Origini della Cattedrale: cap.5, di V.Schiavone

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(stralcio da ...)

“Alle origini della Cattedrale di Andria”

di Vincenzo Schiavone

5) Datazione della iscrizione di Riccardo Normanno;
porte di cielo, a Barletta e ad Andria.
Due iscrizioni inèdite

Alcuni elementi in nostro possesso ci permettono di individuare con esattezza chi è il RICCHARDUS COMES, che ad un frammento di colonna affida il nome della COMITISSA EMMA, la contessa sua consorte, per eternarne la memoria.
I nomi dei due coniugi sono indubbiamente di suono normanno. Il nome di Riccardo è inciso anche sulla lastra marmorea di una cattedrale non lontana da questa di Andria.
Sulla facciata della vicina cattedrale di Barletta, sopra la porta minore di sinistra, si legge una iscrizione in marmo bianco collocata fra due bassorilievi, raffiguranti l'Angelo che annunzia e la Vergine che accoglie il piano di Dio, generandone la natura umana e incarnandolo così nella storia degli uomini.
L'Angelo, mentre addita alla Vergine lo Spirito Santo raffigurato in una colomba posta al di sopra della iscrizione, sembra additare con il suo gesto anche la lastra marmorea, che suona così:

+ IMPENSIS RICHARDE TUIS
H(A)EC PORTA NITEBIT
ERGO TIBI MERITO CELES
TIS L(A)ETA PATEBIT [35]
(A tue spese, o Riccardo,
questa porta risplenderà:
perciò, meritatamente, lieta
si aprirà per te la porta del cielo).

Anche qui Riccardo lascia il nome legato a una cattedrale. Questa volta egli lo inserisce tra l'Angelo e in un Dio che si incarna in una Donna; e anche senza forzare il senso di questa voluta posizione visiva della lapide con la simbolica interpretazione [36] che ne diede il Santeramo, bisogna riconoscere che il normanno Riccardo non brillava certo per modestia, come sarebbe un giorno brillata (nitebit), per splendore di pietra, la porta di quella cattedrale. Aggiungiamo che, da bravo normanno — e lo chiariremo più dietro —, non perde occasione per gli occhi dei sudditi. Le cattedrali lo attirano. Lì ad Andria per seppellire, dentro, una contessa; qui, fuori, per aprirvi una porta secondaria e guardando al futuro in cui la porta — ancora in costruzione — risplenderà, mentre già comincia a schiudersi, azionata dai soldi, quella del cielo.
Il Riccardo di Barletta venne individuato dai più nella persona del conte normanno Riccardo che dominava ad Andria verso gli anni 1150. L'ipotesi di quegli studiosi, basata su dati storici, era fondata e l'avevano ripresa recentemente anche considerazioni di ordine stilistico che farebbero risalire la prima fase dei lavori della Cattedrale di Barletta alla stessa epoca [37]. Queste concordanze ricevono conferma dalla iscrizione andriese, che diventa perciò importante anche per la datazione della cattedrale di Andria poichè attesta che nel 1155 — anno, storicamente fondato, della morte di Riccardo — la cattedrale di Andria era pronta per accogliere una tomba.
Il Riccardo di Andria non deve avere avuto una carriera facile: sembra suggerirlo egli stesso nella iscrizione (aerumnas). E le due iscrizioni che ne tramandano il nome, a Barletta e ad Andria, sembrano additargli solo la gioia che non si trova in un regno feudale come il suo: ad Andria la gioia della donna che è in cielo, sia pure nel paradiso delle costellazioni (in caelis gaude, comitissa fidelis), mentre a Barletta l'epigrafista (che non sia lo stesso?) gli mostra, e di lontano, la gioia della porta del cielo che si apre esultante, spalancata e automaticamente (ergo) dal denaro munifico di lui: (porta) CAELESTIS ERGO LAETA PATEBIT.
*
Alla certezza feudale dei signori che nel Mille a Barletta compravano il paradiso, ad Andria rispondono umili ignoti della nostra gente, che hanno anche essi lasciato il proprio nome inciso nelle pietre della cattedrale.
Sentiamoli, dalla lastra marmorea inserita nel quarto pilastro di sinistra:
+ PORTAS CELESTES VIDEANT SIBI XPE PATENTES
HUIC HOC QUI FANO STUDUERUNT ADDERE SACRO
ANGELUS • ETMUNDO • FRATER EIUS •
CONSTANTINUS • ATQUE IOHANNOCCARUS

(Pórtas c(a)élestés videánt sibi, Christe paténtes
huíc hoc quí fanó studuérunt áddere sácro
Ángelus, Étmundó, fráter éjús,
Cónstantínus átque Ióhannóccarús)

In lingua italiana possiamo volgere così:

Foto dell'iscrizione posta sul 4° pilastro sinistro della navata centrale)

Le porte del cielo, o Cristo,
per sé vedano aperte
coloro che questo hanno aggiunto
a questo sacro tempio
Angelo, Edmondo, suo fratello,
Costantino e Iannoccaro.

Anche questi sono versi leonini. Esametri i primi due e l'ultimo nei quali l'assonanza è tra caelestes patentes, fano-sacro, Constantinus-Iohannoccarus; pentametro il terzo, nel quale Etmundus diviene Etmundo perchè faccia rima imperfetta con fano dell'esametro precedente. Lievi forzature metriche negli ultimi versi. Capitale quadrata la scrittura; evidenti gli elementi della onciale. Il vocativo «Christe» utilizza le prime due lettere maiuscole del nome greco Χριςτός, come monogramma.
Il senso è chiaramente intelligibile. Si tratta di cinque persone tra di loro collegate da un impegno comune e che hanno attiamente operato (studuerunt: «si sono impegnati») nella edificazione di questa cattedrale, nella parte di essa che va verso il presbiterio, dal quarto pilastro in poi: è questo il senso di studuerunt hoc addere: «operarono per aggiungere questo». E nessun dubbio può sorgere che i cinque signori non abbiano intenzione di sottolineare qui il compimento di una operazione che li vide insieme in un lavoro comune riguardante la struttura della cattedrale, precisando la parte dell'opera muraria (hoc) che veniva aggiunta a questo tempio (huic fano): e sembra che vogliano precisare, da bravi muratori, che, ciò che è in piedi prima di quel pilastro ad essi non appartiene come ideazione od esecuzione diretta.
Il riferimento al pilastro immediatamente precedente é infatti molto scoperto e comprensibile perchè proprio lì, dentro il terzo pilastro quadrangolare, su di un'altra lastra marmorea, era già stato inciso, quando essi «studuerunt addere», un altro nome (Alkseberius come vedremo) che rivendicava per sè la paternità della fabbrica e del suo progetto, come risulterà esaminando l'ultima iscrizione. Quando i cinque intervennero nei lavori della cattedrale, evidentemente continuavano la attività precedente di Alkseberius, portandola a compimento.
Particolarmente interessante, per noi, l'ultimo dei quattro nomi della lapide: Iohannoccarus. Perchè appare in un documento andriese [38] del 1138, che egli sottoscrive come teste, ma con una testimonianza resa anch'essa con un verso leonino, come nella cattedrale, cosa piuttosto rara nella diplomatica pugliese [39]. Trascrivo quella testimonianza in forma metrica:
Murus ab infestis, Iannoccarus est michi testis
nella quale il notaio, che roga l'atto, suggerisce — come ha fatto per ciascuno degli altri cinque testimoni — anche l'attività professionale di Iannoccaro (murus).
Il documento notarile sottoscritto è datato ad Andria, il 1138, Dicembre, vale a dire proprio durante gli anni che il conte Riccardo, marito di Emma, concluderà con la sua tragedia di cui diremo.
Le due iscrizioni marmoree, dunque, quella sepolcrale di Emma, che Riccardo pone in cattedrale, e quella che Iannoccaro con gli altri suoi compagni inserisce nel pilastro, possono dirsi di contemporanei, vissuti negli stessi anni.
*
Ma vi è espresso, in questo marmo, un pensiero fondamentale e profondo assai significativo per noi, che indaghiamo su queste pietre per una intelligenza non superficiale della cattedrale.
Qui Iannoccaro sembra voler dire al suo signore, e quasi a rettificare il marmo di Barletta, che le porte del cielo non si aprono, come a Barletta, con il denaro, ma che è Cristo che può aprirle per l'uomo, per i suoi meriti di redenzione e di grazia. La porta è lui, perché Lui stesso lo ha detto ( Ego sum ostium, Giovanni, 10, 7): entrare nel Regno attraverso i regni del mondo, è possibile soltanto attraverso il Cristo:
PORTAS CAELESTES VIDEANT SIBI CHRISTE PATENTES
Un nome, dunque, Riccardo, lega tra loro due cattedrali, in uno stesso dominio feudale e in una comune stagione dell'arte. Ma un pensiero espresso nel marmo profondamente le divide: lì, a Barletta, la porta del cielo che si apre è rozza mistica normanna; qui, ad Andria, quel pensiero è teologia che apre all'uomo orizzonti nuovi e il senso di una rinnovata umanità.
Iannoccaro, vissuto ai tempi di Riccardo, ne conosceva il travaglio, e forse alludeva al capo normanno, che incontrò, nel 1155, la morte miseranda e màcabra. Il documento andriese del Dicembre 1138 che egli sottoscrive e a cui interviene come testimone, rispecchia anche la situazione locale, rivelando un repentino cambiamento della situazione politica nella guida della città verificatasi in quegli anni. Riccardo fu successore di un notissimo capo normanno che era stato conte di Andria in anni furibondi per tutta la Puglia: Goffredo. Dopo un periodo torbido di ribellioni, Goffredo era scomparso dalla scena politica eliminato dal potere centrale. Tutti, sotto il nuovo capo della città, Riccardo, si accaniranno per negare quel recente passato: nessun valore viene attribuito agli atti pubblici formulati da Goffredo, o sanciti dalla sua approvazione («tamquam vim non habentes», si dice in quell'atto notarile) [40]: è come un cambiamento della guida politica che subentra a un regime del quale ora, più non si riconosce la legittimità.
È ai tempi turbinosi di Goffredo e di Riccardo di Andria che ci rimanda questa cattedrale. È possibile averne un'idea, ricordando anche in maniera rapidissima gli eventi storici e le lotte ferocissime in mezzo alle quali essa fu elevata.

[35] Inesatta la trascrizione del LOFFREDO (Storia della città di Barletta, Trani, 1893, pag. 129).
[36] S. SANTERAMO, Il simbolismo della Cattedrale di Barletta, Barletta, 1917, pag. 41.
[37] P. B. D'ELIA, Il romanico in La Puglia tra Bisanzio e Occidente, Milano,1980, pag. 188; M. S. CALÒ MARIANI, ivi, pag. 284-285; E. MINCHILLI e Altri, La Cattedrale di Barletta, in «L'architettura», IV (1958), pagg. 270 sgg.
[38] CODICE DIPLOMATICO BARESE, Le pergamene di Barletta, VIII, a cura di F. NITTI DI VITO, Bari, 1914, doc. n. 42, pag. 70-71.
[39] Assai più frequenti sono nella diplomatica pugliese i versi esametri usati dai notai nella intitolazione dei loro documenti, in cui si fa riferimento sempre al Cristo e alla Vergine nel mistero della incarnazione: non fu solo vezzo di poesia, ma reminiscenza del canto sacro e della innologia cristiana latina. Cfr. G. ANTONUCCI, Rime e ritmi nella diplomatica pugliese, in «Japigia», III (1932), pagg. 215-226; F. BABUDRI, La poesia nella diplomatica pugliese, in "Archivio storico pugliese", VI (1953), pag. 53.

(da "Alla scoperta del volto di S. Riccardo", AA.VV., Supplemento al Bollettino diocesano, Tip. Guglielmi, Andria, Dicembre 1985, pagg.57-64)