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RELAZIONE STORICA
SULL’IMMAGINE
INVENZIONE SANTUARIO E PRODIGII
DI
MARIA SS. DE’ MIRACOLI D’ANDRIA

operetta del P. Antonino M.a di Jorio, agostiniano
Stabilimento Tipografico del Dante, Napoli, 1853

Capo XI.
Soppressione dei PP. Benedettini dal Monastero di Andria — Umiliazione estrema del Santuario.

Dopo un si frequente avvicendarsi di tempeste e di calma per questo Santuario, surse finalmente un bel sereno di due interi secoli di prosperità e di pace. Il Tempio col Monastero in breve ricevettero il loro perfezionamento, e furono portati a quel grado di singolare magnificenza della quale tutt’ora risplendono. Gli Andriesi particolarmente insieme con gli altri devoti, colmando il Santuario di largizioni, lo resero un capo d’opera tra gli Stabilimenti Religiosi di simil genere, e meritevole non solo di formare la pia bella pagina nella storia di loro Patria; ma di occupare ancora uno dei posti migliori ne’ fasti Mariani, col non potersi decidere, se fu Maria che obbligò essi ad essere can Lei profusi; oppure furono dessi che obbligarono Maria a far di continuo risplendere le sue misericordie sulle loro generazioni.
Ma lo Spirito di abisso rintanato nella voragine di fuoco che sortì per la sua colpa, divorando la sua vergogna, e la invidia sua rabbiosa contro del Santuario Andriese, volgeva di continuo in mente nefandi progetti, sul come avvolgerne di bel nuovo il culto e l’edilizio sotto le rovine di un generale sovvertimento, e la folgore addensava per effettuarne la distruzione. Finalmente, dopo dugento anni questa folgore scoccò dall’arco di Balial con impeto tale, che questa grande opera di pietà senza pari, consolidata e stabilita in guisa da sembrar che dovesse essere vittoriosa de’ secoli e Signora del tempo pel conforto de’ popoli venturi sciaguratamente crollò sotto il peso di un assassinio universale, e poco mancò che non ne restasse interamente schiacciato, e sepolto.
Non vi è chi ignora la catastrofe funesta, che immerse il Regno e la Chiesa in un oceano di mali spirando il secolo XVIII. ed incominciando il secolo XIX. Lo spirito di rivolta e di setta, dirigendo sopra tutto l’empio fanatismo contro le Società Regolari a fin di saziare ne’ tristi la parassitica fame che avevano dei beni monastici, fu il mostro feroce che smacchiò fuora dall’inferno per isconvolgere tutto il Mondo morale. Impossessatosi delle menti stravolte, non gli fu malagevole determinare la sterminata calca degli uomini corrotti a sacrificare la Patria, la Religione, e ‘l Cielo, ad una mala intesa libertà, che mentre sottraeva dalla dovuta dipendenza ad un Sovrano legittimo, gittava sul collo la catena del servaggio sotto di un usurpatore dolcemente tiranno. E poichè il braccio della Religione sostenitor di virtù fu in ogni tempo il più forte sostegno de’ troni, convenne menare alla Religione il più fiero colpo per riuscire allo scopo. Or siccome gli Ordini Religiosi di questa Religione SS. sono i forti baluardi: così cotesti barbari crudeli, mentre predicavansi per amatori e difensori dei popoli; a danno dei popoli non si vergognavano distruggere in un baleno i più superbi monumenti della pietà, e tutto il gran bene che eran frutti dei secoli. Quindi oppressi i Sacerdoti, inprigionati i Vescovi, manomessa ogni autorità divina ed umana, abbandonati i popoli al furore dell’ipocrita ambizioso e ladro; il lupo furibondo dell’empietà senza ostacolo potè sbranare in prima i più pingui Agnelli del gregge della Chiesa, che erano i riguardevoli e ricchi Monasterii, e poscia stritolare col suo dente insaziabile gli Agnelli più scarni e consunti, quali erano i Monasterii pii piccoli e più poveri. A dirla più in breve e senza metafore, il motivo di privar di forze la Religione, alimentato dall’ingordigia di arricchirsi sopra i beni monastici, fece sopprimere i Monasterii tutti, e fu un prodigio, se ad imitazione dell’empio Enrico VIII. Re d’Inghilterra, non si giunse ad abbatterne anche gli edifizii, venderne le pietre, e toglierne il nome e la memoria del Mondo. Il Monastero di S. Maria dei Miracoli di Andria fu uno de’ primi a subire la disertazione già detta nell’epoca maleaugurata del 1806, e coll’espulsione de’ PP. Benedettini, il Santuario, se non lo più riguardevole d’Italia almeno a niun altro secondo, a guisa di polvere al vento restò esposto all’ingordigia ed al capriccio dei malviventi.
Fu questa l’ora che le potestà delle tenebre attendevano con impazienza per cogliere con furore il momento propizio segnato alle loro vendette per le infinite perdite fatte in questo Santuario, in tanti peccatori ivi tocchi dalle grazie dolcissime della divina Madre, e mondati nel Sacramento della penitenza, e gli sforzi loro, parvero diretti a toglierne la ricordanza dagli uomini. Tolti i Ministri nel tempio si passò allo scopo qual’ era la confisca dei beni tutti, e siccome i beni ecclesiastici, abbenchè fecondi sempre di sventure e di disgrazie di ogni genere, sono stati in ogni epoca i pomi più dolci desiderati dai malcauti profittatori, trovarono agevole smaltimento tra le mani de’ rapitori sacrileghi.
Nè a ciò limitaronsi i ministri di abisso. Spinsero essi la loro empietà a denudare perfin le mura del Santuario di tutto che avesse mostrato contenere un qualche valore. Le pareti della Santa Grotta tapezzati di pregevoli voti di argento, furono spoglie di tutto. Il Sacro Altare ricoperto di preziosi bassirilievi anche di argento venne smantellato e lasciato nello stato di mensa silvestre quale era altra volta in tempo dell’oblio. La Santa Vergine neppure venne risparmiata. Vi fu una mano infernale più di quella del prenarrato Marco Finò, la quale s’udì estendersi sacrilegamente fin nel petto e sul capo della Immagine veneranda, e non lasciandovi che le vestigie della primiera grandezza, involò quanto di bello e di prezioso ne formava il decoro, e la gloria. Meritamente quest’empio incaricato dell’empio Uffiziale Francese, venne trattato più aspramente del suo predecessore in quel saccheggio; poiché questi ebbe spazio di penitenza, ed egli colpito dal braccio di Dio, morì improvvisamente appena giunse in Barletta col suo bottino. Non pertanto a vista d’un esempio così spaventevole altri si astennero dal commettere più vergognose sevizie. Si giunse perfino a svuotare la Sacrestia di tutti gli arredi non lasciandovi neppure i più necessarii pel decoro de’ Santi Misteri.
Alla vista di questo Leone, diciam così, sì miseramente prostrato, le tigri più spietate si sarebbero alcerto mosse a commiserazione, e l’avrebbero lasciato in abbandono a morire da sè. Ma l’empietà che è un mostro superiore a tutti i mostri della creata natura, non fermò in questo punta la sciagura segnata a questo Santuario. Quegli stessi che prima accorrevano a venerare la Madre di Dio per riportarne le grazie, come dal seggio augusto della sua misericordia, per opra satannica alcerto, si cangiarono in ingordi profittatori, sacrificando la maestà del Tempio di Dio agl’interessi particolari. Autorizzati dal dispotismo della magistratura rivoluzionaria che governava da Vandalo distruggitore nell’epoca infausta dell’occupazione Francese, veduarono quel Tempio venerabile del magnifico Coro che l’abbelliva, capo d’opera dell’antichità inimitabile [1]; tolssero le Campane della sacra torre, levarono le canne nell’Organo famoso per l’acquisto del solo stagno spregevole; portaron via le grandi chiavi di ferro che sostenevano in alto lo specioso e ricco soffitto e per poco non ne tolsero anche i Sacri Altari di fini marmi, che formano uno dei più bei pregi di quella Chiesa, essendoché gli abitanti d’una Città vicina vi s’erano all’uopo condotti con buon numero di carri per farne il trasporto, e solo tornaronsi senza eseguire il loro progetto, perché il disperato dolore dei buoni Andriesi giustamente oppose il suo furore. Oh grande Iddio! e chi varrà a penetrare il fondo inesplicabile dei vostri tremendi giudizii, nello strano sconvolgimento, che minacciò avvolgere nella polvere quel tesoro prodigioso da Voi con tanta solennità dischiuso al sollievo de’ Figli vostri?
E certamente, che per avverarsi tutto ciò altro non bisognava che eradicarne le mura fino dalle fondamenta; poiché se v’era altro estremo più odioso al quale avesse potuto inoltrarsi l’empietà, questa senza vergogna vi giunse, emanando ordini seguiti da severa sanzione, che ne restassero le porte perennemente chiuse, e che ne fosse in ogni conto l’ingresso inaccessibile alla pietà dei Fedeli. È questa una stranezza cotanto enorme che forse non sarà ricordata che dai soli Andriesi.
Ma non eran le porte del Santuario che dovevansi chiudere per impedire che i Fedeli onorassero la SS. Vergine de’ Miracoli. Eran le porte de’ cuori che dovevan chiudersi, dopo d’avere in essi estinte le fiamme di affetto tenerissimo verso la nostra Madre amantissima, per indi impedire, che non vi s’accendessero mai più. Or questo non potendosi eseguire dall’inferno, essendo l’uman cuore nelle mani di Dio, dovè certamente fremere di dispetto per tanti suoi tentativi senza vantaggio; poiché in modo più glorioso per Maria, e più onorevole e più utile per gli Andriesi, i quali come l’amante cresce nell’amor suo e nelle sue tenerezze verso l’oggetto amato, allor che lo vede nella sciagura e nel dolore; crescendo nella devozione vedendo spregiata e derelitta nel suo Tempio la loro Signora, con più frequenza portavansi a visitarla, contenti di genuflettersi innanzi la porta di detta Chiesa.
Senza dubbio, esser doveva uno spettacolo di tenerissima edificazione, particolarmente nei giorni di sabbato, vedere quel buon popolo prostrato sotto l’atrio del Santuario e lungo il largo che v’è dinanzi. Il passaggiero, abbenché di sasso, doveva per necessità versare qualche lagrima di tenerezza, o almeno risentire in tutte le sue fibre tutta la forza della pietà cristiana, in udir quel popolo gemente implorare dalla SS. Vergine il riaprimento e ristabilimento di quella Santa sua Casa, altri cercando una tal grazia prima di chiudere i suoi giorni alla vita; ed altri offrendo quasi in dono la vita stessa dicendo, contentarsi morire dopo un sì dolce piacere.
Non altrimenti difatto esser dovevano i sentimenti i quei devoti Cittadini, atteso lo stato sommamente lagrimevole nel quale si ridusse quell’edifizio superbo. La Chiesa disertata, come or or la vedemmo, addivenne il covile de’ Gufi, de’ Topi, e delle Civette. E se il Monastero magnifico tuttavia esisteva, dovevasi, come tutt’ora lo si deve essere grato alle vigili cure dell’Egregio Dottor D. Gaetano Virgilio, di venerata memoria, che ne prese il censo ed impedì, che, o si fosse cangiato in albergo come erasi già progettato, o se ne fossero venduti gli scelti materiali a prezzo di edifizio caduto.
Gli Andriesi appassionati di Maria soffrirono questo dolore per lo spazio intero di 32 anni. Abbenché in progresso di tempo fosse passato il Santuario sotto la custodia di un Eremita, pur tuttavia non era questo un balsamo sufficiente, da demulcire nè anche in minima parte la loro pena, e rattenerli dal lagrimare la desolazione di quel Tempio augusto, come un’altra volta gli Ebrei dolenti in Babilonia deploravano lo sterminio del famoso Tempio di Gerusalemme, mentre nell’ultimo Sabbato di Agosto nel quale fissata era la solennità della Vergine de’ Miracoli, per celebrarsi una Messa, conveniva portarsi gli arredi sacri dalla Cattedrale. Allora soltanto il loro lutto cangiossi veramente in gaudio sodo e perenne, quando Dio stesso accorse a consolarli, apponendo su la loro piaga quell’unguento che richiedevasi ad oprarne la guarigione.
NOTE
[1] Si ammira oggi nella Chiesa Cattedrale di Bisceglie.