Contenuto

Il volto antico
di
Andria “fidelis”

di Giuseppe Ruotolo (1898-1970)
trascrizione in ebook

Capitolo VII.
S. RICCARDO NELLA LEGGENDA ( pag. 98)

  1. L’Umanesimo della Chiesa ( pag. 100)
  2. La nuova biografia di S. Riccardo ( pag. 102)
  3. La Storiografia dell’Anonimo ( pag. 106)
  4. Quando fu elaborata la Biografia ( pag. 108)
  5. Il vescovo Girolamo Porzio ( pag. 112)
  6. Biografia e vita di S. Riccardo ( pag. 114)

Il ‘400 fu un secolo duro per la vita della Chiesa. Al suo nascere era in corso lo scisma d’Occidente (1357-1417) con le rivalità, le acrimonie, le diverse obbedienze e la conseguente anarchia religiosa. Al suo tramonto era al timone della navicella di Pietro il poco degno nocchiero Alessandro VI (1492-1503).

La letteratura paganeggiante, avviata dal Boccaccio, dilagò sinistramente specie ad opera di alcuni umanisti che, col pretesto dell’ammirazione dell’arte antica, si adoperavano ad imitare e talvolta superare in bassezza le pagine lascive di Epicuro e Lucrezio Caro.

La filosofia cristiana, giunta all’apogeo con S. Tommaso d’Aquino, ora in decadenza, s’immiseriva nelle dispute acrimoniose dei diversi ordini religiosi, tendenti a sopraffarsi a vicenda.

Le guerre continue e nefaste, le molteplici congiure con stragi superiori ai periodi più neri del medioevo, formavano lo sfondo rosso di sangue e di fiamme nel quadro terrificante. Il Salento fu devastato dalle orde turche il 1480; dei 22.000 abitanti di Otranto circa 12.000 furono uccisi, 800 prigionieri furono massacrati in odio alla fede, lo stesso venerando arcivescovo fu barbaramente trucidato.

Eppure nello stesso secolo quanta bontà individuale, quanta religiosità in uomini e donne reazionari alla valanga demolitrice! L’arte pittorica ebbe il suo secolo d’oro proprio nel ‘400. Giovanni da Fiesole, detto il beato Angelico (1387-1455) dipingeva le sue madonne, i suoi angeli e santi con l’animo saturo di religiosità e iniziava quel felice connubio tra lo spirito cristiano e la bellezza romana, che avrebbe dato i capolavori del rinascimento. L’espressione del santo artista: «Chi fa cose di Cristo deve stare sempre con Cristo» fu ed è monito per tutti i cultori dell’arte sacra.

E il popolo, alieno dalle beghe dei grandi, si conservò profondamente religioso e manifestò la sua anima ingenua nei drammi religiosi, rappresentati dentro e fuori le chiese, nei devoti pellegrinaggi ai più insigni santuari, nella lettura avida delle varie leggende dei santi, compilate da pii autori per edificazione e sollievo degli umili.

In questo tempo sorsero nuove feste, come quelle di S. Giuseppe e della Madonna di Loreto; la. celebrazione delle solennità religiose era accompagnata da canti giulivi di laudi sacre; le vigilie erano santificate dalla penitenza e i giorni di digiuno erano osservati fedelmente senza alcuna dispensa neppure per i vecchi e gli operai.

Accanto al popolo sacerdoti esemplari furono apostoli di santità. S. Bernardino da Siena († 1444) e padre Roberto da Lecce († 1483) percorsero l’Italia predicando con efficacia straordinaria l’amore alla penitenza e alla virtù. I fedeli accorrevano in massa e costringevano i predicatori a parlare all’aperto, onde tutti potessero ascoltarli.

La Chiesa annovera molti santi di questo periodo. Emerge fra gli altri S. Francesco da Paola (1416-1507) di vita penitente, che riunì intorno al suo romitaggio, in anguste celle, i suoi seguaci, organizzandoli poi nell’ordine dei Minimi. La nuova milizia della Chiesa, approvata da Sisto IV il 1474, si diffuse rapidamente in Italia e in quasi tutto l’Occidente con benefici spirituali ammirevoli.

L’Umanesimo nella Chiesa.

Le humanæ litteræ, cioè le opere della cultura antica furono studiate come reazione alla decadenza dell’erudizione medioevale. Si volle accentuare lo studio della natura umana per la rivalutazione di energie dimenticate o neglette.

Generalmente il nuovo movimento, incominciato dalla letteratura ed esteso poi alla filosofia, all’arte, alla politica, fu in realtà continuazione del pensiero precedente, ma orientato ad una più intima conoscenza dell’anima umana. L’Umanesimo, considerato come via al Rinascimento, è in fondo l’anima spiritualizzata dalla cultura cristiana, giunta a maturità, conscia delle sue grandezze e delle sue potenzialità. Più che opposizione al Medioevo, ne segna un’evoluzione ed alle volte un perfezionamento.

Gli uomini del tempo, legati alla tradizione scolastica, valutarono in diversa maniera il nuovo indirizzo culturale. I pavidi temettero un ritorno completo del paganesimo minacciante le stesse basi del Cristianesimo; gli intransigenti pensarono alla repressione come unico rimedio salutare; non mancarono gli indifferenti, che sorridevano delle nuove dottrine come di fuochi fatui.

Un pontefice dotto e pio prese un atteggiamento deciso, concedendo all’Umanesimo diritto di cittadinanza nella Chiesa. Fu Niccolò V (1448-1455) il creatore della Biblioteca Vaticana, colui che con la carità di Cristo accolse i dotti del tempo e li aiutò, senza tener conto delle idee più o meno ortodosse di alcuni di essi. Un esempio della munificenza disinteressata del papa fu l’affidamento di lavori con compensi generosi allo stesso umanista Lorenzo Valla, avversario della sovranità temporale dei papi.

«Pronunziare il nome di Niccolò V equivale ad evocare la figura più alta e radiosa del mecenatismo italiano nel secolo XV, la figura del sommo pontefice che a tutte le virtù cristiane seppe associare l’amore più vivo per tutti i godimenti dello spirito e che volle fare di Roma il focolare della cultura, il centro della vita intellettuale e artistica della Penisola». [1]

L’Umanesimo trionfò e regnò nella Chiesa al tempo di Pio II (1458-1464). Enea Silvio Piccolomini fu un grande umanista e un grande papa: oratore, diplomatico, teologo, canonista, storico, poeta. Chiamò a Roma i valenti scultori Paolo di Marino e Mino da Fiesole per importanti opere al Vaticano, a San Pietro e altrove. Egli inoltre fu un ammiratore degli avanzi dell’arte romana e proibì la distruzione degli antichi monumenti. Aveva scritto da cardinale: «Oblectat me Roma, tuas spectare ruinas ex cuius lapsu gloria prisca patet». [2]

Agli andriesi piacerà ricordare che Pio II fu molto devoto di S. Andrea, in onore del quale fece scolpire una statua pregevole ed edificare una nuova cappella accanto alla basilica di S. Pietro, dove collocò il venerato capo dell’apostolo.

Quale fu l’atteggiamento degli umanisti verso la liturgia? Gli ecclesiastici, studiosi delle lingue classiche, sprezzavano il linguaggio latino della decadenza e caldeggiavano soprattutto la riforma dell’ufficiatura. Alcuni leggevano i salmi nella lingua originale cioè in ebraico; altri recitavano tutto l’ufficio in lingua greca. Voci autorevoli si levarono, reclamando un nuovo Breviario per «non lodare Dio con espressioni barbare».

Al tempo di Leone X (1517-1521) e di Clemente VII (1523-1534) si compirono vari sforzi poco riusciti per migliorare l’ufficiatura a cura di Zaccaria Ferrari e Francesco Quignonez, ma solo al tempo di S. Pio V si attuò una parziale riforma.

Nella liturgia laudativa di S. Riccardo soprattutto le lezioni non piacevano agli umanisti per lo stile piuttosto pedestre. Si imponeva una rielaborazione della vita di S. Riccardo. E questa fu effettuata.

La nuova biografia di S. Riccardo.

Per intenderci, chiameremo biografia di S. Riccardo la leggenda dell’anonimo, che viene riportata nel testo latino e traduzione italiana dal D’Azzeo [3] e nella sola versione italiana dallo Zagaria.

Prima di affrontare la questione del tempo e dell’autore, faremo un esame del contenuto, confrontandolo coi documenti finora conosciuti e cioè col calendario e con le lezioni dell’ufficio di S. Riccardo. La biografia conferma quanto è detto nel calendario: S. Riccardo fu vescovo di Andria, nacque in Inghilterra, visse santamente, operò miracoli e fu patrono della città. Il calendario non dice esplicitamente che S. Riccardo era il Patrono, ma lo esprime indirettamente, quando afferma che il suo corpo fu deposto, dopo la canonizzazione, nella confessione della cattedrale, centro del culto liturgico.

Se poi confrontiamo la biografia con l’ufficio compilato dopo il ritrovamento delle reliquie, riscontriamo un accordo sostanziale, ma con estese amplificazioni. E difatti:

1) Mentre la lezione quarta dell’ufficio fa appena meazione dell’origine inglese del santo, la biografia ne fa oggetto di descrizione minuta nella prima parte. Secondo essa S. Riccardo nacque in Inghilterra da nobile famiglia, crebbe negli studi e nella pietà, disprezzò le ricchezze e l’ambizione del comando, ricevette gli ordini sacri e, divenuto professore di teologia, la insegnò pubblicamente». Era pio, pregava in ginocchio e «supplicava Dio per sé e per il popolo cristiano in modo che neppure un giorno trascurava la recita delle ore canoniche in lode di Dio onnipotente e in remissione dei suoi peccati». A questa pietà si congiungeva un grande spirito di penitenza e un generoso amore del prossimo.

2) Nella prima lezione del secondo notturno è detto:
Andriam Richardus
Petro missus venit
La biografia tratta nella seconda e terza parte diffusamente della vocazione diretta da Dio e San Pietro all’episcopato andriese. Dopo aver descritto le condizioni religiose dell’Apulia e di Andria e, dopo aver largamente riferito la tradizione del viaggio in Italia di S. Pietro accompagnato fino a Taranto dal fratello Andrea, dice: «Mentre il beato Riccardo attendeva alle assidue preghiere, gli apparve nella notte Pietro, il santo apostolo di Gesù e gli ordinò da parte di Dio onnipotente di andare nell’Apulia per annunziare la parola di Dio agli andriesi». Il pio sacerdote ubbidì e l’indomani partì con dolore dei suoi e di molti da lui beneficiati. Si recò dal sommo pontefice Gelasio I, da cui ricevette la benedizione e il mandato di recarsi in Andria. Consacrato vescovo, partì alla volta della città.

3) La quarta lezione dell’ufficio accenna all’ingresso di S. Riccardo attraverso la porta santa, dove plurimos languidos invenit, cioè trovò sofferenti, che desideravano la guarigione ed ottennero qualcosa di più prezioso, la sanità dell’anima. «mentis sospitatem». Altrove, nello stesso ufficio, si parla di guarigioni numerose operate dalla preghiera del santo. [4]
La quarta parte della biografia tratta dell’ingresso di S. Riccardo e così incomincia: «Avendo trovato innanzi alla città un cieco ed una paralitica, che chiedevano l’elemosina, cominciò a predicar loro la parola di Dio, ascoltato attentamente, essendo egli professore di teologia e di una straordinaria eloquenza. E, accorgendosi che il cieco prestava particolare attenzione, gli domandò se intendeva credere e battezzarsi con la speranza di ricevere la vista. Il cieco rispose: Credo in Gesù Cristo che tu predichi e chiedo di essere da te battezzato. Ciò detto, dopo che S. Riccardo fece un segno di croce sugli occhi, il cieco immediatamente acquistò la vista e, gettato via il bastone, con l’aiuto del quale camminava quando era cieco, rese grazie a Dio e al beato Riccardo, per opera del quale aveva visto la luce». Dopo guarisce la paralitica. Costei con grida di allegrezza attira il popolo, che accorre numeroso ad ascoltare il vescovo. Il quale espone alla moltitudine il mandato ricevuto da Dio e dal sommo pontefice ed annunzia il Vangelo. Poi in ginocchio rivolge a Dio una preghiera e subito gli infermi presenti guariscono. Dopo entra in città, distrugge gli idoli, fa erigere il fonte battesimale ed esercita la sua missione di pastore di anime.

4) L’inno storico dell’ufficio fa sapere che l’eco della santità del vescovo di Andria si diffuse, con frutti di bene non solo tra gli abitanti della città, ma anche nei dintorni.
La biografia nella sesta parte parla degli infermi portati dai villaggi vicini per ricevere la guarigione, della istituzione del clero diocesano, scegliendo le vocazioni tra coloro che avevano perseverato nella fede anche ai tempi dei barbari, e delle richieste delle città confinanti per ascoltare nel proprio ambiente il predicatore della parola di Dio.

5) L’ottava lezione dell’ufficio accenna appena al viaggio al monte Gargano per la consacrazione, mentre descrive più ampiamente il ricevimento solenne, preparatogli dagli andriesi al ritorno.
Nella settima ed ottava parte il biografo, dopo aver accennato alla carità, allo spirito di penitenza del vescovo di Andria, si diffonde a parlare dell’apparizione di S. Michele Arcangelo sul Gargano, della relazione dell’avvenimento fatta dal vescovo di Siponto al papa S. Gelasio e del comando ricevuto dal pontefice di edificare una chiesa giusta l’indicazione di S. Michele e di invitare per la consacrazione i vescovi di Canosa, Canne ed Andria. Il vescovo Riccardo andò a piedi a Canne e con S. Ruggero si avviò alla volta del monte Gargano. Stanchi ed assolati, non potendo trovare refrigerio nella zona, sprovvista di alberi, chiesero aiuto a Dio. «O meraviglia inaudita! oh! potenza ammirabile di Dio! Non era ancora finita la preghiera dei servi di Dio che apparve una grande aquila con le ali spiegate sul loro capo». Ciò fu di ristoro e rese più spedito il cammino fino a Siponto. Il vescovo sipontino, Lorenzo, comunicò all’indomani ai suoi confratelli nell’episcopato che, per ordine di San Michele, non doveva consacrarsi la sua chiesa e il suo altare. Furono invece consacrati tre altari secondari uno in onore della Madonna, un altro di S. Giovanni Battista e il terzo degli apostoli Pietro e Paolo.

6) Nell’ultima parte della biografia si parla della morte santa di Riccardo, avvenuta ad un’età molto avanzata (decrepita). La fonte della notizia fu offerta dall’antifona dei secondi vespri.
Digna cœli adest dies
pio modulamine
in qua datur santo quies
longo pro certamine
Il biografo afferma che Dio rivelò al santo vescovo la prossima morte. Allora egli «chiamò intorno a sé clero e popolo e li esortò a perseverare nella fede cristiana, osservare i precetti di Dio e di Gesù Cristo nostro Signore, a custodire devotamente le cose sacre e ad eseguire senza mai mancare i detti degli Apostoli e ogni cosa stabilita dalla Chiesa. Li esortò anche a non nuocersi vicendevolmente, assicurandoli che, facendo tutto ciò, avrebbero conseguito la vita eterna. Poi, ricevuti i Sacramenti, elevando gli occhi ai cielo e pregando, spirò nel Signore. La salma, accompagnata dal pianto e dagli onori, fu portata al sepolcro, dove furono operati da Dio molti miracoli. Il cuore ardente e il pellicranio del santo si conservano ancora ed emanano un soavissimo odore».

La Storiografia dell’Anonimo.

L’anonimo ha voluto fare una biografia completa del santo con l’intenzione, come vedremo, di sostituire le antiche lezioni dell’ufficio con altre meglio elaborate. Non si è proposto di stendere un racconto popolare per edificare e santamente piacere. Egli si è rivolto ad ogni classe di cittadini, perché a tutti importava sapere notizie più precise del santo Patrono. Ha cercato, potremmo dire con frase moderna, di inquadrare storicamente la vita di S. Riccardo.

Egli ha concepito la sua storia particolare come la intende il Cristianesimo, superatore della cultura pagana: lo sviluppo libero dell’esistenza umana sotto la paterna opera della divina Provvidenza. Egli ha scritto quella che il Croce chiama la historia spiritualis «che non è più la storia di Atene o Roma, ma della Religione e della Chiesa che la religione rap-presenta, e delle sue lotte e trionfi, cioè delle lotte e trionfi del vero. La storia Ecclesiastica, a differenza delle storie antiche, che non oltrepassavano lo studio empirico, ha per oggetto un valore spirituale, soverchia la storia profana e domina e si afferma come il tutto. Esce dal fortuito e dal caso cui l’avevano abbandonato gli antichi e riconosce come propria legge non più una legge naturale, il cieco fato o l’influsso degli astri, ma razionalità, intelligenza e Provvidenza; concetto anche questo non estraneo all’antica filosofia, ma che ora si scioglie dal gelo dell’intellettualismo e dell’astrattismo e si fa caldo e fecondo» [5].

L’anonimo tuttavia non ha compiuto uno studio critico. Né poteva farlo. Al secolo XV, come precedentemente, non esistevano le norme per discernere le fonti vere dalle false, per carpire dalla tradizione la verità sul passato. Il buon senso e l’acume personale erano l’unico ausilio dello storico. Così aveva fatto l’autore dell’ufficio, così operò il biografo. Il quale ebbe facilitato il suo compito dall’ufficio liturgico, che mancava al tempo del ritrovamento del corpo di S. Riccardo e che invece ora esisteva.

Egli ha cercato di organizzare la materia storica contenuta a frammenti nelle lezioni, nell’inno e nelle antifone, ha approfondito alcuni tratti della vita giudicati più importanti, li ha confrontati con la tradizione orale di Andria e dei paesi vicini e con le vite di altri vescovi santi, ha adattato la materia alla storia della Chiesa studiata nelle opere di Oderico Vitale (1142) o di Antonino Arcivescovo di Firenze († 1459), agli avvenimenti del Gargano, narrati dal Liber Pontificalis [6]; infine ha rivestito il suo lavoro con un latino corretto ed elegante.

Una conferma caratteristica del lavoro di coordinamento storico compiuto dal biografo è data dalla supposizione del viaggio marittimo di S. Riccardo. Il duca Del Balzo, l’autore dell’ufficio di S. Riccardo, riteneva che il viaggio terrestre fosse più conforme alla tradizione popolare della Porta santa, che non è dalla parte del mare, ma si riallaccia alla via traiana per mezzo della via S. Pietro. Il biografo, avendo dato rilievo al periodo barbarico, in cui Riccardo avrebbe esercitato il suo ministero, conoscendo dalla storia che in quell’epoca i viaggi terrestri erano più pericolosi di quelli marittimi, afferma che il vescovo di Andria venne attraversando l’Illirico (Adriatico).

Splendido lavoro quello del biografo, ma non lavoro storico, come oggi si concepisce.

Quando fu elaborata la Biografia.

Il duca Del Balzo il 1438, come sappiamo, trovò le reliquie di S. Riccardo, i calendari e le orazioni proprie della Messa. Quando il romano pontefice Eugenio IV (1431 - 1447) permise la ripresa del culto, l’ufficio certamente non era stato trovato. C’erano tuttavia alcuni sacerdoti anziani che ne avevano letto le lezioni. Da questi sacerdoti e dalla tradizione popolare il Del Balzo poté ricostruire il nuovo ufficio, che fu usato fino alla riforma attuata dal vescovo Resta. Intanto il 1518 insieme all’ufficio fu data alle stampe la nuova biografia di S. Riccardo.

È facile ora stabilire i due termini, entro i quali la biografia fu elaborata. Possiamo e dobbiamo supporre che il duca non avesse intenzione alcuna di correggere l’ufficio, frutto del suo lavoro, delle sue ansie e anche dei suoi dolori, procurati dall’opposizione. Essendo egli morto il 1482, questa data costituisce il primo termine e il 1518 il secondo.

Quale avvenimento poté determinare la compilazione della biografia? Al duca Del Balzo successe il figlio Pirro, il quale fu coinvolto nella congiura dei Baroni e fatto uccidere dal re di Napoli Ferdinando Primo d’Aragona. Il ducato di Andria passò allora a Federico, figlio di Ferdinando.

Questo duca, marito di Isabella Del Balzo, il 1496 divenne re di Napoli, successore del nipote Ferdinando II. Fu un generoso mecenate degli umanisti e tanto entusiasta delle nuove correnti di pensiero, da assumere come motto fatto incidere sulle monete del regno napoletano: Recedant vetera, nova sint omnia. Certamente non piacque al nuovo duca il linguaggio negletto dell’ufficio di S. Riccardo; egli ne patrocinò la riforma. E, quando fu compiuta, egli stesso portò da Andria i manoscritti della biografia come caro ricordo della città, che aveva diretto per dieci anni. Quei manoscritti, prima di essere dati alle stampe furono letti dallo scrittore napoletano Summonte e citati nella sua opera: Storia del regno di Napoli.

Fu il duca Federico l’autore della biografia? Non lo crediamo. Lo scrittore non è un laico, evidentemente è un ecclesiastico. Egli conosce bene la storia delle Chiesa come si poteva conoscere allora, la personalità del vescovo in genere, le qualità del ministero pastorale, l’ambiente ecclesiastico, le vite dei santi. Mentre il duca Del Balzo fa risaltare nelle lezioni dell’ufficio soltanto la santità e i miracoli di S. Riccardo, il biografo tratteggia anche la vita intima del santo e l’ambiente storico in cui sviluppò la sua attività. Cercheremo di scoprire chi sia questo ecclesiastico. Per ora urge sapere se la biografia abbia tali caratteri intrinseci da essere indubbiamente considerata opera del secolo XV e non del secolo VIII, come alcuni hanno creduto di sostenere.

Basta un’attenta lettura della biografia per convincersene. L’autore usa diverse volte la parola andriani invece di andrienses. Il nome Andria è del secolo XII, ma nel secolo XIII si usava ancora quasi sempre l’espressione andrensis per indicare il cittadino di Andria. Nel secolo XIV si usava più spesso il termine andriensis, ma non mancano gli esempi della forma più antica [7]. Nell’ufficio di S. Riccardo abbiamo per la prima volta la denominazione volgare amdrisanus populus. Il biografo, il bravo umanista, ha perfezionato la parola, l’ha ingentilita mutandola in andrianus. Nel secolo seguente, il 1593, le autorità locali faranno incidere sulla porta di Sant’Andrea i versi di Federico II di Svevia con su l’espressione: Ad Andrianos.

E non basta. L’autore della biografia non appartiene a quella corrente umanista, che potremo chiamare di sinistra, sprezzante di ogni vocabolo non classico e tendente a sostituire il linguaggio liturgico con termini della lingua romana e greca [8]. Egli invece usa termini anche recenti che tuttavia non deformano il latino puro, di cui riveste la biografia.

L’espressione che più facilmente colpisce chiunque ha un po’ di dimestichezza con la lingua latina è la seguente: sacrae theologiae professor factus, publice audientibus legebat. Ciò suppone scuole regolari di teologia, organizzate come nel tardo medioevo. Ed anche allora l’insegnante era chiamato piuttosto lector theologiae. La parola professor (dal latino profateri = dichiarare pubblicamente) adattata all’esercizio di una professione richiama alla mente le corporazioni di arti e mestieri, che ebbero maggior lustro nei secoli XIV e XV. Allora il termine classico magister si usava per ogni capo operaio, che avesse subito un saggio di abilità tecnica. Per un insegnante di teologia non era conveniente il termine magister, ma si poteva appropriare quello più generico di professor. Il rilievo fu accennato dal bollandista Papebroch, che volle attirare l’attenzione del lettore, mettendo in parentesi questa osservazione (Vita sacræ theologiæ professorem appellat).

Del resto l’autore non ha alcuna intenzione di disorientare i lettori; egli ha scritto nel secolo XV e non ne fa un mistero. Alla fine della biografia egli ricorda il miracolo del profumo, sprigionato dalle reliquie al momento dell’apertura di esse, come rileva la legenda inventionis del duca Del Balzo. Questo episodio narrato dai due scrittori del santo scioglie il noto gordiano e mette il cuore in pace.

Il vescovo Girolamo Porzio.

Questo vescovo governò la diocesi di Andria dal 1495 al 1503. Fu prima Uditore di Rota e visse presso la corte pontificia insieme ad altri umanisti, tra i quali si distinsero il ciceroniano Inghirami, il poeta Jacobazio, Baldoli da Foligno, Sferulo da Camerino e lo spagnuolo Giovanni Cantalicio vescovo di Penne ed Atri [9].

Influì sulla nomina il duca di Andria? Ne possiamo essere sicuri. A quel tempo i re di Napoli si arrogavano il diritto di nomina dei vescovi e chiedevano a Roma solo la conferma. Fondavano questo ed altri diritti di competenza ecclesiastica sulla Monarchia sicula, con cui vengono indicate alcune concessioni fatte dal papa Urbano II a Ruggero I, conte di Sicilia e da Pasquale II a Ruggero II senza il diritto di trasmetterle agli eredi. Le facoltà furono abolite da Clemente XI (1714 -1715); in parte ristabilite da Benedetto XIII il 1728, furono definitivamente soppresse da Pio IX il 1867 con la bolla Suprema.

Il duca di Andria, amico degli umanisti, conobbe alla corte pontificia l’ecclesiastico Girolamo Porzio e pensò di farne un dono ad Andria, ottenendo dal re di Napoli la nomina a vescovo e dal papa Alessandro VI la conferma.

Questo vescovo è l’autore della biografia di S. Riccardo. Conoscitore perfetto della lingua latina, pubblicò diversi scritti. Il 1492 elaborò un Commentarius [Commentarius de creatione et coronatione Alexandri VI, ed. Roma, Eucharius Silber, 1493] sull’elezione del papa Alessandro VI, destinato al re di Spagna Ferdinando V, detto il Cattolico; il 1493 scrisse a nome dei principi italiani le Orationes allo stesso papa; il 1497 tracciò un dialogo contro il Savonarola [Dialogus Tusci et Remi adversum Savonarolam], dialogo dato alle stampe il 1521 e ripubblicato il 1912 dal tedesco Clemen.

Il duca d’Andria Federico d’Aragona trovò nel dotto vescovo il naturale esecutore dei suoi disegni innovatori. Mons. Porzio si accinse a migliorare completamente le lezioni dell’ufficio riccardiano e stese la dotta biografia. Non la sottoscrisse, perché destinata alla liturgia, voce della Chiesa, non dell’individuo.

E perché la biografia non sostituì le antiche lezioni? Gli ecclesiastici di Andria non vollero saperne. Tradizionalista ed avverso a novità di dubbia lega, il clero andriese non intese preferire all’ufficio del duca Del Balzo un altro, eletto nella forma, ma frutto di erudizione più che di pietà. D’altra parte la biografia conteneva nuovi episodi attinti alla tradizione popolare e i sacerdoti non furono inclini a prestarvi fede. Questa opposizione del clero è confermata da una visita dell’inquisitore di Napoli, Ferretto, il quale venne in Andria il 1544 per darsi conto dello stato d’animo del capitolo e degli altri sacerdoti circa l’ufficio di S. Riccardo. Non sappiamo l’esito della sua opera, ma non risulta che abbia introdotto alcun cambiamento nella liturgia riccardiana.

Né Mons. Porzio ebbe l’ascendente necessario per imporre la sua volontà. Egli visse quasi sempre a Roma presso la sua nobile famiglia e la corte pontificia. Fu stimato per la cultura classica, ma non riuscì ad essere amato ed ascoltato. A quei tempi la residenza era poco osservata dai vescovi e, solo dopo molti sforzi dei papi riformatori del secolo seguente, ritornò in fiore.

Oltre la biografia, abbiamo un’altra testimonianza del valore di Mons. Porzio nell’iscrizione, ammirevole per linguaggio e ritmo classici, dettata per la tomba del predecessore l’andriese Mons. Florio (il vescovo della Vaccarella) [10]. La trascriviamo in omaggio al dotto vescovo umanista.

Andrius Antistes hanc Florius Angelus aedem
Ornavit donis, muneribusque suis.
Optima Praesulibus tradens exempla futuris
divino cultu quos decet usque frui
hic Christum in medii suspendit culmine templi,
Sanguine qui lavit crimina nostra suo.
Ipse etiam multa praesepia finxit in auro
nata Redemptoris, quae pia membra fovent,
condidit, atque Chori numerosa sedilia;
necnon struxit Episcopii diruta tecta sui.
Isque libros plures sericoque auro quoque tecta
qualia sacra decet pallia multa dedit.
Edidit is divi Richardi in honore sacellum
corpus ubi, atque ossa condita sancta jacent.
Hoc quoque, de niveo monumentum marmore factum
erexit, sub quo conditus ipse jacet.

Biografia e vita di S. Riccardo.

La biografia riferisce la tradizione popolare di Andria e dintorni, collegata a fatti storici e supposizioni soggettive, organizzata in forma di lezioni liturgiche. Non possiamo, non abbiamo il diritto di condannare come falso in blocco il contenuto. Cerchiamo di cogliere l’anima genuina di questa tradizione, liberandola dall’impalcatura leggendaria.

S. RICCARDO, PRIMO VESCOVO DI ANDRIA. – Ancora molti lo dicono, ma è proprio vero? Uno dei tre calendari, il più importante, la fonte più certa della storia riccardiana, afferma che S. Riccardo fu vescovo di Andria, ma non il primo. Il quadro del vescovo Cristoforo ha la seguente dedica: Divo Richardo andriensi Episcopo, da cui si può dedurre solo la santità di Riccardo. Il duca del Balzo non afferma di aver rinvenuto qualche indicazione su questo argomento. Tra i documenti da lui trovati, oltre i calendari, ci sono le orazioni della Messa, sostanzialmente uguali a quelle odierne. Ecco la prima di esse: Omnipotens sempiterne Deus, qui beatum Richardum Pontificem et Confessorem tuum sanctorum tuorum collegio sociasti, concede nobis quæsumus, ut eius meritis et precibus tuam misericordiam consequamur et pacem ac mentis et corporis perpetua sospitate fruamur.

Neppure la biografia dice che S. Riccardo sia stato il primo vescovo della diocesi. Però lo lascia trasparire: essa collega insieme l’apostolato di S. Pietro e di S. Riccardo, il primo come fondatore della fede cristiana, il secondo come restauratore del Vangelo nella città ridivenuta pagana. Solo Mons. Resta, nell’annunziare il nuovo ufficio al clero e popolo andriese, dice esplicitamente che Dio concesse loro come dono Richardum primum huius civitatis Episcopum. Noi diremo che S. Riccardo fu il più grande vescovo di Andria, ma non il primo.

LA PORTA SANTA. - La tradizione sulla porta dei miracoli è consacrata da un arco e da una chiesa. Nulla si oppone a questa tradizione e il monumento di arte e di fede ne è eloquente conferma. La chiesa sorse nel duecento e fu rifatta nel quattrocento, Aveva un altare dedicato a S. Pietro, un altro a S. Riccardo e accanto un ospedale intitolato al santo Patrono.

Alcuni hanno dedotto che anche S. Pietro passò da quella porta. L’unione dei due culti nella medesima chiesa esprime solo la riconoscenza di Andria ai due Apostoli della fede. Sappiamo che la città aveva le mura e le porte nel secolo XI, ma nulla possiamo affermare dell’antica Nezio.

Un’altra conferma della porta santa riccardiana è un sasso che si trova a poca distanza ed è chiamato chiancone di S. Riccardo. Il popolo di Andria dovrebbe erigere una cappella votiva sul posto, dove molto verosimilmente il santo presule si formò prima di entrare nella sua città.

VIAGGIO AL GARGANO. - Come è stato detto avanti, nel medioevo i pellegrinaggi al monte Gargano erano frequenti. S. Riccardo vi andò certamente e forse non una sola volta. Questo è l’unico fondamento della tradizione, che, alterata, costituì la trama della biografia.

TEOLOGIA ED ELOQUENZA. - Essendo uno straniero, S. Riccardo difficilmente possedette il linguaggio locale in modo da riuscire un valente oratore. Piuttosto la sua santità, lo zelo, i miracoli ottenuti dall’onnipotenza divina, costituirono un fascino potente per gli andriesi e gli abitanti dei dintorni. Di qui la fama di dottore in teologia ed eloquenza.

LUNGA ESISTENZA. - Il biografo parla di età decrepita. Un apostolato, che ha inciso tanto beneficamente nell’anima del popolo andriese, dovette essere lungo, ma da ciò nulla possiamo arguire sull’età del vescovo santo.

Concludendo e unendo insieme le notizie storiche con la sostanza della tradizione, possiamo determinare un compendio storico della vita del santo Patrono.

«Oriundo dall’Inghilterra, egli visse nel secolo XI, quando la sua nazione era dominata dai normanni. Mentre Andria si rifaceva dalle antiche e recenti sventure, consacrato vescovo, fu inviato dalla santa Sede a ristabilire la religione quasi dispersa dall’assenza di apostolato e dallo sbandamento, prodotto dalle guerre continue.
Sin dal suo ingresso attraverso la porta santa generò entusiasmo nel popolo, che da molto tempo non aveva il suo presule. Il vescovo zelante, con la vita santa, coronata da grazie soprannaturali e miracoli divini, riuscì a far risplendere di nuovo vigore l’avita fede dei Cittadini e ad attirare al centro urbano gli abitanti dei villaggi vicini, agognanti difesa e protezione. Il vescovo pio, per alimentare lo spirito di sacrificio, compì vari pellegrinaggi, tra i quali rimase memorando quello del Gargano.
Dopo un lungo governo, confortato dalla riorganizzazione del clero e dalla corrispondenza dei cittadini, spirò nella pace del Signore».

NOTE    (nell'originale le note sono di pagina, non di fine argomento)

[1] Eugenio Muntz: L’arte italiana nel Quattrocento, Milano, 1894.

[2] Pastor L.: Storia dei Papi, vol. II.

[3] D'Azzeo: Andria nel I° Millennio e il Gargano nel V secolo, Subiaco 1938.

[4] Vedi l’inno storico e le antifone del Terzo notturno.

[5] Croce: Teoria e Storia della Storiografia, Bari, 1917.

[6] Il Liber Pontificalis tratta della storia dei papi nei primi nove secoli. È diviso in due parti, di cui la prima fu composta nel secolo VI e la seconda nel IX.

[7] Nella relazione delle Decime del 1310 e 1325 l’aggettivo andriese è scritto quattro volte nella forma latina più antica e quattro volte in quella più recente. V.: Rationes decimarum Italiæ - Vendola - Poliglotta vaticana, 1939.

[8] Il poeta napoletano Jacopo Sannazzaro (1458-1530) nell’opera: De Partu Virginis volle omettere la parola Jesus perché non latina. Questo poeta fu carissimo a Federico II d’Aragona e lo seguì il 1499 nell’esilio di Francia.

[9] Pastor: Storia dei Papi, Vol. III, Roma 1942.

[10] L’iscrizione andò perduta; per fortuna fu copiata dall’Ughelli [nell'Italia Sacra].