Capitolo XV

Contenuto

da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi" - Vol. I

di Michele Agresti (1852-1916)

Capo XV

(anni 1773-1799)

Sommario:
— Mons. Palica succede al Vescovo Ferrante: frate Germano Agnello causa della rovina morale e finanziaria di Mons. Palica:
—numerose liti, suscitate contro il Capitolo della Cattedrale sotto il Vescovado di Mons. Palica:
—l’Arcidiacono Michele Marchio ed i suoi avversarii:
— il Vescovo in rotta con il Capitolo Cattedrale:
— morte del Vescovo Palica, e nuove liti, suscitate dalla Confraternita degli Agonizzanti: accuse al Re contro l’Arcidiacono Marchio, e suo trionfo:
— [componenti del Capitolo in questo tempo (1773 - 1799)]
— Re Ferdinando IV e gli avvenimenti di Francia del 1789: il Duca di Andria Riccardo Carafa, e le sue angherie contro gli Andriesi:
— tutto l’argento delle Chiese viene prestato al Re Ferdinando, per sopperire alle spese della guerra contro la Francia:
— Re Ferdinando abbandona la Capitale e si rifugge in Sicilia:
— Andria assediata dai Repubblicani Francesi:
— il Capitolo Cattedrale spogliato dei suoi tesori, nel saccheggio dei Francesi:
— il Cardinale Ruffo e il ritorno nel Reame di Re Ferdinando: condanna di Ettore Carafa.


A Mons. Ferrante successe, nel 1773, il Vescovo D. Saverio Palica, dei Frati Celestini, Patrizio di Barletta [1], nato a dì 12 Febbraio del 1714; preconizzato Vescovo da Papa Clemente XIV (1769 - 1774) a dì 8 Marzo 1773.
Mons. Palica, ricco di famiglia e, non avendo eredi, avea concepito il grandioso disegno di rifare tutto il Duomo, mettendolo a marmo; e lo avrebbe eseguito, se non avesse avuto al suo fianco un uomo assai nefasto, qual fu il Frate Germano Agnello, del medesimo ordine Celestino.
Di questo cattivo arnese di frate esistono nel nostro Archivio notizie assai lubriche, che, per convenienza, passiamo sotto silenzio.
Egli fu peraltro la rovina morale e finanziaria del buon Vescovo Palica, il quale, accidentato com’era, diveniva un giuocattolo nelle mani del perfido frate, e del Cantore della Cattedrale, D. Riccardo Tommaso Mita.
Questo perfido frate fu pure autore di un barbaro omicidio, a danno di un giovane Seminarista, per cui fu aperto uno strepitoso processo, dal quale risultò complice il detto Cantore Mita, per aver occultato la chiave della porta interna del Seminario [2], a far così sviare le tracce del delinquente! Lunghi e strepitosi giudizi furono fatti a carico di questo indegno frate, per cui il povero Vescovo Palica, volendolo salvare, spese un fiume di moneta, fino al punto da ridursi alla miseria! … Fu allora che smise il pensiero di rifare il Duomo, del quale già aveva fatto iniziare i lavori di basamento in marmo, di cui, tuttora, si vedono le tracce, a pie’ del grande arco che apre il Coro, dove si vede inciso lo stemma del Vescovo Palica. Nei primi anni del suo vescovado il Palica fornì la Cattedrale di alcuni arredi sacri, e rifece alcune stanze del Palazzo Vescovile.
Mons. Palica era pure Prelato Domestico di Sua Santità, ed assistente al Soglio Pontificio. Fu molto amico di Casa Carafa, per cui la famiglia Ducale, alla sua morte, avvenuta nel 1790, fe’ costruire, a proprie spese, un tumulo di marmo, che fu situato nella Cappella di S. Francesco di Paola, dove riposano le ossa di questo Vescovo.
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)
[1] Saverio Palica ebbe un nipote, che fu Vescovo di Bisceglie. Con la morte di questo suo nipote, si estinse quella nobile famiglia Barlettana.
[2] Allora il Seminario era attaccato al Palazzo vescovile.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Sotto il governo di Mons. Palica molte altre liti si suscitarono contro il Capitolo della Cattedrale da parte delle due Collegiate, di tutte le Communità Religiose, dell’Amministrazione del Pio Monte dei projetti, della Congregazione del Gesù e di tutte le Confraternite laicali, massimamente degli Agonizzanti. Una confederazione di avversarii, fra i quali anche alcuni privati prepotenti cittadini, si formò, allo scopo di spogliare il Capitolo di tutti i suoi diritti, preeminenze, privilegi ed altro … Profittando della cronica infermità del Vescovo, e della inettitudine di un Vicario idiota, di cui si serviva Mons. Palica, questi avversarii coalizzati insorsero a bersagliare il povero Capitolo della Cattedrale! Lasciando da parte le solite liti della Collegiata di S. Nicola, nel 1780 la Collegiata dell’Annunziata, protetta dal Duca Carafa e dalla Università, volle ritentare la prova di sottrarsi all’obbligo di intervenire alla Cattedrale nelle tre festività, innanzi indicate, e nella confezione degli Olii sacri il Giovedì Santo, sotto pretesto, di essere quella Chiesa di giuspatronato della Università [3], dalla quale, si asseriva, dipendere. Laonde quei Preti presentarono una nuova istanza al Re di Napoli, allora Ferdinando IV di Borbone, per sottrarsi alla soggezione della Cattedrale. Il Re rimise l’istanza al Vescovo Palica, per le informazioni, e Questi fedelmente esponeva lo stato delle cose, facendo osservare al Re, che il diritto di Patronato, che la Università vantava nella nomina al Priorato della Chiesa dell’Annunziata, non sottraeva questa dall’obbligo di soggezione, dovuta alla Cattedrale, qual Chiesa Matrice ed unica Parrocchiale della città. Nel contempo, il Vescovo faceva istanza al Re, perché punisse i Preti della Collegiata, per aver trasgrediti gli ordini e relativi Rescritti di Roma, esecutoriati dal medesimo Re [4].
Il Re Ferdinando, con dispaccio del 27 Maggio 178o, rimise la relazione del Vescovo Palica alla sua Real Camera, e questa, nel Febbraio dell’anno successivo, dava il suo parere, comunicato al Vescovo Palica, a dì 8 Maggio successivo, con queste testuali parole
«Mi comanda il Re scrivere a V. S. Ill.ma che farà sentire nel Real nome al Priore ed ai Preti di codesta Chiesa dell’ Annunziata, che nella mattina del Giovedì Santo devono secondo il solito, esso Priore con due terze parti del Clero, intervenire solennemente all’assistenza nella Cattedrale, e che quante volte il detto Clero rifiuti d’intervenire, V. S Ill.ma lo rapporti per le opportune sovrane provvidenze» [5].
Ad onta di tale ingiunzione la Collegiata dell’Annunziata, nel Giovedì Santo dell’anno successivo [1781], invece del Priore e delle due terze parti del Clero, mandò alla Cattedrale solamente quattro Preti e ciò per insinuazione di quel medesimo Vescovo Palica, che, nel 178o, proponeva al Re una punizione ai Preti dell’Annunziata, per la man-cata esecuzione dei Rescritti Pontificii.
Intanto, per parecchi anni, continuò la vertenza, quando finalmente il Re, udito il parere della Real Camera, a dì 21 Giugno 1788, riconfermò agli Annunziatisti l’obbligo di assistere nella Cattedrale alla funzione del Giovedì Santo, esentando solamente il più Anziano di essi, per attendere, con 12 altri Sacerdoti della medesima Collegiata, alle sacre funzioni nella propria Chiesa. Nel 1790 la Università di Andria fece nuova istanza al Re, per far rivocare quel decreto; ma il Re lo confermò, invece, con un nuovo Dispaccio, dato da Napoli il dì 27 Febbraio 1790 [6].
*
*      *
Contemporaneamente a questa lite colla Collegiata dell’Annunziata, svolgevasi a Napoli altra lite coll’Economato dei Beneficii vacanti. Essendo morti, nel 1783, l’Arciprete Antolini e parecchi altri Canonici, l’Economato sequestrò le porzioni di massa comune, ai sopradetti defunti spettate, considerandole come vere prebende. Il Capitolo sostenne, che le partecipazioni della Cattedrale di Andria (secondo gli antichi Statuti, e la Bolla di Benedetto XIV), non erano vere prebende, ma semplici distribuzioni di massa corale, perciò, non soggette a sequestro.
Tenuto conto di tali ragioni, il Re, a mezzo della Real Camera di S. Chiara, in data 29 Marzo 1786, ne ordinava il dissequestro, facendo ragione al Capitolo.
A dì 4 Luglio del medesimo anno, un altro dispaccio reale perveniva al Vescovo Palica, ingiungendogli che
nelle vacanze delle Dignità della Cattedrale provvegga senza Bolla e senza interesse del provisto, in conformità della risoluzione sovrana del 31 Dicembre 1785 [7]. E che in caso di vacanza dei pretesi 54 canonicati, spedisca, unitamente al Capitolo, il Decreto gratis e senza interesse alcuno a favore di quel prete cittadino ascritto alla Chiesa in conformità degli Statuti … senza Bolla di Roma e senza che ne abbia menoma parte la Dataria.
— Palazzo, I Luglio 1786.
Firmati Carlo De Marco —
Sig. Duca di Toritto [8].
NOTE   
[3] Questo diritto di patronato laicale, che la Univerità vantava sulla Chiesa dell’Annunziata, nella nomina del Priore, rivenivagli in parte per dritto ereditario del fu Marino De Madia, (uno degli eredi del Notar Lorenzo Mione, fondatore di quel Priorato o Rettoria) ed in parte pel jus accrescendi, essendosi estinti gli altri eredi e discendenti di detta famiglia Mione.
[4] Archivio Capitolare
[5] Archivio Capitolare
[6] Archivio Capitolare, Libro delle cause 1763.
[7] Questo decreto fu il regolatore di tutte le Chiese Ricettizie del Regno, siano Cattedrali che Collegiate.
[8] Archivio Capitolare. Così allora, la regia podestà, imbevuta ai principii del febronismo, conculcava i diritti della potestà ecclesiastica, e travisava la sapientissima Bolla di Benedetto XIV!

— ↑↑↑ —

*
*      *
In questo medesimo tempo un’altra causa si agitava a Roma fra il Capitolo Cattedrale e la Curia Vescovile, circa la rimozione di un Vicario idiota, di cui si serviva il Vescovo Palica! Il Capitolo domandava, secondo i Sacri Canoni, un Vicario addottorato nelle leggi canoniche, tanto più che il Vescovo Palica, malato di paralisi cronica, non era compos sui.
Di qui insorsero tutti gli avversarii del Capitolo. [alleati in uno], per sostenere quel Vicario idiota (del quale non ci è riuscito, da quelle carte, rilevarne il nome), affacciando mille pretese, per umiliare il Capitolo della Cattedrale!
Prima ad insorgere fu la Confraternita del Gesù, istallata nella Chiesa di Porta Santa.
Pretendeva, quella Confraternita, che il Parroco della Cattedrale, nell’associare i cadaveri dei defunti, appartenenti a detta Confraternita, dovesse recarsi senza della propria croce, ma sotto quella della detta Confraternita; e che, accompagnato i cadaveri dei defunti sino alla porta della Chiesa, dovesse poi ritirarsi, senza metter piede in Chiesa! A questa strana pretesa vennero pure ad associarsi tutte le altre Confraternite e le Comunità Religiose della città, specialmente quella dei Carmelitani, per riattaccare le vecchie controversie!
Anche l’Amministrazione del Monte dei Proietti venne fuori, col pretendere di volere dare sepoltura agli impuberi proietti, indipendentemente dal Parroco della Cattedrale.
Il Sig. Gianandrea Pandolfelli si aggiunse, nel medesimo tempo, ad osteggiare, con altre liti, il povero Capitolo, del quale teneva in fitto un latifondo, detto S. Simio, sul quale il Pandolfelli pretendeva il diritto di allodialilà, con prelazione, per lo meno, sul fitto. …
Né ciò bastando, anche la Università di Andria mosse lite al Capitolo, per l’abolizione della immunità dai pesi fiscali, della quale il Capitolo allora godeva.
La Confraternita, poi, degli Agonizzanti, della quale era gran parte il Duca Riccardo Carafa, venne a dare il controcolpo al Capitolo, con una guerra atroce, da superare tutte le altre contemporanee e precedenti liti!
Di fronte a tanti potenti avversari, stretti tutti in una sol lega, il povero Capitolo della Cattedrale si vide perduto; tanto più che nacquero, poi, delle scissure, perché parecchi Canonici, protestandosi di non voler concorrere alle spese di tante liti, finirono, poi, col mettersi dalla parte degli stessi avversarii!... [9].
Ma era a capo del Capitolo l’Arcidiacono D. Michele Marchio! … Nome, che dovrebbe esser scolpito a caratteri d’oro sul frontone della nostra Chiesa! … Nome, che dovrebbe essere ricordato con orgoglio ai posteri, per apprendere quanto egli oprò, per sostenere, impavvido, di fronte a tanti nemici, i dritti capitolari, sino a subire un giudizio criminale, ed essere chiamato dal Re a Napoli ad audiendum verbum Regium! …
Intanto il Capitolo, forte della sua maggioranza, pose fiducia nel suo Arcidiacono Michele Marchio, il quale affrontò tutti i nemici del Capitolo, facendo come quel generale Spartano, il quale non domandava quanti erano i nemici, ma dove si trovavano! …
Intanto, dopo parecchi anni di lotta presso i tribunali di Napoli, finalmente, per sovrana disposizione, l’esame generale delle cause venne rimesso alla Consulta del Delegato della Reale Giurisdizione, dietro il cui parere, il Re, ordinò quanto segue:
«Ha risoluto il Re che codesta Udienza faccia sentire alla Congregazione del Gesù di Andria, che nell’esequie da farsi dalla medesima, così per Confratelli, come per altri sia essa obbligata, vestita di sacco, e processionalmente portarsi a rilevare il parroco della Cattedrale, il quale uscir debba colla Croce della Parrochia, ed indi unitamente condursi nella casa del defunto ed in seguito nella Chiesa di Porta Santa, dentro di cui debba dare al cadavere l’ultima benedizione, e lasciando il dippiù alla Cura dei Confratelli; che faccia inoltre sentire ai Carmelitani che, secondo il solito, vadano tutti processionalmente a rilevare il Parroco dalla Cattedrale; e che similmente, nello stesso modo si portino a rilevare il Capitolo, quando questo fosse anche invitato; e che le altre Communità Regolari, dove siano tumulandi, debbano a tenore delle sovrane disposizioni, se non tutti i Religiosi, almeno quattro, portarsi a rilevare il Parroco, o il Capitolo, all’ora dal Parroco o dal Capitolo prescritta, e per indi uscire il Parroco sotto della propria Croce … con esiger la candela di once tre di cera per ogni defunto, il quale non si seppellisca per carità. E ciò attesa la rinunzia fatta dal Parroco alla esazione dello stabilito diritto di grana 25, … Che finalmente si faccia sentire agli Amministratori del Monte dei Proietti, che costoro abbiano la sepoltura privatamente nella Cattedrale, che è l’unica Parrocchia, senza che il Parroco pretender possa verun emolumento, da esiggersi dagli Amministratori del Pio Monte. Di Real ordine invigili per l’esatta esecuzione delle sovrane risoluzioni in tutte le sue parti, altrimenti S. M. prenderà gli espedienti proprii, acciocché i contravventori siano puniti
— Napoli, 7 Giugno 1788 —
Carlo De Marco».
All’udienza di Trani (foglio 69 volume dei documenti).
*
*      *
Quanto alla vertenza col Pandolfelli, è da sapere che il Capitolo, tenuto conto che i fitti, allora, non oltrepassavano il sessennio od il novennio, e che il territorio, tenuto in fitto dal Pandolfelli, di natura erboso, non era capace di miglioria, attenendosi alle leggi del Regno, non volle accorciare al Pandolfelli il diritto di allodialità, tanto più che nessun fitto cominciava da un intiero decennio, né poteva perciò spettargli prelazione, giacché, dal Colono, non erasi fatta sul quel fondo miglioria alcuna, cambiante la natura del suolo. Ad onta di queste ragioni il Pandolfelli pretendeva, ad ogni costo, il diritto di allodialilà; ed, in mancanza di questo, la prelazione dal fitto. E, per non vedersi espulso dal possesso di quel fondo, pensò di fare una nuova offerta al Capitolo. Ma questo, senza dar retta al Pandolfelli, fittò ad altri quel territorio. Il Pandolfelli, per non vedersi espulso dal possesso di quel territorio, armò tutti i suoi custodi e dipendenti, con ordine di tener fronte a chiunque si presentasse a prenderne la consegna. Saputo ciò il Capitolo, a scongiurare il pericolo di qualche delitto, o di compromissione da parte del nuovo Conduttore, stimò prudente inviare sul luogo alcuni suoi Deputati, con a capo l’Arcidiacono D. Michele Marchio, per dissuadere quei sconsigliati dalla resistenza.
Ma, non appena i custodi di quel fondo si trovarono in presenza della Deputazione Capitolare, cominciarono ad insultarla con parole oscene, ed a minacciarla con le armi, se non si fosse ritirata …
I Reverendi Canonici, per non eccitare maggiormente gli animi di quei villanzoni, prudentemente pensarono di far ritorno in città; dove giunti, fecero redigere una criminale querela, spedita alla giurisdizionale Camera della Vicaria di Napoli, contro i custodi ed il medesimo Pandolfelli, loro mandante. Il Pandolfelli, a scansare il colpo, presentò ancor lui querela, a nome proprio e dei suoi custodi, contro i Deputati del Capitolo, asserendo d’essersi recati questi armata manu, ad insultare e discacciare i possessori di quel fondo. Di qui nuove strepitose cause civili e criminali fra il Capitolo ed il Pandolfelli; e sarebbe assai lunga la narrazione, se tutti qui volessimo riportare gli episodii di quella lotta … Diremo solo che, dopo le rispettive informazioni, accolte dalla Regia Corte di Trani e di Barletta, e dopo l’esame degli atti, fatto dal Fiscale della Giurisdizional Camera della Vicaria, Flavio Pirelli, si venne nella deliberazione di separare le due cause, la civile (riguardante il diritto di locazione nel Capitolo) e la criminale (riguardante l’alterco avvenuto fra i Deputati del Capitolo ed i dipendenti del Pandolfelli), laddove il Pandolfelli voleva, invece, involvere, ad arte, le due cause.
Dopo un lungo dibattimento, finalmente fu dalla Vicaria deciso il proponi et audiri della causa civile, riserbandosi altra sentenza per la causa criminale. Proposta finalmente la causa civile venne la sentenza favorevole al Capitolo, con questa formula: Capitulum Ecclesiæ Cathedralis Civitatis Andriæ utatur jure suo in locatione terrilorii.
Per riguardo poi alla causa criminale, dopo tanti lunghi raggiri del Pandolfelli (il quale, vedendosi in cattive acque, cercava di stancare il Capitolo), per non aggravarsi di maggiori spese, il Capitolo fece la remissione ai custodi del Pandolfelli, i quali restarono perciò impuniti …
Così ebbero fine le liti col Pandolfelli.
*
*      *
Non eran ancora cessate le lotte col Pandolfelli, che la Università e gran numero di cittadini mossero nuove liti al Capitolo, per volere, da questo, la rinunzia al diritto d’immunità, che ab immemorabili esso godeva da ogni peso fiscale.
Nel 1778, l’Università per venire in soccorso della cittadinanza (in quel tempo ammiserita dai tanti balzelli, domandò al Re l’abolizione delle gabelle minute. E, per rinfrancare, in parte, il prodotto, che veniva a mancare con l’abolizione delle dette gabelle [10], propose di porre in contribuzione a beneficio della città le franchigie, che go-devano gli ecclesiastici [11], in virtù del Concordato Regio e Pontificio, innanzi da noi riportato. Queste franchigie ascendevano ad annui ducati 353. Benché tutti gli altri ecclesiastici Secolari e Regolari della città si fossero uniformati a tale disposizione, il Capitolo della Cattedrale energicamente si oppose alla richiesta della Università, e produsse una nuova lite presso la Regia Camera, perché tale abolizione non avesse il suo effetto, non potendo rinunziare gli ecclesiastici ad un diritto, che rifletteva anche i terzi, e che poteva passare a norma generale, con grave scapito degl’interessi della Chiesa; protestando pure energicamente a non voler soddisfare le partite arretrate, che la Università anche pretendeva. Quindi vi si opponeva all’abolizione delle gabelle minute, la quale, per conseguenza, avrebbe portata l’abolizione delle franchigie, che godevano gli ecclesiastici. Al Capitolo si unirono pure varii altri creditori iscritti del Comune, e specialmente l’amministrazione della Casa Santa degl’incurabili di Napoli, creditrice iscritta del Comune di Andria.
Esaminata la causa dal Regio Razionale, Giuseppe Spiriti, dopo un lungo carteggio da parte dei contendenti, finalmente, dietro il parere del Supremo Tribunale della Regia Camera della Sumaria, con Real dispaccio del 4 luglio 1796, veniva ordinata l’abolizione delle gabelle minute, commettendone l’esecuzione all’ avv. Fiscale della Regia Udienza di Trani, il signor Filippo D’ Urso, con ordine di far incidere su pietra, da situare pro rostris nelle pubbliche piazze della città tale Real editto, colla lista delle gabelle che venivano abolite [12].
Fu, difatti, quel Real Decreto fatto incidere su lastre di marmo, ed affisso nelle principali piazze della città. Così il Capitolo, e tutti gli ecclesiastici di Andria, restarono privati del privilegio, che, da secoli, avevano goduto circa l’immunità dai pesi fiscali.
NOTE   
[9] Di simili esempi ne è piena la storia del Capitolo Cattedrale! I Canonici scissi furono il Cantore Mita, ed i Canonici Giuseppe Acquaviva, Nicola Abbasciano e Riccardo Accetta.
[10] Il Comune di Andria, in quel tempo. trovavasi dedotto di patrimonio, e si reggeva dalle sole gabelle. Avendo contratto parecchi debiti, per poter soddisfare ai suoi creditori istrumentarii ed a tutti i pesi ordinari e straordinari della città, fu costretto aumentare le gabelle, che in ogni anno fittava sub asta Regiæ Cameræ, e, dalla relativa rendita, soddisfaceva ai pesi fiscali e istrumentarii, non che a tutti i pesi della città.
[11] Fra queste franchigie vi era la esenzione sulla gabella della farina; Il Vescovo per tomoli 9 al mese; ciascun Canonico e Partecipante per un tomolo e mezzo al mese; il Seminario per tomoli 40 all’anno; i Chierici aggregati ai tre Capitoli, a tenore del medesimo Concordato Regio e Pontificio, non godevano di questa franchigia. È perciò che i loro nomi non si vedono segnati nel così detto Libro dei Franchi, che si conservava nell’Archivio Municipale (dal libro del gabelliere Santelli del 1752). Archivio Capitolare.
[12] Le gabelle minute erano le seguenti: dazio sulla carne, sull’olio al minuto. sui cavalli, muli ed asini da lavoro, dazio delli strazzoni, (cioè venditori al minuto di cacio, ricotta salata e fresca, lardo, salami, funi, sapone, ecc.), dazio della bagliva (cioè imposta sui forestieri, che entravano in città a vendere o comprare merci), dazio sul vino-mosto, sulla creta, sulle frutta, sulli scarpari (calzolai), fabbri carrettieri, ecc., dazio sui bovi, dazio delta catapania, ecc.

— ↑↑↑ —

*
*      *
A conclusione delle tante liti, che si agitarono in questo tempo contro il Capitolo, lasciando da parte quelle di minore importanza, ci fermeremo a narrare, in succinto, le terribili lotte, suscitate dalla Confraternita degli Agonizzanti, della quale fu anima e vita il Duca Riccardo Carafa!
Dell’origine di questa Confraternita abbiamo già fatto parola innanzi, quando si è parlato delle opere dal Vescovo Luca Antonio Resta, sotto il di cui Vescovado questa Confraternita venne istituita, fra soli Ecclesiastici, allo scopo di esercitarsi nella pratica dell’assistenza ai moribondi.
Nel 1649 due zelanti Sacerdoti della Cattedrale (D. Rodrigo Accetta e D. Francesco Brunetti) sotto gli auspicii del Vescovo Cassiano, dettero maggiore impulso a quella Congregazione, formandone anche gli Statuti.
Intanto, sino al 1715, la Congregazione degli Agonizzanti fu composta esclusivamente di Ecclesiastici della Cattedrale. Fu in quest’anno che i Confratelli Ecclesiastici, non trovando conveniente che Sacerdoti vestissero di sacco, ed associassero i cadaveri dei laici, ascritti alla medesima Congregazione, come fratelli di suffragio, pensarono di sce-gliere, fra i laici ascritti, dodici campagniuoli, che avessero prestato tal servizio, non conveniente ai Sacerdoti.
Questi Confratelli laici erano obbligati a pagare cinque grana, (pari a centesimi 21) al mese, per le spese che sarebbero occorse alla lor morte. Questa somma veniva depositata in separata Cassa, ed amministrata dai medesimi confratelli laici.
Di qui nacque una divisione fra i Confratelli Ecclesiastici e quelli laici, i quali pensarono d’investire il loro denaro (depositato in acquisti di beni stabili) indipendentemente dai Confratelli Ecclesiastici, i quali continuarono a mantenersi in separata Congregazione.
Nel 1755 la Congregazione laica scelse a suo Direttore Spirituale il Canonico D. Riccardo Tommaso Mita [che poi fu Cantore della Cattedrale], cui affidarono il deposito della Cassa, contenente denaro ed ogni altro oggetto, appartenente alla Congregazione laica. In quel medesimo anno la Congregazione laica cominciò ad eleggere, dal suo gremio, i proprii Ufficiali, (cioè il Priore ed i due assistenti) non che l’Esattore delle sue rendite, indipendentemente dai confratelli ecclesiastici.
Nel 1776, abilitate le Società laicali dalle leggi civili dello Stato [Re di Napoli Ferdinando IV di Borbone] a potersi erigere in Confraternite, la Congregazione laica degli Agonizzanti si costituì in Confraternita, formando i proprii Statuti, che sottopose al Regio Beneplacito, senza però notificare alla Real Camera, che già esisteva nella Chiesa Cattedrale di Andria una Congregazione Ecclesiastica, sotto il titolo degli Agonizzanti.
Ottenuto il Regio Beneplacito, a dì 31 ottobre 1776, tutti i confratelli laici, accompagnati dalla Corte Ducale, in punta d’armi, si presentarono nell’Oratorio della Cattedrale, per procedere alla nomina dei nuovi Ufficiali. Eletti i nuovi Amministratori, il dì seguente, I. Novembre, solennità di tutti i Santi, mentre il Capitolo celebrava i divini ufficii, i Confratelli laici degli Agonizzanti, con a capo i nuovi ufficiali, novellamente accompagnati dalla Corte Ducale, in armi, si presentarono a prendere solenne possesso dell’Oratorio, mettendo fuori, a viva forza, i Confratelli Canonici e Sacerdoti appartenenti al Capitolo, pretendendo di rappresentare essi solamente la Confraternita degli Agonizzanti, in virtù del Regale Beneplacito ottenuto! …
Sorpreso il Capitolo di questa strana pretenzione, tosto fe’ ricorso al Real Trono, dimostrando come quell’Oratorio (del quale pretendeva impadronirsene quella laica Confraternita) era di sua pertinenza, essendo stato costruito a sue spese e della Mensa Vescovile (che avea donato il giardino per suolo di quella costruzione); e che, prima della Congregazione laica, esisteva già, in quell’ Oratorio, una Congregazione Ecclesia-stica. Ma il Re, visto che la Congregazione Ecclesiastica non avea il suo Regio Assenso, a dì 28 Dicembre di quel medesimo anno 1776, inviava suo Dispaccio alla Regia Udienza di Trani, nel quale ordinava che
qualora la Congregazione Ecclesiastica non si trovasse avere il R. Assenso, reputandosi un Corpo illegittimo, incapace di possedere ed amministrare, avesse disposto interinamente ciò che conveniva intorno all’amministrazione delle rendite ad uso di esso, sino alla sovrana risoluzione.
La Regia Udienza di Trani, animata da eccessivo zelo, spinta maggiormente dal Duca Carafa, che non poteva smentire l’ereditaria ostilità al Capitolo, mandò un editto, nel quale si ordinava al Capitolo, che,
sotto pena di pagare dieci mila ducati (!?!) a beneficio del R. Fisco, e della Reale indignazione (sic !!) non avesse più ardito di congregarsi, ne fare, così dentro la Cattedrale e suo Oratorio, come fuori di esso, menoma funzione, che era solito di fare per lo passato … (Incredibilia !!!) né intromettersi nell’amministrazione et esazione delle rendite qualsivogliano di essa Congregazione … ed insinuarsi al Vescovo di obbligare il Canonico Giuseppe Raimondi di accettare la carica di Rettore, alla quale dai Confratelli laici era stato eletto ed aveva rinunciato (capite !? anche il diritto di obbligare un Canonico della Cattedrale ad accettare, per forza, il Rettorato di quella Congrega! …), col peso al medesimo di dover adempiere a quanto trovavasi nelle suddette regole prescritte (corbezzoli !) e ciò senza recarsi menomo pregiudizio alle ragioni del Capitolo per rispetto alla proprietà dell’Oratorio (mancomale che ci faceva questa grazia! …) … A quall’effetto esso Monsignore avesse ordinato allo stesso Rev. Capitolo che, sotto la medesima pena di ducati dieci mila (e siamo a ventimila ?!), e della Reale indignazione (?!) non avesse dato ai confratelli laici il menomo impedimento nella Cattedrale e nell’Oratorio suddetto ... [13].
Povero Capitolo non più padrone della sua Chiesa e del suo Oratorio ! … (Oh tempora ! ... oh mores !!!).
Contro questo draconiano editto, modello di bello scrivere e prova del dispotismo dell’autorità laica, che sovrana dominava, in quel tempo, nelle Chiese, il Capitolo energicamente si appellò al Real Trono. Ma tutto fu inutile, giacché il Duca vi pose il suo zampillo, e non aveva altra mira che di umiliare il Capitolo, divenuto già oggetto di beffe e d’insulti di quei villanzoni, i quali menavan vanto nella città di aver schiacciata, finalmente, la testa al Capitolo Cattedrale! … Ognuno può immaginare quanto ne godessero allora gli altri avversarci del Capitolo, in ispecial modo, le due Collegiate, gli Ordini Religiosi, le altre Confraternite, l’ Università e quanti avevano invidia delle preeminenze capitolari!
Intanto, ringalluzziti da questi ordinamenti, i confratelli degli Agonizzanti (in gran parte contadini), si resero padroni del campo; ed a maggiormente indispettire il Capitolo, ad arte intralciavano le loro funzioni con quelle capitolari; usavano perfino dei dritti parrocchiali, custodendo la Sacra Pisside nell’Oratorio; adescavano con regali e con promesse alcuni Preti della Cattedrale, per tirarli alla lor parte, seminando zizzania, alzando altare contro altare! … E siccome non mancano mai dei Giuda, parecchi capitolari si fecero dalla loro parte! Fatti forti di tale appoggio, e più della protezione del Duca, il quale erasi pure aggregato qual fratellone a quella Confraternita, gli Agonizzantisti fecero un esposto al Re, accusando il Capitolo d’essersi ribellato agli or-dini sovrani, perché impediva loro l’esercizio delle sacre funzioni nell’Oratorio. E, siccome l’Arcidiacono D. Michele Marchio era il più ardente difensore dei diritti Capitolari, perciò contro di lui fu fatta speciale recrimina, accusandolo nemico delle immunità reali, uomo turbolente e sovversivo! ecc. tanto che il Re, udito il parere della Real Camera, con dispaccio del 28 marzo 1778, chiamava a Napoli l’Arcidiacono D. Michele Marchio, ad audiendum verbum regium [14].
Giunto a Napoli il povero Arcidiacono Marchio, dopo essersi prostrato a piè del Real Trono, si presentò alla Real Camera, per esporre le ragioni in sua difesa e del Capitolo. Ma sventuratamente ne uscì coll’esser sottoposto al mendato, e condannato a restar esiliato in Napoli! [15]. Intanto il Capitolo, benché rimasto senza del suo capo, non si arrese, e produsse formale causa presso la Real Camera di S. Chiara contro la Confraternita degli Agonizzanti, deducendo voluminosi memoriali a sua difesa, dimostrandovi il diritto che aveva di proprietà dell’Oratorio, l’usurpazione di quella laica Confraternita.
La Real Camera rimise l’affare alla Curia del Cappellano Maggiore, la quale, udito il suo Consultore, Domenico Potenza, tenendo conto anche delle informazioni del Vescovo Mons. Palica e delle deduzioni dei contendenti, dette il suo parere, che, cioè, la Congregazione degli Agonizzanti era di natura mista. E che, perciò restando, al Capitolo della Cattedrale il diritto di proprietà sull’Oratorio, ed il libero esercizio nelle funzioni capitolari e parrocchiali, tutto il resto si apparteneva alla Confraternita laica, sia per rapporto alle temporalità, sia per rapporto alla Amministrazione delle rendite. Laonde proponeva che, alle Regole, già approvate dalla Real Camera, si aggiungessero altri 5 Capi, cioè:
  • «1.) che il Rettore di detta Confraternita dovesse essere esclusivamente un Canonico della Cattedrale, e che, in tutte le funzioni religiose della Confraternita, non dovessero intervenire che i soli Preti della Cattedrale;
  • 2). che le messe dei legati pii dovessero esser celebrate dai soli Sacerdoti della Cattedrale;
  • 3). Che tutto ciò, che si riferisce a diritti parrocchiali (come amministrazione di Sacramenti, predicazione, catechismo ed altro), non dovesse, in quell’Oratorio, esercitarsi che dai soli Preti della Cattedrale;
  • 4). che le funzioni dei laici dovessero aver luogo in tempo quando tacessero le funzioni capitolari;
  • 5). finalmente, che il Vescovo ed il Capitolo avessero piena libertà di esercitare nell’Oratorio tutte le funzioni, celebrare Messe, amministrare Sacramenti, o avere riunioni capitolari ed ogni altro diritto [16]
Tale parere della Curia del Cappellano Maggiore fu accolto dalla Real Camera, la quale, con Real Dispaccio del 19 Febbraio 1781, ordinò che fosse tradotto in legge.
In verità, tale ordinanza non soddisfece né al Capitolo, né alla Confraternita degli Agonizzanti, pretendendo l’uno e l’altra l’assoluto dominio sull’Oratorio. Ma, cosa fatta, capo ha!
Intanto pareva che ogni controversia fosse attutita, quando gli Agonizzantisti, per insinuazione sempre dal Duca Riccardo Carafa, vennero fuori con nuove e più audaci pretese. Pretendevano, nientedimeno, di poter fare le loro funzioni anche nel Duomo ! … a dispetto del Capitolo! Difatti, nell’Agosto del 1881, ricorrendo la 3. Domenica del mese, in cui il Capitolo è solito fare la esposizione del Venerabile, coll’intervento della Confraternita del Santissimo, i Confratelli degli Agonizzanti, profittando della ricorrenza del genetliaco del Principe Ereditario, e della festività di S. Maria degli Agonizzanti, che cadevano in quel medesimo giorno, (19 Agosto 1781) vennero fuori colla pretesa di voler solennizzare, in quell’anno, le due festività, non nell’Oratorio, ma in piena Chiesa Cattedrale!
Tale pretesa pose in tumulto il povero Capitolo, tanto più che il Vescovo Palica ne aveva dato già il suo consenso, ed aveva mandato ordine di anticipare l’Ufficiatura Corale, per dar luogo e tempo alla messa solenne pel genetliaco del Re, ed all’altra per la solennità della Madonna degli Agonizzanti, dispensando, per quel giorno, il Capitolo dal cantare la messa conventuale!
Dolente il Capitolo di questo nuovo strappo ai suoi diritti, pur non tenendo conto dell’ordine del Vescovo, [che per i suoi acciacchi di salute non era più compor sui, ed era divenuto invece un nocivo strumento nelle mani del Duca e dei suoi adepti], si rivolse al suo Vicario, sperando di far ritirare, da costui, il permesso accordato dal Vescovo a quella Confraternita, di poter, cioè, celebrare nella Cattedrale le due sopradette festività; tanto più che, per quelle festività, doveva sopprimersi la Messa Conventuale, contro la Rubrica. Il Vicario, però, a mantenere alto il prestigio del Vescovo, e non volendosi mettere di fronte al Duca ed agli Agonizzantisti, volle che si fosse eseguita la data di-sposizione, consentendo, solamente, che, oltre alle due Messe stabilite, si fosse cantata pure la Conventuale! …
Saputosi ciò dal Vescovo, questi, indispettito nel veder contriariato il suo ordine, e mal sopportando la opposizione del Capitolo, non solamente si rifiutò d’assistere alla Messa pel genetliaco del Principe Ereditario, ma commentò pure un ricorso, che la Confraternita degli Agonizzanti, dietro insinuazione del Duca, avanzò al Real Trono. Il Re, senza attendere alle vere informazioni del Capitolo, e stando al ricorso della Confraternita, commentato dal Vescovo, ordinò la punizione di otto giorni di Esercizii Spirituali, in una Casa Religiosa, a tutti quei Canonici, che si erano dimostrati restii agli ordini del Vescovo!... [17].
Intanto il Capitolo, vedendo che nulla ricavava dalla sua opposizione, e che, male soluta navis exiit aliter, per non incorrere in maggiori pene, fatte le solite proteste, abbandonò il campo a discrezione della Congregazione degli Agonizzanti, lasciandole fare tutto ciò che voleva, nella propria Chiesa Cattedrale! … aspettando fiducioso tempi migliori. La Confraternita degli Agonizzanti, fattasi allora padrona del campo, dispotizzó, a suo talento, della Chiesa e dell’Oratorio, senza che alcuno avesse avuto più il coraggio di farle opposizione! …
Però, se tutti del Capitolo si acquietarono, contentandosi di una semplice protesta, non si acquietò il suo capo, l’Arcidiacono Michele Marchio, già tornato in Andria, dopo il mendato regio e l’esilio patito! Egli, impavido, tenne fronte a tutti gli avversarii del Capitolo, e più specialmente alla Confraternita degli Agonizzanti, combattendone gli abusi ch’essa faceva dell’uso dell’Oratorio e della Chiesa Cattedrale. E qui andremmo troppo per le lunghe se tutti volessimo raccontare gli episodii, che, in questo frattempo, accaddero con la Confraternita degli Agonizzanti! …
Ond’è che, di fronte a tanto uomo, gli Agonizzantisti si unirono a tutti gli altri avversarii del Capitolo, per muovere nuove accuse al Re contro l’Arcidiacono Marchio, pensando che, attaccando il Capo, tutto il Corpo si sarebbe arrestato, nel proseguire la propria difesa. Onde il povero Arcidiacono Marchio si vide nuovamente circondato da tanti nemici, e sotto il peso di un ammesso d’immaginarii delitti [18].
A tutti questi accusatori si aggiunse la Duchessa D. Margherita Pignatelli, la quale, con lettera del 20 Settembre 1788, scriveva al Re che
non soffrendole il cuore [!!!] di vedere posta in iscompiglio questa popolazione con tanti dissidii promossi da D. Michele Marchio Arcidiacono della Cattedrale, lo supplicava a punire severamente detto Arcidiacono, martorandola il dispetto e la compassione di vedere vessata ed immiserita tanta povera gente per l’indole criminosa ed incorregibile di un solo (!!!) molto più che dai contrasti da lui promossi, i poveri ne sentano un lagrimevole danno, perché dispendiandosi fra tante liti i Cittadini, vengono a mancare le quotidiane elemosine agl’indigenti (!!!) …
In seguito a tale Ricorso, il Re, a mezzo di Carlo de Marco, inviava al Consultore Potenza il seguente R. Dispaccio, in data 13 dicembre 1788. Di sovrano comando rimetto a V. S. Ill.ma l’accluso ricorso della Duchessa d’Andria per punirsi quell’Arcidiacono D. Michele Marchio, che cagiona gravi disturbi nell’Università (!!!) …
Saputo di tali ricorsi, l’Arcidiacono Marchio non impallidì, avendo la coscienza pura di aver fatto il suo dovere, nel sostenere, imperterrito, i diritti del proprio Capitolo, affidandone, però, la sua difesa al valoroso avvocato di Napoli, Gregorio Cantore [19].
Tutti i ricorsi, e la difesa dell’Arcidiacono Marchio, furono rimessi alla Consulta del Cappellano Maggiore Reale, Mons. Capobianchi, Arcivescovo di Reggio [20], il quale, dopo accurato esame di ogni cosa, riferiva al Re d’esser illegittime, insussistenti, ed astiose tutte le accuse fatte all’Arcidiacono Marchio, il quale, anzicché punire, si dovrebbe premiare, essendo degno di lode; perché ha dimostrato zelo per le cause del Capitolo, di cui egli è il primo Individuo.
Avuto il Re nelle mani la Consulta del Cappellano Maggiore, tosto, a dì 11 settembre del medesimo anno, a mezzo del suo Real Segretario, Carlo De Marco, inviava all’Udienza di Trani, il seguente Dispaccio:
«Avendo il Re maturatamente esaminate le accuse, dedotte nell’anno 1788, in nome della Università di Andria, contro quell’Arcidiacono D. Michele Marchio, dal Sindaco D. Giuseppe Sinisi e dagli eletti Vincenzo Tedeschi, Carlo Frisardi, Carlantonio Antolini, Antonio Mita, Tommaso Accetta e Nicola Fasoli, con aver tenuto presente quanto si contiene negli atti, ed i discarichi dell’Arcidiacono; ed avendole S. M. trovate illegittime, insussistenti ed astiose, e che non sia l’Arcidiacono contravventore ai Reali ordini, ma che anzi sia degno di lode, se ha dimostrato zelo per le cose del Capitolo, di cui è il primo Individuo; vuole perciò la M. S. che essa Udienza chiami in residenza Sinisi, Tedeschi, Frisardi, Antolini, Mita, Accetta e Fasoli, e faccia loro nel Real Nome un acre riprensione, per aver dedotte al R. Trono tali accuse, ed abusando del nome dell’Università; con far sentire ai medesimi, che badino bene per l’avvenire, a non produrre simili accuse, se non vogliano subire la pena corrispondente, che in oggi per effetto di Real Clemenza, si è loro dalla M. S. condonata.»
Napoli 11 Settembre 1790.
« CARLO DE MARCO »
All’ Udienza di Trani [21].
Così, al Sindaco ed agli eletti della città, accadde come ai pifferari della montagna, i quali, andati per suonare, furono suonati!
Al Real dispaccio fu data esecuzione il dì 14 di detto mese ed anno, chiamati i Signori Sindaco ed Eletti dall’Udienza di Trani, a riceversi l’acre rimprovero e la regale minaccia, come risulta dal seguente certificato del Segretario di questa Udienza:
«Certifico io sottoscritto Segretario di questa S. R. Udienza; qualmente in esecuzione del Sovrano Real comando, essendosi conferiti in questa residenza, chiamati con lettera Regia i sopradetti Giuseppe Sinisi, V. Tedeschi, F. Accetta, C. Frisardi, C. A. Antolini, A. Mita e N. Fasoli di Andria, sono stati essi questa mattina introdotti in Rota, e se gli è fatta l’ordinata acre riprensione, giusta il disposto da S. M. Dopoché sono stati licenziati. Ed affinché il tutto costì, ne ho fatto il presente, sottoscritto di mia propria mano.»
Trani, 17 Settembre 1790.
« VINCENZO VILLANI, Segretario ».
Così i rapprentanti della Università tornarono da Trani umiliati e confusi, mentre l’Arcidiacono D. Michele Marchio tornava da Napoli glorioso e trionfante! ... Vicende della vita! …
NOTE   
[13] Dal libro delle cause innanzi citato. Archivio Capitolare.
[14] Atti della Real Camera, fol. 2. 120 - 121.
[15] Ibidem fol. 193.
[16] Chi volesse avere piena conoscenza di tutte le Regole della Congregazione degli Agonizzanti, riscontri il libro delle cause, esistente nell'Archivio Capitolare da pag. 262 a pag. 266.
[17] Incredibilia sed vera! Dal Libro delle cause Arch. Capitolare.
[18] Gli accusatori furono le due Collegiate, le Comunità religiose, le Confraternite laicali, la Università, la Corte Ducale, l’Amministrazione del Monte dei Proietti, la Congregazione del Gesù, il Pandolfelli, molti altri privati cittadini, e quattro Canonici della medesima Cattedrale, cioè il Cantore Mita, D. Giuseppe Acquaviva, D. Nicola Abbasciano e D. Riccardo Accetta.
[19] Copia a stampa di questa memoria trovasi nel detto libro delle cause da pag. 321 a pag. 358.
[20] Copia della Consulta; vedi medesimo libro, pag. 362 – 368.
[21] Libro citato, pag. 367 (retro).

— ↑↑↑ —

*
*      *
Nell’ anno precedente 1789 il Capitolo trovavasi in grandi strettezze finanziarie, e per le tante liti sostenute, e pel ribasso delle rendite capitolari, ridotte dalla Camera della Vicaria alla metà, per concorrere alle spese della guerra, che si preparava contro la Francia; e per il deprezzamento dei fitti dei territorii, causato da grande nevicate e geli, che, in quell’anno, erano caduti in abbondanza, producendo anche grande mortalità di bestiame; e finalmente per l’abolizione delle franchigie sulla farina e sulla prestazione delle decime. Per cui il Capitolo fe’ domanda al Vescovo, Mons. Palica, per ottenere una riduzione nel numero delle messe dei legati pii. Il Vescovo, vista la ragionevolezza della dimanda, concesse che il numero delle messe fosse ridotto alla quarta parte, per ciascun legato, imponendo però l’obbligo, pro pœnitentia, di celebrare, in perpetuum, due messe in ciascun mese, da soddisfarsi, per turnum, da tutti i capitolari; con l’obbligo ancora, che, coll’accrescersi del reddito, dovesse accrescersi proporzionalmente il numero delle messe, già ridotto [22].
Intanto nel 1790 veniva a morire Mons. Palica, che, per la sua cronica infermità fu un continuo distruggitore delle preeminenze e prerogative capitolari. Alla sua morte fu eletto Vicario Capitolare il Canonico D. Antonio Conoscitore, uomo di gran mente.
Colla morte di Mons. Palica e col trionfo riportato dall’Arcidiacono Marchio, si sperava che le cose fossero state messe a posto, e che la Confraternita degli Agonizzanti avesse rinsavito. Ma non fu così. Nuovi e peggiori scandali vennero suscitati.
Nel 1791, durante ancora la Sede vacante, ricorrendo il triduo solenne, che il Capitolo soleva celebrare nell’Oratorio, negli ultimi tre giorni del Carnevale, coll’esporre il SS. Sacramento alla venerazione dei fedeli e col cantare Solenne Messa, la Confraternita degli Agonizzanti, profittando che il secondo giorno del triduo cadeva nel primo Lunedì (7 Marzo), giorno nel quale quella Confraternita suole celebrare una Messa Cantata, protrasse a lungo la funzione, per impedire che il Capitolo facesse la solita esposizione del Santissimo. … Il Capitolo pazientemente attese che fosse terminata la funzione della Confraternita, e quindi processionalmente si condusse ad accompagnare il Venerabile, per esporlo, secondo il solito, nell’Oratorio. Ma, mentre il Capitolo stava per metter piede nell’Oratorio, un gruppo di Confratelli, fattosi trovare al suo ingresso, violentemente lo respinse.
Per non suscitare scandali alla presenza del Venerabile, i Canonici pazientemente si ritirarono, facendo correre un atto di protesta, e redigendo un ricorso alla Delegazione della Giurisdizione della città, la quale ne tenne informata la Regia Udienza di Trani; e questa, attinte le opportune informazioni, dié ordine al Governatore di Andria di punire se veramente i colpevoli.
Caduti questi ordini nelle mani del Governatore (che è quanto dire nelle mani del Duca), non solamente i colpevoli non furono puniti, ma furono anzi premiati.
Difatti, avendo inoltrata la Confraternita una recrimina contro il Capitolo, e specialmente contro il Vicario Capitolare, D. Antonio Conoscitore, accusatolo di avere permesso l’esposizione del Sacramento nell’Oratorio, disturbando la funzione della Confraternita, dal Governatore venne ordine al Capitolo di non più molestare la Confraternita, nell’esercizio delle funzioni, e, per sopraggiunta, che si lasciasse libertà alla Confraternita medesima di celebrare nella Cattedrale le tre festività proprie della Confraternita, cioè quella della Madonna dei Grandini, l’altra della Madonna degli Agonizzanti, e tutto l’Ottavario dei morti [che allora celebravasi nella settimana di Passione], con obbligo, però, alla Confraternita, di celebrare le altre funzioni nell’Oratorio, ed a porte chiuse.
Il povero Capitolo, a questa nuova umiliazione, seguendo il consiglio del Cardinal Bellarmino, «val più un oncia di pace, che tre libre di vittoria» si acquietò pel momento. Ma, avendo poi saputo, che uno Ministro della Real Camera di Napoli (il Sig. Basilio Palmieri), uomo integro e di specchiata virtù, non aveva preso parte alle discussioni, riflettenti tali controversie, lo fece, da persone influenti, minutamente informare di tutto, perché avesse fatto coscienziosa relazione al Re di quanto accadeva fra il Capitolo e la Confraternita degli Agonizzanti. Il Palmieri, dopo aver studiato ed esaminato attentamente ogni cosa, disapprovando quanto era stato deciso dai suoi colleghi della R. Camera, presentò direttamente al Re un dotto e coscienzioso memoriale, datato da Napoli a dì 10 Settembre 1795 [23], esponendo tutti i fatti nella loro genuina verità, e mettendo in mostra tutte le mali arti del Duca Riccardo Carafa, che erasi servito dei Vescovo inebetito (Mons. Patica) e degl’ignoranti confratelli, per umiliare il Capitolo [24]. In quel memoriale è fatta pure una dotta esposizione di diritto civile e canonico, dalla quale evidentemente risulta, come le Chiese Cattedrali non possono andar vincolate da queste Confraternite laicali, nell’esercizio delle proprie funzioni capitolari; e che queste Confraternite non possono neppure esercitare alcuna sacra funzione, senza licenza del Vescovo ed anche del Capitolo Cattedrale, in quelle Cappelle ed Oratorii, che sono sotto la di costoro dipendenza. E, facendo suo il motto del santo Vescovo Ottato Melivetano: Ecclesia est in Republica, non Republica in Ecclesia: con sorprendente eloquenza, dimostrò come allora si abusava del diritto di regalia, per fare nelle Chiese tutto ciò che si opera e si pratica nello Stato, bene o male!
Questo memoriale, vero capolavoro di giurisprudenza, che può servire di norma a quanti prendessero a difendere le Chiese dagli abusi delle Confraternite laicali, ottenne il suo effetto, giacché il Re, venuto a piena conoscenza dello stato vero delle cose, richiamò in vigore il primitivo provvedimento, dato dalla Real Camera, con cui stabilivasi, che l’Oratorio appartenevasi al Capitolo della Cattedrale, avendo il medesimo piena libertà di esercitare in esso le sacre funzioni capitolari e parrocchiali, restando alla Confraternita solamente il diritto di amministrare le proprie rendite e di esercitare le proprie funzioni sotto la dipendenza del Capitolo, e nelle ore quando tacessero le funzioni capitolari [25].
Così ebbero termine le liti, assopite poi per sempre dalla caduta del feudalismo, che fu sempre il movente principale di tante controversie e soprusi! [26].
E qui crediamo pur doveroso spendere una parola di elogio al benemerito Arcidiacono Marchio, ed al Canonico D. Domenico Di Noja, Deputato ad lites del Capitolo, in tutte le sopradette cause. Il Noja, incoraggiato e sostenuto dall’Arcidiacono D. Michele Marchio, prese residenza stabile in Napoli; e non ritornò in Andria, che quando vide farsi piena giustizia al Capitolo! Questi due benemeriti, colla loro prudenza, e colla fortezza del loro animo, ebbero la soddisfazione di veder abbattuti tutti gli avversarii del loro Capitolo, e vederlo uscirne trionfante e più glorioso di prima.
Eppure quale fu il compenso che si ebbero per tanti trovagli, per tanti rancori, che seco portano le cause? Quello che, ordinariamente, ottengono tutti coloro che s’interessano al bene delle Comunità! … Una pleiade di nemici circondò il povero Arcidiacono Marchio, ed il valoroso Canonico D. Domenico Noja, sino a restarne sopraffatti ed umiliati!
Laici, Ecclesiastici, nobili, plebei, persone d’ogni ceto e condizione (tra cui non vi mancarono parecchi capitolari, rosi dall’invidia ed astio! presero a perseguitare quei due poveri difensori del Capitolo, fatti segno ai più volgari insulti ed a continue minacce!
Cangiano i tempi, ma non cangiano gli uomini!
NOTE   
[22] Tale obbligo fu poi mantenuto dal Capitolo?
[23] Copia stampata di questo memoriale e alligata nel libro delle cause; pag. 319. Arch, Cap.
[24] Il Duca, avendo avuto notizia di ciò, recossi espressamente a Napoli ad informare gli altri componenti la R. Camera, per muovere una guerra al Palmieri. Ma non vi riuscì (vedi detta memoria a pag. 17).
[25] Archivio Capitolare.
[26] Oggi una perfetta armonia esiste fra il Capitolo e la Confraternita degli Agonizzanti.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Erano componenti del Capitolo in questo tempo (1773 - 1799):
«l’Arcidiacono Nicolò Morgigno, cui successe nel 1774 Michele Marchio [27];
l’Arciprete Riccardo Antolini, cui successe, nel 1788, Giuseppe Ceci;
il Cantore Riccardo Tommaso Mita;
il Primicerio Paolo Colavecchia;
il Priore Antonio Conoscitore;
il Penitenziere Laborea Giuseppe,
ed i Canonici e Partecipanti:
Michele Marziani, Vincenzo Vespa [28], Nicolò Santoro, Riccardo de Liso, Filippo Locca, Riccardo Sipone, Vincenzo de Nittis, Francesco Morano, Nicolò Acchella, Riccardo Montanaro, Riccardo Cristiano, Riccardo Pastina, Filippo Grossi. Natale Zinno, Domenico Pichea, Giuseppe Giordano, Giuseppe Acquaviva, Nicolò Abbasciano, Riccardo Accetta, Tomaso Scoccia, Nicola Antolini, Giuseppe Zotti [29], Francesco Paolo Ieva, … Zagaria, … Figliola, Riccardo Montanaro, Ricardo Frascolla, Riccardo Mininno, Giammaria Marchio [Nipote dell’Arcidiacono], Calvi Saverio, Abbasciano Francesco, Francesco Conti, Sabino Bevilacqua, Domenico Friuli, Riccardo Ursi (autore della storia di Andria), … Morselli, Franc. Saverio Vallera, Giuseppe Antonio Martignano, Felice Senisi, Domenico Losito, Felice Regano, Giovanni Addati, Raffaele Tucci, Michele Cocco, Domenico Matera, Franc. Paolo Paradies, Savino Ieva, Riccardo Ieva, Vitantonio Infante, Riccardo Cocco, Nicola Cocco, Franc. Paolo Regano, Andrea Eligio Attimonelli, Giuseppe Iannuzzi, Francesco Antolini».
NOTE   
[27] Morto il 20 Ottobre 1799.
[28] Eletto Cantore il 1 Aprile 1800, per la promozione del Colavecchia all’Arcipretura.
[29] Organista della Cattedrale: morto nel 1802.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Ma, se tante lotte dov’è sostenere il povero Capitolo in questo periodo, di tempo, per riguardo alle vicende ecclesiastiche, assai più terribile fu la lotta e la tempesta, che si scatenò su di esso, sulla nostra città, e sul Regno, per ciò che riguarda le vicende politiche, delle quali faremo brevemente la narrazione.
La Francia si preparava già a dare al mondo uno spettacolo di barbarie inaudite, trascinando seco ed abbattendo troni ed altari!
Intanto, venuto nel Reame di Napoli il Marchese della Sambuca, a rimpiazzare il Tannucci, tutto faceva sperare che le cose del Regno dovessero andare a gonfie vele. Ma gli eventi incalzavano, per gli avvenimenti di Francia; ed il Regno di Napoli, trovandosi sprovvisto di milizia e di buoni Capitani, fu giuoco forza allestire un’armata e ricorrere all’Austria, per avere un buon Generale, ed alla Toscana per un buon Ammiraglio, che fu il valoroso cav. Giovanni Acton.
Intanto Re Ferdinando IV, nel 1788, perdeva l’ottimo suo genitore (Carlo III, Re di Spagna), e già la Francia era sul punto di dar fuoco alla miccia, che doveva produrre poi quel colossale incendio, che divampò in tutta Europa!
Le massime di Voltaire, i suoi scandalosi romanzi, le sue invereconde poesie, le sue immorali tragedie aveano sparso il mal seme di ribellione a Dio ed alla Chiesa Romana.
Gli Enciclopedisti, massimi fra tutti il D’Alembert, Diderot, Frèret, Raynal; indi Giangiacomo Rousseau con una falange di filosofi (fra i quali emergevano il D’Argental, il Tkiriet, il Damilaville, il D’Argens) completarono l’opera malvagia di pervertimento della povera gioventù.
Già, da gran tempo, la Francia era travagliata dalle guerre civili degli Ugonotti e Calvinisti, che avean preparato il terreno alla ribellione; sicché non v’era città, che parteggiasse o a favore o contro della fede cattolica.
I Giansenisti, razza astuta e ipocrita, aggregati ai Calvinisti, sotto il pretesto di sostenere l’autorità regia, di fronte alla papale, minavano l’una e l’altra! …
Ai Giansenisti si aggregarono i filosofi razionalisti, i quali, dando bando al Domma, proclamavano il dominio della ragione, del libero pensiero!
Collegatisi, quindi, tutti costoro alla setta dei così detti Illuminati, (che serpeggiava nella Germania, capitanata dall’empio bavaro Weischaupt), si dettero convegno in segrete congreghe, per cospirare contro il Trono e l’Altare, contro l’autorità Regia e la Papale, prendendo il nome unico di Franchi Muratori!
Inalberata la bandiera della ribellione, sotto i mentiti nomi di libertà, uguaglianza, fraternità, per adescare il popolo, ne proclamarono la sua sovranità! … Quindi, al grido di Viva il popolo sovrano, si contrapponeva quello di morte ai Monarchi, morte al Papa! E, siccome la nobiltà era allora il sostegno dei Sovrani, ed il clero il sostegno del Papa, perciò morte pure alla nobiltà, morte ai preti, morte ai frati, nemici del progresso e della civiltà! …
Tutte queste teorie dettero il capogiro anche a tanti cervelli maiuscoli; e si vide il fior fiore degl’ingegni dar di capo a cotesti scogli di borra e di stoppa, da riportarne leso il cervelletto! Quindi una lotta feroce s’ingaggiò fra la potenza popolare, che sorgeva, e l’aristocrazia, che, nella maggioranza, si manteneva fedele alla corona.
Perseguitati i ricchi ed i nobili, discacciati i preti ed i frati, ogni mascalzone si credé esser diventato un Signore, un Sovrano! … [30]
Il povero Re Luigi XVI, di natura dolce e buona, quanto più si studiava di rendersi caro e condiscendente al popolo, per altrettanto questo gli diventava nemico!
Ad allontanare la bufera, che minacciosa si avanzava, l’ottimo Re sospese il Parlamento, e chiamato qual suo Ministro il ginevrino Necker ed altri notabili del Regno, formò un nuovo Parlamento, dove prevalse la parte popolare … che prese il nome di assemblea nazionale! … Avuto in mano il potere la parte popolare, tosto fu abolita l’inegualità delle imposte, indi i privilegi dei nobili e del clero, finalmente quelli del Re!
Usciremmo dai limiti del nostro compito, se volessimo qui narrare tutto quel che avvenne in Francia, in quell’epoca infausta della rivoluzione del 1789, la di cui eco si ripercosse nel nostro Reame, e, dopo dieci anni, nella nostra cara città! … Basta qui dire, che la Francia fu tutta allagata di sangue, e le acque della Senna erano tinte di porpora, pel sangue che scorreva dalle vene dei suoi figli, sgozzati senza pietà, pel solo delitto d’esser nobili od Ecclesiastici! … [31]. Da per tutto sedizioni, stragi, incendii, rapine, malvagità d’ogni genere, senza riguardo alcuno a sesso, a condizione, ad età! … Il santo Re Luigi XVI, fatto cattivo, fu tosto condannato al patibolo! La santa Regina Antonietta barbaramente strangolata nella prigione! I Principi della corona, i titolati fatti a pezzi ed esposti sulle pubbliche vie! … I Vescovi, carichi di catene, mandati al martirio! I Preti, i Frati, le Suore, sgozzati come bestie da macello! [32] Insomma barbarie, che non hanno altro riscontro, se non che fra i cannibali del Zululand o della Cina!
Scatenatasi la bufera sulla Francia, quei tristi pensarono di addensarla ancora su tutta l’Europa, con la lusinga di condurvi la libertà, ma, coll’audace proposito, di portarvi la tirannia e la rovina! …
E già una banda di questi malfattori scorreva per la Germania e per l’Italia, spargendo false massime, insinuando dottrine perverse, eccitando i popoli alla ribellione verso i Sovrani, che chiamavano i tiranni, verso gli Ecclesiastici, che dicevano nemici del progresso, nemici della civiltà!
Milano, Venezia, Firenze, Torino, Napoli, ed anche Roma furono inondate dai scritti di quei perversi filosofi di Francia; e la fiamma, accesa sulla Senna, sulle ali di quei ierofanti, venne ad incendiare tutta l’Italia, dove non mancarono uomini egualmente perversi, da dar braccio ai compagni di Francia!
Ai primi sintomi della tempesta, il Re di Sardegna (Vittorio Amedeo), trovandosi più esposto ai primi assalti della canaglia francese, pensò chiamare a consiglio tutti gli Ambasciadori e ministri dei varii Principi d’ Italia, per stabilire una lega tra l’Imperatore d’Alemagna, la Repubblica di Venezia, il Papa, il Re di Spagna (per la parte di Parma) ed il Re di Napoli; mentre un’altra lega andava formandosi tra la Russia, l’Austria e la Prussia.
Non consentendolo l’indole di questa opera di poter seguire tutti gli avvenimenti bellicosi, che si svolsero in quel tempo, ci limiteremo a dite, in breve, i principali avvenimenti del Regno Napolitano, i quali hanno immediato rapporto con i fatti accaduti nella nostra città, cui tanta parte ebbe il Capitolo Cattedrale.
*
*      *
Il Re di Napoli, Ferdinando IV, ad arginare la piena, che minacciava l’Italia, prestava tutto il suo concorso ai confederati. Avea perciò, in pronto diciottomila soldati, tra fanti e cavalieri, per partire alla volta della Lombardia.
Intanto, mentre l’armata si accingeva a partire per l’Italia superiore, per unirsi agli alleati, ad affrontare le repubblicane armi francesi, una congiura si scopriva in Napoli [33], tendente ad abbattere il governo regio. Ciò fece sospendere la partenza delle truppe, tanto più che i giacobini francesi ed Algerini, detti, per vezzo, i sanculotti o gli sbracati, scesi dalle Alpi, già si aggiravano per i littorali del Regno, sbarcando anche sulle Calabrie, facendovi bottini e ruberie.
Dopo varie battaglie, sostenute dagli alleati, sul finire dell’anno 1794, la fortuna arrideva alle armi repubblicane francesi, non solamente dalla parte d’Italia, ma anche da quella di Spagna, dei Paesi Bassi, e di quella parte di Germania, che distendesi sulla riva sinistra del Reno.
Le strepitose vittorie dei francesi fecero indietreggiare la Prussia e la Spagna, le quali ritirarono le loro genti dal campo di guerra. La Toscana e Venezia mandarono speciali ambasciatori al Presidente della Repubblica francese, per trattare la pace. Restò l’Inghilterra con gli altri confederati a sostenere la battaglia, la quale ora riusciva pro-pizia agli uni, ora agli altri.
Questi avvenimenti propizii alla Francia fecero ringalluzzire i Giacobini del Regno Napoletano, i quali eran collegati a quelli di Francia per detronizzare Re Ferdinando, il quale, d’altronde, teneva energicamente freno alla baldanza dei novatori. E, più di lui, la Regina Carolina, la quale, pel dolore della lacrimevole fine dei suoi reali congiunti di Francia, e pel timore non accadesse altrettanto di Lei e del suo consorte Re, fidando sul valore del Ministro Acton, concepì un odio implacabile contro i congiurati, facendone giustiziare molti, anche per semplice sospetto; ciò servi ad inacerbire l’animo degli avversarii.
Intanto i repubblicani francesi andavano di vittoria in vittoria, e a dì 23 novembre del 1795, scendendo dai Pirenei per gli Appennini, posero in fuga a Loano ed a Roccabarbena i confederati e gli austriaci, andando a svernare, i francesi, in Vado ed in Savona.
Questa nuova vittoria fece decidere il governo repubblicano di aprirsi ad ogni costo l’adito in Italia.
A tal effetto, pose gli occhi sopra il giovane e valoroso Generale Luigi Bonaparte, uomo già in fama pel suo straordinario ingegno ed attitudine nel comando guerresco.
Ricevuti dal Direttorio pieni poteri, Luigi Bonaparte, onde atterrire l’Italia, iniziò la sua prima correria contro la Santa Casa di Loreto, seco riportando tutte le ricchezze ivi accumulate, involando perfino i voti dei fedeli, in tanti secoli, ivi raccolti. Indi, dopo la strepitosa vittoria di Magliani, pensò d’affrontare gli austriaci, che trovavansi in possesso della Lombardia, ed i piemontesi, che erano collegati agli austriaci. Ma il Re di Piemonte, Vittorio Amedeo III, intimorito dalle minacce del Bonaparte, venne a trattati di pace, che il Bonaparte accettò ben volentieri, per suoi secondi fini, e per aver libero il passaggio contro l’Austria. Onde usò tanta benevolenza ai piemontesi, da diventare l’intimo amico di Casa Savoja.
Ottenuto, senza spargimento di sangue, questa prima vittoria, il Buonaparte, astuto qual era, fe’ conoscere agli altri popoli d’Italia, che egli non veniva a far male a nessuno, ma solamente a rompere i loro ceppi, a sottrarli dalla tirannia dei regnanti. Che, quindi, non avrebbe loro torto un capello, serbando intatte le proprietà, i costumi, la Religione; e guai a chi dei suoi militi avesse tentato il saccheggio a qualsiasi città, o danneggiato qualsivoglia cittadino!
Tale linguaggio produsse il desiderato effetto.
Conchiusa, dunque, la pace col Piemonte, ed uscito questo dalla lega, la povera Austria, congiunta ai soldati napolitani (inviati dal Re Ferdinando, dopo sedati a Napoli i tumulti della congiura) e ad una parte dei militi tedeschi, si trovò sola ad affrontare l’impeto delle soldatesche francesi, dalle quali riportò forti sconfitte, disastrosissime specialmente quella presso il fiume dell’Adda. E già i francesi stavano per entrare in Milano, quando l’Arciduca Ferdinando, intimorito dalla tempesta, che minacciava quella città, rifugiò in Mantova, e poscia nella lontana Germania. I milanesi, però, a scongiurare il danno che immineva, inviarono legati al Buonaparte, che trovavasi a Lodi, pregandolo di esser benevolo verso un popolo tranquillo e civile. Ed il Buonaparte, promettendo loro rispetto alla Religione, alla proprietà ed alle persone, a dì 14 maggio di quell’anno 1796, mandava diecimila soldati, guidati dal generale Massena, a prender possesso della città. Indi, di lì a pochi giorni, Luigi Bonaparte in persona, entrava in Milano, da vero Sovrano, salutato da tutti quale un nuovo Scipione, un secondo Anni-bale! … Il Buonaparte aveva allora appena 28 anni!
Soggiogata Milano, il valoroso Buonaparte passò a Genova, indi a Venezia, a Roma ed a Modena, riscuotendo dappertutto denaro, ed imponendo, ai principi di quei piccoli regni, la consegna di tutti i lavori d’arte che possedevano [dipinti, statue, ecc. dei più celebri artisti del mondo], col pretesto di doverne arricchire il museo di Parigi! Pavia volle resistere, ma ne portò la peggio!
Non restava che Roma e Napoli! Il Buonaparte cominciò dalle Romagne, soggiogando Bologna, città Pontificia, la quale poi si dette al Buonaparte, inalberando l’albero della Repubblica. Ma, ben presto Bologna dovè piangere la sua acquiescenza, vedendosi spogliata di tutto e sottoposta a gravi contribuzioni di guerra … Altrettanto avvenne di Ferrara, di Lugo, d’Imola, e di altre città dello Stato Pontificio.
Pio VI, ad evitare disastri e rovine alla Città Santa, inviò suoi legati al Bonaparte, per venire ad una composizione col Direttorio francese. L’astuto Buonaparte, profittando di tale occasione, per ingraziarsi il Papa ed i cattolici francesi, accettò una tregua, a condizione però che il Papa inviasse un suo Plenipotenziario a Parigi, per conchiudere direttamente col Direttorio le condizioni di pace [34], e chieder perdono degli oltraggi fatti ai francesi, specialmente con la morte del Conte di Basseville.
A dì 5 luglio dell’anno 1796, quel Papa, che aveva esortato i Principi italiani a confederarsi contro i francesi, quel Papa medesimo, pel bene del suo popolo, si vide costretto ad inviare un Breve, esortando i suoi sudditi a riconoscere ed obbedire ai magistrati, che governavano la loro città.
NOTE   
[30] Una libertà, che non rispetta quella degli altri, scrive il Cantù, e comincia dal proscrivere partiti, persone ed opinioni, è un germe sporadico, che si fonda su l’egoismo e considera come estraneo e senza diritti chi non è con lui. Tale libertà lo stesso Voltaire chiamò despotismo della canaglia. (Cantù, storie minori).
[31] Non si può leggere la. storia della rivoluzione francese del 1789 senza raccapriccio! Erasi giunto alla crudele barbarie di fare a pezzi i ricchi ed i nobili, e delle loro carni farne salcicce, messe in vendita con l’etichetta salame aristocratico! Fin qui giunse allora la Francia!
[32] Ciò che accadeva in Parigi, orribilmente si ripeteva e si riproduceva in tutta la Francia. E Lione, Bordeaux, Marsiglia e tutta la Vandea videro scorrere il sangue dei loro cittadini a pieni gorghi per le vie. E quando i giustizieri non ne potevano più, gridando: moriamo di fatica, gli si rispondeva: infiammatevi d’amor di patria e ricupererete le forze. Ed il feroce Collet d’Herbois, ad eccitare i repubblicani, stizzoso gridava: La ghigliottina è lenta: il martello ed il piccone demoliscono a rilento: su, repubblicani, la mitraglia spazzi via il pattume dei vili; la mina faccia danzare gli edifizii … Simili alla tigre, che non ammazza per fame, ma per istinto d’ammazzare.
[33] I falsi principii dei novatori francesi detti, dal loro Capo, i Giacobini, eransi già insinuati anche nel Regno di Napoli, sollevando il popolo alla ribellione contro il Re, chiamato il tiranno, contro i nobili, satelliti dei tiranni, contro i Preti, consiglieri dei tiranni, contro i Frati, ricettatori dei tiranni! … La Repubblica, e la sola Repubblica democratica l’unica forma di governo! l’Aristocrazia nera peggiore della regalità; l’oligarchia un male orrendo; tradire i Re esser, non solamente lecito, ma doveroso, fedeltà al popolo, niente ai Re: Ecco le massime che s’insinuarono nel popolo! … E per meglio adescarlo, chiamavano in appoggio il Vangelo di Cristo, che dicevano il democratico per eccellenza! Queste massime trovavano facile accesso nella mente dei cervelli minuscoli, ed ecco ordita la congiura contro il buon Re Ferdinando dai Giacobini stranieri ed indigeni.
[34] Fra le condizioni imposte dal Direttorio per la pace, vi erano quelle di dover mettere in libertà tutti i carcerati politici: che i porti del Papa dovevano chiudersi a tutti i nemici della Repubblica francese: che Bologna e Ferrara dovessero restare alla Francia: che il Papa consegnasse alla Francia 100 quadri, busti, statue, vasi ed altro del museo vaticano, oltre a 500 manoscritti della Biblioteca, da scegliersi da una Commissione francese: che il Papa pagasse 21 milioni di lire, parte in oro ed argento, parte in oggetti mercantili, derrate, cavalli, buoi ecc,.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Dopo questi clamorosi avvenimenti, il Re Ferdinando IV di Napoli viveva nella massima trepidazione, aspettando da un momento all’altro che la bufera si scatenasse sul suo Regno. A prevenirla, avea fatto ogni sforzo supremo. Trentamila soldati aveva inviato ai confini del Regno, verso lo Stato Pontificio; altri quarantamila, scelti in massa fra tutti gli abili alle armi, raggiunsero i primi, promettendo compensi e privilegi ai volonlarii. Per sopperire alle spese occorrenti, ordinò che i Baroni, i ricchi, ed i nobili del Regno pagassero centoventimila ducati al mese, per le spese di guerra, ed il resto da prelevarsi dall’erario, senza punto molestare le persone d’inferiore condizione. Impose pure una tassa del 7 per cento sopra i beni ecclesiastici.
Furono soppressi ancora alcuni ordini religiosi, assegnando il loro patrimonio all’Ospedale degl’Incurabili di Napoli.
Non bastando intanto il denaro, nel maggio del 1796, a mezzo del Fisco della Regia Udienza di Trani, veniva spedito un Real Dispaccio a tutte le Comunità Ecclesiastiche del Regno, tanto Regolari che Secolari, di venire in soccorso al Governo, per sopperire alle gravi spese della guerra, e pel mantenimento dell’armata di terra e di mare, messa in difesa del Regno; per cui occorreva la somma di due milioni di ducati, obbligandosi il Governo di corrispondere il 4 per cento.
Il nostro Capitolo della Cattedrale riunitosi in generale assemblea a dì 31 maggio 1796, non avendo somma disponibile, per concorrere a quelle spese, decise di affrancare tutti i censi minuti ed enfiteutici, scegliendo, a tal uopo, una Commissione Capitolare, per trattare tale affare. Prevedendo, ancora, che altro denaro sarebbe stato richiesto, per contribuire alle spese della guerra, che sempre più infieriva, fu data ai medesimi Deputati capitolari facoltà di affrancare alcuni altri capitali, addossandosi il Capitolo l’obbligo di soddisfare alle relative Messe. Così, con permissione dell’Autorità Vescovile, furono venduti alcuni capitali, e, dal denaro ricavatone, fu fatto dono al Sovrano, per contribuzione alle spese di guerra contro la Francia [35].
Per i medesimi bisogni della guerra, nel luglio del medesimo anno 1796, fu spedito altro Real Dispaccio a tutti i Vescovi del Regno, di sospendere ogni nuova provvista di Beneficii in tutte le Chiese, siano Cattedrali che Collegiate, ad eccezione dei Curati, Teologi e Penitenzieri, con obbligo ai Vescovi di riferire in ogni vacanza il numero superstite dei Beneficiati [36]. A di 22 agosto del medesimo anno, un nuovo Dispaccio ordinava, che tale provvedimento dovesse comprender anche quei Capitoli, che vivevano di massa comune (come era il nostro Capitolo della Cattedrale), disponendo, però, che, due terze parti della rendita d’ogni canonicato vacante rappresentasse la prebenda, devoluta allo Stato per le dette spese di guerra, e l’altra terza parte restasse al Capitolo, per le distribuzioni quotidiane. Questo decreto fu comunicato al Vescovo di Andria dal Cappellano Maggiore F. Alberto, Arcivescovo di Colosso [37].
Urgendo ancora i bisogni della guerra, un nuovo Dispaccio ordinò che fossero sospese anche le provviste di quei beneficii che, per le norme generali del Monte Frumentario, non cadevano sotto sequestro. (Però, nel 1798, questa disposizione fu ritirata, con altro R. Dispaccio).
Intanto, continuando la guerra contro la Francia, e non bastando le contribuzioni già imposte, per sopperire alle spese sempre crescenti della guerra, Re Ferdinando fe’ spedire a tutti i Vescovi del Regno altro Real dispaccio, col quale s’ ingiungeva ai Vescovi ed al Clero di esibire tutto l’oro e l’argento delle Chiese, per monetarlo; meno però quello che fosse necessario al culto, come Calici, Pissidi, Ostensorii, Incensieri, Bocale, Bacile, Bugie, Pontificali, Croci, Vasi per il Sacro Crisma, e per l’olio degl’infermi, Pastorali, Statue dei Santi Protettori della città ecc. ecc.
Però, perché non ne risentissero danno i Proprietarii, ma che anzi ne riportassero un vantaggio (mettendo a profitto quei preziosi metalli) fu proposto ai medesimi dal Re la scelta, o di ricevere tante carte bancali, corrispondenti al valore del relativo metallo, o di avere tanti fondi dei beni di suo patronato, o delli Allodiali, senza sottoporsi all’asta, corrispondenti alla rendita del 5 per cento; o di tante partite di arredamenti alla stessa ragione: od inoltre, così l’una che l’altra rendita, franca di ogni imposizione fiscale, e della stessa decima; o infine a frutto vitalizio da regolarsi secondo la data norma [38]. Questo real dispaccio pervenne al Vescovo di Andria, in allora Mons. Lombardi, colla data del 28 marzo 1798.
NOTE   
[35] Archivio Capitolare. Libro delle conclusioni capitolari del 1796.
[36] Quel dispaccio fu comunicato al nostro Vescovo, Mons Lombardi, dal Preside della Provincia, a dì I agosto 1796. Archivio capitolare.
[37] Archivio Capitolare.
[38] Ammirabile magnanimità di Principe, il quale, laddove avrebbe potuto operare la spogliazione, come altri han fatto, egli ne assicurava, in tanti modi, il valore degli oggetti, che per le inevitabili contingenze della guerra, veniva a sottrarre alle Chiese!

— ↑↑↑ —

*
*      *
Intanto i torbidi della Rivoluzione sempre più fervevano, e gli armamenti si moltiplicavano. I Consiglieri di Stato, convinti che sarebbe stato più vantaggioso l’accordarsi, che il combattere, indussero il Re ad inviare il Principe Belmonte Pignatelli a trattare col Buonaparte la sospensione della guerra, riserbandosi d’ inviarlo poi a Parigi, per stabilire col Direttorio le condizioni della pace.
Sicuro Re Ferdinando di questa tregua, imprese un viaggio pel Reame; ma ben presto dovè far ritorno a Napoli, per gl’ imminenti pericoli, che lo minacciavano.
Roma era già in potere dei Francesi repubblicani, e, fatto prigioniero Pio VI, fu, nella città santa, proclamata la Repubblica Tiberina [39].
Da Roma il Buonaparte prese la volta di Napoli, dove la reclutazione forzata, ed improvvisata, dette pochi soddisfacenti risultati, cedendo la fortezza ai Repubblicani Francesi.
Il povero Re Ferdinando IV, per salvare la vita, la notte del 20 dicembre di quell’anno 1998, faceva vela per la Sicilia, lasciando la Capitale in piena anarchia, dove, a dì 25 Gennaio dell’anno consecutivo 1799, i francesi, aiutati dai Repubblicani napolitani, entravano trionfalmente, guidati dal Generale Championet, proclamando la Repubblica Partenopea!
Cosi, nel breve giro di due anni (1796 - 1798) tutti gli stati italiani eransi convertiti in Repubbliche Democratiche; e l’Italia aveva già la Repubblica Cisalpina, la Subalpina, la Ligure, la Veneta, l’Adriatica, la Pedemontana, l’Etrusca, la Tiberina e la Partenopea! …
I sanculotti e gli sbracati vedevano finalmente completo il loro trionfo! Quindi, divenuti padroni delle città, conculcavano statuti, leggi, diritti; vessavano, impunemente, i Nobili, i Preti, i Frati, le Suore; spogliavano le Chiese ed i santuarii dei loro tesori; rapinavano gli erarii, e commettevano ogni specie di ruberie … Piantato nelle piazze d’ogni città l’albero della libertà, intorno ad esso e sotto la sua egida, la plebaglia furibonda facea man basso di tutto e di tutti.
Disgraziatamente non vi mancarono anche dei preti spretati, dei monaci scocollati, i quali, buttata la veste talare, o la fune della penitenza, indossavano la camicia dei sanculotti e cingevano i lombi con le cinte, dalle quali pendevano lunghi sciaboloni, e coprendo la lor tonsura con cappelli incastonati da pennacchi tricolori! …
NOTE   
[39] Non avendo voluto il Papa accettare le condizioni impostegli dal Buonaparte, e dal Direttorio di Parigi, trattava segretamente con l’Austria, per ottenere bande tedesche nella Romagna. Tale corrispondenza era affidata a corrieri Veneziani, che la portavano ai confini Austriaci. Entrato in sospetto il Buonaparte, fe’ sorprendere ed arrestare alla Mesola, a dì 12 Gennaio del 1797, uno di quei corrieri, nelle di cui valigie si trovò una lettera del Cardinal Busca, Segretario di Stato del Papa, diretta al Ministro di Guerra dell’Austria. Ciò bastò per rompere ogni trattativa di pace col Papa, ed invadere i suoi dominii.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Non tutte le città, però, si dettero ai repubblicani francesi. Di qui guerre intestine, lotte fra cittadini fedeli al Re, e Giacobini fedeli alla Repubblica.
Andria, anche questa volta, non smentì il titolo di città fedele, che le avea regalato Federico II Barbarossa. E fedele si mantenne al suo Re Ferdinando IV, che tanta predilezione aveva per la nostra città, specialmente nel darle braccio forte a spezzare le catene del feudalismo, che la teneva legata al Duca Carafa.
Intanto i Francesi Repubblicani avanzavano nella Puglia, capitanati dal General Duhesme. A tener fronte ai francesi sursero in Puglia sette giovani avventurieri, di oscuri natali, fra i quali i più audaci furono un tal Giambattista De Cesare e Raimondo Corbara, il primo camuffandosi sotto il nome di Duca di Sassonia, il secondo di Principe ereditario di Napoli. La loro audacia si spinse sino al punto da Occupare alquante terre di Puglia, fra le quali le città di Trani e di Andria [40]. Conquistata la Capitanata e quasi tutta la Puglia, il Generale Duhesme fu richiamato, con gran parte di militi, a Napoli.
Questa partenza dette animo ai partitanti del Re, i quali, fatta accolta di uomini armati, specialmente andriesi e tranesi, si spinsero ad assalire Minervino, che già aveva innalzato l’albero della libertà.
Intanto le maggiori forze dei Regii di terra di Bari eransi concentrate in Trani.
I pochi prodi giacobini di Andria si tenevano celati, aspettando il momento propizio per fare la loro comparsa; quando una sera si spargeva la voce per la città, che il Signor Domenico Topputi ed alquanti Frati Benedettini (che vivevano nella Badia di S. Maria dei Miracoli di Andria) avrebbero nella notte piantato l’albero della libertà in piazza Catuma! Quella voce, raccolta, dal popolo, fu il primo invito per venire alle mani. In un baleno si corre alla Badia dei Benedettini (lontana un miglio dalla città) e, dopo dura colluttazione, vengono tradotti in Andria, catturati, tre Padri Benedettini (Massimo Fiore ed i fratelli Gaetano ed Erasmo Santacroce), creduti giacobini. Indi si corre alla casina di campagna del Topputi e, visto che questi se l’era dato a gambe, posero in iscompiglio ogni cosa! Simili maltrattamenti furono usati al Notar Pasquale Cannone, ai signori Giuseppe e Nicola Noja e ad altri sospetti di giacobinismo. Furono pure catturati tre coratini di passaggio da Andria, perché portavano al loro cappello la coccarda tricolore … Riccardo Cicco, Vincenzo Latina, Geremia Attimonelli ed Ignazio Addati, tutti di Andria, subirono egual sorte, perché ritenuti giacobini!
Intanto, a soggiogare Andria e Trani fu inviato da Napoli il Generale Broussier, con le rimanenti squadre francesi, composte di granatieri e dragoni, con sei pezzi d’artiglieria, oltre ad un distaccamento, venuto dagli Abruzzi, sotto la condotta del capo-brigata Berger, ed una legione napoletana, condotta dal conte di Ruvo, Ettore Carafa [41], figlio del nostro Duca Riccardo, morto nel 1797 [42].
Prima di muover su Andria, il Generale Broussier ed Ettore Carafa avean messo lor guarnigione nel castello di Barletta, che fu una delle prime città a far adesione alla Repubblica, elevando l’albero della libertà!
Al narrar di parecchi storici, Ettore Carafa, per un sentimento di gratitudine alla città, che gli aveva dato i natali, venne in Andria, unitamente al fratello Carlo, col proposito di trattare amichevolmente la resa della città, senza spargimento di sangue. Per cui fece sosta al Convento dei Cappuccini (messo allora fuori le mura della città), inviando uno dei frati, per indurre i cittadini a nominare una Deputazione di ragguardevoli personaggi, onde trattare le condizioni della resa.
Scelta una tale Deputazione (fra cui il gentiluomo avv. Giovanni Iannuzzi), questa tosto si mosse per abboccarsi col Carafa, e per scongiurarlo di risparmiare un eccidio alla città, che aveagli dato i natali. Intanto avvenne che, mentre Ettore Carafa, lungo la via Trani, veniva ad incontrare la detta Deputazione, un imprudente cittadino, per nome Francesco Conte (muratore), da un agguato, tirava un’archibugiata, mandando per aria il cappello del Carafa.
Non l’avesse mai fatto! Corrucciato di ciò Ettore, indispettito, fece ritorno in Barletta, dove, unitosi all’esercito del Broussier, venne a dare l’assalto alla nostra citta!
NOTE   
[40] Pietro Colletta: Storia del Reame di Napoli. Tom. I, L. V, § XIII.
[41] Dumas. Storia dei Borboni di Napoli.
[42] Ettore Carafa, di Riccardo e Margherita Pignatelli, nacque in Andria a dì 29 dicembre 1767. Educato a Napoli nel Collegio dei nobili, e poscia sotto Francesco Laghezza di Trani, si dìè tosto alla politica. Avvelenato dalla scuola degli Enciclopedisti di Francia, divenne il più ardente propugnatore di quelle idee, che produssero la Rivoluzione francese nel 1789. Nel 1790, abbandonata la famiglia, si stabilì in Francia, dove fu ascritto alla setta dei rivoluzionari. Tornato a Napoli, si fece propagandista di quelle idee, e fece mettere a stampa parecchie migliaia di copie del libro: La Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Nel 1795, per sospetto dei Barboni, fu fatto prigioniero in Napoli: ma, dopo tre anni di reclusione, gli riuscì poter evadere, coll’aiuto del fratello Carlo, e rifugiossi prima a Roma, indi a Milano. Nel 1797, morto il padre Riccardo, Ettore non poté succedergli nell’eredità feudale, perché imputato politico; per cui successe, invece, suo fratello Carlo e la vedova madre. Evaso da Castel S. Elmo di Napoli, recossi nella Cisalpina, dove strinse relazioni con i principali rivoluzionari francesi. Stabilitasi la Repubblica Partenopea in Napoli, Ettore Carafa fu uno dei più abili condottieri dei volontari repubblicani.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Era il 23 marzo del 1799, ed Andria si preparava ad intuonare l’Alleluja (giacché coincideva, in quel giorno, il Sabato Santo), quando dovè rattristarsi all’annunzio, che l’esercito francese, guidato dal Bruoussier e dal Carafa, era sotto le mura della città! …
A tale funesto annunzio fu dato ordine dalle autorità locali di chiudere tutte le porte della città, mentre i cittadini correvano a prendere le armi, per la difesa. In un attimo ogni casa era diventata una fortezza! Ottenuto un picciol cannone da Trani, questo fu affidato ad un tal Nicola Padula di Bitonto (già artigliere nel Forte di Gaeta), mentre i più abili tiratori della città, coi loro archibuggi, venivano destinati nei siti più adatti alla difesa [43], la di cui direzione venne affidata a due Patrizii Andriesi, Nicola Accetta e Ignazio Pincerna. E, mentre nel Duomo si esponeva il Venerabile, implorando da Dio e dal glorioso Protettore S. Riccardo il soccorso del Cielo; mentre tutte le campane della città suonavano a stormo, per animare i cittadini alla difesa, i militi francesi già si disponevano all’assalto delle quattro porte di Andria!
Una poderosa e ben nutrita scarica di archibugiate fu il primo saluto, che accolse i militi francesi, i quali subito compresero che non sarebbe loro riuscito tanto facile penetrare nella città! … E non sarebbero davvero penetrati, se alcuni traditori non avessero ai repubblicani francesi prestato il loro ausilio!
Intanto buon numero di militi francesi fu veduto cadere al suolo, fra questi, il Maggiore dell’Artiglieria!
Preso animo da questa prima prova, il cannoniere Padula, mirando il cannoniere francese, gli assettò tal colpo, da inchiodarlo cadavere al suo cannone, mentre un’altra più terribile scarica di archibugi, dai merli delle mura, e da ogni parte della città, radeva al suolo centinaia di Militi francesi, appostati agli sbocchi delle quattro porte della città!
Disperato dalla rabbia, e mordendosi le labbra, il Generale Broussier, fe’ aggruppare tutte le sue forze contro Porta Castello, mentre dai guastatori facea dar di picco alle mura. Gli assediati, vista l’imminenza del pericolo, più ne raddoppiavano l’audacia con continue scariche sui guastatori, i quali, come eran resi impotenti, così venivano rimpiazzati da altri commilitoni.
Dopo una lotta accanita di molte ore, finalmente, riuscì ai guastatori (coadiuvati, però, dai pochi cittadini traditori) ad aprirsi un varco per le mura.
Primo ad entrare nella città fu Ettore Carafa, incontrato dai suoi ducali, Michele Latilla, Francesco Raimondo, Francesco Pizzolorusso e Luigi Pisani, cui si aggiunsero tutti i repubblicani Andriesi, ed anche non pochi avveniticci, che profittarono dell’occasione, per fare private vendette, e per pescare nel torbido.
Entrati i francesi in città, la lotta divenne ancor più feroce, fatta a corpo a corpo con i cittadini, che la difendevano. Uomini d’ogni età e condizione, donne, fanciulli, tutti ardevano dalla sete di sangue; e chi affrontava il nemico, dando di piglio a tutto ciò che venivagli nelle mani; chi correva sulle terrazze, facendo piovere imbrici, pietre, mattoni, ed anche acqua ed olio bollente, fra le grida disperate degli assalitori ed assaliti! … Insomma una scena indescrivibile, che i nostri buoni vecchi, testimoni oculari, ci han raccontata, con le lagrime agli occhi, e di cui tuttora dura il ricordo nella città, tanto che, a voler indicare ogni cittadina tenzone, dal popolo, si dice, è avvenuto il novantanove!
Seicento ottantacinque cittadini erano periti nel Sabato Santo del 1799! … come si rileva dal libro dei morti tumulati nella Cattedrale e in altre Chiese, oltre a tanti feriti [44].

Quadro dell'eccidio

Di Ecclesiastici ne furono massacrati ben ventiquattro, quattordici della Cattedrale, cinque di S. Nicola [45], due dell’Annunziata [46] e tre Chierici [47]. I Canonici della Cattedrale furono Riccardo Ursi, Vito Regano, Giovanni Addati, Giovan Maria Marchio (nipote dell’Arcidiacono Michele Marchio), Nicola Maselli, Franc. Saverio Vallera, Riccardo Politi, Riccardo Acchella, Giuseppe Morgigno, Franc. Paolo Nuzzi, Tommaso Cannone; ed i sacerdoti Francesco Regano, Donato Ieva e Riccardo Cocco.
Alla sete del sangue tenne dietro quella dell’oro! … E, di tal sete erano arsi più i regnicoli ed i provinciali collettizii, che gli stessi francesi! Quanto di oro e di argento, di suppellettili, di oggetti di valore trovavasi nelle case, nelle Chiese, nei Monasteri, tutto passò nelle mani di quelle ingorde arpie!
La Cattedrale fu spogliata di tutti gli arredi sacri e delle suppellettili, dando poi il fuoco agli armadi dove erano custoditi! Ci fu rapita la colossale statua d’argento, a tutt’uomo, di S. Riccardo, e l’altra, pur d’argento, a mezzo busto, contenente il capo del Santo, non chè le teche, egualmente di argento, contenenti il cuore ed il pellicranio del medesimo. Ci fu pure involata la preziosa Urna d’argento. contenente una delle Sacratissime Spine, [48] che trafissero il Capo del Divin Redentore e molte altre preziose reliquie, chiuse in teche d’argento, fra le quali il Capo di S. Colomba, donato al nostro Capitolo, insieme alla S. Spina, dalla pia Contessa Beatrice d’Angiò.
Ci furono involati ancora tutti i Calici, le Pissidi, gli Ostensorii ed altro [49].
Al sacco seguì il fuoco dato alla sacrestia, dove esisteva l’Archivio capitolare, ricco di antiche pergamene, che rimontavano sino all’epoca normanna, e che ci avrebbero certamente parlato, con più chiarezza, dei primi tempi del Capitolo Cattedrale.
Raccolto questo grosso bottino, e tutto ciò che avevano derubato nelle altre Chiese, nei Monasteri e nei Palagi, quei ladroni ne caricarono numerosi carri, e fecero tutto trasportare a Barletta, dove fu venduta gran parte del bottino, ripartendosi poi fra di loro il denaro ricavato! … Molti pii e buoni cittadini andriesi accorsero subito a Barletta, per poter riscattare, a qualunque costo, almeno una parte di quegli oggetti rubati, ma non riuscì loro di poter riscattare altro, se non che il capo d’argento della statua a mezzo busto di S. Riccardo.
Prima di partirsi da Andria i francesi, non ancora sazii di vendetta, appiccarono il fuoco alla città, colla barbara intenzione d’incenerirla! … E partirono bivaccando, accompagnati dal fumo rossastro, e dalle fiamme, che s’ innalzavano al Cielo, come lingue di fuoco, che imploravano l’aiuto Divino! E la Divina Provvidenza venne in soccorso della città con una pioggia torrenziale, che domo quell’incendio! … Altrimenti, oggi, si direbbe: Qui fu Andria!
Finalmente il Generale Broussier, non contento ancora di quanto danno avea arrecato alla nostra città, nel partirsi da Barletta, impose ad Andria la taglia di dodeci mila ducati, da pagarsi fra quattro giorni, dandone incarico della riscossione ai componenti l’amministrazione comunale di allora, il dottor Giuseppe Cannone, il notar Giuseppe Sinisi, il notar Vincenzo Tedesco, il sig. Emanuele Spagnoletti, il sig. Nicola Fasoli ed il canonico Priore della Cattedrale d. Riccardo Accetta, tutte persone indicate da Ettore Carafa, e ligie alla sua ducale famiglia!
Però, non essendosi potuta raccogliere quella ingente somma, il Broussier, pregato da Ettore Carafa, si accontentò di sei mila ducati. E così la bufera si allontanò dalla nostra città [50].
NOTE   
[43] Fra i tiratori eranvi i Signori Antonio Cotugno, Pasquale Gaeta, Riccardo Fortunato, Saverio Calvano e Nicola Samele, nella cui famiglia è tradizionale l'abilità nel cacciare.
[44] Andria contava allora poco più di dodeci mila abitanti.
[45] Essi furono il Canonico Franc. Paolo Alicino ed i Sacerdoti Nicola Acchella, Riccardo Friuli, Vincenzo Schiavone e Nicola Nuzzi.
[46] Essi furono il Canonico Priore Francesco Labanca ed Oronzo Grieco.
[47] Essi furono l’Accolito Francesco Del Mastro, l’Accolito Francesco Paolo Troia ed il Seminarista Felice Infante.
[48] La S. Spina fu poscia rinvenuta nel 1837, come a suo tempo diremo.
[49] Furono rinvenute alcune ostie consacrate, sparse sul suolo, dopo averne portate le Pissidi.
[50] Però, se Andria ebbe tanto danno e perdé buon numero di cittadini, maggiore assai fu la perdita dei militi francesi, dei quali, secondo narra il Durso, ne morirono oltre a due mila e cinquecento, tanto che il Generale Broussier, allorquando fece la rassegna dell’esercito, nel ritorno a Barletta, vedendolo di tanto scemato, stava sul punto di far ritorno in Andria, per distruggerla completamente: e l’avrebbe fatto, se non si fosse interposto Ettore Carafa, e se non l’avesse chiamato l’urgenza di muovere a Trani, per soggiogare anche quella città, che mantenevasi ancora ribelle alla Repubblica.

— ↑↑↑ —

*
*      *
Ma la mano di Dio non tardò di venire in aiuto dei buoni e punire i tristi!
Piantato l’albero della Repubblica in tutto il Regno di Napoli, le sorti dei repubblicani volsero ben tosto a precipizio.
Essendo venute le flotte Russe ed Ottomane in aiuto di Re Ferdinando IV, il Cardinale Fabrizio Ruffo inalberava il vessillo della Santa Fede, innanzi a cui molte città della Puglia abbassarono l’albero della Repubblica!
Nel maggio di quel medesimo anno 1799, già molti legati furono inviati al Re, a far atto di obbedienza, auspice il Cardinale Ruffo, il quale, sul finire del giugno successivo, aiutato dalle forze dell’Ammiraglio Nelson, s’impadroniva di Napoli, dove presto fe’ ritorno Re Ferdinando.
Ritornato sul trono Re Ferdinando, Ettore Carafa cadde nelle mani dell’esercito reale … Condotto incatenato in Francavilla, fu poscia, di là, tradotto a Napoli nel Castel Nuovo. Il 4 settembre di quel medesimo anno 1799 il povero Ettore, condotto al patibolo, fu decapitato sulla piazza del Mercato!
Così espiava il fio d’aver dato il suo concorso al saccheggio della natal sua patria, e coglieva il frutto delle massime perverse, che volle apprendere alla scuola degli Enciclopedisti [51].
Colla morte di Ettore Carafa ebbe termine il feudalismo in Andria! Così scomparve per sempre dalla città una famiglia, che tante amarezze aveva procurate alla città, al Clero, e sopra tutti, ai Vescovi pro tempore. I beni di Casa Carafa furono confiscati, ed il Duca Carlo, fratello di Ettore, dové prendere la via dell’esilio! Con Ettore chiudevasi la serie dei Duchi di Andria, di casa Carafa, iniziata da Fabrizio I nel 1552, terminata con Carlo, nel 1799, dopo 247 anni di prepotenza.
Ritornato Re Ferdinando sul trono di Napoli, Andria, che tanto aveva sofferto per la causa del Borbone, ne fu largamente retribuita dal Re, per la sua fedeltà. Un Reale Decreto da Napoli esonerava la nostra città da ogni imposta fiscale, e dalla recluta di soldati per un decennio. Tal privilegio, però, non durò che sei anni appena, essendo nuo-vamente le cose andate male per la casa Borbonica, come diremo nel Capo seguente.
NOTE   
[51] Ettore Carafa fu giovine ardimentoso, da non impallidire neppur dinanzi alla ghigliottina! Si racconta che il Boia, avendolo invitato a mettersi in ginocchio sotto la mannaia, egli volle mettersi supino, per non curvare il capo innanzi alla morte! … Non volle neppur esser spogliato da altri: e, dopo essersi da se stesso spogliato, rivolto al Boia, disse: Dirai alla tua Regina come seppe morire Ettore Carafa. Riferite al Re queste circostanze questi, sorridendo, esclamò in dialetto napolitano: U Duchino à fatto u guappo fino all’ultemo! … (Il Duchino ha fatto il coraggioso sino all’ultimo!)

[tratto da “Il Capitolo Cattedrale di Andria e i suoi tempi” di M. Agresti, tipi Rosignoli, Andria, 1912, Vol.I, cap.XV, pagg.338-372]