La Chiesa di S. Francesco

Contenuto

Monografie Andriesi

di Emmanuele Merra, Tipografia e Libreria Pontificia Mareggiani, Bologna, 1906, Vol I, pagg. 335-382
Chiesa di San Francesco

VI
La chiesa di
San Francesco

sommario


I - Il Convento dei Frati minori Conventuali.

Vol I, pagg.335-339

Mentre Federico II di Svevia riempiva della fama delle sue imprese civili l’Italia nostra; Francesco d’Assisi la profumava soavemente con la celeste fragranza delle sue elette virtù religiose. Ed il popolo italiano s’innamorò sino all’entusiasmo di quest’uomo che fu tutto serafico in ardore, e fu il vero suo amico, e da per ogni dove murò conventi e tempii di meravigliosa architettura pel novello ordine da lui provvidenzialmente istituito.
Tra le cento città d’Italia, Andria, che pro¬babilmente dovette ascoltare la voce di questo uomo singolare, reduce da Bari, ove lo Svevo ne sperimentò la virtù, fu una delle prime ad erigere, quattro anni dopo la morte di lui, il chiostro e la chiesa. Questo patrio monumento fu visto sorgere nell’anno 1230, quando Andria accoglieva festante tra le sue mura Re Federico, nel suo ritorno da Gerusalemme, e da quello era salutata col titolo glorioso di città fedele: Andria fidelis nostris affixa medullis.
Infatti nel chiostro, sul lembo superiore d’una bellissima porta, che metteva nella chiesa, a caratteri gotici si legge: Hoc opus factum est in anno Domini MCCXXX. Questo edificio però non ebbe il suo compimento se non dopo centosedici anni!
La causa di così lungo interrompimento pare sia stata la persecuzione selvaggia mossa, nel 1240, dall’imperatore ai Frati minori e Frati predicatori, per sospetto che fossero latori ai Baroni ed ai Vescovi degli ordini del Papa contro di lui [1]. Per la qual cosa egli, oltre a cacciarli dai chiostri, alcuni bruciava, altri annegava, dopo di averli fatto trascinare a coda di cavallo, altri esiliava ed altri affogava nelle acque! [2]
Con la morte dello Svevo, cessata tale inumana e sacrilega persecuzione, la fabbrica fu intrapresa, e nell’anno 1346, sotto il pontificato di Clemente VI, si ebbe il suo compimento per opera del maestro Bonanno da Barletta, come a caratteri anche gotici si vede inciso sulla medesima porta: MCCCXLVI Sub Pontificatu Domini, Domini nostri Clementis VI. Papae per Magistrum Bonannum de Barulo.

[1] MURATORI, Ann, Tom. VII, anno 1240.
[2] HUILLARD-BRÉHOLLES, Hist. Dipl.

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II - Prime donazioni fatte ai Conventuali.

Vol I, pagg.339-344
I frati, che abitarono questo convento, furono i minori conventuali. La regola non gl’impediva di essere possidenti, e coll’andare del tempo, in Andria e fuori, ebbero molti beni, parte loro donati dalla pietà dei fedeli, e parte da essi acquistati. Fra i conventuali della Provincia, questi furono i più ricchi.
Da un atto del 20 aprile 1380, rogato dal Notar Pietro Isaia di Cerignola, rilevasi che la prima donazione a questi conventuali sia stata fatta dal terziario Fra Giovanni di Ricca, andriese, il quale legava loro una vigna e cinque ordini di viti quadragenarie, site nel chiuso, detto di Matteo Notar Gualterio, ed altri ordini trentuno ed un terzo di viti anche quadragenarie, nel chiuso di Damele. Gli donava inoltre: due seggi delli tre, che esso donante disse possedere in un luogo della chiesa maggiore, poichè il terzo dei medesimi, che è di palmi tre e mezzo, volle che restasse in detto luogo per comodo dei Frati suddetti, con patto che questi fossero tenuti a sovvenirlo cogli alimenti vita sua durante, ed a seppelirlo dopo morto nella loro chiesa [3].
Nel testamento che non è affatto autentico, di Francesco I del Balzo, Duca di Andria, rogato ai 23 aprile 1420, dal Notar Antonello Montagnone, si legge la seguente disposizione a favore dei Conventuali: Item lasso alli Frati di San Francesco che li siano comprati tumula venticinque di grano, quattro tumula di fave, due di faggioli, due di lemicoli, et quattro botte di vino nero, et più li lasso il panno di tela d’oro velluto abbroccato, quale ave da servire pell’altare maggiore della sua Chiesa in detta città di Andria, et questo pro una vice tantum. Lasciava pure al suo confessore, che era un minore conventuale, e che volle fosse insieme con Gabriele del Balzo Orsino esecutore testamentario, quanto segue: Item lascio al P. Fra Antonio de Jodice di Nola abitante nel monastero di detta città di Andria che le sia fatto un vestito ipso facto con il suo ferrajolo, e che le sia comprato un messale delli più belli ed un officio secondo il merito di detto P. Antonio mio confessore [4].
In prosieguo a questi frati furono fatte le seguenti donazioni. Il 20 luglio 1636 Vincenzo Lupicino avendo fatto il suo testamento per mano del Notar Francesco Giacomo Petusi, tra le altre cose, fondò ed eresse nella Cappella di S. Angelo dentro la Chiesa di S. Francesco dei minori conventuali una Cappellania, o dritto patronato dei magnifici Lupicini, suoi antenati, e per dote di essa legò carra tre di terra in San Lizio, col peso di far celebrare in perpetuo in detta Cappella, quattro messe la settimana per l’anima sua, e dei furono Giovanni Antonio Lupicino, e Beatrice Conoscitore, suoi parenti [5]. Il 26 ottobre 1656, da Giuseppe Volpone, carra 2 di territorio nel luogo, detto il Pedale della Monaca, per celebrazione di messe. Il 27 febbraio 1703, da Barbera de Angelis tutti i suoi beni, con l’obbligo che dalle annue rendite dovessero celebrarsi messe a carlini cinque per l’anima sua. Ai 22 giugno 1707, da Caterina Montescaglioso, ducati 260, con l’istesso peso. Ai 13 luglio 1716, da D. Riccardo Figliolia e fratello una casa patrimoniale nella Trasondola di Mastro Natale Vurchio. Ai 9 febbraio 1720, da Leonardo Decorato, detto lo Scarnato, vigne 6 ½ di viti, vignali 2 di terre seminatoriali con alberi di mandorle, una torre alla Scolca, ed una casa alla prima Scalella delle Grotti, per celebrazione di messe a carlini tre. Il 26 marzo 1721, dalla signora Beatrice de Rossi, vedova de Mutiis, ducati 400, con l’istesso obbligo. Il 17 luglio 1720, da Elisabetta Pepe una casa palazziata, nella strada di S. Francesco. Finalmente a tacere di altri lasciti, ai 14 luglio 1748, dal Prevosto D. Giuseppe Scarcelli vigne 2 ed ordini 31, alle Grotte: vigne 3 ed ordini 21 e viti 20 alla Scolca, vignale 1, ordini 17 e viti 20 di terreno seminatoriale nel medesimo chiuso, per celebrazione di messe a carlini tre.
Dal fruttato di queste donazioni, e dalla vendita di altri legati pii, i conventuali fecero acquisto dei seguenti fondi. Nel 1661 comprarono da Riccardo Zagaria carra 15 ½ di territorio, chiamato Grotta di Guida e Casa d'Angelo, per ducati 6120. Al 1.° febbraio 1780, dall’abate D. Francesco di Leo di Corato vignali 22 con torre e giardino, in Bisceglie, per ducati 1150. Nel 17 ottobre 1709, da Francesco Antonio Scaringi 2 vignali. Ai 21 aprile 1721, dal signor Lorenzo e figli Boccapianola di Bari, carra 3, vignali 5 ed ordini 5 ½ di territorio, detto le Pilelunghe, contiguo a Zagaria, per ducati 2000; ed ai 24 del medesimo mese, dai fratelli Tota di Andria, carra 1 e versure 5 anche alle Pilelunghe, per duc. 660. Ai 26 marzo 1724, una vigna ed alquanti ordini per duc. 56. 42, nel chiuso di Trotta. Ai 24 aprile 1756, i Frati, col regio assenso e col decreto Liceat della Corte Ducale, comprarono per ducati 222 dalla Magnifica Università di Andria canne 181 ½ di sito vacuo, sopra le mura di S. Francesco. Su questo sito essi costruirono molte casette, donate poi, nel tempo della restaurazione borbonica, agli Agostiniani Scalzi, e demolite nella rivolta del 1860 [6].
Oltre questi ed altri territorii, che per amore di brevità non numero, i Conventuali comprarono pure gran numero di canoni e di censi, ed ebbero ancora vacche e bovi e pecore e giumente moltissime.

[3] Gabreo dei minori conventuali di Andria, esistente nella Curia Vescovile.
[4] PASTORE, Storia mss. della Città di Andria, parte II, cap. V, pag. 151. — Il D’Urso nella sua Storia di Andria, lib. V, cap. IX, pag. 100, riporta l’istesso testamento, ma con qualche variante, specie nella disposizione a favore dei conventuali, dice p. es.: tumula 40 di grano: 20 tumula di fave: 8 di lemicoli, e salta: tumula 2 di faggioli. In quella a favore del suo confessore dice: Di più le dono dalla mia libraria tutta l’opera di S. Agostino e la Storia di Concelj.
[5] (Platea omnium bonorum etc. Convent. Carmelitarum Andriae etc. pag. 136).
[6] Gabreo dei Min. Conv. di Andria, ecc.

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III - Il prospetto della Chiesa dei Conventuali.

Vol I, pagg.344-347
Di queste vistosissime rendite i Frati si servirono per sfoggiare non in lusso secolaresco, ma nella pompa immortale delle arti cristiane; ed a tal uopo in onore del Serafino d’Assisi, l’ispiratore celeste delle arti belle, costruirono il loro magnifico Convento e la elegantissima loro Chiesa ad una navata, di stile gotico, come lo dimostrano le finestre di lunghissimo vano, ora chiuse, e le due porte di pietra, poste l’una nel prospetto, che è di una imponente altezza, e l’altra a fianco d’esso.
«La Chiesa di S. Francesco, scrive Schulz, si accorda nel suo stile colla Chiesa di S. Agostino» [7]. La porta del prospetto, a sesto acuto, è vagamente abbellita da modanature a rilievo, tanto negli stipiti, che nei controstipiti formati da una fascia verticale, a modo di cornice, tramezzata da otto riquadri, quattro a dritta e quattro a sinistra, distanti fra loro due palmi. Ognuno di questi dadi quadrati presenta un rosone di vario e delicato lavoro, bellamente ricinto di foglie; oltre quattro eleganti cornici arcuate, che ricorrono nel vano triangolare del sesto acuto, il quale si eleva dall’architrave sino alla punta, dietro cui sta scolpito un Agnus Dei.
La prima di queste cornici scanalata, e lascia negli opposti fianchi due altre cornici a cilindro ritorte, formando un arco acuto di circa palmi quattordici.
La seconda, delicatamente solcata a foggia di gocciolatoio, percorre l’arco in palmi dodici.
La terza, anche scanalata, si stende fra due cilindri levigati, e per circa palmi dieci si curva.
La quarta finalmente, a guisa di panneggio ben ricamato, forma l’arco di palmi otto.
Alle basi di queste cornici si veggono scolpiti due dragoni alati, in atteggiamento di mordersi le code; o come opina il prevosto D. Giovanni Pastore, due volpi, stemma della famiglia Volponi o Volpicelli, i quali forse ne costruirono il tempio [8]. Infatti accanto ad un’antica finestrina gotica, ora distrutta, adiacente alla porta piccola della Chiesa, vedevansi due quadri di pietra, su cui erano scolpiti a bassorilievi due animali, che sembravano volpi, con una gualdrappa addosso. Le fasce, che fiancheggiano con sveltezza il portale, hanno i capitelli elegantemente lavorati. Più sopra della porta stanno, in due nicchie, le statue di S. Francesco d’Assisi a destra, e di S. Antonio da Padova a sinistra; pare che siano di stucco. In mezzo alla facciata si apre un grande finestrone di stile moderno, invece del gotico, che al certo doveva vaghissimamente ornare questo prospetto, i di cui lati sono corsi da una cornice.
La seconda porta, che sta a lato della Chiesa, è più piccola ed è graziosissima. È formata a sesto acuto dall’architrave in su, ed è tutta bellissimamente ornata da stipiti e da una svelta cornice lavorata a spira, ed orlata, come di delicati merletti, cospersi di gigli. Sul triangolo di essa è scolpita a scheletro l’immagine del Serafino alato, che stimatizzò il Poverello d’Assisi; mentre nella lunetta si ammira un affresco di buon pennello, rappresentante il Santo di Padova, con Gesù bambino tra le braccia.

[7] I monumenti del medioevo nell’Italia meridionale, vol. I, p. 153.
[8] Storia mss. della città di Andria.

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IV - Il Chiostro.

Vol I, pagg.347-351
Accanto al prospetto della chiesa si apre un pregevole chiostro di stile gotico, con i portici impostati su pilastri, decorati di affreschi veramente belli; ma ora sventuratamente corrosi dal tempo, ed in parte deturpati dal fumo, e fatti scomparire dalla mano barbara dell’imbianchino! Essi rappresentano la mirabile vita di colui che meglio in gloria di ciel si canterebbe, ed i principali santi che nel suo ordine fiorirono. Nel mezzo del chiostro vi è uno spazioso cortile con una grande cisterna. Dopo la soppressione dei frati, nel 1812, questo chiostro, come quasi tutti gli altri, fu convertito in carceri, le quali crebbero col diminuire dei conventi; ora è mutato in pubbliche scuole.
Belle sono le quattro porte di pietra a sesto acuto, che stanno in questo chiostro, il quale, senza dubbio, dovette essere ingrandito nel 1618, come leggesi inciso sul capitello del primo pilastro.
La prima porta, che anticamente doveva mettere nella chiesa, ed ora è chiusa a muro, è quant’altra mai bellissima, e vagamente contornata da stipiti, lavorati a rilievo, con piccoli cerchi, nei di cui vani sono scolpiti degli arabeschi a triangoli da sembrare tante foglie di palma ripiegate alle punte. Segue un’altra cornice elegantemente lavorata, come la prima, e tutte e due sono difese da una terza infissa di taglio nel muro, onde rafforzarle per la maggiore adesione. Alla sommità di questa artistica porta sta sospeso uno stemma lapideo, in cui è scolpito sopra tre monti un albero di quercia, con due teste di porcelli al di sotto. È l’arme della famiglia Porziotta. In una nicchia, infatti, che gli sta sopra, si vede un mezzo busto in pietra, rappresentante l’andriese fra Giovanni Porziotta, provinciale, insigne teologo ed illustre oratore. I frati nel 1626, perchè la memoria di lui, col passare degli anni non perisse, gli eressero questo monumento con la seguente epigrafe:
D. O. M.
FRATRI JOANNI PORTIOTTO ANDRIAE THEOLOGO INSIGNI
IN PRAECIPUAS 1TALIAE URBES CONCIONATORI PRAECLARO
S. NICOLAJ PROVINCIAE OB V1RTUTIS PRAESTANTIAM
AD PROVINCIALIS MUNUS EVECTO
FRATRES EIUS MONITA ANIMO CEU PRIDEM
AURIBUS AURIRE CUPIENTES
NEVE EIUS USUS MEMORIA
ANNORUM VETUSTATE ABOLERETUR
EREXERE A. D. MDCXXVI
La seconda porta, quella della sagrestia della Congrega di S. Chiara, è tutta bellamente fregiata all’intorno quasi da un elegante panneggio con frange alla punta.
La terza ha dall’architrave in su una cornice ritorta ad arco.
La quarta, finalmente, è circondata all’intorno da una fascia di fiori a quattro foglie, chiusi da cerchietti di due opposte trine, che, serpeggiando, s’intersecano fra loro.
Rimpetto a quello di Porziotta vi è un altro mezzo busto di un altro provinciale ed illustre teologo andriese, fra Angelo Vigenio, il quale, dopo di avere arricchite di scienze le Università di Napoli e di Padova, nel partire da Ferrara per portarsi ad illustrare quella di Bologna, cadeva disgraziatamente dal cocchio cui s’era spazzato l’asse, e dopo venti giorni moriva! Un suo memore alunno, fra Cristoforo Palmieri, essendo provinciale, ne faceva la proposta nei comizi tenutisi a Montepiloso nell’anno 1566, e poi, qual guardiano di questo convento, nel 1580, gli ergeva il monumento con questa iscrizione:
D.O.M.
Fratri Angelo Vigenio Andriae Theologo suae memoriae principi, qui S. Nicolaj Provincia iterum gubernata Gymnasio Neapolitano et Patavino scientiis aucto, Bononiam tandem illustraturus Ferraria discedens, currus effracto axe, vigesimo post die obiit aetatis suae… Frater Christophorus Palmerius beneficus Alumnus cum prius Provincialis anno Domini MDLXVI apud Montem Pilosum Patribus ad Provincialia comitia vocatis praefuisset, et nunc anno Domini MDLXXX huius almi Conventus Guardianus iterum ponendum curavit.
Fiorirono pure in questo convento per dottrina altri andriesi, cioè il Guardiano fra Tommaso Musci, il quale nel 1730 dette alla luce, in Venezia, ove dimorò molto tempo, Il Cristiano occupato per lo spazio di dieci giorni, e poi la Vita di San Rocco; ed il padre maestro fra Vincenzo Marchio, uno dei deputati per la fabbrica del campanile di S. Francesco, che lasciò inediti molti panegirici ed un quaresimale [9].
Narra il P. Bonaventura da Fasano, che in questa Chiesa dei Frati Conventuali di Andria, stia sepolto il corpo del Beato Lando da Taranto, il quale fu Ministro di questa Provincia, come dicono il Pisano, il Gonzaga, Marco, e Wadding, negli anni 1385, e 1399; però non si conosce il luogo del suo sepolcro [10].

[9] D’URSO, Stor. di Andria, lib. VIII, cap. VI, pag. 199.
[10] De Beato Lando de Tarento, qui fuit minister huius Provinciae, memorant Pisanus, Gonzaga, Marcus, et Wadding (an. 1385, n. 4 et an. 1399 n. 59). Jacet hic Beatus in Conventu Andriae, quem retinent PP. Conventuales: hoc pro certo habetur, sed non locus eius sepulturae. P. BANVENTURA A FASANO, P. II. C. V., p. 140.

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V - La Chiesa dei Conventuali ammodernata.

Vol I, pagg.351-362
In sul principio del secolo passato sventuratamente si destò in Andria il genio malefico di rimodernare tutte le chiese di stile gotico: ed a somiglianza della cattedrale ammodernata molti secoli prima, e poi di quelle di S. Agostino e di S. Domenico, tutte e tre gotiche, venne in stile barocco rimodernata anche la chiesa di S. Francesco!
Le finestre di lunghissimo vano, che mandavano nella navata una luce scarsa e misteriosa tanto atta al raccoglimento ed alla preghiera, e che non parevano aperte per dar altra veduta se non del cielo, furono chiuse, ed aperte invece undici grandissime finestre, che d’un’onda abbagliantissima di luce inondano il tempio.
La vôlta, che ripercuote le supplichevoli melodie dei sacerdoti dell’Invisibile, disposate alle armonie dell’organo, addivenne assai più sfogata e fu tutta abbellita di elegantissimi lavori a stucco in grandi rilievi, di fiori, di foglie, di angeli, di graziosi finimenti. Nel mezzo si vede lo Spirito Santo in forma di candida colomba, fra nubi, e serafini, e raggi dorati; mentre sul frontone dell’arco di sublime altezza del presbitero, quattro grandi angeli in mezzo alle nuvole sostengono lo stemma francescano.
I due laterali della chiesa, abbelliti da pilastri, coronati da splendidi capitelli corintii, lasciano tre spazi per tre altari da ogni lato. Un ricchis¬simo cornicione, girando tutto intorno, li divide dalla volta.
In questi restauri pare sia scomparsa una cappella dedicata a Santa Maria dei Miracoli, ivi eretta dai fondamenti da Donato De Magistris, alla quale, con atto del notar Ettore Santacroce, rogato il 9 ottobre 1610, Pasquarello Tupputi, in qualità di procuratore di Giovanni Bernardino Del Mastro, donava ducati 50 con l’obbligo ai frati di comprarne un annuo censo, e dal fruttato continuare a cantarsi, in ogni sabato, una messa in onore della B. Vergine per l’anima di esso donante e dei suoi successori, e di seppellirsi nel sepolcro, esistente avanti detta cappella, solamente i morti della famiglia De Magistris e suoi eredi [11].
L’altare maggiore, tutto costruito di finissimi marmi bianchi e colorati, scolpiti ad alto rilievo, è quant’altro mai elegante e maestoso. Si eleva su quattro bianchi gradini marmorei, ornati di fasce di marmo africano, listate di nero. Ai due lati sono seduti due grandi angeli meravigliosamente scolpiti a tutto rilievo; essi stringono tra le braccia due cornucopii; mentre due ingenui e cari serafini stanno a destra e sinistra del ciborio, che ha una raggiera di marmo giallo, e la di cui portellina di argento rappresenta a bassorilievo Gesù, che distribuisce il pane eucaristico ai suoi dodici Apostoli. La mensa è sostenuta da piedistalli scorniciati. In mezzo al frontone, che arieggia un’urna, spicca una croce di metallo dorato circondata di raggi, infissa in un cerchio anche di metallo dorato, sopra un fondo di pregevole lapislazzolo. In fine una balaustra di marmo bianco ed africano, ornata di arabeschi e di teste di serafini, ben scolpiti, chiude elegantemente il presbitero.
Vi sono altri sei altari laterali, che prima erano tutti di stucco. Di poi quello di S. Francesco fu fatto di marmo bianco, nel 1860, dalla pietà dei fratelli Riccardo e Gennaro Latilla [12]. Su questo altare si ammira un bellissimo quadro di ottimo pennello: rappresenta il glorioso Poverel d’Assisi, rapito in estasi beatissima di paradiso al dolce suono d’un violino da mano angelica gentilmente toccato. Questo altare fu privilegiato, il 3 ottobre 1751, da papa Benedetto XIV.
L’altare, una volta dell’Addolorata ed ora della Immacolata, di ottimi marmi colorati, fu costruito, nel 1840, dalla nobile famiglia Jannuzzi, devotissima della Madre dei Sette Dolori, e ne fece pure la statua [13].
Quello di S. Biagio, di S. Bonaventura, di Sant’Antonio Abate e della Madonna del Carmine, nel 1888, fu fatto di marmo dai devoti del medico, vescovo e martire di Sebaste, S. Biagio.
Era pure di stucco l’altare di Sant’Antonio da Padova, il quale, nel giorno 20 aprile 1695, venne dalla magnifica Università di Andria, con il voto del Capitolo cattedrale e con l’assenso Apostolico, dichiarato protettore minore di questa città, per i molti beneficii compartiti alla medesima. Ogni anno, ai 13 giugno, il Corpo municipale era tenuto a prender parte alla solenne processione del Santo, ed offrirgli un cereo, come da istrumento di notar De Micco [14]. In luogo di questo altare, sfondato il muro, venne costruito un elegantissimo cappellone, sacro alla Regina dei Martiri, dalla munifica pietà del conte Onofrio Spagnoletti-Zeuli, che vi spese la cospicua somma di circa lire 24,000. L’altare di marmo, nel 1887, fu donato da S. E. Monsignor D. Stefano Porro, vescovo titolare di Cesaropoli, ausiliare del vescovo di Andria, Priore di S. Riccardo, e rettore spirituale dell’Arciconfraternita dei Servi di Maria Addolorata, quivi esistente [15]. Il quadro di Sant’Antonio, di non mediocre pennello, passò nell’altare della Immacolata, ove nell’anno 1898 fu eretto un altare marmoreo alla Santa Famiglia ed al Santo di Padova dalle sorelle Decorato. Quello di S. Giuseppe da Copertino, ben dipinto in tela, è rimasto tuttavia, com’era, di stucco.
La chiesa di S. Francesco ha delle belle statue, scolpite in legno. Primeggia fra queste quella di S. Francesco, eccellente lavoro dell’egregio scultore andriese, Vito Brudaglio, il quale, nel 1786, essendo stato per varii mesi pietosamente ospitato nel chiostro dei Minori conventuali, onde sfuggire l’arresto intimatogli, per gli arretrati della contribuzione dell’annona; in testimonio d’interminabile gratitudine, donava loro questa statua [16]. In secondo luogo è da mettersi quella di S. Giuseppe da Copertino, in atteggiamento di levarsi in estasi, alla vista d’una croce, sostenuta da due angioletti. È lavoro dello scultore Riccardo Brudaglio, fratello di Vito. Si racconta, nè io me ne fo garante, che l’artefice avendo fatto questa statua per una città del leccese, probabilmente per Copertino, ricorrendo la festa del Santo, i Padri conventuali di Andria, vollero benedirla, ed esporla alla pubblica venerazione, nella loro chiesa. Finita la festa, mentre la si dovea riportare in casa Brudaglio, per essere spedita alla sua destinazione; con meraviglia di tutti gli astanti, la si vide piangere copiosissimamente tanto, che molti astersero con pannilini quelle lagrime, e religiosamente li serbarono come preziosa reliquia! Per tale motivo questa statua restò in Andria, e per quella città, che avendone saputo il prodigio, la voleva ad ogni costo, dovette farsi un’altra similissima.
Sono pure buonine le statue di S. Antonio e di S. Chiara, probabilmente anche lavori dei fratelli Brudaglio; non che quella dell’Addolorata, scolpita in Napoli.
Nel 1699 i frati decorarono l’absida della chiesa, con un elegantissimo coro di noce, lavorato ad intaglio di ornati, con due fila di stalli, divisi da colonnette striate, con capitelli e basi corintie. L’ordine superiore ha venticinque stalli, e l’inferiore sedici. È un lavoro assai pregevole, ed in tutto, meno nelle proporzioni, che sono più piccole, arieggia il coro della nostra cattedrale, costruito nel 1650, dallo zelo di Monsignor Ascanio Cassiano, Vescovo di Andria. Sopra ciascuno dei sedili superiori avvi una specie di scudo, e sopra ognuno di essi sono incise e disposte queste parole: Ante Deum stantes ne sitis corde vagantes. Si cor non orat invanum lingua laborat. Anno Domini 1699 opus hoc fuit completum. Soli Deo honor et gloria. Amen. Amen. Sulla elegante cornice dentellata dello stallo di mezzo, destinato pel Padre guardiano del convento, ed ornato di due bellissime colonnette artisticamente lavorate a spira, si eleva una pregevole tela, il ritratto vivo e parlante del francescano Ganganelli, il quale fu eletto Papa il 19 maggio 1766, e prese il nome di Clemente XIV.
In fondo all’absida, e sopra il coro, si eleva maestoso l’organo. È una piramide altissima, dipinta ad oro di zecchino su smalto verde, vagamente ornata di cornici e di grandiosi arabeschi dorati. Quattro angeli con le trombe nelle destre, e due eleganti canestri di fiori anche dorati, la fiancheggiano bellamente; mentre un imponente stemma dell’ordine, sormontato da una corona imperiale, dipinta ad oro, si leva sulla sommità di quest’organo, che è di un effetto veramente grandioso. Fu costruito nel 1766, e probabilmente è opera del valente artefice Tommaso Porziotta, l’autore del bellissimo trono vescovile della Cattedrale di Andria.
Alla chiesa bellamente rimodernata mancava un elegante pavimento, ed i frati ai 20 novembre 1753, radunati in capitolo, deliberarono di costruire prima sei nuove sepolture, le quali furono fatte dai muratori Domenico e Vito Jeva, e poi la pavimentarono di mattoni vagamente ornati da larghe fasce di marmo bianco e cinerino, con una grandiosa stella nel mezzo [17]. Le due pile per l’acqua santa, in forma di conchiglie, sono pure di marmo grigio.
Ai 24 aprile 1754 furono ordinati i grandi parati di ottone, che tuttavia ammiransi sull’altare maggiore, e sopra gli altri sei minori. Agli 11 giugno 1755, il P. Baccelliere, Giancrisostomo Germano, proponeva ai frati come essendosi riattata e rinnovata la chiesa antica del convento con nuove fabbriche, stucchi, marmi e pavimento, per compimento dell’opera procedutosi alla formazione di nuovi quadri di buona mano, per servizio delle cappelle ed altari eretti in detta nuova chiesa, con praticarsi ancora gli ornamenti sopratutto dell’altare maggiore in candelieri e croce di ottone, senza tralasciare gli altri altari e cappelle proviste di simili lavori di ottone e fiori; era necessario si facesse pure il pergamo di noce. E fu fatto a cono troncato, abbellito da due angioletti, aventi in mano uno la croce e l’altro l’evangelo aperto, con il calcavoce ornato di fregi dorati in cima. Era necessario si facessero quattro confessionali, e furono col pergamo lavorati dall’egregio ebanista andriese, Giuseppe Gigli. In questo frattempo si fecero le nuove porte, due a vernice bianca con belle cornici dorate nella chiesa, e due altre di acero per l’esterno, come pure quant’altro richiedevasi per compire e mettere in uso la chiesa, rimasta per tale effetto da più anni chiusa [18].
Nel 1759, i conventuali restaurarono, il sepolcro pei fratelli e le sorelle terziarie, e vi apposero sul coperchio questa iscrizione:
D. O. M.
HUNC PRO FRATRIBUS AC SORORIBUS
TERTII ORDINIS
TUMULUM
HUIUS CAENOBII PATRES INSTAURANDUM
CURARUNT VULGARIS AERAE
ANNO MDCCLIX.
La sagrestia venne di molte e preziose suppellettili arricchita, e dotata di un fondo dallo zelo del padre Fra Gabriele Maria Pisani da Andria, maestro di belle lettere e di sacra teologia, oratore zelante, ministro provinciale e commissario generale. Laonde i suoi confratelli, in testimonio di gratitudine, e perchè la memoria d’un tanto uomo non restasse dimenticata, gli eressero in quella un mezzo busto di finissimo marmo, con la seguente epigrafe:
D. O. M.
FRATER GABRIEL MARIA PISANI AB ANDRIA
ARTIUM ET SACRAE THEOLOGIAE MAGISTER
ORATOR ZELOTIPUS MINISTER PROVINCIALIS
ET COMMISSARIUS GENERALIS AEQUISSIMUS
SACRISTIAM HANC SUPPELLECTILIBUS AUXIT
FUNDO DOTAVIT
CESSIT E VITA III NONAS NOVEMBRIS
ANNO AETATIS SUAE LXXV MENS. X. DIE. XIII
VULGARIS AUTEM AERAE MDCCLII
ET NE TANTI VIRI MEMORIAM SAECULA OCCULTARENT
PATRES CONVENTUS
MEMORIAE ET BENEFICENTIAE ERGO
HOC MONUMENTUM POSUERE

[11] Gabreo dei minori conventuali di Andria, ecc.
[12] Seraphico Francisco, Latilla Frates, Richardus et Januarius, Pietatis ergo, D. D. D. A. D. MDCCCLX.
[13] Quo religio Deiparae septeno mucrone tranfixae digniori cultu excitetur familia Jannuzzi iconem et aram de marmore aere suo dicandam curavit A . D. MDCCCXL.
[14] Gabreo dei minori conventuali di Andria, ecc. pag. 214. (Curia Vescovile).
[15] Can. Stephanus Porro Iannuzzi Arch. Moderator donavit 1887.
[16] In un registro delle opere eseguite dal lodato scultore, e che si possiede dal nipote, Vito Brudaglio fu Ludovico, si legge: «A die 21 Settembre 1786, ai padri Frangescani si è fatta, una statua di S. Frangesco che si è regalata al Convento».
[17] Probabilmente in tale circostanza, furono distrutte varie tombe antiche, fra le quali, quelle del nobile Riccardo de Angelis, sulla di cui pietra sepolcrale, trovata in un pozzo nero, sopra dello stemma vi era questa iscrizione: Sep. nobilis Riccardi De Angelis A. D. 1471 - sotto poi si leggeva: Franciscus De Angelis Jo. Thomae Filius restaurare curavit. A. D.ni MDCXZV.
[18] Libro delle conclusioni dei francescani conventuali di Andria, il quale va dal 7 maggio 1753 ai 13 luglio 1791. Si conserva nella Curia vescovile di questa città.

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VI - Il Campanile.

Vol I, pagg.362-369
Ma alla chiesa modernata magnificamente, come leggesi in una conclusione capitolare, fatta dai frati conventuali, il di 10 marzo 1760, mancava il finimento, mancava il campanile, il di cui disegno, fatto da mano maestra era piaciuto a tutti. Laonde il P. Tommaso Maria Bufani, in allora guardiano del convento, ne propose ai padri la erezione. Di buon grado venne accolta tale proposta; vi fu solo disparere circa il luogo ove situarlo. Si pensò dapprima ergerlo innanzi alla porta Carrese del convento; ma vi si opposero i complatearii, e l’impedirono. Tenutisi all’uopo varie sessioni dai padri, si pensò finalmente situarlo nel giardino della sagrestia, in testa alla chiesa. Per l’impianto furono scelti deputati i molto reverendi padri, fra Vincenzo Maria Santoro, ed il Baccelliere fra Giambattista Avanzo. Per la compra del materiale, con cui riempire in quell’anno le fondamenta del campanile sino al livello della terra, e per le spese occorrenti, fu deliberato vendersi un carro di grano, ed il resto somministrarsi dai frutti dei beni del convento, specie dai fitti dei territori, che nel prossimo maggio dovevano esigersi.
Ai 27 maggio del medesimo anno, il detto P. guardiano faceva noto ai frati, come i deputati Santoro ed Avanzo avendo invitati i muratori Vito e Domenico fratelli Jeva a riempire le fondamenta del novello campanile, non avevano questi voluto accettare l’incarico prima di assicurarsi che essi e non altri avrebbero menato a termine l’opera. Inoltre facevano sapere loro, che i fratelli Jeva avrebbero fatto il campanile per quel prezzo, che sarebbe stato valutato dai periti da scegliersi di comune accordo, col rilascio del dieci per cento a favore del convento, e ciò per la sola maestria; mentre tutto il materiale dovevasi somministrare dai monaci sul luogo dell’edificio. Affinchè poi la fabbrica riuscisse più soda, ed il convento potesse portarne poco per volta la spesa; essi deputati erano di parere che tale lavoro si eseguisse in diversi tempi ed in diversi anni. I padri, che conoscevano a prova la perizia e la probità dei maestri Jeva, ben volentieri affidarono loro la fabbrica del campanile.
Fattasi la base della torre, il 28 giugno 1765, dal P. guardiano fra Emmanuele Maria Boccarelli si proponeva ai monaci, che omai si desse principio alla erezione, e che la fabbrica si facesse a giornate e non ad appalto. Per assistenti al lavoro furono scelti i reverendi padri fra Vincenzo Marchio, fra Tomaso Maria Carpignano, fra Saverio Ursi, ed il laico fra Giovanni Sportella.
Il ramiere Leonardo Leonetti, che aveva vestito di piastre di rame il gallo, che gira sul pinnacolo del campanile della Cattedrale, formò anche di rame il globo, su cui è conficcata la croce con una banderuola mobile ad ogni soffiar di vento, e che sormonta quello di S. Francesco. L’anno 1772, il campanile, come leggesi inciso in una pietra, messa nel suo secondo piano, era già bello e fatto, ed aveva incontrato l’approvazione ed il genio di tutti gli andriesi, che non rifinivano di levare a cielo i figli del Poverello di Assisi, e di ammirare la sveltezza, l’eleganza e la sublime arditezza della nuova torre, che conta sessantacinque metri di altezza.
Questo campanile è di stile puramente toscano. Il suo basamento è quadrato, come i tre piani, che su di esso si elevano, e si terminano con una ricca cornice, ornata di dentellatura. Ogni piano ha quattro eleganti finestre, quasi dell’istesso disegno, con balaustre, meno quelle del terzo piano. Le cornici delle finestre del primo piano sono arcuate, e quelle del secondo triangolari. Le finestre del terzo piano, che è di forma ottangolare, non hanno cornici, ma piccoli fregi al disopra. Due pilastrini con capitelli e basi fiancheggiano i quattro lati del primo e del secondo piano. Una svelta cuspide ottagonale sormontata dalla croce, che pare innalzi al cielo l’omaggio concorde della fede e dell’amore degli andriesi, lo incorona sublimemente.
Se ne fece la solenne inaugurazione, con lauto pranzo agli operai, con liete feste popolari; e con fuochi artificiali, che sventuratamente incendiarono un’aia, messa in quelle vicinanze! I Frati però aprirono tosto i loro magazzini, e dettero grano e biade a quanti erano stati da questo incendio danneggiati.
Il campanile formava ornai il decoro della chiesa di S. Francesco, e della città, di Andria; quando ai 30 gennaio 1775, il baccelliere fra Saverio Ursi, discreto perpetuo del venerabile convento, raduna in capitolo i monaci, e loro riferisce come il giorno innanzi dal subalterno della dogana di Foggia gli era stata intimata una istanza, fatta da mastro Vito Jeva, il quale pretendeva di essere soddisfatto delle sue fatighe pel campanile, in ducati 1300; asserendo che non solamente non era stato soddisfatto, ma neppure aveva ricevuto somma alcuna in anticipazione; per cui aveva fatto premura presso l’uditore De Dominicis, affinché il convento fra sei giorni lo avesse pagato. I padri, intesa tale proposta, nominarono deputato fra Francesco Raimondi, laico professo, col mandato di portarsi in Foggia, ed ivi eleggere un avvocato, che difendesse il convento presso quella dogana.
Dopo due anni e mezzo, il 25 giugno 1777, il molto reverendo guardiano, fra Gabriele Frascolla, congregava i monaci, e loro faceva noto qualmente essendosi fatte varie perizie circa il compenso da darsi al Jeva per la costruzione del campanile; finalmente si era deciso di doversi dal convento pagargli circa ducati 1100, nel supposto che il Jeva avesse solo composto l’esterno e l’interno dell’edificio, escluse le midolle. Il convento aveva ciò impugnato, provando con documenti, come esso muratore avesse solo composto delle parti, ma sempre con l’aiuto di altri maestri, pagati giornalmente dalla comunità. Intanto mentre s’intendeva proseguire il giudizio da parte dei Frati, persone ragguardevolissime si erano frapposte paciere, e dopo parecchie sessioni, si era determinato che il convento dovesse pagare al Jeva, in finale compenso di ogni qualsivoglia sua pretensione, la somma di ducati 880, compresi ducati 200 a lui dati, anni addietro. I Frati ad evitare ulteriori spese, e per amore della pace, accondiscesero a questa proposta, e deputarono il P. baccelliere, fra Saverio Ursi, per stipulare l’atto di quietanza [19]. La tradizione dice che i Frati avessero di più donato al Jeva tutto il legname, servito per l’impalcatura.
Due campane, una di cantaia sei, e l’altra di cantaia due, da cinque anni squillavano armoniosamente sul novello campanile; allorchè nell’aprile del 1782, la più grande si ruppe. Fu allora che ai 3 maggio, il P. guardiano, fra Gabriele Maria Frascolla, propose ai Frati di fondersi due nuove campane, l’una di cantaia otto, e l’altra di cantaia quattro. Essi, cui stava sommamente a cuore il culto divino, ed il maggior lustro e decoro della loro chiesa, acconsentirono di buon grado, e ne affidarono il lavoro ai maestri Gerardo Bruno, e Gerardo Alita della Terra di Vignola, i quali, mesi prima, avevano fuse tre campane pel campanile del Carmine in Andria, il quale fu demolita, nel 1804, quando il convento venne mutato in Ospedale militare, e la chiesa, distrutti gli altari, e tolte le immagini sante, fu convertita in corsia di infermi di malattia, che non dico! Finalmente prima ai 24 maggio 1782, e poi nel maggio 1783 si propose di far fondere dai medesimi artefici la quarta campana del peso di dodici in tredici cantaia, pel prezzo di ducati 800 [20].
In tal modo il campanile di S. Francesco fu arricchito di ben quattro armoniose campane, che col loro suono divisero per breve tempo le gioie ed i dolori degli andriesi.

[19] Libro delle conclusioni dei Francescani conventuali di Andria.
[20] Libro delle conclusioni dei Francescani conventuali di Andria.

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VII - Alquante memorie storiche e la Chiesa dei Conventuali.

Vol I, pagg.369-372
Parecchie memorie storiche sono attaccate a questa chiesa.
Fu in questa chiesa, che il 17 gennaio 1606. D. Antonio IV Carafa, III Duca di Andria, e D. Francesco Pignatelli. Marchese di Spinazzola [21], compirono una delle sacrileghe usurpazioni baronali, occupando le prime due sedie delle tre preparate rimpetto al pergamo, serbando l’ultima al vescovo D. Antonio Franco, il quale accortosi di ciò, per evitare brighe, si restò a sentire l’orazione panegirica in onore di S. Antonio Abate dall’altare maggiore [22].
Fu in questa chiesa che, nel 1633, S. Giuseppe da Copertino dei Minori conventuali, celebre pei sublimi suoi ratti, celebrò messa, e dopo la santa comunione, rapito in estasi si levò a volo fin sotto la volta, e vi si trattenne lungamente [23]!
Fu in questa chiesa che, nel 1730, la domenica infra l’ottava del Corpus Domini, monsignor fra Tommaso Cherubino Nobilione dell’Ordine dei predicatori, vescovo di Andria, si rifuggiva spaventato e piangente, col venerabile fra le mani, nella sacrilega contesa, avvenuta in tempo della processione, tra i preti della Cattedrale ed i padri domenicani [24]!
Avendo re Ferdinando IV ordinato una coscrizione militare, per la difesa del regno, i giovani per la paura fuggivano o si rendevano, con mille strani e crudeli rimedii, inabili; fu in questa chiesa che, il giorno 8 settembre 1798, l’uditore Farina, uno dei magistrati venuti da Trani per sedare la rivolta, tenne dopo la messa, una eloquente diceria ai giovani coscritti, e li animò a marciare in difesa del reame [25].
Il Chiostro di questo Convento servì pure per la convocazione dei generali parlamenti della città ai 24 giugno 1798, ai 23 maggio 1799, ai 5 maggio 1805 ed ai 4 maggio 1806, come rilevasi dalle deliberazioni Municipali di Andria.
Fu dall’alto di questo campanile, che si videro nella notte, precedente l’infaustissimo giorno 23 marzo 1799, uscire da Barletta e marciare sopra Andria le truppe francesi, capitanate da Broussier, e guidate da Ettore Carafa, duca d’Andria. Furono le campane di S. Francesco, che fecero terribile eco a quelle della Cattedrale e delle altre chiese, che davano il segnale spaventevole dell’allarme! Ed allorché, dopo una eroica resistenza, la città fu presa di assalto e messa a ferro ed a fuoco dai francesi; la chiesa ed il convento, per buona fortuna, non furono invasi, anzi servirono di ricovero a molti, che vi si rifugiarono. Sventuratamente però dopo l’eccidio furono trovati uccisi i laici Michelangelo Bruni, Francesco Conte ed Antonio Frisolino. Furono feriti, ma non mortalmente: Gregorio Vista, Pasquale Palombella, Giuseppe De Buono, Giuseppe De Angelis [26]. I minori conventuali, come tutte le altre comunità religiose, furono sottoposti alla contribuzione di guerra, cioè alla rata dei 12,000 ducati, che i francesi imposero si pagasse loro, fra quattro giorni, dai vinti andriesi [27]!

[21] Marito di D. Porzia Carafa, figlia di Fabrizio, II Duca d’Andria, e padre di Papa Innocenzo XII.
[22] E. MERRA, Il Trono baronale ecc., Bologna, tip. Mareggiani, 1892, pag. 12.
[23] E. MERRA, La Madonna dei Miracoli d’Andria, seconda edizione, Bologna, tip. Mareggiani, 1876, pag. 79.
[24] D’Urso, Storia d’Andria, lib. VII, pag. 161.
[25] V. Frascolla, Avvenimenti funesti della città di Andria, tra i doc. di E. Carafa di G. Ceci, pag. 90.
[26] Idem, ecc.
[27] Idem, ecc.

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VIII - La soppressione dei Conventuali.

Vol I, pagg.372-375
Intanto si cominciava omai a vociferare che tutti i Conventi del Regno, tra i quali quello dei Conventuali di Andria, dovevano essere soppressi. Per tali voci allarmanti, il 7 febbraio 1807, si convocava in Andria il pubblico Consiglio; ed il Sindaco di allora, D. Nicola Mita, dopo di avere enumerati i grandi beneficii spirituali e temporali, che i Padri Conventuali apportavano a questa città, fu unanimemente deliberato di mandarsi una petizione al Re, affinchè in caso di soppressione, questo Convento, fosse esentato, e la cittadinanza continuasse a godere dei sopraddetti vantaggi. Ma, tale petizione come tutte le altre, fu superbamente derisa e disprezzata!
*
* *
Ai 29 agosto 1807 il Comm. Pignatelli Consultore di Stato, e Ministro del Culto scriveva da Napoli al Vescovo di Andria, Mons. Lombardi, per sapere se i Padri delle diverse Comunità religiose di questa città fossero abili ad insegnare. Il 21 settembre il Vescovo propose fra i Conventuali i seguenti: P. Michele Gesualdo per insegnare lettura, scrittura, aritmetica e Catechismo. Propose inoltre il P. Maestro Francesco Antonio Zanni: il Regente P. Bonaventura Frascolla, ed il Lettore P. Antonio Regano per le Cattedre di Agraria, Veterinaria, e Pastorizia. Indicava pure per Maestri il P. Antonio Gentile, il P. Baccelliere Scialpi, ed il P. Maestro Tagliente, Provinciale dell’ordine (Arch. Vescovile). I Padri Conventuali, come tutti gli altri religiosi, si misero ad insegnare ai figli del popolo, come avevano insegnato sempre. Ma ben presto cioè nel 1809 suonò nel reame l’ora fatale della soppressione delle fraterie possidenti; ed i conventuali di Andria vennero espulsi dal loro chiostro! I molti loro beni furono da re Gioacchino Murat prodigamente regalati ai vittoriosi generali francesi, che li vendettero a varii cittadini di Andria. Il convento in cui fin dal 1806 il Consiglio comunale di Andria fu solito radunarsi con l’intesa dell’Intendenza, venne nel 1812 donato all’Università, che lo mutò in palazzo municipale [28]. Le campane nel 1810 vennero tolte dal campanile, e spedite a Napoli per batterne moneta!
Perchè la chiesa non restasse chiusa al culto, vi fu trasferita la congrega di S. Chiara, che a questo convento in tempi anteriori, s’apparteneva. Il 24 ottobre 1817 l’Intendenza di Bari scriveva al Vescovo di Andria come il Ministro degli affari ecclesiastici volea sapere se fosse necessario che la Chiesa dei Conventuali si mantenesse aperta al culto. A tale domanda il Vescovo rispondeva essere assolutamente necessario che la Chiesa di S. Francesco stesse aperta al culto, come quella che era sita nel mezzo della città, parte la più popolata, ed essendo Chiesa figliale della Cattedrale era da questo Capitolo ben assistita in tutte le sacre funzioni, massime dal suo Can.co Teologo D. Riccardo Jeva, uomo per scienza e per illibatezza di vita impareggiabile, Rettore della Confraternita di S. Chiara, ivi esistente. Inoltre non vi mancava l’assistenza del dotto e religiosissimo P. Francesco Zanni, che vi andava tutti i giorni a celebrare e confessare (Arch. Vesc.). Nel 1834 monsignor D. Giuseppe Cosenza, vescovo di Andria, e poi cardinale di Capua, vi trasferì pure la nobile Arciconfraternita dei servi di Maria Addolorata, che a sue spese riabbellì la chiesa, rinnovò i finestroni, fece fondere due campane pel campanile, che ne aveva appena una piccolissima, e che essendosi rotta, fu rifusa col concorso della Confraternita di S. Chiara.

[28] Deliberaz. del Decurionato di Andria, dal 1807 al 1813, pag. 139

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IX - La Chiesa mutata in Parrocchia.

Vol I, pagg.375-377
Nel 1857, dopo varii contrasti, la chiesa fu elevata a parrocchia dallo zelo instancabile di monsignor D. Giovanni Giuseppe Longobardi, vescovo di Andria, come una lapide ivi apposta, con la seguente iscrizione, lo attesta.
D. O. M.
QUANTA MALORUM LABES
IN ANDRIENSEM POPULUM FLUXERAT
E PAROECIARUM INOPIA
VIDERUNT DECESSORES TUI
NEC SINE LACRIMIS CONQUESTI SUNT
PRAESUL STRENUISSIME
JOANNES JOSEPH LONGOBARDI
TU NON VIDISTI MODO SED VICISTI
OPUS GRAVIBUS OBSEPTUM DIFFICULTATIBUS
PROBANTE PIO IX PONT. MAX.
ANNUENTE REGE FERDINANDO II. P. F. A.
DEXTERITATE ADMIRABILI EXPEDITUM
AD EXITUM PERDUXISTI
EXTAT MONUMENTUM PERENNE
HAEC SANCTI FRANCISCI NOMINE INSIGNIS
INTER ALIAS Q UINQUE CONSTABILITA
PAROECIA
V. IDUS. OCT. AN. CIƆIƆCCCLVII.
Ed i parrochi di S. Francesco, di santo zelo ferventi, furono tutti premurosi in procurare sempre il maggior culto di questa chiesa, con la splendidezza dei sacri arredi, e con la solennità delle religiose funzioni, coadiuvati non poco dalle instancabili premure delle due confraternite laicali dell’Addolorata e di S. Chiara, decoro non ultimo del tempio del Serafino d’Assisi.

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X - I ristauri del Campanile fulminato.

Vol I, pagg.377-379
Il campanile di San Francesco, che per lo spazio di 118 anni tanti nembi aveva gloriosamente sfidati e tante tempeste, nel giorno 29 aprile 1890, circa le 2 ½ pomeridiane, vide nero e spaventosissimo addensarsi un temporale sull’aerea sua croce, e poi all’improvviso scoppiare fragorosamente un fulmine, che ne screpolava la cuspide, lanciandone a grande distanza le pietre, spezzandone in varii punti le eleganti cornici, sfregiandolo pessimamente!
Andria dolorò assaissimo in mirare uno dei suoi tre altissimi e bellissimi campanili cosi malconcio, e da quel giorno non cessò di lamen¬tare l’incuria dei preposti alla cosa pubblica, che non si davano pensiere alcuno di salvare dall’ultima rovina un monumento sacro del secolo passato, monumento eretto dallo zelo di quei frati, che l’ingratitudine dell’età presente taccia di ignoranti e di egoisti! Eppure furono i frati che di tanti meravigliosi monumenti d’arte arricchirono splendidamente le città, specie italiane, in mezzo alle quali elevarono i loro pacifici chiostri, che massime nell’età di mezzo, furono come altrettanti luminosissimi fari di luce. Laonde il Gioberti ebbe a dire: «La frateria, che oggi si deride e si vilipende, incivilì l’Europa».
Finalmente dopo tre anni, dietro le reiterate e vivissime istanze del parroco di S. Francesco, il rev. D. Francesco Decorato, l’ora di ristaurare il campanile per fortuna suonava nel decembre 1893, ed il nostro Municipio, essendo sindaco il cavalier N. Gioscia, spendeva a tal uopo oltre 20,000 lire. Ne assunse l’impresa, sotto la direzione dell’architetto Giuseppe Zagaria, il bravo maestro Emmanuele Merra fu Francesco, che coadiuvato da Michele Azzolini da Molfetta, con rara perizia, e con ottimo successo eseguiva i difficili lavori d’impalcatura, ornai felicemente compiti.
Mentre nel 1895 si andavano accuratamente eseguendo i ristauri da Nicola Pasculli; io son di credere che le ombre venerande dei maestri Jeva, che lo costruirono, e dei frati Marchio, Ursi, Carpignano e Sportella, che ne furono i deputati; invisibili aleggiassero intorno agli operai, perchè le riparazioni riuscissero degne di un tanto patrio e sacro monumento.
Cosi i posteri non potranno rimproverarci di non aver saputo accidiosi conservare questo elegante campanile, che dall’attività dei figli del Serafino d’Assisi, or sono 128 anni, gloriosamente ereditammo.

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Documenti.

Vol I, pagg.380-382
A dì 7 febbraio 1807, in Andria convocatosi pubblico Consiglio ecc, sono intervenuti i seguenti videlicet: General Sindaco, D. Nicola Mita. - Eletti: D. Benedetto D’Urso - D. Giammaria Porzio - Magnifico Michele Musei - Magn. Nicola Grossi. - Decurioni: Michele Bisceglia - Mastro Mauro Sgarra - Mastro Giuseppe Ieva - Mastro Francesco Quacquarelli - Mastro Giuseppe Antonio Pomo - Mastro Nicola di Stasi - Mastro Antonio di Pietro - Mastro Felice di Molfetta. Dal sopradetto D. Nicola Mita, odierno General Sindaco di questa Università, si propone alle SS. LL. qualmente corre voce di doversi sopprimere i Monasteri e Conventi del Regno, compresi quei dei Regolari. In questa città di Andria havvi quello dei Minori Conventuali di S. Francesco. Il medesimo come bastantemente è noto alla intiera cittadinanza, ed alle LL. SS. istesse, le arreca dell’utilità non lieve tanto nello spirituale con delle istruzioni catechistiche, predicazioni, confessioni, messe, assistenza al ben morire, e tutto altro che occorra; che nello temporale con prelezioni teologiche, filosofiche, geometriche, morali, di belle lettere, e rudimenti anche in questo pubblico Seminario. Oltracciò vengon dal Convento medesimo sollevati i po¬veri, e le famiglie oneste e vergognose, con pubbliche e private limosine assiduamente, anche con dispense di pane, di legumi, e di danajo. Le zitelle periclitanti vengono vestite e provvedute di letto, in ogni caso che trovansi a collocare in matrimonio, con esercitarsi ogn’altro officio di pietà e di beneficenza in sollievo della classe dei bisognosi. La Chiesa viene senza interruzione coltivata da sei confessori, e da dodici Sacerdoti, i quali dall’apparire dell’alba sino al mezzogiorno rispettivamente sentono le confessioni dei fedeli, e adempiono al sagrificio della Messa, oltre alle altre opere di carità, dovute al ministero Ecclesiastico, né si tralascia dal Convento istesso di prestarsi colla più cortese maniera di albergare di volta in volta i Funzionari Pubblici e militari per lungo tratto di tempo, e secondo il bisogno il richiede, ed attualmente trovasi da più mesi ad alloggiarvi il Comandante Francese della Piazza. Stante tutto ciò, l’abolizione di questo Convento sarebbe di notabile danno all’intiera cittadinanza, anche perciò essendo il Convento situato nel corpo della Comune, il pubblico verrebbe a perdere un comodo corrispondente ad una parrocchia per lo esercizio delle spirituali funzioni, che con esemplarità e pubblica edificazione si esercitano. Sicché fa d’uopo che questa Magnifica Università umiliasse le suppliche al Real Trono onde si degni, in caso di soppressone, mantenere in piedi il Convento stesso. E perciò dicano le SS. LL. ciò che vogliono risolvere. Ed intesa tale proposta, è stato da tutti a viva voce conchiuso che ridondando a notabile vantaggio la sussistenza del Convento medesimo si umiliino i convenevoli ricorsi in nome di questo Comune alla M. S. che D. G. perchè degnasi estendere la sua protezione verso questo Convento di S. Francesco dei Minori Conventuali, onde il Pubblico seguitasse a godere dei vantaggi tanto spirituali, che temporali, come per lo addietro li ha sempre goduto. Et ita conclusum est. Filippo Teti, Luogotenente - Francesco Antonio Cristiano, Cancelliere.
(Deliberazioni del Decurionato di Andria dal 1807 al 1813, N.° 277, pag. 322, Arch. Com.).