G.Ceci - Le Istituzioni di beneficienza

Contenuto

da "RASSEGNA PUGLIESE di Scienze, Lettere ed Arti"

(estratto)

LE ISTITUZIONI DI BENEFICENZA DELLA CITTÀ DI ANDRIA

di Giuseppe di Francesco Ceci (1863-1938)

1. — Gli antichi ospedali.


Sulle istituzioni di beneficenza, fiorite in Andria durante il medio-evo, non ci restano che poche ed incerte notizie. In questa città, come in tutte le altre di qualche importanza in quel tempo, la carità era largamente praticata dai monasteri e dai capitoli dei canonici (1), e anche qui vi furono quegli ospizii, che, sorti per solito accanto alle chiese, per impulso della religione, accoglievano i pellegrini, i poveri, i fanciulli abbandonati, qualunque specie di indigenti. Parte di essi riuscirono a formarsi un patrimonio, onde poter continuare a vivere, quando le oblazioni non furono più tanto copiose e frequenti, e venne ed affievolirsi l’ardore della carità negli ecclesiastici; parte sparirono. Tra questi ultimi deve annoverarsi l’ospedale, che era annesso alla chiesa dell’Annunziata, fuori le mura della città e a poca distanza dalla porta della Barra, e del quale è parola in una pergamena del 24 ottobre 1378. È trascritto su di essa il testamento di Chiuriana Albanese, che tra gli altri legati lasciò due tarì di oro all’ospedale anzidetto. (2).
Due ospizi pei pellegrini e gl’infermi erano edificati ai lati di un’altra porta, che per aver dato l’ingresso e S. Pietro e S. Riccardo, secondo vuole una pia leggenda, si chiamava Porta Santa. Era sotto gli auspici di S. Riccardo l’uno, di S. Maria della Misericordia l’altro. Abolita la porta e costruito nel suo luogo il tempio che ancora si vede, l’ospizio di S. Riccardo fu trasportato nell’interno della città, dirimpetto al Duomo, e quello della Misericordia rimase affidato ad una Confraternita, che ebbe la sua sede nel nuovo tempio.
Accanto all’ospedale di S. Riccardo, che d’allora non accolse forse se non malati, sorsero la chiesa e l’ospedale della SS. Trinità. E un altro ospizio era poco lungi poi dalla porta del Castello, vicino ad una chiesa dedicata a S. Bartolomeo della quale si hanno memorie fin dal 1196 (3).
Si attribuisce a Iacopo de Cammarota l’aver trasportato nelle sue case, correndo l’anno 1267, l’ospedale di S. Riccardo, e si attribuisce e quattro nobili famiglie andriesi la costruzione, avvenuta nel 1268, degli altri due ospedali.
Probabilmente esse ampliarono soltanto, dotandole coi loro beni, delle istituzioni già esistenti, il cui governo ad ogni modo si trova affidato all’Università, che eleggeva per questo ufficio alcuni deputati, coll’intervento delle dette famiglie (4).
Se si potesse prestar fede al testamento di Francesco I del Balzo, Duca di Andria, noi sapremmo a quale uso due degli ospizi erano adoperati nel 1420. Accoglieva i poveri quello di S. Maria della Misericordia, al quale il Duca legò «oncie venti pro una vice tantum, con ciò compra tante robbe di zuccaro per quelli poveri che vi vanno.» Ed erano curati gli infermi in quello di S. Riccardo. «Item lasso — dice il testamento — al Spitale di detto S. Riccardo oncie dodici per riparazione della fabbrica, et altrettante dodici per fare tanti materassi, quali abbiano da servire per gli infermi, che andranno a detto spitale, et che siano de buono, seu Terlezzo, et meglio di lano, che sia possibile avere. Et più che le siano dato sei some di Lino del meglio che viene da Baro, per fare tanti Lenzuole per li letti di detto spitale pro una vice tantum» (5).
Ma la forma, con cui questo documento fu trascritto nelle Memorie del Pastore, e pubblicato poi dal Durso nella sua Storia di Andria, desta forti dubbi sulla sua autenticità.
Alla metà del secolo XVI i quattro ospedali per incuria degli amministratori si trovavano ridotti in cattivo stato. L’Università allora, nel 1563, d’accordo cogli eredi dello cinque famiglie, e col consenso del Vescovo Giovan Francesco Fieschi, stabilì di riunire le rendite degli ospedali di S. Riccardo, della SS. Trinità e di S. Bartolomeo in quello di S. Maria della Misericordia, che rimase solo a sopperire ai bisogni degli indigenti (6).
Al governo della nuova istituzione furono preposti quattro procuratori, detti in seguito priori, due dei quali eletti dall’Università e due dai confratelli di S. Maria della Misericordia (7).
Nelle case degli ospedali di San Riccardo e della SS. Trinità fu fondato un monastero di clausura per monache, sotto la regola di S. Benedetto, e la spesa per l’adattamento dell’edificio, calcolata a mille ducati, come pure un sussidio annuale perpetuo di cento ducati furono posti a carico doll’ospedale della Misericordia. Pio IV con bolla del 4 maggio 1563 riconobbe all'Università il dritto di padronato perpetuo sul nuovo Monastero (8).
Cosi dopo aver giudicato insufficienti le rendite dei quattro ospedali per proseguimento delle opere di beneficenza, che da secoli essi compievano, si trovò che eran soverchie, e che una parte, non piccola tenendo conto dei tempi, potesse invertirsi in un altro uso. Le parole di incremento delle religione, di decoro della città o simili non furono risparmiate; si giunse fino a dire, che la fondazione del Monastero «cedebat in evidentem utilitatem et commodum universale.» Ma il fatto è, che si veniva a costruire, coi denari dei poveri, un ricovero per le figlie dei nobili e dei benestanti: si apriva ad essi — come si esprime il buon Durso — «una via per collocare con decenza e cristianamente le loro figlie
L’istituzione, nata dalla riunione degli antichi ospizii, fu governata por poco tempo nella forma, che abbiamo esposto. Ma vennero e mancare i procuratori della Confraternita della Misericordia, per essersi questa sciolta, non si sa bene l’anno, ma certo prima del 1558, quando nella chiesa di Porta Santa si trova stabilita un’altra Confraternita con scopi differenti dell’antica; e il governo rimase ai due procuratori della Università, eletti uno dai nobili e l’altro dai civili, ai quali fu aggiunto un percettore delle rendite (9).
Le molteplici funzioni dei luoghi pii aboliti furon ridotte a due: curare gli infermi e nutrire e custodire i fanciulli esposti. Fu affidata la prima nel 1634 per deliberazione dell’Università ai padri di S. Giovanni di Dio, detti: Fate bene fratelli, ai quali si concessero quattrocento ducati annui, e i locali dell’ospedale della Misericordia, con tutte le suppellettili, e coll’uso della contigua chiesa di Porta Santa, patronato sin dai tempi più antichi dell’Università di Andria (10). Ai priori rimase, oltre l’amministrazione delle rendite, la cura degli esposti, e l’opera divenne insomma un Monte dei Proietti.
Si è detto che anche l’ospedale di S. Bartolomeo fosse stato abolito nel 1563, ma è da credere, che le sue rendite soltanto fossero state riunite a quelle degli altri ospedali, e che nelle sue case continuassero a trovare ricetto i pellegrini. Difatti nella relazione ad sacra limina, spedita in Roma il 21 febbraio 1721 da Monsignor Giampaolo Torti, Vescovo di Andria, è annoverato tra i luoghi pii l’ospedale di S. Bartolomeo pei poveri pellegrinanti (11). E nel 1754 l’Università deliberò di vendere alcuni suoli pubblici per trarne il denaro occorrente tra l’altro a ristaurare l’ospedale dei pellegrini, dove si doveva costruire una camera per separare i sacerdoti dagli altri viandanti e specialmente dalle donne, rifare il pavimento del focolaio e i cessi, e comprare una mensa di pietra, dei letti ed altri oggetti indispensabili (12).
L’amministrazione del Monte dei Proietti si trovò, dopo quasi ottant’anni dalla riunione degli antichi ospizii, in gravi difficoltà. Le sue rendite per quel complesso di cause onde originò nel 1600 la rovina economica del regno di Napoli, erano grandemente diminuite, e riusciva malagevole ai Priori di soccorrere gli esposti e nello stesso tempo soddisfare alle due prestazioni annue. Furono costretti a sospendere nel 1642 quella di quattrocento ducati all’ospedale della Misericordia, e nel 1647 l’altra di cento ducati al Monistero della Trinità. Del che naturalmente nacquero liti. Coi Padri di S. Giovanni di Dio, ai quali, come si è detto, era affidata la cura dell’ospedale, si venne subito ad una convenzione. Si ridusse la prestazione a trecento ducati, pei quali furono ceduti ai padri alcuni censi che rendevano all’anno ducati 262, 3 tarì e grani 5 ½. I restanti 37 ducati, tarì 2 e grani 14 ½ si obbligarono i Priori di pagarli ogni anno colle rendite del Monte. Nel 1747 anche questo pagamento si trovava ritardato di qualche anno, e, dopo aver litigato un poco, in vim transactionis i Priori diedero ai Fate bene fratelli 620 datati, coi quali furono estinti i pagamenti decorsi e ogni credito avvenire (13).

— ↑↑↑ —

Più a lungo durò la lite col Monastero della Trinità, e per poco il Monte non ne fu intieramente distrutto. Nel 1661 le Benedettine convennero i Priori del Monte innanzi alla Curia Vescovile, per costringerli a pagare le annualità sospese fin dal 1647. Furon condannati infatti a cedere al Monastero un’osteria ossia taverna, messa alla Porta della Barra, valutata 850 ducati, e due carra di territorio, messi sulla strada di Bisceglie nella contrada detta il Carro di Maraldo (14), che ne valeva 360.
Diminuita così la proprietà del Monte, divenne anche più difficile il pagamento dell’annualità al Monastero, e dopo il 1661 non fu più soddisfatta. Ma le Monache non se ne stettero. Convennero in giudizio i Padri di S. Giovanni di Dio, come terzi possessori dei beni obbligati all’annualità col pio proposito di togliere agli infermi fin l’edificio, in cui erano ricoverati. Misero poi gli occhi su di un forno, che il Monte possedeva sotto il Monastero, iniziarono nel 1676 degli atti giudiziali, senza giungere alla sentenza, e nel 1736 se lo appropriarono a dirittura. Il forno, come tutto l’edificio del Monastero, era stato danneggiato dal tremuoto del 1731 e non valeva più di 400 ducati. Di gran lunga più grande era il credito preteso dalle Benedettine, che proseguirono implacabili il giudizio. Nel 1746, alla fine, fu conchiusa una transazione, mentre eran General Sindaco il nobile Nicola Colavecchia, e priori il nobile Federico Conoscitore e il notar Vito Menduni e Badessa Donna Giovanna Friuli.
Negli abboccamenti preliminari l’avvocato del Monte affermò, che a buon dritto era stato tralasciato il pagamento dell’annualità, giacchè il Monastero dai corpi, che si era aggiudicato, dall’osteria cioè, dalle due carra di territorio e dal forno, poteva ricavare una rendita eguale, se non maggiore, ai cento ducati. Rispose l’avvocato delle Monache, che il peso dell’annualità era perpetuo ed irredimibile, e che le proprietà aggiudicate erano andate in soddisfazione dei pagamenti decorsi.
Aggiunse inoltre il primo essere nulli gli atti della Curia Vescovile, e per difetto di giurisdizione, e per aver aggiudicate le proprietà del Monte, mentre a questo, giusta il patto, non potevano essere sequestrate se non le rendite. Al quale argomento l’altro avvocato oppose la prescrizione, non che di 30, di 70 e più anni; e fu senza dubbio una risposta molto morale.
Ma dove egli eccelse, fu appunto nella risposta all’ultimo argomento addotto dall’avvocato del Monte: mette conto riportare integralmente l’uno e l’altra. Il ritardo di ottant’anni circa — disse questi — «non può pretendersi, ostandoli l’eccezione del deducto ne ageat, mercechè essendo il detto ospedale luogo pio, le cui rendite si convertono nel sostentamento degli infanti esposti, secondo la sua primiera erezione, che pur oggi si pratica inconcussamente, si sa molto bene godere questo privilegio contra qualsivoglia creditore, molto più contro il Monistero, creditore con titolo lucrativo, creditore ecclesiastico obligato dalle leggi, sovvenire di proprio gli infanti esposti, quando non vi fusse il Monte, e creditore ricco, che non ha di bisogno per il suo sostegno, essendo pur troppo comodo, che si vede da questo gran attrasso, che non ha mai esatto, che se mai si dasse luogo ad esigerlo, siccome il Monistero farebbe sì un patrimonio soverchio, così per lo contrario l’ospedale delli poveri infanti esposti resterebbe distrutto, non bastando tutti li corpi, che oggi possiede a soddisfare il detto attrasso di tante migliaia di ducati, che le leggi non permettono.»
E l’avvocato del Monastero replicò «che la detta eccezione non era tuta, non mancandovi dottori che in questo caso di cui si tratta sostengono il contrario per trattarsi di credito assegnato per lo sostegno delle ingresse nel Monastero, ed in causa di alimenti ancora costituito il limine fondationis per unità e sola dote del medesimo Monastero, eretto per necessità e decoro della città, e così in causa pubblica ed uguale colla causa dell’Infanti esposti, cum simul inter Privilegiatos eiusdem speciei, sicchè non ostarebbe la detta eccezione, che se mai vi ostasse vi si richiederebbero tutti li conti de’ frutti percepiti a die moral per vedere se furono bastanti al mantenimento delli Infanti esposti e a supplire il suddetto annuo peso.»
Considerate allora le probabilità delle ragioni dell’una e dell’altra parte, si convenne che il Monastero riterrebbe l’osteria, il territorio ed il forno, e riceverebbe inoltre 800 ducati dal Monte, che resterebbe così esonerato da ogni obbligo nell’avvenire (15).
Dei denari riscossi, e dei frutti, che una di quelle monache, D. Aurelia d’Anelli, riceveva dall’eredità di suo fratello Domenico Vescovo di Andria, furon rifatti il monastero e la chiesa. Sulla porta di questa fu messo la seguente iscrizione:
D. O. M.
QUOD OLIM ORB. REDEMPT. SAECULO XIII DECURRENTE
QUINQUE ANDRIENSES FAMIILIAE INTER PATRICIAS ALLECTAE
DE MATTEO QUARTI FANELLI SUPERBOQUE ET GAMMAROTA
PECUNIA SUA XENODOCHIUM A FUNDAMENTIS ERECTUM
SANCTISSIMAE ET INDIVIDUAE TRINITATI
DIVEQUE RIGUARDO DEDICARUNT
QUODQUE TEMPORUM VICISSITUDINE
SUIS DEPAUPERATUM REDDTTIBUS
ANNO MDLXIII MAGISTRATUS POPULUSQUE ANDRIENSIS
AERE PUBLICO PRO DIGNITATE URBIS
IN ASCETERIUM VIRGINUM CASSINENSIUM
SUB RFGULA S. P. BENEDICTI COMMUTARUNT NOVISSIME
VETUSTATE CORRUPTUM IPSAE SANTIMONIALES ANNO
AB HINC QUINQUAGINTA COEPTO ET CONTINUATO OPIFICIO
PRISCIS AEDIDUS TEMPLOQUE DEMOLITIS
N0VISQUE ADAUCTIS PROPRIO SUMPTU IN AMPLIOREM
INEUNTE ANNO II PRAESULATUS DOMINI XAVERII PALICA
ORDINIS COELESTINORUM AC PATRICII BARULITANI 1774.
Una vita più agevole cominciò pel Monte dei Proietti, dopo che si fu liberato dalla prestazione annua al Monastero, e il suo patrimonio si accrebbe verso la fine del secolo scorso per due donazioni. Cinquecento ducati ebbe nel 1782 dal notaio Gian Lorenzo Topputi, dalla rendita dei quali doveano formarsi maritaggi, di 35 ducati l’uno, in beneficio di fanciulle esposte (16); e nel 1787 da un tal Giuseppe Di Renzo un vignale e mezzo di mandorleto alle prime coppe col peso di alcune messe.
Tutti i proietti della città erano per cura dei priori affidati a donne di buoni costumi, retribuite con un salario mensuale finchè i fanciulli non raggiungessero l’età di sette anni, quando, si supponeva, potevano cominciare a sostentarsi col proprio lavoro (17).
Nel 1802 con un editto di Ferdinando IV la cura degli esposti fu affidata a due deputati eletti in pubblico parlamento, in ogni città, e la spesa messa a carico delle Università, che furono tassate alla ragione di 20 ducati per mille abitanti. Andria, che ne contava 13,596 o doveva perciò pagare 271 ducati e 92 grani, supplicò il Re di essere esonerata da quest’obbligo, essendovi già un Monte per il mantenimento dei proietti della città. Ma nessuna risoluzione era stata presa, quando, passato il regno alla dinastia Napoleonica, le opere pie furono riordinate. Assegnato ai Municipii il servizio degli esposti, delle rendite del Monte fu fondato allora un Orfanotrofio, che accoglieva 22 fanciulle abbandonate.
Anche l’ospedale di S. Maria della Misericordia fu allora abolito, essendone stati espulsi i padri di S. Giovanni di Dio, per la legge della soppressione delle corporazioni religiose. Per la nostra città non fu questo certamente un vantaggio, giacchè è noto a tutti con quanto amore fossero dai padri del benemerito ordine custoditi i malati, sebbene pochi per la ristrettezza delle rendite potessero essere accolti. Pel tempo che corse dal 1634 alla fine del 1700 non è giunta fino a noi alcuna notizia, le poche che abbiamo riguardano i primi anni del secolo presente. Dal 1801 al 1804 tra esiti ordinari e straordinarii si spesero ducati 543,10 ¼. Gli introiti non raggiunsero se non ducati 478,30 ¼. Rimase perciò una deficienza di 65 ducati, che, secondo dichiarò il Priore Altrelli, proveniva da sue religiose industrie. Il Priore e Segretario Provinciale, D. Giacinto Nardulli, gli impose di rimettere la deficienza dal proprio peculio. Nel periodo 1804-1807 si ebbe invece un avanzo di ducati 65,59,2, essendo asceso l’introito a ducati 574,93 e l’esito a ducati 509,03,4. Gl’infermi erano curati dal Priore e da due padri: sommarono dal 1801 al 1804 a 36; dei quali guarirono 30 e 6 morirono. Dal 1804 al 1807 furono curati 11 infermi: un solo di essi morì. Nell’agosto 1809 erano due soltanto i malati in cura, e morirono entrambi (18).
In quell’anno, espulsi i padri, l’edificio di S. Maria della Misericordia fu venduto ad un privato, e pel nuovo ospedale civile fu adattato l’antico ospizio di S. Bartolomeo; ma esso era angusto al segno da non poter tenere divise le donne dagli uomini. Onde quel santo uomo, che fu Monsignor Giuseppe Cosenza, non appena prese possesso del suo Vescovado di Andria, mise ogni studio per l’erezione di un nuovo ospedale, e non posò se non quando nel 1834 ottenne, che fosse fondato in alcune case appartenenti al Monte di Pietà. Le rifazioni necessarie, alle quali egli concorse con cento ducati, e la dotazione annuale furono messe a carico degli altri luoghi pii della città (19).
Il Monte dei Proietti intanto era tornato all’antico ufficio, e l’orfanotrofio era stato dismesso; ma nel 1861 trovandosi le sue rendite aumentate (da lire 4249.89 erano salite a lire 10,317.87) l’orfanotrofio fu ripristinato in un edificio annesso all’ospedale civile.
Queste due istituzioni di beneficenza sono ora amministrate dalla Congregazione di Carità, che ne ha affidato la cura alle Figlie della Carità (20).

— ↑↑↑ —

II. — Il Monte della Pietà.


Mentre alla metà del secolo XVI le antiche istituzioni di beneficenza decadevano, altre se ne fondarono, e, maggiore fra tutte, il Monte di Pietà. Fu istituito il Monte nel 1542 «in onore de Iddio et subventione dei poveri et miserabili persone» e da Federico Tommasino, patrizio andriese, il quale gli diede un ordinamento semplice e ad un tempo vigoroso, a cui si deve la prosperità, in ogni tempo grandissima, dell’opera. Chiamò a governarlo «due homini secolari, uno del numero dei gentiluomini, et l’altro del popolo» e due ecclesiastici, uno sacerdote del Capitolo della Cattedrale ed uno del Capitolo di S. Nicola; e designò egli stesso i primi governatori: «lo nob. Joan Francesco Mele, lo provido Joanne de lo Fundone, don Donato Clusola, e don Vincenzo Fundone.»
Dispose che, venendo a morire alcuno di essi, gli fosse subito eletto un successore dai superstiti coll’intervento del maggiore fra gli eredi di casa Tommasino; e raccomandò che nelle categorie già stabilite da lui si scegliessero persone «attempate, facoltose, caritative et de bona vita, fama et reputatione
Escluse dall’opera, che egli fondava, ogni ingerenza della Università, spaventato, come è probabile, dal mal governo che questa aveva fatto degli antichi ospizî; e volle che negli atti eccedenti la semplice amministrazione delle rendite da lui donate (cinquanta ducati all’anno) e la loro distribuzione ai poveri, fosse inteso e desse il suo consenso il rappresentante della sua famiglia (21).
Un tale ordinamento fu pienamente accettato da Andrea de las Torres, il quale nel 12 maggio 1566 istituì erede in tutti i suoi beni il Monte di Pietà (22).
Nato in Ispagna, D. Andrea de las Torres, fu dal 1529 al 1644 governatore di Andria per parte di Ludovico Fernandez de Cordova, marito di Elvira, figliuola ed erede del gran Capitano, Duca di Sessa e di Andria. E quando gli fu sostituito Giorgio de Salzedo, non volle abbandonare Andria, e, con un esempio certo non comune negli ufficiali che ci piovvero di Spagna durante il Viceregno, donò alla città da lui amministrata quanto per l’ufficio tenuto in essa aveva guadagnato (23).
Nuovo incremento ebbe il Monte nel 1571, allorchè a parti eguali colla Congrega del Gesù ereditò i beni di Francesco Romentizzo. Ordinò questi, fra l’altro, l’istituzione di un maritaggio annuo di trenta ducati, ponendolo a carico dei due luoghi pii. Ciascuno di essi indicava ogni anno due giovinette andriesi povere ed oneste, fra le quali si sorteggiava il maritaggio.
Due legati di cento ducati ebbe in seguito il Monte: nel 1574 da Antonio Marulli, appartenente ad un ramo di questa illustre famiglia, ascritto al patriziato andriese; e nel 1607 da Francesco Cristiano, cantore del Capitolo della chiesa maggiore. Due altri di mille ducati gli furono donati quasi nello stesso tempo e colle stesse disposizioni: nel 1751 dal notar Vito Menduni (24), e nel 1753 dall’abate Gennaro Anelli, fratello forse di Domenico, che era in quel tempo Vescovo di Andria. Questi due benefattori disposero, che metà della rendita andasse in beneficio dei poveri vergognosi, e l’altra metà fosse data al Conservatorio dell’Immacolata Concezione, di cui parleremo pii avanti. Ed anche a questo Conservatorio doveva darsi la metà della rendita dei duemila ducati, che nel 1756 Sebastiano Spagnoletti, patrizio di Andria e di Giovinazzo, donò al Monte. L’altra metà egli volle che s’impiegasse in elemosine e in un maritaggio da concedersi ogni due anni «a povere orfane di questa città belle e bisognose» coll’assistenza del donatore o dei suoi eredi. Altri due maritaggi annuali istituì Grazia Menduni, sorella del notaio Vito, la quale diede un legato di duemila decani.
Una grossa eredità ebbe il Monte nel 1770 da Lucresia Cipriani, vedova di Sebastiano de Micco. Questa pia signora rimase un bel podere nella contrada detta Cicaglia (25), un orto accanto alla chiesa di S.ª Maria Vetere, delle case in città e alcuni crediti. Il suo nome, meritamente benedetto dai poveri, è tuttora il più popolare dei benefattori del nostro maggiore istituto di beneficenza.
Nuove donazioni si ebbero nel cadere del secolo scorso: nel 1790 una casa alla via di S. Angelo dei Meli da D. Francesco de Rosis, Primicerio del Capitolo di S. Nicola; nel 1796 cento ducati da Anna Teresa Pastore e da Maria Galasso, sorella l’una e nipote l’altra del Prevosto Giovanni Pastore, autore delle Memorie storiche della città di Andria; nel 1799 quattrocento ducati dal Canonico Pietro Pulli, e infine da Anna Santoro tutti i beni che le spettavano per l’eredità di suo marito Giammaria Marchio Palladini.
E non ne mancarono nel secolo presente. Oltre le donazioni di D. Brunone di Benedictis e di sua sorella Agata, ricevute nel 1800, vi sono state pochi anni or sono quelle del Canonico Domenico Angelo La Ginestra e di Nicola Fortunato: i quali hanno istituiti molti maritaggi di 170 lire l’uno (26).
Secondo l’intenzione dei fondatori, la proprietà del Monte avrebbe dovuto conservare sempre la forma di titoli di credito assicurati con ipoteca. Ma fin dalla metà del seicento essa si venne gradatamente trasformando: gli amministratori cominciarono a prendere in pagamento di canoni ritardati case e territorii, e non fecero nuove concessioni a censo dei beni stabili, ricevuti per le posteriori donazioni.
Che quei governatori avessero abbandonato il primitivo concetto di amministrazione, non mi pare niente affatto un male, sebbene oggi si ritorni, riproducendo sotto altra forma lo stesso concetto, a propugnare l’invertimento delle proprietà stabili dei luoghi pii in cartelle del Debito Pubblico. Se quel sistema fosse stato conservato, sarebbero ora molto più scarse le rendite del Monte di Pietà, il quale non si sarebbe giovato, come ha fatto con una previdente amministrazione, dell’aumento nel reddito della proprietà fondiaria, avvenuto in questo secolo.
A lire 7474.64 ascendeva infatti nel 1803 la rendita degli stessi beni, che ora ne danno invece 14,430.89 (27).
Allora lire 3724.66 andavano in ispese di amministrazione e in pesi forzosi, fra i quali erano compresi i maritaggi, le messe, la prestazione annua al Conservatorio e alcuni sussidii ordinati dal Tribunale misto a vedove di militari, all’Accademia militare, all’Orfanotrofio di Cosenza e alla Banda militare. Il rimanente della rendita, cioè lire 3760.08, si dispensava in sussidii di denaro, di vesti e di medicamenti a povere famiglie vergognose, e in elemosine pubbliche mensuali.
Per queste distribuzioni i governatori si servivano di un oratorio, cominciato a costruire accanto alla chiesa di S. Maria mater gratiae dalla Confraternita di San Ignazio, e condotto a termine nel 1727 dal Monte di Pietà. Ivi «col dare ai poveri il sovvenimento temporale non si tralascia ancora da essi governatori darli soccorso per la vita spirituale, istruendoli nelle cose importanti alla nostra Santa Fede, con farli pure prima di ricevere le limosine recitare in esso oratorio qualche divota orazione disponerli alla frequenza dei sagramenti ed in altre opere virtuose(28)
Ora si spendono lire 4,511.39 per tasse, spese di amministrazione e pesi ereditarii, e 9158.74 sono distribuite in elemosine a persone il cui bisogno consti indubbiamente ai governatori del Monte.

— ↑↑↑ —

III. — Il Monte del Gesù ed altre confraternite.


Erano scorsi ventisei anni dalla fondazione del Monte di Pietà, quando nella chiesa della Portasanta fu raccolta la confraternita del Gesù. L’altra, che col titolo di S. Maria della Misericordia nel 1562 officiava, come abbiamo visto, in questa chiesa, si era già disciolta, e l’Università, patrona ab antico della Portasanta, ne concesse l’uso alla nuova confraternita (29). Si componeva questa di cittadini andriesi appartenenti al primo e secondo ceto, nobili cioè e civili, nel numero determinato di quarantadue, dei quali non più di sette sacerdoti. Dovevano i confratelli avere almeno 25 anni ed essere «nella vita morigerati et cattolici, talchè non conviene, che nella fratellanza ci siano giocatori, concubinarii e biastematori, perchè a chi appartiene di esser vero esemplare di bene operare, non conviene che sia manifesto scandalo alla gente
Erano governati, secondo gli statuti compilati nel 26 dicembre 1568 coll’approvazione di Monsignor Luca Freschi vescovo di Andria, da un priore e da quattro consiglieri, i quali avevano l’aiuto di un tesoriero e di un cancelliere. La loro elezione aveva luogo l'8 ottobre, festa di S. Maria di Portasanta: duravano in carica un anno, e non potevano essere rieletti prima che scorresse un altro anno.
Vi era pure un correttore «sacerdote degno di reverentia, dotto, costumato, et prudente» il quale «habbia non solo a corriger et reprender li vitii et errori della compagnia, ma ammonirne et insegnarne la via che ne conduce al segno ove tutte l’opre dei fratelli si devon drizzare.» Il quale segno era duplice: l’adempimento in comune dei doveri religiosi e la carità verso il prossimo. Doveva questa esercitarsi più specialmente in beneficare i poveri, gl’infermi, i carcerati e i condannati all’estremo supplizio. Due fratelli visitatori assumevano informazioni sui bisogni di queste quattro categorie di indigenti e ne riferivano al priore ed ai consiglieri, i quali, quando il soccorso era urgente e non oltrepassava i cinque carlini, provvedevano subito; negli altri casi domandavano il consenso dei confratelli riuniti in capitolo in numero non inferiore a tredici.
Non vi è alcuna memoria, nei documenti della Confraternita, da cui possa rilevarsi quante volte e per quali persone l’assistenza dei condannati a morte fosse stata praticata: è probabile ad ogni modo, che ciò avvenisse raramente.
Lo statuto prescriveva, che al Priore spettava nominare due fratelli idonei a tale ufficio, i quali, vestiti col camice bianco e accompagnati processionalmente dagli altri fratelli, dovevano condursi alla prigione. Là passavano la notte in compagnia del condannato per rendergli i conforti opportuni ed esortarlo alla rassegnazione. Il giorno seguente tutta la Confraternita si recava di nuovo alla prigione, per accompagnare il condannato, cantando a voce bassa il miserere, fino al lungo del supplizio. Ivi uno dei due fratelli destinati a confortare il condannato saliva sul patibolo con lui, gli faceva baciare il crocefisso e gli suggeriva le orazioni, mentre gli altri fratelli, inginocchiati all’intorno, cantavano i salmi. Compiuta la giustizia, si raccoglievano elemosine, parte delle quali si spendevano in messe per l’anima del giustiziato, e parte si distribuivano ai poveri. Caduta poi la sera, col consenso del magistrato della città e del Capitolo della Cattedrale, al quale era affidata la cura parrocchiale, i confratelli andavano a raccogliere il cadavere per seppellirlo in una fossa scavata nella chiesa di Portasanta (30).
Tutto ciò era fatto da principio coi denari, che due fratelli ogni giorno festivo accattavano per la città. Ma ben presto cominciarono le donazioni, e prima fra tutte quella di Francesco Romentizzo, che legò alla Confraternita metà del suo patrimonio, col peso di concorrere alla concessione di un maritaggio annuo di 30 ducati col Monte di Pietà. Nel 9 novembre 1601 la Confraternita ereditò i beni di Riccardo Vallerio, che istituì un maritaggio di egual somma, e nel 1621 quelli di Giuseppe de Patronis colla stessa disposizione.
Anche nei criterii di amministrazione di questa Confraternita avvenne lo stesso mutamento osservato nel Monte di Pietà, quasi nello stesso tempo e collo stesso vantaggio. E i governatori del Gesù non si contentarono di prendere dei beni stabili in pagamento dei canoni, e di non fare nuove concessioni a censo perpetuo: si spinsero anche più oltre. Nel 1645 comprarono da Pietro Vitagliani, erede del dottore in legge Giulio Cesare Vitagliani, il territorio detto lo Gorgone de Stricchio pel prezzo di 3172 ducati (31).
Al principio del secolo seguente questo podere rendeva un trecento ducati all’anno, la sesta parte dei quali fu assegnata nel 1716 al Conservatorio dell’Immacolata Concezione, fondato, come si dirà in appresso, dal Vescovo Adinolfi.
Le rendita generale della Confraternita raggiungeva nel 1785 le lire 3108.40, e nel 1803 le lire 3736.82: ora è di lire 14,167.67. Si spendevano, nel 1803, 2129 lire per l’amministrazione, le tasse, il mantenimento ed il culto della chiesa, la prestazione al Conservatorio ed i maritaggi; e le restanti 1607 lire si distribuivano ai poveri, ai malati, ai carcerati «come ancora ai poveri pellegrini che si portino visitando i santi luoghi» (32).
Un nuovo indirizzo fu dato verso il 1870 a questa opera pia, che mutò il suo titolo di Arcicongrega in quello di Associazione Monte di Gesù. Si accoglie ora un numero indeterminato di soci, che sono distinti in tre categorie: effettivi, funerarii ed onorarii. I primi costituiscono l’associazione, ne amministrano le rendite e dispongono del loro impiego, mentre i secondi sono uniti dal vincolo del mutuo soccorso nelle onoranze e spese funebri. Sono state abolite tutte le spese per le feste di sola pompa esteriore, pur conservando il culto nella bella chiesa di Portasanta; e nei limiti concessi dalle disposizioni dei testatori, una parte delle rendite è stata invertita nella fondazione di scuole serali, che sono tuttora in fiore (33).
Tra le molte altre confraternite istituite nelle chiese di Andria alcune impiegavano una parte delle loro rendite o delle prestazioni dei confratelli nell’esercizio della carità e serbano tuttavia questo pio costume. È buono rammentare in primo luogo la Confraternita della Concezione eretta nel 1577 nella chiesa di S. Maria Vetere, e che, non so per quale causa, ebbe una breve vita. Suo scopo era di assegnare doti di trenta ducati a «zitelle, purchè habino vinti anni compliti che siano honorate e nate da parenti honorati, e di queste le più povere e mendiche della città» (34).
Nel 1605 fu fondata la Congregazione della morte sotto il titolo di S. Maria della Natività nella chiesa di S. Sebastiano, patronato anch’essa dell’Università. Fu composta in gran parte di artigiani, per impulso dato da alcuni fratelli della Congrega del Gesù, che ne formarono il primo nucleo: D. Giovan Donato Aybar, D. Giulio Cesare Volpicella, e il chierico Riccardo dello Monaco. Nel 1606 la Università, donò alla nuova Congregazione «tutte le contumatie seu pene civili» che dovea conseguire «da 10 anni in qua da forastieri, atteso da quelli l’Università non ne ha mai percepito cosa alcuna.» Alcuni legati furono rimasti nel 1647 da Arcangelo Nuzzi, nel 1722 da Lucio Conte, nel 1730 da Angelo Conte, e nel 1762 da Antonio Corposanto. Ora la Congrega ha poco più di tremila lire di rendita, delle quali 855 sono adoperate per la beneficenza (35).
Meritano pure una menzione la Confraternita del Carmine nella chiesa di S. Nicola, che dava 10 ducati all’anno ai poveri e pellegrini, quella della Concezione nella stessa chiesa, che oltre le solite elemosine concedeva ogni tre anni un maritaggio di 30 ducati per legato di Orazio de Terris, e il Santissimo della Cattedrale nel 1797 teneva segnato nel suo bilancio 40 ducati da distribuirsi ogni anno ai poveri ed ai pellegrini «che capitano con commendatizie del Ministro Acton» (36).

— ↑↑↑ —

IV. — Gli Orfanotrofii.


Quando, per l’uccisione di Fabrizio Carafa, secondo Duca di Andria di questo nome (37), e durante la minorità di suo figlio Antonio, il governo feudale della città cadde nelle mani della vedova Maria Carafa dei principi di Stigliano, gli andriesi godettero i beneficii di un dominio mite ed intelligente. La buona Duchessa si studiava di non far sentire ai vassalli il peso della soggezione feudale e si serviva del suo potere per beneficare in tutti i modi gli indigenti. Non meno di cinquantamila lire all’anno ella profondeva in Andria per opere di beneficenza, rese anche più accette dal garbo squisito che ella poneva nel soccorrere (38). Ma verso il 1605 D. Antonio, giunto in età maggiore, successe nel retaggio paterno, e la pia Duchessa prese nell’anno seguente il velo di monaca nel convento della Sapienza di Napoli, dove poi morì nel 1613.
Il nuovo Duca, giovane d’animo irrequieto e prepotente, intraprese contro Monsignor Antonio Franco, che era venuto nel febbraio del 1604 a reggere la cattedra di Andria, una fiera lotta giurisdizionale. Non è questo il luogo di esporre lo ragioni e narrare i partitolari, alle volte ridicoli, ma più spesso crudeli, di una tale contesa (39). Bastano pochi cenni per mostrare quanto dovessero rimpiangere allora gli andriesi il mite governo della Duchessa madre. Gli ufficiali del Duca oltrepassarono subito ogni segno di moderazione: insultavano e percotevano nelle pubbliche vie i servi del Vescovo e gli impiegati della Curia; giunsero fino a ferire gravemente il Camerlengo Vescovile ai piedi di un altare nella chiesa maggiore, ed a minacciare nella stessa sua udienza il Vicario Generale D. Ferrante del Giudice che fu costretto a fuggirsene e Spinazzola.
Il Duca, che in segreto aveva spinto i suoi ufficiali a questi eccessi, fu costretto a sconfessarli in pubblico; ma animato sempre più dall’odio verso il Vescovo, gli suscitò contro i governatori dell’Università sulla quale col dritto usurpato dai suoi antenati della subelezione, egli aveva un grande, per non dire assoluto, potere. La città si divise allora in partiti e nacquero risse sanguinose e tumulti. Il Vescovo fu costretto a rifuggirsi a Napoli, dove presso il Consiglio collaterale fu iniziato un procedimento, che dopo molte vicende si chiuse con un accordo, dal quale fu regolato l’esercizio delle due giurisdizioni in Andria.
Ad indurre il Duca a più miti consigli contribuirono certo le esortazioni di suo fratello Vincenzo entrato fin dal 1604 nell’ordine gesuitico, del quale fu poi Generale dal 1646 al 1649. Nel 1608 egli era molto giovane, ma già noto per le sue virtù. Fece a piedi la strada da Napoli ad Andria, e qui si trattenne alcun tempo, dandosi con più ardore dell’usato alle pratiche di pietà. Si sforzava di sopperire ad ogni bisogno dei poveri, e andava limosinando per essi dai cittadini agiati (40). Si direbbe, che volesse far dimenticare i trascorsi a cui il fratello si era lasciato andare, e per renderne più manifesto il ravvedimento, lo spinse a fondare un orfanotrofio (41). Fu questo stabilito nella casa che ancora si vede poco lungi dalla chiesa di S. Domenico al principio della strada detta allora del Pennino ed ora Tommaso de Liso (42). Vi era accanto la chiesetta di S. Caterina, che fu annessa al pio ritiro, dove un certo numero di povere orfane erano educate a spese della famiglia ducale. Ma questa istituzione non durò a lungo. A Monsignor Alessandro Strozzi, eletto Vescovo di Andria nel 1626, non pareva conveniente, che l’orfanotrofio stesse nell’assoluta dipendenza della corte ducale, e pretese che gliene fossero consegnate le chiavi. Dopo il rifiuto del Duca, promosso presso l’Arcivescovo di Trani un giudizio, che non si sa come andasse a finire. È probabile, che per evitare un nuovo conflitto si ricorresse all’espediente di non dare ragione ad alcuno dei contendenti, giacchè l’anno seguente il Vescovo fu trasferito a S. Miniato e dopo quel tempo non si trova più memoria dell’orfanotrofio.
Al principio del secolo seguente la mancanza di una simile istituzione era lamentata dal Vescovo Nicola Adinolfi. Comprò egli per 2000 ducati nel 1714 il palazzo dei De Excelsis, alla via detta anticamente la plancata e ora Flavio de Excelsis, dal Convento del Carmine che ne aveva ereditato i beni (43), e coll’aiuto di Aurelia Imperiale di Francavilla, vedova sin dal 1707 di Fabrizio Carafa Duca di Andria, fondò il Conservatorio dell’Immacolata Concezione. Col suo codicillo poi del 15 luglio 1715 legò alla nuova istituzione un capitale di 4000 ducati da pagarsene la rendita dal suo erede il Monte dei Poveri Vergognosi di Napoli, e prescrisse il suo ordinamento. Volle che le ricoverate vestissero l’abito domenicano e che ad esse sopraintendessero il Vescovo, due sacerdoti, uno del Capitolo di S. Nicola e l’altro di quello della Cattedrale, e il priore della Confraternita del Gesù (44).
All’erezione del Conservatorio concorse pure l’Università ed il Monte di Pietà, il quale diede mille ducati. Altre rendite ebbe dal notaio Menduni, dall’abate Anelli e da Sebastiano Spagnoletti, come si è già detto (45).
Un nuovo orfanotrofio fu fondato da Monsignor Giovan Giuseppe Longobardi nel 1855 in una casa accanto alla chiesa della Madonna delle Grazie. Furono spese per la fondazione ducati 4411.09, ed è ora mantenuto con un legato rimasto dallo stesso Longobardi e con un assegno fattogli dal presente Vescovo Federico Maria Galdi. Sono ricoverate circa ventisei orfane sotto la direzione delle suore stimmatine.

— ↑↑↑ —

V. — Il cumulo di S. Riccardo ed il Monte Morselli.


Ettore Carafa, Duca di Andria, Gran Siniscalco del Regno e Cavaliere di San Gennaro, aveva in donna Francesca Sprevara dei duchi di Bovino, una moglie molto prolifica; ma per disgrazia dopo varii anni di matrimonio nessun figlio maschio era ancora nato. I due coniugi si votarono allora a S. Riccardo patrono della città, promettendo di arricchire la sua cappella con una donazione.
Verso il 1737 il loro desiderio fu esaudito; ma l’erede che essi chiamarono Riccardo morì ancor bambino l’11 gennaio 1739. Con tutto ciò mantennero la promessa, e ne furono premiati: il 13 gennaio nasceva quell’altro Riccardo, che fa padre di Ettore, giustiziato a Napoli nel 1799.
Don Ettore Carafa seniore donò dunque nel 1739 alla cappella di S. Riccardo, nella chiesa cattedrale, una massaria di quarantanove tra vacche e giovenchi, assegnandole un pascolo, e assumendosene tutte le spese. Ogni anno dovean vendersi le vacche scartate e i giovenchi atti al lavoro, e il ricavato mettersi a negozio «comprando grani, orzi, ogli e qualunque altro capo di robba, che con venderli ne possa nascere il maggior vantaggio ed utile di suo glorioso santo
Cumulato così un capitale, che rendesse un seicento ducati annui, si dovevano vendere gli animali che ancora sopravanzassero, o coi denari riscossi abbellire la cappella.
La rendita poi doveva essere adoperata nella formazione di due maritaggi da concedersi l’uno il 23 aprile e l’altro il 9 giugno a povere giovinette andriesi, nelle spese occorrenti al culto della cappella, e in alcune elemosine.
Del governo della nuova istituzione dovevano far parte il Priore di S. Riccardo, in quel tempo D. Domenico Giorgi, e tre cittadini andriesi, che nominò lo stesso donatore: il dottor Domenico Friuli, Sebastiano Spagnoletti e il notar Vito Domenico Mondani. Dispose inoltre, che alla morte di alcuno di essi, ne fosse scelto un sostituto dal Duca o suoi eredi su tre persone proposte dagli altri governatori. Riserbò alla sua famiglia il dritto di rivedere i conti e di intervenire quando vi fosse parità tra i voti dei governatori.
Questa istituzione, che nella sua forma affatto privata continua tuttora a prosperare, ebbe nel 1846 un nuovo incremento, quando ai suoi governatori fu affidata da Vincenzo Morselli l’amministrazione dei suoi beni, e l’incarico di concedere dalle rendite cinquantatrè doti ogni anno a povere orfane o proiette (46).

— ↑↑↑ —

VI. — Monte dei pegni e di prestanze agrarie.


Nel 1852 fu promossa una pubblica sottoscrizione per fondare un istituto che venisse in aiuto degli agricoltori con piccoli prestiti su pegni e su derrate. Furono subito raccolti con oblazioni spontanee del Vescovo Giovan Giuseppe Longobardi e di tutte le famiglie agiate ducati 1300.86 pel Monte dei pegni e ducati 220.60 per quello di prestanze agrarie; ma scorsero alcuni anni prima che, compilati e approvati gli statuti, la istituzione avesse vita. Ciò avvenne nel 1858. Il Monte dei pegni assunse il nome di Ferdinando II e il Monte di prestanze agrarie quello di S. Francesco d’Assisi: entrambi erano amministrati da una commissione di tre cittadini presieduta dal Sindaco. Fu stabilito, che i prestiti su pegni non fossero minori di cinque carlini nè maggiori di quindici ducati, e che il capitale del Monte frumentario si impiegasse in prestiti di sementi, ed in anticipazioni sui prodotti dell’agricoltura.
Il 1.º febbraio 1879 i due Monti furono trasformati in cassa di risparmio con aumentarsi il capitale a diecimila lire (46).

[estratto da “RASSEGNA PUGLIESE di Scienze, Lettere ed Arti”, ed. Valdemaro Vecchi, Trani, 1891, vol. VIII, pagg. 75-78, 182-187, 214-220, 282-287]

DOCUMENTO I.: Convenzione pel governo dell’Ospedale della Misericordia. [1545-1563]

DOCUMENTO II.: Transazione tra l’Università, il Monte di S. Maria della Misericordia e il Monastero delle Benedettine.

DOCUMENTO III.: Convenzione coi padri di S. Giovanni di Dio. [1747]

DOCUMENTO IV.: Conclusione dell’Università. [1754]

DOCUMENTO V.: Decreto di Ferdinando II per l’ospedale Civile. [1834]

DOCUMENTO VI.: Brano del testamento di Federico Tommasini. [1542]

DOCUMENTO VII.: Transunti di altri istrumenti riguardanti il Monte di Pietà. [1566-1887]

DOCUMENTO VIII.: 1.Stati discussi del Monte di Pietà. [1786] - 2.Stato attuale delle rendite e pesi del Laical Monte di Pietà. [1803]

DOCUMENTO IX.: Indicazioni di due istrumenti riguardanti il Monte di Gesù. [1601-1621]

DOCUMENTO X.: Articolo estratto dai «Capituli et stabilimenti della devotissima fratellanza del Santissimo Jesu.» [1712]

DOCUMENTO XI.: Stati discussi del Monte di Gesù. [1803]

DOCUMENTO XII.: Elenco di oblatori per l'erezione del Monte dei pegni e di prestanze agrarie.

DOCUMENTO XIII.: Decreto reale per l'istituzione dei Monti dei Pegni, e di prestanze agrarie. [1858]

— ↑↑↑ —

NOTE    _
(1) Vedi MURATORI, Antichità italiane, dissertazione XXXVII, tomo II, pag. 360 e seg., dove si afferma, fra l’altro, che tra le cause della frequenza delle donazioni nel medio-evo agli ecclesiastici deve annoverarsi la certezza, che i pii fedeli avevano, che dei beni da essi lasciati alle chiese o ai monasteri, ne sarebbero stati partecipi anche i poveri. Una tale condizione anzi era alle volte messa esplicitamente, e, quando mancava, si intendeva come implicita.
(2) Questo testamento fu stipulato in Andria dal notar Errico del giudice Leone de Grimaldo il 24 ottobre, della 1ª indizione, 1378, anno 36 del regno di Giovanna I. è conservato nell’Archivio della chiesa collegiale di S. Nicola, il solo di tanti Archivii Andriesi di chiese e monasteri, le cui carte non sieno state bruciate in uno dei non rari saccheggi patiti dalla città, o lavate per purgarle dal contagio dopo le epidemie, pur troppo auch’esse non infrequenti nei tempi andati. Ho avuto agio di studiare quelle carte per gentile consenso del Prevosto D. Michele Patruno e dei Canonici di S. Nicola, del che rendo loro le maggiori grazie.
(3) UGHELLI, Italia Sacra, Venezia, 1721, pag. 926 del vol. VII.
(4) Il PASTORE, Memorie manoscritte della città di Andria, afferma che questa riforma e nuova fondazione degli ospedali avvenisse nel 1251, ma non dà alcuna prova. Ho preferito seguire il DURSO (Storia di Andria, p. 80) che, in questo caso, straordinariamente, non copia il Pastore, e fonda il suo racconto su due istrumenti. Il trasporto dell’ospedale di S. Riccardo fu rogato, secondo il Durso, dal notaio Arrigo Zaccaro nel 1267, e la fondazione degli ospedali della Trinità e di S. Bartolomeo dal notaio Taddeo Cirece. Sebbene di questi istrumenti egli non dia altra indicazione, mi pare impossibile che egli li abbia inventati di suo capo.
(5) DURSO, Storia di Andria, Capitolo IX.
(6) I due istrumenti del notaio Nicolangelo Facinio del 1 e 8 febbraio 1563, ove quest’accordo era stato stipulato, sono andati perduti. Alla scheda di questo notaio, conservata nell’Archivio Notarile di Trani, mancano gli anni 1561-1563, e 1566-1568. Un accenno di essi si trova nell’istrurnento di notar Gian Lorenzo Topputi che pubblichiamo in appendice (Documento IV), nelle Memorie del PASTORE, e nella Storia del DURSO.
(7) Questa convenzione fu rogata dallo stesso notaio Facinio il 10 febbraio 1563 in un atto, che per fortuna è giunto fino a noi in una copia del tempo su pergamena. Si conserva dal carissimo mio zio Giuseppe Ceci, che mi ha concesso di pubblicarla (documento I.).
(8) Vedi documenti II e III. Il Padronato dell’Università affermato anche dagli stemmi della città messi su varii punti dell'edificio. Sul portone d’ingresso ve ne è uno con questo motto: Andria non minus fidelis quam benigna.
(9) Nell’Archivio suppletorio di Trani vi è un incarto, dove sono varii documenti riguardanti l’elezione dei governanti di Andria pel 1795. Vi è tra l’altro una relazione sulle antiche consuetudini pel governo municipale della città: tra le cariche sono annoverati due Priori del Monte dei proietti, uno nobile e l’altro civile, e un percettore pel Monte stesso, che era eletto alternativamente un anno tra i nobili ed un anno tra i civili.
(10) L’atto fu rogato dal notaio Antonio Pitoggio, ed anch’esso è andato disperso con tutta la scheda del detto notaio. Un accenno vi è nel doc. IV. Confr. pure il PASTORE ed il DURSO.
(11) La notizia mi è stata fornita dall’egregio Canonico Emmanuele Merra, Pro-Vicario della diocesi di Andria, al quale mi è caro di protestarmi grato di questo e degli altri aiuti onde mi È stato largo in questo lavoro.
(14) La contrada è conosciuta anche col nome i Petrarelli.
(15) Vedi il documento III. Confr. pure il PASTORE.
(16) II testamento olografo fu depositato il 21 aprile 1777 presso il notaio Giuseppe Sinisi e aperto il 28 febbraio 1782.
(17) Archivio di Stato di Napoli, processo della pandetta nuova seconda 345,5. Tra gli atti di diligenza sulla censuazione dell’ospedaletto, territorio appartenente al Monte dei proietti di Andria, vi è il rapporto del magnifico Pasquale Pisani, officiale d’inverno della regia dogana della residenza di Andria. Si accenna alla fondazione del Monte e alle opere da esso praticate.
(18) Cavo queste notizie da un registro conservato nell’Archivio Vescovile. Vale dal 1801 al 1809 ed è controfirmato da una commissione presieduta dal Primo eletto Fasoli e composta dei signori Gallelli, Fasoli e Ceci.
(19) Vedi il documento VI. Confr. pure il DURSO.
(20) Da una relazione scritta il 20 giugno 1864, dal compianto Segretario del Comune di Andria, D. Giovanni Castiglione.
(23) Il Prevosto PASTORE, nelle sue Memorie (lib. II, cap. X) chiama il governatore Consalvo Fernandez de Torres, attribuendogli per uno sbaglio di penna una parte del nome del feudatario Consalvo Fernaz Cordova, che successe a Ludovico Duca di Andria. Il DURSO (Storia, p. 153 e seg.) copia quasi colle stesse parole questa narrazione, e allo sbaglio del buon Prevosto ne aggiunge un altro, facendo venire in Andria il de Las Torres nel 1515, mentre in quel tempo e fino all’incendio messo alla città dal Lautrec era governatore un Giovanni Molina da Valenza.
(24) Sei volumi della scheda di questo notaio si conservano, tra le poche salvate alla distruzione, nell’Archivio Notarile di Trani. Comprendono con molte interruzioni gli atti dal 1720 al 1745.
(25) Prendea la contrada questo nome dall’antico villaggio di Cicalia, del quale la prima menzione si trova in una carta dell’843, pubblicata dal compianto Arcangelo PROLOGO nelle Carte che si conservano nell'Archivio de1 Capitolo Metropolitano della città di Trani, doc. II. Non si sa quando questo villaggio sia stato abbandonato dai suoi abitatori, ma ciò avvenne certamente prima del 1381. In un atto stipulato il 17 ottobre di quell’anno, conservato tra le pergamene dell’Archivio cli S. Nicola di Andria, Cicala apparisce soltanto come denominazione di un territorio.
(26) Vedi per tutte queste donazioni i documenti segnati al N. VII.
(27) V. i documenti VIII e XIV. Non tengo conto, naturalmente, dei nuovi lasciti del Laginestra e del Fortunato.
(28) Dall’Introduzione al Cabreo, o Registro dei beni ragioni del Sacro Monte delle opere di Pietà della città di Andria, ecc. ecc. Il 30 gennaio 1727 per mano del notaio Vito Domenico Menduni fu stipulata una convenzione tra D. Nicola D'Ursi, Cantore della Cattedrale, D. Riccardo Cataldi del Capitolo di S. Nicola, e il mag. Carlo Iacobbi, Governatore del Monte di Pietà, il sac. Domenico Petosi del Capitolo della Cattedrale, deputato della chiesa di S. Maria Mater gratiae, e Francesco Antonio Trabacco, Prefetto della Confraternita di S. Ignazio. Si stabilì che il Monte di Pietà doveva condurre a termine l’oratorio, cominciato a costruire dalla Confraternita di S. Ignazio, accanto alla chiesa di S. Maria Mater gratiae, doveva cioè compiere la volta e tutti i lavori da falegname e di decorazione. I Governatori del Monte avrebbero perciò il dritto di tenere l’oratorio per sede delle loro riunioni, per la distribuzione delle elemosine e dei maritaggi, e i confrati di S. Ignazio dal canto loro continuerebbero ad ufficiare nel detto oratorio. Sciogliendosi la convenzione il Monte avrebbe il dritto ad essere rifatto della spesa erogata. Questa raggiunse i duecento ducati.
(29) Cito, fra le tante prove, lo stemma dell’Università, che si vede scolpito nella chiesa coll’iscrizione: Jus patronatus universitatis civitatis Andriae, 1571; il catasto onciario del 1753, dove è segnato il beneficio di S. Maria di Portasanta, di patronato dell’Università, consistente in una casa sotto la sagrestia di S. Nicola, del quale era investito D. Domenico Antonio Giorgi, Priore di S. Riccardo; e la relazione del Giud. Patitaleo de Candia del 15 marzo 1777 sui luoghi pii di Andria, nella quale è questa nota: «Nella chiesa di Portasanta di Jus patronato di questa Università, annessa al Convento di S. Giovanni di Dio, è la congrega del Gesù». — Arch. di Stato di Napoli: Catasto onciario, Provincia di Bari, Andria, vol. IV; e Tribunale Misto, Relazioni dei Governatori, vol. 249.
(30) Quanto si narra sull’origine e l’ordinamento della Congrega del Gesù risulta dai documenti dell’Archivio di Portasanta, gentilmente comunicatimi dall’odierno Presidente Onorario di quell’associazione Comm. R. O. SPAGNOLETTI, dotto cultore degli studi patrii. Il PASTORE dà pochi cenni della Congrega del Gesù, che egli dice già esisteste al principio del 1400 (Memorie cit., cap. XVII del libro I) Più diffusamente ne parla il DURSO nell’XI cap. della sua Storia. La Congrega fu fondata secondo lui, fin dai tempi Svevi, e dedicata all’Annunziata. Discioltasi per alcune discordie col Capitolo della Cattedrale, fu ripristinata nel 1532 per opera dei Padri Gesuiti Mario Morselli e Fulvio Butrio col titolo dell’Annunziata e del Gesù. Il numero dei fratelli, essendo indeterminato, al principio del XVII secolo era tanto cresciuto, che una parte di essi fu ricoverata nella chiesa di S. Sebastiano, per la qual cosa ebbe origine la Confraternita della Morte. Ma il Durso non riporta alcuna fonte per tutte queste notizie, contraddette, come si è visto e si vedrà in seguito, dai documenti, pei quali vedi in appendice sotto i numeri. IX e X.
(31) Quasi 270 ducati al carro, giacchè Stricchio conteneva 11 carra e 15 versure. L’istrumento fu stipulato l’8 settembre 1645 in Andria dal notar Alfonso Gurgo: intervennero come deputati della Confraternita Bartolomeo Tesoriero, Andrea Picentino e Riccardo del Monaco. Vi sono inserite due conclusioni della Confraternita, di cui allora era Priore il not. Alfonso Gurgo, del 7 giugno e del 6 dicembre dello stesso anno.
(32) V. doc. XI e XIV.
(33) Il nuovo statuto, compilato da R. O. Spagnoletti, mentre era Presidente dell'Associazione il Dott. Vincenzo Leonetti Troia, fu approvato con decreto reale dato a Firenze il 18 settembre 1870. Conf. Antonio JATTA, Le Opere pie del circondario di Barletta, Trani, V. Vecchi, 1889, p. 22.
(34) Un libro di conclusioni di questa Confraternita si conserva nell’Archivio Vescovile. Va dal 1577 al 1605. Lo statuto trascritto nette prime pagine ha questo titolo: Capitoli, Ordini e Stabilimenti della venerabile Confraternita della SS. Conceptione eretta nella città di Andria, nell’altare de la Conceptione posto dentro la chiesa di S. Maria Vetere, per il modo di maritare le orfane e zitelle della città predetta del consenso, licenza et autorità di Mons. Ill.mo et Rev. Luca Fieschi, Vescovo della città di Andria.
(35) Vedi il Cabreo della Congregazione della Morte sotto il titolo di S. Maria della Natività eretta nella chiesa di S. Sebastiano. Conf. PASTORE, Memorie cit., lib. II, cap. XIV, e Durso, Storia, p. 79.
(36) Arch. di Stato di Napoli. Stati discussi del Tribunale Misto, vol. 160.
(37) Fu sorpreso in adulterio con Maria Davalos, e trucidato con lei dal marito Carlo Gesualdo, Principe di Venosa, il 27 ottobre 1590. Una narrazione minutamente circonstanziata della tragica fine dei due amanti, che commosse in quel tempo tutta l’Italia, è nel Discorso secondo della dimora di Torquato Tasso a Napoli di Carmine Modestino. Napoli, 1863, p. 48 a 79.
(38) Un vivo profilo di questa santa donna è nel recente libro di R. O. SPAGNOLETTI: Gli Andriesi illustri, Trani, V. Vecchi, 1891. Conf. SGAMBATI: Vita di Maria Maddalena Carafa, Duchessa di Andria, Roma, 1654; BARTOLI: Vita del padre Vincenzo Carafa, Generale dei Gesuiti; MAGGIO: Vita della Venerabile Madre Maria Carafa, fondatrice del Monastero della Sapiensa, Napoli,1630.
(39) Nè forse potrei farlo colla dovuta imparzialità, giacchÈ, la sola fonte che io finora conosca per questi fatti è una relazione, largamente corredata invero di prove e documenti, fatta per conto di una delle parti. È un grosso volume, che si conserva nell’Archivio del Capitolo della Cattedrale, ed ha questo titolo: Relatione della persecutione patita da Mons. Antonio Franco Vescovo di Andria in quella sua chiesa, dalli 25 novembre 1603 che fu eletto Vescovo per tutto li 6 ottobre 1608; nella quale tutto quello che si riferisce puntualmente si prova con scritture e testimoni autentici. Composta in Roma per ordine dei Superiori per . . . . . . . del Signore et istruttione di tutti i Vescovi et in particolare delli successori di esso Mons. Antonio Franco, nella detta chiesa di Andria.
(40) Conf. la cit. Vita del BARTOLI, e SPAGNOLETTI, Gli illustri Andriesi, p. 51 e seg.
(41) V. PASTORE, Mem. cit., lib. II, cap. XV. Il DURSO a p. 140 della Storia che la famiglia Mione in tempi pia antichi avea fondato un orfanotrofio al basso del Pennino, accanto alla casa poi del Canonico Zagaria, che al principio del seicento trovavasi abbandonato.
(42) Questo illustre magistrato nacque il 28 dicembre 1764 nella casa appunto dove prima era l’Orfanotrofio.
(43) L’istrumento di compra fu rogato dal notaio Donato Menduni il 29 giugno 1714.
(44) PASTORE, Mem., lib. II, cap. XV; DURSO, Storia, p. 158.
(45) Istrum. del 12 marzo 1717 per not. Giuseppe Nicola Bellapianta.
(46) Rendo al presente Priore di S. Riccardo, Mons. Stefano Porro, i dovuti ringraziamenti per la comunicazione fattami dell’atto di donazione del Duca di Andria del 7 luglio 1739, e del testamento del signor Vincenzo Morselli stipulato il 15 febbraio 1843 dal notaio Luigi Intonti.
(47) V. doc. XII e XIII.