ipotesi sulle origini del borgo

Contenuto

Andria, da vicus a civitas: ipotesi sulle origini

L'antico fiume AVELDIO con RUDAS sulle sue sponde

Dell'Aveldio ai primi dell'Ottocento il Romanelli scriveva:
Aveldium Flumen - Fiume ignorato da tutti gli antichi geografi, e del quale abbiamo solamente conoscenza nella tavola del Peutingero. In essa l’Aveldio, è disegnato tra Bardulum, e Turenum. Niuno per lo passato si ha presa la pena di rintracciare l’antico corso di questo fiume, che oggi certamente non più esiste in questa parte di Puglia, eccettuato il solo Aufidus al di là di Barletta. Noi siamo tenuti al sig. Forges di questa interessante scoverta. Egli solo interrogò la natura in questi luoghi per ritrovare l’antico suo letto. Infatti presso il monastero appartenente una volta alla badia Casinese di Andria [monastero di S. Maria dei Miracoli] vi ha un torrente, che scorre per un antico alveo di fiume. Le sue acque dopo tortuosi giri si gettano nell’Adriatico, e propriamente nelle paludi esistenti tra Barletta, e Trani. Il sig. Forges non dubitò di affermare, che in questo letto una volta abbia corso un fiume, e tantopiù fissò la sua congettura, perché nel costruirsi la via regia di Puglia, essendosi formato un ponte su questo torrente, si trovò nella sua profondità sabbia fluviale mista a ciottoli rotondi.
Oggi certamente non più esiste l’Aveldio, ma le scosse de’ tremuoti, replica il sig. Forges, e varie altre fisiche cagioni ne deviarono probabilmente le acque, e fecero rimanere a secco il suo letto. Potè ancora avvenire, che le sue acque fossero state divise in due ruscelli, che oggi corrono per vie sotterranee, e poi escono in mare col nome di Arasciano, e di Boccadoro. Finalmente egli comprova questa diminuzione di acque coll’esempio di altri fiumi, e specialmente del Cerbalo
[Cervaro], e dell’Aufido [Ofanto] da qui non molto distanti, che gli antichi descrissero come navigabili, ed oggi non par possibile, che possano sostenere i navigli.(1)

I primi tempi del piccolo borgo che poi sarà la città di Andria sono strettamente legati a quel ruscello, che aveva nome "Aveldium".

R. O. Spagnoletti a fine Ottocento, nel suo opuscolo "I lagnoni e Santa Croce in Andria" del 1892, scrive:
Le terre di Andria non pare che siano state sempre aride, come le vediamo oggidì. Fu tempo e non antichissimo, quando dovettero essere irrigate da correnti fluviali. Ne fanno fede gli alvei e la ghiaia speciali de' fiumi, trovati nelle scavazioni e in uno strato non molto profondo dell'attuale superficie.
Queste vestigie trovano riscontro in indicazioni erudite assai evidenti. Nell'antica tavola di Corado Peutinger fra Bardulis (Barletta) e Turenum (Trani) si vede segnato un fiume Aveldio ( fl. Aveldium). Il Forges fu il primo a scoprirne la foce nel sito delle Paludi di Barletta, il cui tufo lacustre era stato osservato e disaminato dal Giovene. Il Forges da quelle Paludi risalendo per delineare il corso del fiume guidato dal movimento topografico della campagna e delle tracce fluviali, venne a riuscire nella valle che si sprofonda ad occidente della Colonia Agricola provinciale, valle denominata di Santa Margherita fino alla metà del secolo XVI e della Madonna d'Andria d'allora in poi.
Così fino alle Murge fu determinato il cammino di questo fiume disparito, che pur talvolta riappare dopo larghi acquazzoni autunnali torbido e arcigno sotto la forma di alluvione, riprendendo con impeto irresistibile l'antico suo letto.
Ma, oltre all'Aveldio, le campagne di Andria dovettero essere irrigate da ruscelli tributarii di questo fiume. Il Corcia parla de' ruscelli Arasciano e Boccadoro, credendoli disviati dal loro corso antico. ...
... Vi dov'è dunque essere da quest'altro lato della campagna di Andria un ruscello, che disparito lasciò in eredità l'antico suo letto alle alluvioni. Queste, sepoltolo sotto un fitto strato del terreno, che sottraggono specialmente alle Murge, vi corrono sopra con impeto disastroso. Seguendo il corso attuale delle alluvioni, penso, che questo ruscello per la via che va sotto alla collina Monte Faraone o Guaragnone, scendea ad oriente di Santa Maria Vetere e di là fin sotto a Sant'Angelo al lago, dove le alluvioni si diffondono come in un lago.
Di là si protraea a mezzogiorno della città sotto alle mura, il cui suolo laterale oggi è di non poco rialzato o artificialmente o per diminuito volume delle alluvioni. Indi torcea ad occidente fino alla valle di San Lorenzo, e di là, correndo sempre ad occidente, torcendosi e ritorcendosi ancora, andava a riversarsi nell'Aveldio.
La zona tra la Mass-a Tupputi e la località Quadrone, dove, come s'è detto, sono stati trovati reperti di epoca romana, è attraversata da alcune lame, (evidenziate da una linea blu nella carta topografica della pagina precedente) nelle quali è ipotizzabile che in epoca romana vi potesse scorrere un flumen, inteso come rivo d'acqua a carattere prevalentemente torrentizio, indicato nella Tabula Peutingeriana come fl-u Aveldium.
è molto probabile che quivi scorresse quel corso-canale d'acqua perché:
  • ha un percorso marcato e praticamente continuo nel rilievo circostante il territorio più a monte e (oggi) è effettivo canale di acque pluviali 2 chilometri prima di attraversare il centro storico di Andria per scorrere poi ininterrottamente verso Nord sino a versarsi in una foce a Est di Barletta;
  • uno studio geologico del territorio evidenzia depositi alluvionali continui di uno scomparso torrente soprattutto in quelle lame che, solcando la zona tra Mass-a Tupputi e la località Quadrone, attraversano Andria tra contrada Ciappetta e contrada Camaggio e proseguono fino al mare sfociando nella zona Falce del Viaggio - La Vasca ad Est di Barletta, come può osservarsi nella sottostante riproduzione parziale del foglio 176 della carta geologica d'Italia dell'I.G.M., copyright ISPRA.
    In questo alveo confluiscono presso Barletta anche le lame che, provenienti (in modo meno palese e con portata inferiore) dalle Murge a sud-ovest di Andria, attraversano i relativi terreni alluvionali e passano a Occidente della Chiesa rupestre della Madonna dei Miracoli.
Ipotetico percorso fel flumen Aveldium nella carta geologica dell'I.G.M.
[elaborazione elettronica su un particolare della carta geologica, F. 176 dell'I.G.M., 1970)

La localizzazione contestuale sia di Rudas non lontano dalla Via Traiana che dei territori attraversati dall'Aveldio più ricchi di reperti del periodo romano trova un avvallo nella Tabula Peutingeriana (avvallo sia pur debole essendo solo un itinerarium pictum!), dove Rudas è localizzato sotto le Murge, là donde è segnato il corso del fl-u Aveldium.
Vi sono tuttavia altri elementi persuasivi della possibilità concreta che tale localizzazione sia plausibile.
Il locus Rudas doveva essere certamente un diverticulum (incrocio), ove convergevano e/o si dipartivano diverse vie, il piano stradale delle quali differiva in base all'importanza del collegamento. Esistevano, intorno al percorso della Traiana Canusium-Rubos (Canosa-Ruvo) come anche verso Nord per lo scalo di Bardulos (Barletta) sulla via litoranea, molti vici come testimoniano i numerosi reperti archeologici trovati nei loro siti: Trianelli, San Lizio, Trimodie, Cicalio, San Valentino, San Lorenzo, Borghello, San Candido, Andre, Casalino, San Ciriaco, San Martino, ...
La Via Traiana nel tratto che attraversava il territorio di Andria era una via silice strata, cioè una strada lastricata con basoli di pietra locale di forma irregolare cementati con terra e, probabilmente, con i due marciapiedi (crepidines) laterali, come s'è rinvenuto in molti punti della stessa(2).
Le strade che si dipartivano dalla Traiana per collegare civitas (città) o vici (piccoli borghi) di una certa importanza erano delle viæ glareatæ, delle strade cioè ammantate di ghiaia, larghe non più di 4 piedi (0,296 m * 4 = circa 1,20 m), chiamate diverticula, perché diramazioni secondarie della via consolare e mantenute quasi tutte dalle comunità rurali locali. C'erano poi le viæ terrenæ, realizzate in terra battuta, che collegavano nuclei abitativi (agricoli) minori. Più che realizzate, queste ultime si formavano soprattutto con il continuo passaggio dei carri, il calpestio dei viandanti e animali.  ...
Lungo le lame nelle quali abbiamo individuato il percorso dell'Aveldio sono stati rinvenuti numerosi reperti archeologici (ne parlano molti storici: il D'Urso, ... ) che testimoniano la presenza nel passato di insediamenti umani non isolati ma agglomerati in piccoli villaggi, detti anche Casali (piccoli agglomerati di case rurali). Considerando solo quelli presso l'attuale città di Andria, a partire da Sud nella parte alta dell'ipotizzato Aveldio, c'erano Quadrone - Tupputi, Santa Lucia, San Candido, Borghello, Sant'Onofrio, Sant'Andrea (grotte), Catacana (allocato in basso), Andre, San Vito, San Lorenzo, tutti edificati sulle rive dello stesso; e poco distanti dal suo letto tutti gli altri su nominati: Borghello, San Ciriaco, Casalino, San Martino, San Fortunato, San Valentino ... .

La localizzazione di Rudas in un’ipotesi alternativa
alla più accreditata presso la mass.-a Tupputi e il Quadrone

Innanzitutto premettiamo che esiste una chiara differenza di intenti tra le varie rappresentazioni e descrizioni del mondo e dei suoi luoghi, intenti a volte anche espressamente enunciati in premessa dai loro autori. Tali mirati obiettivi e i conseguenti testi (limitando l’ambito di ricerca agli antichi documenti qui citati e di seguito richiamati) spingono a dedurre che il locus (oppidum per Plinio) Rudiæ o Rudas non era certamente sul percorso della via Traiana (e forse neppure della via Minucia, in quanto neppure Orazio annota tale località).

Una breve e sommaria riflessione a sostegno dell’ipotesi.

Da una analisi testuale dei documenti emerge che
- la “Tabula Peutingeriana”, la “Cosmographia” dell’Anonimo ravennate e la “Geographica” di Guidone sembra non siano state redatte come “itinerari”, ma come accurate “carte e/o descrizioni geografiche” del cosmo allora conosciuto con indicazione dei luoghi e, in alcuni, delle distanze tra gli stessi;
- per contro l’ “Itinerarium Burdigalense sive Hierosolymitanum, e l’ “Itinerarium Antonini, appaiono redatti espressamente per indicare le tappe (mutationes e mansiones) presenti nei percorsi con le relative distanze e compilati come resoconti di viaggio e/o fungere da guide per nuovamente effettuarli.
     Risulta conseguentemente che
- Rudas (con altri luoghi simili) non è indicata in detti itinerari perché non era una tappa-stazione esistente sulle strade percorse, ma era tuttalpiù un locus non lontano delle medesime;
- Rudas si trova invece menzionata-annotata nelle carte e descrizioni geografiche in quanto era un locus di rilievo che tali rappresentazioni grafiche intendevano evidenziare nel territorio.

In merito all’indicazione degli intenti rileviamo che l’Anonimo ravennate, introducendo la sua “Cosmographia”, dichiara espressamente di voler “indicare le città, i fiumi, i quattro principali golfi del mare intorno alle terre”; scrive infatti: “Nos denique volumus Christo nobis auxiliante plurimas civitates vel flumina tam circa litus quatuor principales colfos (principalia colfora) maris designare, id est …” [I,17 – p. 37]; conseguentemente tra le “plurimas civitates” indica anche BudasRudas.

Per quel che concerne poi l’ “Itinerarium Burdigalense sive Hierosolymitanum, e l’ “Itinerarium Antonini emerge che in essi sono annotati in modo ben evidente le “mansio”, le “mutatio” e le “civitas”, ma Rudas non è segnata perché, appunto, non era un locus presente sulla strada percorsa, essendo forse solo ad essa prossima e comunque non toccata.

Al pari, già nel periodo imperiale romano rinveniamo un identico comportamento.
- Orazio, poeticamente narrando (nella quinta satira dei “Sermones”) il suo viaggio per Brindisi, ivi descrivendo l’itinerario tra Canosa e Ruvo non pone Rudiæ, perché, ovviamente, non era sul percorso.
- Per contro Plinio, un secolo dopo (nel terzo libro della sua “Historia Naturalis”), dopo aver parlato del territorio salentino, pone Rudiæ tra le città importanti del territorio dei Pediculi “Pœdiculorum oppida Rudiæ, Gnatia, Barium, in quanto la sua opera non è un resoconto di itinerari, ma una descrizione geografica dei luoghi.

Si può pertanto dedurre e ipotizzare che Rudas non era sulla via Traiana, pur se non molto lontana da essa stando alle distanze geodetiche (indicate col sistema tolemaico) che la Tabula Peutingeriana da essa annota, sia con Rubos (XII) che con Butunto (XXIII).

Inoltre (a mio avviso) Rudas non potrebbe essere localizzata su Monte Faraone o Santa Barbara né nei loro pressi, in quanto non si sono trovati resti archeologici che possano far ipotizzare l’esistenza di un vicus romano, ma solo numerose tombe e frammenti di loro arredi risalenti a non più tardi del VI sec. a. C. e nulla, comunque, di epoca romana.

Rudas sembrerebbe non localizzabile neppure in località Tupputi e Quadrone, sia perché praticamente sarebbe sul percorso della Traiana e nei pressi della mutatioAd Quintumdecimum” (e ivi non indicata negli “itinerari”), sia soprattutto perché anche in tali luoghi non è stato rilevato alcun insieme archeologico di tipo murario ascrivibile ad un insediamento di epoca romana.

Per contro, a circa tre chilometri dalla Traiana sulle sponde del “Aveldium flumen” e dei suoi affluenti è improbabile che già non ci fosse quel numeroso insediamento parzialmente in grotta con prevalenti occupazioni agricole e artigiane (figuli, carpentieri, …) documentato ivi esistente in epoca altomedievale, nonché presente su un incrocio “diverticulum” snodo rilevante dalla Traiana per Cannæ, Barduli, Turenum e l’importante via litoranea.
È vero che alla base delle attuali costruzioni quasi mai appaiono evidenti i resti di un insediamento di epoca romana, ma diversi sono i reperti di tale epoca rinvenuti e sparsi per Andria (come, ad esempio, colonne angolari e vari capitelli prelevati da strutture di epoca romana e riutilizzati in epoca successiva, …).

Sarebbe quindi da non scartare l’ipotesi (già espressa anche da altri studiosi) che Rudas o Rudiæ (forse nome plurale latino di un locus quale insieme residenziale sparso) potrebbe non essere altro che il toponimo degli insediamenti, prevalentemente e parzialmente in grotta, esistenti là dove l’Aveldio più ricco era di acque e costellato di cavità e protezioni naturali (si consideri che a partire dal suo letto a valle di Sant’Angelo [chiesa un tempo detta “al lago”] fino a valle di San Lorenzo, l’Aveldio formava una vasta golena e, nella depressione sotto San Nicola, un pantano: tanta “ricchezza d’acqua” per un territorio “siticoso” era notevole sprone a detto insediamento abitativo e manifatturiero!), là dove poi nell’alto medioevo emerse e si affermò Andre.


Di Andria, nei primi documenti medioevali chiamata Andriæ, Andre o Andri, sulla Tabula Peutingeriana non c'è traccia, e neppure negli altri itinerari conosciuti e presi in considerazione in questa ricerca.
Essa è citata per la prima volta nel 911 e di ciò diffusamente ne parliamo nella pagina seguente leggi la pagina successiva.

NOTE
(1) Domenico Romanelli, "Antica Topografia Istorica del Regno di Napoli", Parte II, Stamperia Reale, Napoli, 1818, pag.166-167.
(2) "G. Ruotolo a pagina 38 del citato testo 'Il volto antico di Andria fidelis' scrive:
“Un tratto di questa via, tornato alla luce il 1919 presso Brindisi, così è descritto dallo storico locale [Pasquale] Camassa: «La via è larga quindici piedi romani, cioè metri 4,20 circa; è lastricata a grosse e informi pietre sbozzate semplicemente nella parte superiore, incastrate maestrevolmente le une nelle altre senza cemento e irregolarmente apparigliate come nelle costruzioni ciclopiche, ed è rasentata da cigli o paracarri».”