la sorveglianza di esperti teologi che avevano composto l’epigrafe, aver sbagliato scrivendo 1577 al posto di 1576?

I due autori Montepuliciano e Zito, per giustificare questa evidente dissonanza con la storia, hanno cercato la soluzione nella traduzione di una parola dell’epigrafe: la parola “REPONITUR” che, nel linguaggio latino del Cinquecento, poteva avere significati diversi, ma simili fra loro, pur differenti nella sostanza. Traducendo la data in 1577, un anno dopo la scoperta della Sacra Immagine, il significato che hanno dato alla parola “REPONITUR” è stato quello di “RESTAURATO”, quindi hanno fornito la seguente traduzione dell’epigrafe:

PICCOLO LUOGO SACRO ABBANDONATO NELL’OBLIO
DEDICATO ALLA VERGINE DELLA PIETÀ
RESTAURATO CON L’AIUTO DEI PII (DEVOTI) E’ RESTITUITO GRANDE
GIORNO DEL PRIMO SABATO DI GIUGNO. ANNO DELLA SALVEZZA 1577

Così operando dichiarano che: “Risulta quindi di tutta evidenza come il testo dell’epigrafe faccia riferimento ai lavori eseguiti per rendere adeguatamente fruibile il luogo che contiene l’immagine, per cui è da ritenere che la data del 1577 indica che in quell’anno i lavori per la costruzione della chiesa inferiore e di quella intermedia, se non ultimati, erano almeno giunti ad uno stadio notevolmente avanzato”.

Quello che più può sconcertare è l’ulteriore conclusione giustificativa che propongono. Infatti, dopo aver asserito: “Chiarito il senso dell’epigrafe della facciata”, i due autori cercano di spiegare il perché il dottore in Teologia Giovanni di Franco ha riportato nella sua storia la data sbagliata del 1576 “influenzando così tutta la letteratura successiva”. La giustificazione da loro adottata, pur definendola “intrigante”, è così formulata: “...i benedettini sono subentrati nella gestione del Santuario nel 1582, quando la chiesa inferiore e la relativa epigrafe dovevano essere già esistenti. Gli stessi potrebbero non avere ben compreso il senso dell’epigrafe e, conseguentemente, avrebbero coperto l’ultima cifra romana che indica l’anno, facendolo diventare quindi 1576, coincidente con l’anno del rinvenimento dell’Immagine sacra, data che a loro deve essere sembrata la più logica”.

È da chiedersi se è possibile ritenere che in solo un anno dallo scoprimento dell’Immagina sacra, come loro affermano, possano essere stati eseguiti i seguenti lavori: unire le due Grotte demolendo il setto di pietra che le divideva, ingrandire le Grotte soprattutto dal lato sinistro fino a far diventare grande il Sacro speco come oggi lo vediamo, costruire le colonne in pietra di sostegno dei soffitti delle volte delle Grotte per impedire eventuali crolli con perdita dei “tesori” in esse contenuti, realizzare tutte le opere necessarie per l’accesso sicuro dei pellegrini che necessariamente dovevano scendere esternamente nella Valle, dalle due sponde; realizzare una grande cisterna per esigenze connesse all’afflusso di gente, costruire l’atrio antistante la Grotte (atrio che è grande tre volte l’area occupata dalle grotte) munito di quattro grandi colonne di pietra per sorreggere la copertura, realizzare una parete tutta in pietra scolpita ed alta oltre dodici metri, addossata alla grande Grotta della quale il di Franco fornisce questa descrizione. “…nella bocca di detta Grotta vi ascende una bellissima facciata fondata sovra quattro pilastroni, tutta di pietra viva lavorata a taglio e posta co grand’artificio ad oro, intersiata con vari colori e nelli freggi delli cornigioni vi sono interposti diversi tavoloni coperti di piastre di Voti d’Argento con teste a diverse maniere che per la loro varietà la rendono tutta molto vaga, ricca e bella”; ed infine realizzare le prime rampe dei due ampi scaloni laterali fino a raggiungere la chiesa mediana.

Sono stati lavori, soprattutto quelli della prima fase, molto delicati da eseguire considerato che il terreno di fondazione era tutto un insieme di grotte, una sull’altra, per cui il pericolo di crollo poteva presentarsi in qualsiasi momento. Questi, sono lavori che sono stati eseguiti certamente in sicurezza e che per la loro entità sono occorsi non meno di sei-sette anni dal momento dell’Inventio della Madonna per poterli realizzare. E’ veramente impossibile poter credere che tutte queste opere possano essere state realizzate in un solo anno. La Madonna può fare i miracoli, ma la Confraternita, a cui nei primi anni dopo l’Inventio fu affidato il compito della gestione del Sacro speco, non aveva questa facoltà.

Il messaggio dell’iscrizione è molto semplice perchè ricorda l’anno in cui fu scoperta l’Immagine della Madonna e che, a seguito di lavori eseguiti con il contributo dei devoti, questo luogo fu reso importante.

Con riferimento alla foto in cui è ingrandito l’anno riportato nell’epigrafe, appare con chiarezza, come prima dimostrato, che l’ultimo segno non è il numero 1 ma un simbolo non decifrabile perchè manomesso con lo scalpello, e sappiamo che molto spesso, al termine di un’epigrafe, a partire dal Medioevo veniva inciso un simbolo a chiusura.

La diffusione della notizia del ritrovamento della sacra immagine della Madonna e del primo miracolo (la guarigione della zampa del cavallo del Palombino, episodio riportato da tutti gli storici, dal di Franco, al Merra, al Petrarolo) avvenne il 2 giugno 1576 e subito iniziarono le visite dei fedeli alla sacra grotta e i miracoli, veri o presunti, divennero copiosi. Come narrano gli storici, consultando i documenti, di fronte a tale spettacolo di fede il Vescovo di Andria mons. Luca Fieschi, insieme al duca Fabrizio II Carafa e al clero della Chiesa Cattedrale, il 6 giugno di quell’anno si recò in processione al luogo dov’era l’immagine della Madonna per celebrare una messa di ringraziamento. Poiché i miracoli diventavano sempre più numerosi e i devoti crescevano e provenivano da tutte le città limitrofe ed anche da fuori regione, per cui crescevano anche le offerte fatte alla Madonna, nel 1577 il Vescovo Fieschi insieme al sindaco della città Mariano de Robertis “istituì una congregazione formata da 50 cittadini che sotto la direzione di un Rettore e sei Priori doveva provvedere a gestire le offerte, regolamentare il flusso dei fedeli e realizzare la costruzione di una Chiesa che abbracciasse tutta la grotta, oltre ad elargire delle doti a sei orfanelle bisognose”.L’atto costitutivo di questa congregazione fu firmato in Andria, nella sede del Vescovo, il giorno 11 febbraio 1577 dall’Università di Andria e dalla Curia, alla presenza del notaio Federico de Colutiis, e successivamente fu approvato dal Papa Gregorio XIII. A quella data certamente le grotte erano state riunite ed ampliate e, oltre al preesistente altare davanti all’immagine di Santa Margherita era stato anche realizzato un altare innanzi all’immagine della Madonna. La laura nel 1579, con atto sottoscritto nel Palazzo Ducale dal Duca Fabrizio, dal Vescovo della Chiesa di Andria, dall’Università della città, fu affidata all’Ordine dei Padri Benedettini. I Monaci Cassinesi, come riportato dal Petrarolo nel suo saggio “Il Santuario Santa Maria dei Miracoli” edito in Andria da Sveva Coop. Editoriale ne 1996, in seguito al breve “Nuper Ecclesia sine cura” del 30 marzo 1581, il 20 aprile di quell’anno “Padre Severino Montella, amministratore dei Padri Cassinesi, alla preseza del Vescovo, del Duca, del clero e del popolo, prese possesso della laura, con atto del notaio Gianbattista Petusi, redatto alla presenza del vicario vescovile don Antonio Guadagno e dei testimoni don Fabio Quarti, arciprete della Cattedrale, don Vincenzo Petusi, prevosto della Chiesa di San Nicola, don Agostino Fortunato, don Francesco Berardo di Ruvo, chierico, e mastro Paolo de Russo”.

Pertanto, la congregazione ebbe la cura della laura dal febbraio del 1577 fino all’anno 1579, cioè poco più di due anni e, senza dubbio, procedette a rendere confortevole la laura, ingrandendola, realizzando l’altare davanti alla Vergine, i percorsi che i pellegrini devoti dovevano fare per raggiungere il sacro speco, la cisterna e i servizi essenziali. Il periodo 1579-1581 lo si può definire di transizione, in cui c’e stata una normale gestione. Sono certamente stati i Monaci Benedettini, esperti costruttori di Monasteri e Chiese, a dare un notevole impulso alla struttura. Considerata la notevole dimensione della facciata della Chiesa inferiore, realizzata tutta in pietra scolpita e in aderenza alle grotte riunite, considerato che la sua fattura originaria doveva essere meno rozza di quella attuale che ha subito danni dovuti alla rimozione delle coperture di stucchi fatte nell’epoca barocca, come afferma Padre Mariano Ferriello nella sua opera “Il Santuario della Madonna dei Miracoli in Andria” del 1931, e considerato anche che l’atrio è una vera e propria Chiesa a tre navate, alta oltre 15 metri, per poter realizzare il tutto ci sarà voluto un periodo di lavori di almeno 5-7 sette anni. Pertanto, l’ipotesi formulata da Montepulciano e Zito non appare per nulla fondata. Si riportano qui sotto le foto dei bassorilievi scolpiti

Si riportano qui sotto le foto dei bassorilievi scolpiti sulla facciata costruita in aderenza alle grotte a dimostrazione del pregevole lavoro fatto dagli scultori e maestranze edili, a dimostrazione del tempo che è stato necessario per realizzare il tutto.

Nel secondo ordine della facciata sono raffigurati a sinistra l’Annunciata, seduta e con la testa china, in una casa cinquecentesca, mentre sulla destra c’è l’Angelo annunciante, anch’egli con la testa china perchè si annuncia la venuta sulla terra del Signore Gesù Cristo.

L’Annunciata.       L’Angelo.
L’Annunciata  e  L’Angelo.

Pilastro alla sinistra dell’ingresso centrale alla Laura.       Pilastro alla destra dell’ingresso centrale alla Laura.
I due pilastri [rispettivamente sinistro e destro] dell’ingresso centrale alla Laura.

Alle sculture presenti sui due pilastri dell’ingresso centrale alla Laura della Madonna, poco precise ma molto rovinate, quasi scalpellate in alcuni tratti, si potrebbero dare questi probabili significati:

- pilastro di sinistra, a partire dal basso: mascherone con corona, baffi e barba che potrebbe essere un simbolo di grande virilità, associato ai sovrani (basta guardare il dipinto di Carlo Magno fatto da Albrecht Durer «1471-1528» che sembra quasi uguale al nostro mascherone), e che potrebbe rappresentare Dio creatore; subito sopra c’è uno stemma, molto rovinato perché il suo centro è stato picconato, su cui sono raffigurati Adamo a sinistra ed Eva a destra, che si coprono le nudità dopo aver trasgredito commettendo il peccato originale; alla sommità sono scolpiti tre pavoni bianchi che nella iconografia cristiana rappresentano simbolicamente il Cristo che muore e risorge, quindi, simbolo della vita eterna;

- pilastro di destra, a partire dal basso: il primo bassorilievo raffigura Adamo che riposa ed Eva, in piedi dietro il corpo disteso di Adamo, che viene creata da Dio per essere la sua compagna; sopra quest’immagine è scolpito un pellicano che è un altro simbolo cristiano infatti, fin dal Medioevo, il gesto dell’uccello che nel dare da mangiare ai suoi piccoli abbassa il becco fin sul suo petto, fu interpretato come un succhiare il suo sangue per nutrire la sua prole quindi, il pellicano fu assunto come simbolo di Cristo che dette il suo sangue per salvare l’umanità; sul pellicano è rappresentata la scena del peccato originale con Adamo, l’albero della vita, il serpente ed Eva che mangia il frutto proibito; l’ultima scena in alto raffigura Caino che uccide Abele. Tutte queste sono scene simboliche, alcune tratte dalla Sacra Bibbia altre dalla tradizione e sono poste ad altezza d’uomo perché potessero essere guardate dai fedeli e capite nel significato. La stessa funzione avevano nel Medioevo gli Exultet.

Questa esposizione è solo la lettura di una parte della grande parete della Chiesa inferiore, lettura che deve fare da stimolo all’approfondimento, analizzando l’intera facciata come mai è stato fatto fino ad ora da parte degli esperti di storia dell’arte.


Note

[14] Inventio: nel significato di “Ritrovamento” e/o “Scoperta”.

[15] Padre Rocco Ronzani, del Convento S. Agostino in Campo Marzio – Roma, è archivista dell’ Archivio storico della Provincia Agostiniana d’Italia, docente sia presso l’Institutum Patristicum “Augustinianum” sia presso la Pontificia Università Lateranense; inoltre è Coeditore della rivista “Analecta Augustiniana”.

[16] Il manoscritto di Don Andrea Ariano è una lettera che il monaco scrive all’Abate di Montecassino per relazionare su quanto stava accadendo ad Andria dopo l’Inventio della Madonna in una grotta della Lama si S. Margherita. Il manoscritto così inizia: “Al molto rev.do Don Girolamo Da Perugia venerabile Presidente di tutta la Congregazione Cassinese. Don Andrea Ariano da Napoli, Monaco Cassinese. S.P.D.” Presumibilmente il manoscritto è databile alla fine del Cinquecento, quindi, prima dell’opera pubblicata in Napoli dal di Franco nel 1606.