Capitolo III

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da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi" - Vol. I

di Michele Agresti (1852-1916)

Capo III

Sommario:
Esistenza di un Clero e Capitolo in Andria, prima del secolo VII; Qual fu la prima e principale Chiesa eretta in Andria;
Se Andria si mantenne nella fede di Cristo (annunziata, come dicesi, da Pietro e dal fratello Andrea), o se ritornò all’idolatria; Venuta di S. Riccardo, primo Vescovo di Andria, e sua vita;
Istituzione della Sede Vescovile in Andria; Venuta dei Basiliani in Puglia; Invasione dei Barbari in Italia, e persecuzioni ai Vescovi ed ai religiosi;
Opera dei Pontefici contro gl’invasori;
Scesa dei Normanni.


Ammesso, che la sede vescovile fosse stata istituita in Andria da Papa Gelasio I, colla investitura dell’inglese Riccardo, mettendo da parte le opinioni contrarie, ora non ci resta, che indagare l’origine del Clero di Andria, e del Capitolo Cattedrale in particolare.
Per quel che riguarda il Clero in generale, è fuori dubbio, che esso sia nato colla venuta del primo Vescovo S. Riccardo, giacché non poteva esistere un Vescovado senza i suoi ministri, che formano il Clero.
Per quel che riguarda poi il Capitolo Cattedrale in particolare, esso avrà dovuto aver sua origine, quando fu costruita la Cripta, di cui abbiamo fatto parola nel Capo I.
Difatti, al dire dei due valorosi archeologi Bernich ed Hasseloff, questa Cripta formava la primitiva Chiesa, sulla quale, nel secolo XI, fu poi eretta l’attuale Cattedrale [1]. Che se, al dire dei due summenzionati valorosi archeologi, quella Cripta (quale attualmente si vede) non sia anteriore al secolo VII, abbiamo pur fatto rimarcare nel Capo I, che, stando al giudizio dei medesimi archeologi, è da supporre, che l’attuale Cripta sia stata costruita sui ruderi di un’altra Cripta demolita. Difatti il Bernich e l’Hasseloff hanno affermato, d’aver ri-scontrato un capitello bizantino, adoperato nella attuale cripta, come materiale di risulta da altro edificio demolito, cui quel capitello apparteneva. E ciò porterebbe alla conseguenza che, se esisteva una Chiesa, prima del secolo VII, doveva esistere un Clero, che l’officiava; se, in quella Cripta, che formava l’antica Chiesa, vi era un altare, una Mensa, dunque vi doveano essere dei sacerdoti celebranti; se vi era un Coro, fatto a semicerchio [2], dunque vi erano dei Sacerdoti officianti. Che, se non esisteva allora un Capitolo formale, come lo s’intende oggi, esisteva certamente un Capitolo, diremo in embrione, formato da quei pochi sacerdoti, che celebravano il Divin sacrifizio, ed istruivano i fedeli nelle verità della fede, mantenendo il Culto, col riunirsi in Coro nella comune preghiera, e col somministrare ai fedeli la grazia dei Sacramenti.
Da ciò consegue poi, che la prima, o almeno la principale Chiesa, eretta in Andria, sia stata l’antica Cripta della Cattedrale, la quale, forse, dové esser costruita sulle rovine di un tempio pagano, dedicato, secondo alcuni scrittori, alla Dea Venere, e che, secondo ci narrano parecchi istoriografi antichi e moderni, fosse stato demolito dal Principe degli Apostoli, nel suo soggiorno in Andria, passando sulla Via Appia, nel recarsi da Brindisi a Roma, o viceversa.
Non così la pensa lo storico Durso, il quale asserisce, che la prima e principale Chiesa di Andria, fosse stata quella di S. Andrea, messa nelle adiacenze delle così dette Grotte, che, da quell’Apostolo, prendono il nome. Nel sostenere la sua opinione, il Durso, si avvale della patria tradizione!
Meravigliandosi poi, come la prima chiesa fosse stata dedicata a S. Andrea, piuttosto che a S. Pietro, primo Apostolo della fede in Andria, il Durso fa osservare, che non poteva esser dedicata una Chiesa a S. Pietro ancora vivente, essendo vietato dalla legge cristiana dedicare ai suoi Eroi, in vita, tempii e altari. Perciò, scrive il Durso, la prima Chiesa fu dedicata a suo fratello Andrea, il quale già allora regnava coronato in Cielo.
Avvalora la sua opinione, il Durso, coll’asserire, esser S. Andrea venuto pure in Andria, col suo fratello Pietro, e che gli andriesi, oltre alla Chiesa, costruita in suo onore, in attestato alla posterità, avessero pure innalzata una pubblica porta in quel punto del paese (in vicinanza della Chiesa di S. Andrea) dove si congedò dal fratello Pietro, prendendo la volta dell’Acaja! [3]
Ch’esiste in Andria una Porta, detta S. Andrea, su cui lo svevo Imperator Federico II Barbarossa fè scolpire, nel 123o, il famoso distico ‒ Andria fidelis nostris affixa medullis ‒ è fuori dubbio; ch’esiste anche una Chiesetta, intitolata egualmente a S. Andrea (nelle adiacenze di quella Porta), è pur vero. Ma, che la Porta e la Chiesa esistessero fin dai tempi di S. Andrea, e che fossero state innalzate a testimoniare alla posterità, la prima, il concedo di S. Andrea da suo fratello Pietro, l’altra la gratitudine degli Andriesi al S. Apostolo, che si trattenne qui per qualche giorno col fratello Pietro a predicare il Vangelo, prima di passare nell’Acaja, son cose che non si possono mandare giù, checché ne dica la patria tradizione, invocata dallo storico Durso!
E notisi, che si parla di Chiesa, eretta all’aperto (in tempo di persecuzione ! …), di Chiesa molto più grande dell’attuale, distendendosi (come dice il Durso) sul terrapieno della muraglia [4]. Ma, guarda contraddizione! … Nella pagina seguente, il medesimo Durso, scrive poi così
«Non appena la religione di Cristo incominciò a spandere la sua luce nel mondo, che da questa mortalmente ferite le deboli pupille dei principi e magistrati dell’Impero Romano, opposero la più viva resistenza per soffocarla sul nascere … Quindi fu di tutta necessità per quei nuovi credenti … celarsi dal resto dei viventi; e così tra gli anfratti impenetrabili, nei sotterranei inaccessibili all’ occhio del profano, celebravano i loro sacrosanti misteri» [5].
Ora, diciamo noi, se i primitivi andriesi cristiani erano costretti celarsi tra gli anfratti im-penetrabili ecc., per celebrare i sacrosanti misteri, come potevano aver eretta una Chiesa, che distendevasi (al dire del Durso) fin sul terrapieno della muraglia? E quella Chiesa, ammesso pure che fosse stata eretta prima che incrudelisse la persecuzione, non dovette andare poi in frantumi? E come, dunque, si può asserire, che la Chiesa di S. Andrea fosse stata la prima ad esser costruita in Andria (ancor vivendo S. Pietro), e che il Capitolo della Cattedrale, da tempo immemorabile, ha venerato questa Chiesa come la prima sua Sede? [6].
Dunque, secondo lo storico Durso, il nostro Capitolo ha dovuto esistere sin dai tempi apostolici, avendo la sua prima, sede nella Chiesa di S. Andrea! Ma, il medesimo Durso, forse, dimenticava quanto aveva scritto a pagine 14-15 della sua medesima Storia, a proposito della prima Chiesa, eretta in Andria …
Difatti, parlando della Cripta, messa nei sotterranei della Cattedrale, il Durso, a pag. 15, scrive quanto segue: Gli andriesi hanno sempre custodito con gelosia questo tempietto (cioè la Cripta) come primo e sacro monumento della loro spirituale rigenerazione [7]. Questo (tempietto) era in quel luogo, dove ora trovasi la Cattedrale [8]. E, nella pagina 16, disdicendosi ancora, il medesimo Durso scrive: La patria tradizione ha vocitato sempre esser questa (la Chiesa di S. Andrea) il primo tempio che innalzarono gli andriesi di fresco convertiti alla cristiana Religione [9]. A quale dei due Durso dobbiamo noi credere? … Fu, dunque, S. Andrea o la Cripta della Cattedrale la primitiva Chiesa, eretta in Andria? … o furono tutte e due contemporaneamente costruite?
Né ciò basta …
Tornando il Durso, ad asserire, che la prima sede del nostro Capitolo fosse stata nella Chiesa di S. Andrea, ne prende conferma dalla narrazione che fa il Duca del Balzo del primo ingresso di S. Riccardo nella Chiesa di Andria, che dice aver trovata polluta dagl’idoli, e che la mondasse: mundavit Ecclesiam idolis pollutam. Dice il Durso: la Chiesa, che S. Riccardo trovò polluta dagl’idoli, non fu quella dove celebro S. Pietro, la quale va compresa nella Cattedrale, ma fu invece il tempio di S. Andrea! [10]. E ne dà anche la ragione. Sentite: Siamo assicurati, dalla tradizione (!), che questa (la cripta della Cattedrale) miracolosamente non sia stata mai polluta dai falsi numi [11]. Invece, egli dice, la Chiesa che S. Riccardo trovò polluta dai falsi numi, fu veramente quella di S. Andrea, e ciò il Durso dice di esser dimostrato apertamente (!?) dalla casa, ossia Episcopio del medesimo S. Pastore, sito nella lontananza di pochi passi da essa Chiesa [12].
Dio buono ! … ma come si fa a sballarne delle così marchiane? Si parla perfino di casa, di Episcopio, messo a pochi passi dalla Chiesa, polluta dai falsi numi! Si parla asseverantemente di prima sede del Capitolo Cattedrale nella Chiesa di S. Andrea, sin dai tempi apostolici! Si parla poi di tempietto in quel luogo dove ora trovasi la Cattedrale, come primo e sacro monumento della spirituale rigenerazione: si parla di Episcopio, e di Chiesa polluta dai falsi numi e poi mondata da S. Riccardo, quando si mette in dubbio la venuta di S. Pietro in Andria e l’epoca della venuta di S. Riccardo? … quando un bujo pesto avvolge tutto quel periodo di tempo, che corse dal primo al settimo secolo? E dove trovavasi questa casa e quest’Episcopio? Qual documento l’attesta?
Né la osservanza, da tempo immemorabile, del nostro Capitolo Cattedrale, che (secondo il Durso) ha sempre venerata la Chiesa di S. Andrea come la prima sua sede; né la commemorazione dell’apostolo S. Andrea, che si recita nei semidoppi dal nostro Capitolo; né il quadro di S. Andrea affisso sotto la volta del nostro Presbiterio, che, (secondo il Durso) forma l’emblema del Capitolo, varranno mai a dimostrare, che la prima Chiesa eretta in Andria, sia stata quella di S. Andrea, e che, in quella Chiesa, avesse avuto la prima sede il nostro Capitolo!
Potrebbe, forse, darsi, che la Chiesa di S. Andrea, un tempo, fosse stata adibita a Chiesa Matrice; e che, in essa, avesse avuto sede il nostro Capitolo (forse quando si ricostruì la nuova Cattedrale, ai tempi dei Normanni). E così, forse, si spiegherebbe pure la venerazione, che il nostro Capitolo ha sempre avuta per quella Chiesa; la commemorazione dell’apostolo S. Andrea, che il Capitolo recita nei semidoppi, ed il quadro, affisso sotto la volta del Presbiterio dell’attuale Chiesa Cattedrale ecc. ecc. Ma, che la Chiesa di S. Andrea fosse stata la prima ad esser eretta in Andria, e che il nostro Capitolo avesse avuto ivi la sua prima Sede, non è affatto provato. Per cui noi riteniamo, che la prima Chiesa, eretta in Andria, sia stata la vecchia Cripta, sita nei sotterranei dell’attuale Cattedrale.
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)
[1] Napoli nobilissima, Vol. XIII. pag. 183-186.
[2] Nell’attuale Cripta ancora si vedono i ruderi di una specie di Coro a semicerchio, a ridosso dell’altare.
[3] D’Urso, Storia d’Andria, pag. 16-17.
[4] Idem, ibidem.
[5] Idem, ibidem.
[6] D’Urso, Storia d’Andria, pag. 22 in nota.
[7] Questo Tempietto o Cripta, dice il Durso, fu da S. Pietro dedicato al Dio dei Cristiani ed ivi celebrò, per tutto il tempo della sua dimora il sacrificio della S. Messa!
[8] D’Urso, Storia d’Andria, pag. 14-15.
[9] D’Urso, Storia d’Andria, pag. 16.
[10] Da ciò sembra (secondo il Durso) che la Chiesa di S. Andrea e la Cripta siano state costruite nel medesimo tempo. Ed, allora, non può dirsi prima l’una o l’altra.
[11] Idem, ibidem.
[12] Idem, pag. 22.

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Per quel che riguarda poi la prima origine del nostro Clero e del nostro Capitolo, nulla possiamo dire di preciso. Nel periodo di transito, è impossibile fioriscano bene organati sodalizii civili e religiosi; e, per conseguenza, manca la vera storia, che rispecchi la società, tanto civile che religiosa. In tal periodo, il cieco arbitrio delle moltitudini e le sbrigliate passioni, tengono il luogo della ragione e del diritto; per cui la cronologia dei fatti e l’ordinamento vero delle cose subisce tal avaria, a seconda delle proprie passioni, ch’è impossibile esista storia vera; ma invece, narrazione poetica, simbolica, ed anche mitica!
E ciò avvenne nella nostra città, ed in tutta l’Italia, quando gli elementi della società antica e pagana tenzonavano con i nuovi elementi, surti dalle immutate condizioni religiose e politiche del cristianesimo. Cosa pure (ammessa veramente la venuta in Andria di S. Pietro) non possiamo assicurare, se la città fosse rimasta fedele o no al Vangelo di Cristo, dopo la partenza di S. Pietro.
Lo storico Durso ci assicura, che una parte degli andriesi, dopo la partenza di S. Pietro, fosse ritornata all’idolatria, rimanendo l’altra parte ferma nella cristiana credenza; e ciò lo storico Durso dice di apprendere da monumenti irrefragabili, ed ancora esistenti! Fra questi monumenti irrefragabili (!?) egli cita gli anfratti impenetrabili, le caverne tuttora visibili, dove si scorgono, al dire del Durso, altarini, formati nel tufo o nella pietra, ed anche le pie immagini [13]. Che poi una parte degli andriesi fosse ricaduta nell’idolatria, il Durso lo ricava dalle parole del Duca del Balzo, il quale, nel parlare dell’ingresso di S. Riccardo nel tempio, scrisse: in quo plurimos Cristo conciliatos baptizavit.
Tali pruove, a rigor di critica archeologica, a noi sembrano tutt’altro che irrefragabili. Difatti, per quel che riguarda gli anfratti impenetrabili, le caverne tuttora visibili, gli altarini, formati nel tufo, o nella pietra, ed anche le pie immagini, (come p. e. le caverne di S. Croce, di Cristo della Misericordia, del soccorpo della Chiesa di S. Maria dei miracoli, della Chiesa di Altomare, ecc, ecc.) noi crediamo che quegli avanzi rimontino all’epoca degl’Inconoclasti, come abbiamo innanzi dimostrato, anziché ai primi secoli del cristianesimo. Che poi una parte (e non tutti gli andriesi) fosse ricaduta nell’idolatria, non ci sembra che possa rilevarsi da quel plurimos, che il Duca del Balzo dice di aver battezzati S. Riccardo, giacché il dire plurimos e non omnes baptizavit, non vuol significare, che vi erano altri già battezzati, quando venne S. Riccardo in Andria. Il fatto, di aver battezzati molti e non tutti, può pure significare, che gli altri andriesi non vollero essere dal santo battezzati, contentandosi di rimanere nella idolatria. Perciò plurimos, e non omnes, baptizavit.
A noi sembra, invece, che, stando alla leggenda di San Riccardo, tutta la città fosse ricaduta nella idolatria. Difatti, ivi è scritto, che il Principe degli Apostoli, andato in visione a S. Riccardo, l’avesse esortato a recarsi in Andria, per aiutare quel popolo, che, dall’antica fede, aveva apostatato «ut ad adrienses populos, qui ab antiqua fide desciverant, adjuvandos se conferret».
Del resto, se tutta, od una parte degli Andriesi fosse rimasta fedele alla legge di Cristo, noi diciamo, che nulla di preciso si può asserire, sino alla comparizione del primo Vescovo S. Riccardo. Come nulla di preciso si può dire, se la Cripta o S. Andrea fosse stata la prima chiesa, eretta in Andria; e molto meno, se esisteva in quel tempo, un Clero ed un Capitolo, checché ne dica lo storico Durso con le sue congetture, e con la patria tradizione, su cui par che faccia troppo affidamento.
Dalla sola storia ecclesiastica apprendiamo, che l’Imperatore Costantino, resa la pace alla Chiesa, e convertitosi al Cristianesimo, lasciò Roma al Papa, perché fosse libero nell’esercizio del suo Apostolato, e trasferì la Sede del suo Impero a Bisanzio, che, dal nome dell’Imperatore Costantino, prese, poi, quello di Costantinopoli. A Costantino, morto a dì 20 Maggio 337, successe suo figlio Costanzo, uomo inetto e crudele, per cui il paganesimo rialzò il capo, e la guerra alla Chiesa fu ripresa con più ferocia, sotto le scettro di Giuliano Apostata, successo a Costanzo nel dicembre del 361. Morto questo imperatore, la eresia s’impadronì del mondo. L’ Italia divenne il bersaglio dei Vandali e Goti, dei Turcilingi ed Eruli, dei Rugi ed Alani, degli Unni e Camri, dei Geldi e Sciti, e di quanti altri barbari contenevano le gelide foci della Scandinavia.
Genserico, Re dei Vandali e degli Eruli, con ingente armata si precipitò sulle nostre contrade, devastando, in special modo, la Campania e la Puglia, apportando dovunque strage e ruina [14]. Sotto le unghie di queste belve feroci, sbucate dal Settentrione, la Religione cri-stiana, che già aveva cominciato a stendere le sue ali benefiche sui popoli redenti, dové subire nuove persecuzioni.
Ma la provvidenza divina non venne mai meno; e uomini d’alta virtù e sapere tenevan fronte a quei barbari. Fortunate quelle città, che videro apparire, in mezzo ad esse, di questi uomini, i quali con la forza della parola, con l’unzione della virtù, con l’arme dei prodigi, andavan richiamando alla fede quanti avean traviato.
Ed Andria fu fortunatissima nel vedersi, fra le sue mura, un Angelo, sceso dalla Gran Bretagna, col cuore acceso dalla carità, colla stella del genio sulla fronte, con l’anima irradiata d’ogni virtù, operare strepitosi portenti, per richiamare alla fede i cittadini, che l’errore avea trascinati nelle tenebre del paganesimo.
Quest’uomo Riccardo si nomava [15].
Nato da cristiani genitori, venne rigenerato nelle acque battesimali l’anno di Cristo 447, sotto l’Impero di Valentiniano Tarso in Occidente, ed il Pontificato di S. Leone I — Stando alla leggenda, par che il Principe degli Apostoli, in una celeste visione, lo avesse invitato a recarsi in Andria, città della Puglia, per richiamare alla fede, dalla quale avea divorziato, questo popolo, dal medesimo Principe degli Apostoli già convertito al cristianesimo.
Obbediente alla voce di Pietro, che ritenne esser voce di Dio, Riccardo abbandona la sua terra natale, e si reca in Roma ai piedi di Papa Gelasio I (che governava in quel tempo la Chiesa Universale), per ottenere la episcopale consacrazione. Il Pontefice, cui (stando alla medesima leggenda) era egualmente apparso il Principe degli Apostoli, confortatolo della sua apostolica benedizione, lo inviava in Andria, dopo averlo consecrato Vescovo. Era l’anno 492 dell’era volgare, e Riccardo, nell’età di 45 anni, presentavasi qui in Andria, Angelo tutelare di nostra città.
Appena ebbe messo piede su questa terra, coperta dalle tenebre del paganesimo, Riccardo comincia la sua missione, col dare la luce ad un cieco nato: stende indi la mano ad una donna paralitica, e, come Pietro, dice a lei «surge et ambula» e la fortunata donna cammina, percorrendo la città nostra, gridando al miracolo! Alla fama di tai prodigi, il popolo andriese vi accorre in frotta, per conoscere l’uomo dei miracoli. Nuovi e più strepitosi prodigi succedono ai primi!
Conquiso il popolo dalla forza dei prodigi, a Lui riverente si prostra; ed Egli, animato dalla carità, acceso di santo zelo, comincia ad annunziare la parola di Dio, condanna l’idolatria, abbatte gl’idoli, rovescia i tempi pagani, e, sulle loro rovine, fa sorgere nuovi altari, nuovi templi in onore del Dio vero. Lava nelle acque battesimali i nuovi credenti, istruisce nella fede quanti a lui si fan d’intorno, va in cerca delle pecorelle smarrite, le mette sul suo collo, le stringe al cuore, le riconduce all’ovile di Cristo, e le nutrisce della parola di vita. A coadiuvarlo nell’opera di restaurazione, sceglie, fra i più virtuosi convertiti, i suoi ministri dell’apostolato, impone su di essi le mani, e quegli unti del Signore, animati dal suo zelo, completano l’opera della restaurazione della fede nella nostra città.
Alla fama dei suoi miracoli, numerose schiere, dai paesi vicini e lontani, accorrono in Andria, per ascoltare la sua parola, per essere da Lui ancora istruiti nella legge del Vangelo.
In quel tempo avvenne la famosa apparizione dell’Arcangelo S. Michele sul monte Gargano, in Provincia di Capitanata. Il nostro Santo, per ordine di Papa Gelasio I, in compagnia dei Vescovi limitrofi, Sabino di Canosa [16], e Ruggiero di Canne, dopo essersi unito ancora ai Vescovi Lorenzo di Siponto e Pelagio di Salpi, recossi sul Gargano, per consecrare l’altare in onore dell’Arcangelo S. Michele, ivi apparso.
Racconta la leggenda, che erano tanto cocenti i raggi del sole (si era nel mese di Settembre), lungo quel viaggio su aride zone, che i tre pellegrini Vescovi, non potendo più proseguire, prostraronsi al suolo, invocando dal cielo il soffio di una leggiera auretta, che ne temperasse l’ardore. Non era finita la loro preghiera, che una smisurata Aquila apparve in cielo, la quale, facendo velo al sole, con le sue distese ali, dolcemente ne muoveva l’aria, accompagnando i tre santi pellegrini sino alla vetta del Gargano … [17].
Ritornato in Andria il nostro Santo, spese tutta la sua vita nelle opere di carità, nell’istruire gl’ignoranti, nel sollevare i miseri, nel coltivare la vigna del Signore, istituendo un clero, che continuasse, dopo sua morte, l’opera di restaurazione, da Lui iniziata.
Ma era giunta, anche per Lui, l’ora di raccogliere il premio delle sue virtù. Vedendo approssimarsi quell’ora, chiamato a sé il Popolo, con benevoli parole lo esorta a mantenersi fermo in quella fede, che con tanti sudori, avevagli procurata. Indi, dopo aver tanto raccomandato al Clero il divin Culto, e gl’interessi della sua Chiesa, munito dei Sacramenti, alzando gli occhi al cielo, e raccomandando il suo spirito nelle mani di Dio, nella tarda età di anni 92, diè l’ultimo respiro, accolto dalle lacrime del popolo e del Clero, che, da quel momento, cominciarono a venerarlo qual Santo, avendo operati oltre cento miracoli, ancor vivente.
Questa, in breve, la leggenda del Santo, dalla quale apprendiamo che, fra le tante opere da lui prodigate in Andria, principalissima fu quella della istituzione del Clero, clerum dispersum restituit.
NOTE   
[13] Storia d’Andria, pag. 17-18.
[14] Muratori, Annali d’Italia.
[15] Quello che qui diremo è ricavato dalla leggenda di San Riccardo, (quale ci viene presentata nell’ufficio, che la Chiesa di Andria recita nel giorno della festività di esso santo) dalla suprema ecclesiastica autorità approvata, senza tener conto di tutto ciò che la critica storica (di cui ci siamo occupati nel Capo precedente) ha scritto, per demolire quanto quella legge ci narra.
[16] Rimandiamo il lettore a rileggere quanto abbiamo scritto nel capo precedente, per riguardo a S. Sabino di Canosa, in quel viaggio al Gargano.
[17] Un moderno scrittore si fa beffa di questo prodigio, che dice essere una favola … Ma forse dei prodigi non può operare Iddio a favore dei santi suoi?

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Stando alla leggenda, con tutta ragione, potremmo stabilire che, dalla venuta di S. Riccardo in Andria, ebbe origine il nostro Capitolo. Difatti, se fu istituita una Cattedra episcopale, dovette certamente esserci una Chiesa detta Cattedrale, e questa Chiesa dovette, certamente, essere affidata a Sacerdoti, che la officiassero. E questi Sacerdoti doveano già formare il primitivo Capitolo. Il Di Franco, anzi, va oltre, ed attribuisce a S. Riccardo anche la dedica di nostra Chiesa a Maria Assunta in Cielo. Egli scrive
«Gli andriesi diedero sepoltura con decente pompa al sacro corpo di S. Riccardo nella Chiesa, qual egli in vita dedicata avea sotto il titolo dell’Assunzione di Maria, ed è oggi la Cattedrale» [18].
Da qual fonte avesse poi attinta tal notizia il Di Franco noi nol sappiamo. A noi sembra, ch’egli abbia voluto francamente esporre una sua congettura, e non altro!
Ma, per esser seri, e non arrischiare sentenze, che potrebbero avere delle smentite dalla critica storica moderna, che tanto severa si mostra nell’ammettere fatti e cose, che rimontano a quei remotissimi tempi, noi, fra il buio, che ci circonda, andremo studiando pacatamente le condizioni civili - religiose della nostra Puglia e di tutta l’Italia meridionale, in quel tempo, che va sino alla venuta in Italia dei Basiliani, per poter, poi, rintracciare, in qualche modo, l’origine del nostro Capitolo, che si svela più manifestamente colla venuta dei Normanni.
Aprendo, per poco, la storia particolare della nostra regione, è fuori dubbio, che la religione dei nostri antichi, al tempo dei Greci e dei Romani, fu la pagana, con la numerosa caterva dei loro Dei, che la fervida fantasia Greca e Romana seppe immaginare.
Caduto poi l’impero romano, con esso cadde la religione pagana, e cominciò a metter piede la nuova religione del Nazareno, fra le terribili persecuzioni dei Cesari, che crearono miriadi di martiri, il di cui sangue fu seme, che germogliò infiniti credenti.
La Puglia, e tutta l’Italia meridionale, ben tosto abbracciò la fede cristiana, propagata dagli Apostoli, e, più di tutti, dal Principe degli Apostoli, S Pietro, nel suo percorso da Brindisi a Roma.
Al cominciare del V secolo, tornò a farsi sentire novellamente, nelle nostre provincie, l’influenza greca, da non confondere, però, con quella ellenica dei tempi precedenti alla venuta di Cristo, di cui abbiamo fatto innanzi parola, parlando di coloro, che attribuiscono a Diomede la fondazione di Andria. Quella prima dominazione greca, che dette tanto splendore di arte e di cultura alle nostre provincie, va sotto il nome di Magna - Grecia, e, l’ellenismo di essa, già era cessato ai tempi di Strabone.
Ma, se la nuova civiltà bizantina non fu la continuazione dell’antica civiltà ellenica, trovò però, nelle Puglie, un terreno ben predisposto; e, dalla fusione delle due civiltà, nacque la cultura aploellenica o aplobizantina, che fu il risultato di due germogli di una stessa pianta, la civiltà ellenica.
Il rito greco aveva maggior preponderanza in Puglia, e gli orientali avean già fondati degli eremitaggi in questa regione Pugliese. La immigrazione degli Iconofili, nell’ottavo secolo, portò, in Italia molti monaci dell’ordine di S. Basilio, che si dissero Cologeri. Questi bizantineggiarono la Magna Grecia, messa sotto la dipendenza di Costantinopoli.
Una seconda immigrazione di coloni del Peloponneso, venuti ad abitare i luoghi deserti dai Saraceni, nel 968, interdisse il rito latino nell’Italia bizantina; stabilì il catapanato [19] di Bari, da cui dipendevano le Puglie; introdusse tali usi bizantini in tutta la Puglia, che i Normanni, dopo le loro conquiste, dovettero mantenere, adottando loro costumi, lingua, abiti, architettura, monete, ecc., ecc.
Questi Basiliani, alcuni vivevano nei monasteri, altri nelle Campagne, quali eremiti ed anacoreti. Essi stessi costruivano delle rozze grotte isolate, che formavano le così dette laure. La laura era un gruppo di molti abituri, o cellette, messe a breve distanza l’una dall’altra sur d’un medesimo sito aspro e deserto.
In ciascuna di queste cellette, viveva ritirato un eremita, od anacoreta, senza avere comunicazione con altri. Solamente nel Sabato e nella Domenica questi solitaria eremiti, appartenenti ad una medesima Laura, si riunivano nella Cripta o Cappella, per assistere al S. Sacrifizio della Messa, e cibarsi della S. Eucarestia [20].
Questi monasteri, nelle provincie meridionali, furono distrutti dai Saraceni nel secolo IX. Fu allora che i cenobiti e gli anacoreti, che scamparono la vita dalle mani di quei barbari, si dispersero nelle campagne, riparandosi nelle spelonche e nelle caverne.
Mercè poi il favore dei principi Normanni, questi anacoreti erano in fiore nel secolo XI, e vi ricostruirono e fondarono, allora, nuovi monasteri [21].
Questo e quel che si sa, con certezza, della nostra regione Pugliese, per riguardo alle Chiese ed ai fatti religiosi di quei remotissimi tempi, sino all’epoca dei Normanni. Tutto il resto non può poggiare, se non che su congetture, più o meno accettabili, secondo il rapporto ad altri fatti precedenti, standovi di mezzo il periodo tanto funestato dalle guerre e dalle invasioni di barbari.
Per quel che riguarda, dunque, l’origine dei Capitoli, Cattedrali o Collegiali, nella nostra regione pugliese, nulla possiamo affermare con certezza sino all’epoca dei Normanni. Furono questi fortunati avventurieri (dei quali, a suo tempo, parleremo) che, secondo scrive il Guerrieri, restituirono al Trono Romano le Chiese della Puglia e della Calabria, che sino a quel tempo erano siate soggette al Patriarca Scismatico [22].
Per conseguenza, ammettendo pure che il nostro Capitolo, almeno in embrione, abbia avuto sua origine con la istituzione della sede vescovile nel V secolo, di lui non possiamo più dir nulla, sino al secolo XI, epoca della discesa dei Normanni nelle Puglie.
Però, se nulla possiamo dire di preciso del nostro Capitolo, non mancano poi notizie di alcuni Vescovi, durante questo periodo di transizione. Così del Vescovo Cristofaro, o secondo altri Costantino, intervenuto al Concilio Niceno II nel 787; così del Vescovo Gregorio, in anno ignoto dell’ottavo secolo, riportato negli annali Camaldolesi. Ora, se si ha notizia di questi Vescovi, che occuparono la sede di Andria, nell’ottavo secolo, certamente il nostro Capitolo aveva vita ed esistenza in quel tempo, non potendosi concepire una Cattedra vescovile senza la sua Cattedrale, ed un Vescovo senza un Clero a lui soggetto.
Ma, da che nasce questa mancanza di notizie, in tutto quel periodo di tempo, che corse dal V al XI secolo, sia per riguardo alla cronologia dei Vescovi, sia per riguardo alla esistenza del nostro Capitolo?
Secondo il nostro modesto pensiero, par che questa interruzione di notizie sia stata cagionata da doppia causa, l’una dovuta alla invasione dei barbari, che si contesero il governo d’Italia, in tutto quel periodo di tempo, l’altra dalla non curanza dei nostri antenati, nel registrare tutto quel che accadeva sotto i loro occhi, per tramandarlo ai posteri. E questo silenzio, e questa deficienza di notizie han dato poi occasione ai nostri critici, di mettere in dubbio l’antichità della sede Vescovile, ed anche della nostra città.
Ma, più che nel silenzio dei nostri antenati, la causa principale è da ricercarsi nella tristezza dei tempi, che impediva ai Vescovi ed al Clero di esercitare i loro ministeri. Per cui, molte sedi restarono vacanti, ed i Sacerdoti dispersi e perseguitati. Difatti, chi non conosce quante rivoluzioni, oppressioni, devastazioni e travagli soffrì la povera Italia, sino al secolo decimo secondo? Chi non conosce i lagrimevoli avvenimenti delle barbare incursioni, alle quali fu fatto segno la nostra Italia, non appena l’impero Romano, con la guerra al Cristianesimo, con la corruttela delle passioni, colla imbecillità dei governanti aprì le porte ad ogni sorta di avventurieri? Essi vennero a devastare città e chiese, spogliando queste di tutti i suoi tesori, ed adibendole ad usi profani. Conculcando l’autorità del Pontefice e dei Vescovi, quei dominanti ne impedivano la loro giurisdizione, ed il loro libero esercizio nel sacro ministero. Quasi tutti i monumenti di quei tempi andarono perduti. Il Muratori, nelle dissertazioni dell’antica Italia, e nei suoi annali, fa una minuta narrazione di quanto soffrì la Puglia, a causa delle guerre e devastazioni, specialmente sotto Leone IV (847-855), Adriano II (867-872), Giovanni XI (931-936) e sotto Leone VII (936-939).
Sin dal chiudersi del secolo IV, la povera Italia fu inondata da un diluvio di barbari, i quali, a guisa di torrente, che tutto inonda, schianta, scompone, travolge, vennero a portarvi la desolazione, l’esterminio.
I poveri Vescovi erano, in preferenza, fatti segno alla loro ferocia, e molti ne subirono la morte. Per cui le Chiese restarono vedovate dei loro Pastori.
Nel secolo V poi l’Italia era tutta soggetta agli Ostrogoti. l’impero d’occidente era travagliato dai Visigoti, dai Vandali, dagli Unni, cui successero gli Eruli, dando luogo al regno di Odoacre, nel 476, e poscia a quello di Teodorico e dei suoi Ostrogoti, nel 493.
Ai Goti successero i Greci Bizantini, guidati dal famoso Belisario, inviato, in Italia, dall’Imperatore Giustiniano di Costantinopoli, dopo la vittoria d’Africa. Però, asceso al regno Totila, la Puglia ritorno ai Goti nel 543. I Greci indi ripresero, con maggior vigore, la lotta, e riuscirono a rimpossessarsi di molte città. Ma, Belisario, che trovavasi lontano, a combattere i Persiani, ritornato in Italia con Giovanni, nipote dell’Imperatore Giustiniano, riprese Canosa [23] e molte altre città della Puglia [24].
Nel 547 Totila, ripresa Roma, venne a cacciare i Greci dalla Lucania; indi, sceso nella Puglia, dopo aver raccolto i suoi Goti, presso Siponto, mosse contro Canne, che devastò [25], impossessandosi nuovamente della Puglia. Ai Goti si unirono orde feroci di Franchi ed Alemanni, guidate da Leuteri. Ma, ucciso Totila, nella battaglia di Gubbio, per opera di Narsete (successo a Belisario nel comando dei Greci), ebbe termine il regno dei Goti, restando la Puglia in potere dei Greci Bizantini, benché, sin dal 568, i Longobardi, gente non men feroce e barbara dei primi, capitanati dal Re Alboino, eransi sparsi, qua e là, in Italia, facendo correrie e guasti, specialmente nella Campania e nel Sannio. Distrussero il monastero di S. Benedetto su Montecassino; devastarono tutta la parte meridionale d’Italia. Canosa, più di tutte le altre città di Puglia, ne restò danneggiata e priva di Sacerdoti, che amministrassero i Sacramenti, come si rileva da una lettera di Papa S. Gregorio Magno, diretta al Vescovo Fra Felice di Siponto [26], nella quale dice, di ordinare e stabilire almeno duos Præsbyteros Parochales, che amministrassero i Sacramenti a quel miserabile avanzo di popolazione, scampato al ferro dei barbari. Ciò vien confermato, anche dal Di Meo, nei suoi Annali critico - diplomatici del Regno di Napoli, dove riporta un’altra lettera del medesimo Pontefice, diretta a Pietro suddiacono, amministratore del patrimonio di Sicilia, nella quale raccomanda i profughi e miserabili Chierici Canosini. rifugiatisi in Sicilia per la strage menata in Canosa dai Saraceni [27].
Tolta intanto l’Apulia ai Greci bizantini, sulla fine del settimo secolo, andò essa soggetta al furore degl’Iconoclasti, scatenati dall’aule Imperiali di Costantinopoli, i quali vennero a rendere più tetro lo spettacolo miserando della nostra povera regione, e ad accrescere la desolazione nella casa di Dio, e la ruina dei Sacri Templi, prendendo di mira, sopra tutti, i Vescovi ed i Sacerdoti, cacciandoli dalle loro chiese, dalle loro case, abbattendo e distruggendo sacre immagini, altari, templi e tutto ciò che sapeva di sacro.
In mezzo a questo pandemonio di barbari, d’idolatri, di nemici di Dio e della Chiesa, com’era dunque possibile pensare alla provvista delle sedi episcopali, alla ordinazione di Sacerdoti e ministri del Santuario, quando questo era preso di mira e combattuto ad oltranza?
Ecco perché non è possibile raccapezzare la cronologia dei Vescovi fino all’ottavo secolo, e parlare del nostro Capitolo, il quale dové certamente subire tutti i danni e le angarie, che cagionavano quelle belve, in forma umana!
Ed è, perciò, che, nel sotto suolo della nostra città, si riscontrano. tante caverne, tante grotte, tanti antri, ove si vedono altari ed immagini della Vergine e dei santi, dipinte sul muro. E queste caverne, queste grotte, questi antri, attestano la esistenza di un Clero e di Sacerdoti, che ivi nascondevansi, per sottrarsi alla ferocia ed al furore di quei barbari, ed ivi esercitare il divin culto.
NOTE   
[18] Di Franco, S. Maria dei Miracoli di Andria, Opera stampata in Napoli nel 1606.
[19] Catapanato era la reggenza della provincia, cone oggi si direbbe la Prefettura.
[20] Di questi abituri, e di queste laure, se ne riscontrano parecchie in Andria, nelle Grotte di S Croce, delle quali abbiamo già fatto un cenno innanzi, nel Capo I, ove abbiamo pur detto che fossero state abitate da Basiliani.
[21] Queste notizie sono state desunte dal Tarantini, Di alcune cripte nell’agro di Brindisi, pag. 5.
[22] Guerrieri, Articolo storico, pag. 37, edizione napoletana del 1846.
[23] Canosa, in quei tempi, era una grande città, quasi emula di Roma.
[24] Procupius, De bello Gotho, Lib. I, § XIII - Lib. III, § III e IX.
[25] Bollandisti, Acta Sanctorum, in vita S. Laureutii Sipontini: 7 Februarii, p. 59.
[26] Epistola 51, Lib. I.
[27] Epistola 44.

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Ma i Romani Pontefici, che riuscirono vincitori dei Cesari, non ristettero dal tener fronte a questi feroci invasori dell’Italia nostra [28]. Vedendo che i Longobardi, sempre più allargavano il loro dominio in Italia, a danno della religione e delle città, chiamarono a loro difesa i Franchi, i quali, dopo aver disfatto i Longobardi, s’impossessarono dell’impero Romano. Carlo Magno, a dì 25 dicembre del 799, veniva da Papa Leone III, incoronato Imperatore [29].
Intanto che la Signoria Longobardica andava sempre più estinguendosi in Italia, ecco che nel secolo IX, scendevano nella nostra Puglia i Saraceni, gente più d’ogn’altra feroce. Essi presero quartiere nella Sicilia [30].
Al dire dell’anonimo Salernitano, i Saraceni mietevano la vita degli uomini, come suol farsi dei seminati: ipsi in Apuliæ fines perveniunt, pene omnes civitates Apuliæ depopulantur; homines, qui ad instar segetum excreverant, occidunt [31]. Nel 862 i Saraceni incendiarono Minervino, Ascoli e Canosa, massacrando gli abitanti, e traendo cattivi in Bari quelli che sfuggirono alla morte [32]. Nell’866 l’Imperatore Ludovico II, a capo dell’esercito dei Franchi, coadiuvato dai Beneventani, accorre a Bari, per scacciarne i Saraceni; senonché, giunto all’Ofanto, presso Barletta, fu messo in rotta dai Saraceni, dove restò ucciso il Conte Corrado, Capitano dei Franchi. Però, l’indomani, sopraggiunto il grosso dell’esercito, i Saraceni furon messi in rotta, e Ludovico s’impossessò di molte città della Puglia, uccidendo quanti Saraceni non furon lesti darsele a gambe [33]. Indi, dopo quattro anni, s’impadronì di Bari, massacrando tutti i Saraceni, ch’eransi ivi fortificati.
Così la Puglia Barese fu restituita al dominio dei Longobardi. Ma i Saraceni di Taranto ben presto si rafforzarono e, profittando della ingratitudine di Adalgiso, Principe di Benevento, ch’erasi messo di fronte a Re Ludovico, nuovamente irruppero nella Puglia, arrecando nuovi danni in tutte le città del Barese [34]. Fu allora che Bari, per tener fronte ai Saraceni, si dette ai Greci Bizantini nell’anno 876 [35], benché, per la facile mobilità pugliese, i Saraceni non mancarono di appoggio, e spesso insorgevano per riacquistare il Dominio, mettendo a sacco e fuoco le città del barese.
Ma, col principiare del secolo X, Landolfo, avendo unito il principato di Benevento al Contado di Capua, dopo aver associato le forze Greche alle Longobardi ed alle Pontificie, nel 916, recossi a discacciare i Saraceni dal Garigliano, e poscia dal Gargano, dove eransi rafforzati. Ma i Saraceni, profittando degl’insorgimenti pugliesi, e delle nate ostilità dei greci con Landolfo, se ne avvantaggiarono, rafforzandosi nuovamente sul Gargano, sino a che non scesero dalla Dalmazia, prima gli Slavi, e poscia gli Ungheri a rapinare nella Puglia, discacciandone i Saraceni. Questo accadeva in Puglia …
Intanto l’Impero Romano ed il regno d’Italia erano nelle mani degli Alemanni, sotto il dominio di Ottone il Grande, il quale, unitosi a Pandolfo, detto capo di ferro, ed a tutti i principi longobardi, nel 968, scese nella Puglia, e, dopo un anno, nelle Calabrie, cacciandovi i Greci. Ma Bari, e le altre città della Puglia non si arresero, tanto che Ottone dovette smettere l’impresa, ritirandosi a Ravenna. Di che se ne giovarono i Greci, riuscendo ad impossessarsi dei dominii di Pandolfo, che, catturato presso Bovino, fu mandato prigioniero a Costantinopoli. Ma le milizie di Ottone ben presto presero la rivincita sui Greci, presso Ascoli.
Nel 979, però, secondo narra il Sigonio, i Greci, uniti ai Saraceni, rioccuparono le Calabrie e la Puglia, espugnando Bari e Matera. Ma, dopo due anni, secondo narra la Cronaca Cavense, Ottone, ritornato nella Puglia, riacquistò Bari, indi Taranto, e, nell’anno seguente (982), nella famosa battaglia di Cotrone, in Calabria, fece grande strage dei Greci e dei Saraceni; ed, a Squillace, pose in rotta le nuove forze nemiche. Ma questa vittoria di Ottone, ben presto, si cambiò in una terribile sconfitta, a causa della ingordigia di quei militi, che, datisi a far bottino nelle città conquistate, furono assaliti da nuove schiere nemiche, messe in agguato, menando orribil strage dei loro vincitori, affogando, poscia, nel Ionio, quanti erano scampati al ferro.
Cosi, dopo quella vittoria, i Greci ripresero il dominio nella Puglia e nelle Calabrie. Ma, al dire di Leone Ostiense, i Pugliesi, non potendo più sopportare l’orgoglio dei Greci Bizantini, gli si ribellarono. A capo di questa ribellione si pose il famoso Melo da Bari, nell’anno 1010. Egli vinse i Greci a Montepeloso ed a Bitonto, e riuscì a cacciarli da Bari, da Ruvo, da Minervino, da Canosa e da Ascoli, bruciando tutti quelli, che trovavansi nella rocca di Trani [36]. Però, sopraggiunti nuovi rinforzi, capitanati da Basilio Argiro, Melo si pose in fuga, e Bari dovette arrendersi. Ma Melo non si perdé d’animo, e messosi d’accordo coi Principi di Benevento, di Capua e di Salerno, cattivatosi pure l’animo del Papa Benedetto VIII, e dell’Imperatore Arrigo II, riuscì d’indurre questi, appena incoronato in Roma nel 1014, di venire in aiuto della Puglia. Non potendosi, però, qui recare Arrigo, perché infermo, Melo associò alla sua impresa i primi quaranta Normanni, diretti da Benedetto VIII ai Primati Beneventani, per combattere i Greci Bizantini [37].
NOTE   
[28] E poi si dice che i Romani Pontefici sono gli eterni nemici dell’Italia! Non una volta sola ma, cento volte, hanno essi salvata l’Italia dalla invasione di barbari stranieri, come la vera storia ci apprende.
[29] Carlo Magno fu il primo ordinatore dei feudi nel mondo romano, giovandosene a rafforzare il concatenamento delle varie parti dell’Impero. Egli, perciò, abolì l’allodio, ossia la proprietà libera, per sostituirvi la subordinazione dei minori possidenti ai maggiori, rannodando tutti, gerarchicamente, alla sua Monarchia; né mai volle concedere a chicchessia terre ed uffici perenni, ma solamente a tempo determinato. Fu, però, dopo la sua morte, che Marchesi e Baroni cominciarono a reggere ad arbitrio le provincie, ed ottennero che i feudi, da temporanei, si trasformassero in ereditarii. Questa degenerazione si aggravò anche di più dopo la caduta di Carlo II, detto il Grosso.
La vasta monarchia carolingia, ripartita poscia in regni autonomi, dette aggio agli antichi capi di provincia di allegarsi al sommo della poliarchia feudale e gittare le basi di altrettanti stati dipendenti dal Re. Cosi ebbe origine il feudalismo, che andò poi suddividendosi in tante altre frazioni di minori vassalli, detti scalarmente valvassori, valvassini, castellani o cavalieri, i cui dominii erano ristretti alla cinta dell’avito castello.
Tutta Europa, all’epoca carolingia, fu invasa da signorie, grandi e piccole, e, più di tutti gli stati, la Francia, dove i feudi si contavano sino a settantamila! L’Italia ne fu pure invasa, e tutti i Baroni se ne ripartirono le terre, e, con esse, i privilegi e le cariche. Il feudalismo giunse a tanta superiorità, da rendere spesso mal sicura la corona sulla testa dei monarchi; e spesso, in quell’età manesca, per un futile motivo, si scendeva alle armi. Il diritto era sempre posto sul fendente della spada, ed, a propria difesa, s’innalzavano tetri e sinistri castelli, guarniti di merli e feritole, circondati da falconieri, canottieri e giullari.
[30] Leone Ostiense; vedi il Muratori negli Annali.
[31] Chron, Cap. LXVI, apud Muratori, Rer. Ital. Scriptores, T. II, pars altera.
[32] Cronaca Cavense, riportata dal Pratilli, Tom. IV, pag. 395.
[33] Cronaca Cavense, Cap. XCIII.
[34] Canosa fu più di tutte le altre città danneggiata. Secondo la Cronaca Cavense, nel 862, essa fu incendiata e quasi completamente distrutta.
[35] Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, Tom. I, p. II, pag. 403.
[36] Cronaca Cavense, presso il Pratilli, Tom, IV.
[37] Rodulphi Glabri, Hist., Lib: III, § I.

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Chi erano questi Normanni? Erano dei pirati settentrionali, scesi dalla Danimarca, dalla Norvegia, dalla Svezia e dal Baltico.
Nell’anno 835 gran flotta di questi si presentò sulle coste d’Inghilterra, devastandola. Ripetendo i loro assalti sulla Francia, i Normanni finirono col prender stanza nella Neustria. Re Carlo, il semplice, ne riconobbe il possesso, e concesse loro quella città, che oggi appellasi Nor-mandia. Investì loro Duca un tal Rollone (911), a condizione che lui, e tutti i suoi seguaci, abbracciassero la Religione cristiana.
E difatti, non solamente la religione, ma ben anche i costumi, la lingua e le loro istituzioni essi abbracciarono.
Nel 1016 questi Normanni scesero in Italia, in abito da pellegrini, sul monte Gargano, dove, unitisi alle soldatesche Longobarde ed agl’insorti pugliesi, capitanati da Melo da Bari, assalirono i Greci Bizantini, ricacciandoli da tutte le città e castelli, sino a Trani, dove vennero a nuovo combattimento [38]. Ma, due anni dopo, nel 1018, presso Castromonte [39], i Normanni e gl’insorti pugliesi capitanati da Melo, ebbero una sconfitta da Basilio Bugiano, messosi a capo dei Greci Bizantini; e, nell’anno seguente, a Canne, i Normanni con Melo subirono tale altra sconfitta che, di tre mila uomini, venuti a rinforzare i primi, se ne salvarono appena cinquecento. In memoria di tale vittoria, il Bugiano, fe’ dare a quella parte della Puglia, che chiamavasi Daunia, il nome di Capitanata, a ricordare il suo titolo di Capitano Greco [40].
Domata intanto l’insurrezione, i Normanni si unirono all’Imperatore Enrico II, venuto nell’Italia meridionale, ottenendo, da questo, grandi possedimenti nell’anno 1022. L’Italia inferiore era allora divisa fra i Greci, fra i principati di Capua, di Salerno e di Benevento; fra le Repubbliche di Napoli, Gaeta e Benevento, e fra altre Signorie minori. I Normanni s’intromisero fra questi, nelle varie contese, e ne riportarono non pochi vantaggi; più di tutti Rainolfo Dreugot, lor capo, il quale ottenne la Contea di Aversa, nel 1030, per aver aiutato Sergio IV, nel ricuperare il Ducato di Napoli.
Fra i Normanni, scesi dalla penisola del Cosentino, a cercar fortuna in Italia, nel 1035, furonvi tre, dei dodici figli di Tancredi de Hauteville (Altavilla), cioè Guglielmo, detto braccio di ferro, Dragone, ed Umfredo [41], con un seguito di 500 dei loro, per mettersi prima al soldo del Principe di Capua, poscia a quello di Rainolfo, loro compatriota, indi del Principe di Salerno, Guaimano IV, e finalmente dei Greci e dei Saraceni, tentando, con questi, la conquista di Sicilia. Rottosi, però, coi Greci, si unirono al Principe di Benevento.
Nel 1041 i prodi figli di Tancredi, rinforzati da nuove schiere di Normanni, di Longobardi e di Pugliesi, stanchi della dominazione bizantina, vennero a battaglia con i Greci, sulla sponda destra dell’Ofanto, che era in piena, riportandone strepitosa vittoria. Per cui, nell’anno seguente (1042), quasi tutta l’Italia meridionale fu soggettata al dominio normanno, acclamando Guglielmo, detto braccio di ferro Conte di Puglia, scegliendo Melfi a capitale del nuovo stato.
Questi successi riportati, invogliarono altri Normanni a cercare possedimenti nel mezzodì d’Italia. Cosi giunsero altri fratelli de Hautaville, con altro stuolo di Normanni [42].
Impensierito di questo allargarsi della potenza normanna in Italia, Papa Leone IX chiese aiuto all’Imperatore Enrico III, il quale, unitamente ai militi pontificii, mosse per discacciare questi arditi avventurieri normanni. Ma andò male pel Papa, essendo stati sconfitti i suoi militi, sulle rive del Tortore (presso Civitella, in Capitanata), ed il Papa medesimo fu fatto prigioniero.
Però, vedendo il Papa, che i Normanni, anzicché trattarlo da prigioniero, lo trattavano da Sovrano, mostrandosi devotissimi alla sua persona, ed ossequientissimi alla religione cristiana, riconobbe loro quanto, con la forza e l’abilità, avean saputo conquistare, e concesse al loro capo, Umfredo, l’investitura di tutti i paesi dell’Italia meridionale e della Sicilia [43].
Così i Normanni posero termine, col loro dominio, alle secolari lotte, cui andò soggetta la nostra povera Italia, al dir dell’Alighieri, fatta di dolore ostello; e, più che l’Italia, la nostra povera Puglia, la di cui amenità e fertilità del suolo attirava le simpatie e l’ingordigia di quei feroci venturieri.
Ecco come andarono le cose sino coll’epoca dei Normanni.
Ed ora, ritornando al nostro assunto, dal quale ci siamo veramente un po’ troppo allontanati, possiamo conchiudere, che la causa principale della interruzione nella cronologia dei nostri Vescovi, e dell’assoluta deficienza di notizie del nostro Capitolo, sino all’epoca dei Normanni, deve attribuirsi alle vicende politiche, che funestarono la nostra penisola, e particolarmente la nostra regione, per ben sei secoli! Difatti, dopo tanti bellicosi avvenimenti; dopo tanta lotta civile e religiosa, che pose in soqquadro tutta la Puglia e l’Italia intiera; dopo tanta guerra alla Chiesa ed ai suoi ministri, come era possibile, poter preconizzare nuovi Vescovi, ordinare sacerdoti, provocare il culto a Dio ed ai Santi, quando i popoli tutti erano sotto l’incubo delle continue guerre e delle stragi, che ne seguivano? … quando tutte le città erano incendiate, le Chiese diroccate, i ministri massacrati ? … quando sbanditi i Ministri del Santuario, avviliti gli abitatori della nostra Penisola, che il mar circonda e l’alpe, tutte le terre d’Italia, al dir del poeta tosco, eran piene di tiranni [44]? Ed ancorché fossero stati preconizzati i Vescovi, ordinati i Sacerdoti, chi poteva pensare, in quei tristi tempi, a registrarne i nomi, le loro opere, i fatti concernenti le loro Chiese, quando tutti vivevano in un continuo parossismo di lotte e di politiche discordie? Ed, ammesso pure che, in mezzo a quelle luttuose vicende, qualche cosa si fosse pur registrata dei vescovi, dei fatti concernenti il Capitolo ed il Clero di Andria, come mai poteva pervenire a noi notizia alcuna, quando le città erano incendiate, le Chiese diroccate, e tutto andava distrutto e perduto?
E, non solamente di Andria, ma ben anche di molte altre città della Puglia, che pur hanno una storia ben accertata della loro antichità (come Ruvo, Minervino, Lavello, Canosa, Salpi, Siponto, Trani, Bari, ecc.) si deplora la mancanza di notizie dei Vescovi, che governarono quelle Sedi, in quel torno di tempo, e del Clero, che officiava quelle Chiese.
Che se, dunque, non si ha notizia della successione dei Vescovi, e dei fatti concernenti il nostro Capitolo, dalla istituzione della sede Vescovile (secolo V) sino all’epoca normanna, ciò deve attribuirsi alla tristezza dei tempi, e non deve, perciò, dar motivo ai critici, di mettere il dubbio sull’antichità di quella istituzione e sulla veracità dell’esistenza di un Capitolo, già dal medesimo primo Vescovo, S. Riccardo, istituito, come la leggenda ne apprende.
NOTE   
[38] Muratori, Tom. V., Rerum. Ital. Script.
[39] Presso Andria - oggi Castel del Monte.
[40] Leone Ostiense, Lib. II, 50.
[41] Leone Ostiense, Lib. II, 56.
[42] Ecco come descrive questi normanni Salvatore Grande (Prefazione al primo dei volumi della COLLANA, da lui diretta).
«Audaci sino alla temerità, scaltri da superare l’astuzia greca, ostinati nei propositi, questi settentrionali, dai lunghi mantelli, dal capo raso, dal portamento divoto, avevano del prete e del masnadiero; erano qualche cosa di strano e di terribile».
[43] Ecco un’altra prova come i Papi han cercato sempre il bene dell’Italia!
[44]
Ché le terre d’Italia tutte piene
Son di tiranni; ed un Marcel diventa
Ogni villan che parteggiando viene.
(Purgatorio: Canto 6.)

[tratto da “Il Capitolo Cattedrale di Andria e i suoi tempi” di M. Agresti, tipi Rosignoli, Andria, 1912, Vol.I, cap.III, pagg.68-86]