I ruderi di una chiesetta altomedievale, di V. Zito

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estratto e trascritto da

“Rivista Diocesana Andriese”

Anno LXIII, 2020


I ruderi di una chiesetta altomedievale
tra le località Calcagnano e Quadrone

dell'Arch. Vincenzo Zito

Nel territorio di Andria, tra le attuali località Calcagnano e Quadrone, ai confini col territorio di Corato, da tempo immemorabile è presente il rudere di quella che, un tempo a noi lontano, era stata una chiesetta ma che della quale non si conoscono altre informazioni. Le prime notizie riferibili alla suddetta chiesetta, al momento disponibili, rivengono dalla scarna descrizione che ne fece nel ‘700 l’archeologo Francesco Maria Pratilli durante il suo viaggio alla ricerca dell’antica via Appia. Riferisce il Pratilli che

Nella villa volgarmente detta il Quadrone in territorio d’Andria, (… ) e allato a un picciolo boschetto di essa villa veggonsi le rovine di un antico tempio (…). Dopo questo luogo del Quadrone entrasi nel territorio di Corato ...(1),

rovine identificabili con il nostro rudere. Si comprende, quindi, che già da circa tre secoli addietro la nostra chiesetta era ormai ridotta a rudere, anche se il generico termine “rovine” non consente di comprendere a quale livello di degrado si trovasse. Questo stato di cose non meraviglia perché già molti decenni prima il vescovo Felice Franceschini (1632-1639), nella sua Relatio ad limina del 15 novembre 1636, riferiva che nel territorio di Andria esistevano molte chiese e cappelle rurali ma alcune di queste, a causa della loro posizione isolata, erano in condizioni di degrado e parzialmente diroccate, prive di suppellettili degli altari perché trafugate da ladri i quali non esitavano a scardinare le porte e utilizzare la chiesetta come rifugio (2).

A questa notizia segue un lungo periodo di silenzio in quanto nessuno degli studiosi successivi ne fa menzione. Soltanto nel 1919 il canonico Domenico Morgigni, con riferimento al passo del Pratilli, riferisce che

Anche oggi si vedono le rovine dell’antico tempio innanzi riferito, consistenti in un muro alto, grosso, durissimo; vera opera romana. I contadini sogliono chiamarlo: la pezza della Chiesa(3).

Il giudizio del Morgigni, che definisce i resti “opera romana”, ha poi condizionato ambiguamente Riccardo Loconte il quale, interpretando letteralmente il termine e con riferimento ad alcune tombe presunte “romane” della zona, non meglio identificate, ipotizza che nei pressi fosse esistita una stazione di posta risalente all’epoca dell’antica Roma (4). La stessa espressione utilizza Riccardo Campanile che però non chiarisce il significato del termine “romana”, cioè se inteso risalente all’antica Roma o se riferita all’architettura “romanica”, tipica del basso medio evo (5).

Tuttavia il passo del Morgigni ci fa comprendere come nel 1919 della chiesetta rimaneva solo un muro, cioè all’incirca la situazione attuale. A meno che non si riferiva ad un altro manufatto murario, esistente in un raggio di circa 500 metri dal rudere della chiesetta, notato da Domenico Di Leo nel 1971 durante le ricerche per la sua tesi di laurea “Ricerca sulle origini di Andria” e citato nel capitolo “i monumenti” (6). Purtroppo Di Leo, che ha il merito di aver eseguito le prime foto del manufatto, non ha riportato la posizione topografica del muro e durante un sopralluogo congiunto, effettuato nel 2011, di questo manufatto non è stata rinvenuta traccia.

Come si può notare le notizie attualmente disponibili sul rudere di questa chiesetta sono molto vaghe e generiche. Nulla anche si rileva dalle visite pastorali dei vescovi di Andria, i quali, per quanto riguarda le chiese extraurbane, si sono limitati a quelle presenti solo nell’immediato circondario della città (7).

Quindi, in carenza di documenti, ci si domanda se è possibile cercare di acquisire ulteriori notizie sulla chiesetta, perché era collocata in quel luogo ed a quale santo fosse dedicata.

Il rudere di che trattasi si trova ai confini del territorio andriese con Corato, in una zona a confine tra le contrade Quadrone e Calcagnano, a circa 380 metri verso est dalla omonima masseria del Quadrone di proprietà della famiglia Porro-Jannuzzi. Per quanto riguarda la viabilità principale, verso sud il rudere si trova a circa 700 metri di distanza dalla strada provinciale n. 30 Canosa-Corato, nelle cartografie IGM individuata come Appia-Traiana, il cui tracciato ricalca l’antico tratturo per la transumanza delle greggi Canosa-Ruvo e del quale non restano tracce catastali. Verso nord dista circa 780 metri dal tracciato della via Traiana, così come si rileva dalle foto aeree IGM del 1954 (8), antica strada romana di derivazione della via Appia, esplorata dal Pratilli nel XVIII secolo (figg. 1 e 2). Per raggiungere il rudere con l’ausilio del navigatore satellitare occorre impostare le coordinate Longitudine: 16.334436 e Latitudine: 41.175010.

Planimetria della zona tratta dalla cartografia tecnica regionale.    Foto zenitale del rudere tratto da Google Maps
Figg. 1 e 2 – Planimetria della zona tratta dalla cartografia tecnica regionale. La freccia indica la posizione del rudere.
Foto zenitale del rudere tratto da Google Maps.

Dell’antica chiesetta si è conservato soltanto parte della parete di fondo del presbiterio che ha uno spessore di circa 70 cm e un’altezza massima, dall’attuale piano campagna, lato interno della chiesa, di 4,60 metri. La struttura muraria è formata da elementi lapidei grossolanamente squadrati e disposti su file orizzontali, secondo la buona tecnica dell’arte. La parte superficiale della parete non presenta segni di malta tra i conci, la quale, probabilmente, dev’essere stata erosa dagli agenti atmosferici in quanto il muro non appare formato con pietre a secco (fig. 3).

Il rudere come appariva nel rilievo del 2011
Fig. 3 – Il rudere come appariva nel rilievo del 2011.

La parete presenta al centro un abside semicircolare orientato ad est, secondo la tradizione liturgica cristiana, cioè nella direzione dove sorge il sole. L'abside ha un diametro interno di metri 2,30 ed è affiancato da due nicchie della larghezza di cm 75, ricavate nella spessore murario a mo’ di absidi minori, staccate dal piano campagna di cm 60. Nel 1971, anno delle prime foto prodotte da Domenico Di Leo (figg. 4 e 5), si nota che nella parte anteriore del rudere erano presenti due grossi cumuli di pietre, di altezza pari o superiore a quella del rudere medesimo e tale da permettere di scattare foto dall’alto.

Il rudere come appariva nel 1971 (foto di Domenico Di Leo).     Il rudere visto dalla parte absidale come appariva nel 1971 (foto di Domenico Di Leo)
Figg. 4 e 5 – Il rudere davanti e visto dalla parte absidale come appariva nel 1971 (foto di Domenico Di Leo)

Durante un sopralluogo effettuato nel 2011 si è rilevato che successivamente, tra il 1971 e il 1997 (data della foto zenitale più antica rinvenuta), i cumuli di pietre erano stati rimossi, che il rudere era stato delimitato da un basso muretto di pietra e che all’interno dell’abside era stata realizzato un riempimento di pietre, forse al fine di contrastare la crescita di fichi selvatici (fig. 3). Si è anche rilevato come di recente, in prossimità del rudere, erano stati effettuati due saggi, mettendo con essi in evidenza le fondazioni dei muri laterali della chiesetta, permettendo così di rilevare la larghezza della stessa, risultata di metri 6,85, e lo spessore dei muri laterali, risultato anch’esso, come la parete absidale, di cm 70 circa (fig. 6). Poiché la lunghezza complessiva del rudere è di circa metri 9,20, è emerso come lo stesso sia stato “allungato” con due piccoli contrafforti a spiovente, realizzati con la medesima tecnica costruttiva, al fine di consolidarlo ed impedire cadute di materiali agli estremi. Non è stato possibile effettuare saggi per individuare la lunghezza della chiesetta e l’eventuale presenza di pilastri al suo interno.

Pianta del rudere allo stato attuale (2011).
Fig. 6 – Pianta del rudere allo stato attuale (2011).
A) individua i due contrafforti a spiovente per consolidare la muratura;
B) indica i due saggi rinvenuti dai quali sono emerse le fondazioni dei muri laterali della chiesetta;
C) indica il probabile ipotetico perimetro della chiesetta.

Le dimensioni e la tecnologia adoperata rinviano a modelli edilizi tipici dell’alto medioevo, un periodo storico che viene collocato nella seconda metà del primo millennio. In Puglia troviamo pochi esempi che sono pervenuti a noi. Tra questi, il più noto è la chiesetta denominata “Seppannibale grande”, in agro di Fasano, nei pressi del tracciato medievale della via Traiana, più interno dalla costa di circa 3 km. L’edificio è stato datato tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo quale probabile centro religioso di un piccolo villaggio rurale completamente cancellato dal tempo il quale, a sua volta, insisteva su un insediamento più antico (9). La chiesa, a pianta quadrangolare irregolare di piccole dimensioni (circa metri 8 per lato con altezza di circa metri 6,30 alla sommità del frontone della facciata) è del tipo a tre navate con due cupolette in asse sulla navata centrale e volte a semibotte sulle navatelle (fig. 7). La piccola abside rettangolare esistente oltre il presbiterio risulta parzialmente demolita. Le navate laterali terminano con due piccole nicchie ricavate nello spessore murario a simulare delle absidi laterali.

Pianta di Seppannibale Grande in territorio di Fasano (da Gioia Bertelli, 1994).
Fig. 7 – Pianta di Seppannibale Grande in territorio di Fasano (da Gioia Bertelli, 1994).

Seppannibale appartiene ad una tipologia costruttiva che si sviluppa in area pugliese in età altomedievale ma che spesso si ritrova nel successivo periodo basso medievale, soprattutto nel corso dell’XI e XII secolo (San Francesco a Trani, Ognissanti di Cuti presso Valenzano, S.Benedetto di Conversano, S.Corrado Vecchio a Molfetta).

I resti di un’altra chiesetta altomedievale (IX - XI secolo) furono rinvenuti a lato della cattedrale di Bari, oggi al disotto della piazza Rainaldo e Bisanzio antistante la Trulla. La chiesetta, a navata unica chiusa da tre absidi, di cui quella centrale più ampia, è larga circa metri 7,10 e lunga complessivamente circa 8 metri (10). La lunghezza della chiesetta è divisa in due parti da un muro divisorio con varco centrale che separa il presbiterio dalla zona riservata ai fedeli, particolare che farebbe pensare ad una chiesa di rito bizantino. Quest’ultima parte è stata invasa da una cisterna di impianto moderno che ne ha sconvolto l’assetto (fig. 8).

Pianta dei resti archeologici della chiesetta rinvenuta presso la cattedrale di Bari (da F. Dicarlo (a cura), 2009).
Fig. 8 – Pianta dei resti archeologici della chiesetta rinvenuta presso la cattedrale di Bari (da F. Dicarlo (a cura), 2009).

Altro esempio è la chiesetta di S. Mauro, un tempo facente parte di un complesso conventuale sorto in periodo bizantino nel territorio di Sannicola (LE) (11). Anche questa chiesa è a tre navate di cui quella centrale, dotata di abside semicircolare sporgente, é coperta da una volta a botte. Le navate laterali, dotate di abside incorporate nello spessore murario, sono coperte da volte a semibotte (fig. 9). Le dimensioni della chiesetta sono molto modeste, metri 6,30 di larghezza per 10,60 di lunghezza, con il rapporto tra i due lati che appare molto simile al rapporto che intercorre tra i lati del rettangolo aureo (12).

Pianta della chiesetta di S. Mauro (da Farenga & E. Ancora).
Fig. 9 – Pianta della chiesetta di S. Mauro (da Farenga & E. Ancora).

Alla luce degli esempi di chiesette altomedievali a noi pervenute, solitamente tutte orientate ad est come negli esempi sopra esposti, appare ragionevole ipotizzare una tipologia simile per il nostro rudere. La chiesetta di cui costituisce resto doveva essere stata a tre navate, come denuncia la presenza delle tre absidi, di cui quella centrale sporgente e quelle laterali ricavate nello spessore murario, di dimensioni quadrate (circa metri 7 x 7) ovvero rettangolare con sezione aurea (circa metri 7 x 11). Conseguentemente la copertura doveva essere stata a volta o a cupola nella navata centrale ed a semibotte in quelle laterali. L’altezza della facciata al culmine non dev’essere stata superiore ai 6 metri. Naturalmente qualora si dovesse rendere possibile l’esecuzione di ulteriori saggi archeologici si potrà definire con certezza solo quali sono state le effettive dimensioni planimetriche della chiesa.

Da quanto sin qui esposto appare ragionevole affermare che la nostra chiesetta dev’essere stata il centro religioso di un villaggio altomedievale, successivamente abbandonato a seguito del trasferimento della popolazione nelle vicine città di fondazione ad opera dei normanni. Al momento nei dintorni di Andria si conoscono i nomi di altri tre villaggi: Trimoggia, Cicaglia e Tretaso. Trimoggia corrisponde alla omonima località dove sorge il santuario del SS. Salvatore, Cicaglia corrisponde ad una località nei pressi del santuario della Madonna dei Miracoli mentre Tretaso non è proponibile perché, secondo le fonti documentarie, si trovava ai confini col territorio di Canosa (13). Al momento, in mancanza di altre fonti scritte, ci viene in soccorso la cartografia storica. A tal fine può esserci di aiuto un’antica mappa riferibile al periodo aragonese, rinvenuta tra le carte superstiti di quello che fu il primo rilievo sistematico del Regno di Napoli ordinato dal Pontano verso la fine del XV secolo (14). In questa carta, giudicata copia dell’originale (15), nella zona di nostro interesse a sud-est di Andria è indicato l’insediamento di “Alcognano”, ricadente nella località che nella moderna cartografia è indicata col nome leggermente modificato di Calcagnano (fig. 10).

Il villaggio di Alcognano, a sud-est di Andria, in una mappa aragonese di fine XV secolo.
Fig. 10 – Il villaggio di Alcognano, a sud-est di Andria, in una mappa aragonese di fine XV secolo
(Biblioteca nazionale di Francia).

Che si tratti di un villaggio di una certa importanza è chiaramente deducibile dalla rappresentazione iconografica che accompagna la titolazione. Infatti a fianco del nome è disegnato, con colore rosso, un piccolo gruppo di casette disposte in circolo ed un campanile. Nella simbologia adottata dal redattore della mappa, così come catalogata da Fernando La Greca, il disegno indica un piccolo paese, di dimensioni superiori ad un villaggio, di solito rappresentato solo da un gruppo di casette senza campanile o chiesetta (16).

L’insediamento di Alcognano, successivamente ridenominato in Alcagnana e infine Calcagnano, si ritrova pedissequamente in tutte le carte geografiche successive, sino alle carte settecentesche, quando ormai, come afferma il Pratilli, la chiesetta era ridotta a rudere e, quindi, il villaggio ormai non esisteva più (figg. 11 e 12).

Il villaggio di Alcagnana nella Italia di G. Magini (1620).    Il villaggio di Alcagnana da Domenico De Rossi 1714.
Figg. 11 e 12 – Il villaggio di Alcagnana nella Italia di G. Magini (1620) - Il villaggio di Alcagnana da Domenico De Rossi 1714.

Per comprendere questa apparente contraddizione bisogna considerare che fino a tutto il XVIII secolo le carte geografiche erano prodotte ricopiando quelle redatte dal Magini agli inizi del XVII secolo (17), quindi in assenza di un vero e proprio rilievo. Lo stesso Magini, forse, potrebbe essersi servito delle carte aragonesi del Pontano che all’epoca erano ancora esistenti. Un rilievo più dettagliato del Regno di Napoli sarà eseguito soltanto tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 da Giovanni Rizzi-Zannoni. Nella tavola 12 della sua Carta del Regno di Napoli (1808) tra Andria e Corato non sono indicati villaggi ma solo due masserie tra loro relativamente vicine: Quadrone e, poco più a nord, Calcagnano.

Sulla scorta di quanto sin qui esposto si pone una domanda: se la chiesetta era il centro di un villaggio di una certa importanza, come mai non sono individuabili i suoi resti? Una risposta a questo quesito può ricavarsi dall’esame delle prime fotografie realizzate da Domenico Di Leo nel 1971 (figg. 4 e 5). I due cumuli di pietre antistanti il rudere da un esame qualitativo appaiono di eccessive dimensioni rispetto alle dimensioni della chiesetta. Si può dedurre che quei cumuli, oltre a contenere i materiali rivenienti dal crollo della chiesetta, con ogni probabilità contenevano anche i resti delle case del villaggio, almeno quello che non era stato riutilizzato per altre costruzioni nella zona (es. la masseria Quadrone, la cui chiesetta reca un’epigrafe con la data 1775). La rimozione in blocco di tali cumuli è stata sicuramente un’operazione inopportuna, in quanto tra quelle pietre potevano trovarsi eventuali resti di epigrafi provenienti dalla chiesetta o da tombe un tempo esistenti nei dintorni della stessa, secondo una consuetudine che ha attraversato tutto il periodo medievale ed anche oltre. Purtroppo il territorio circostante è stato sconvolto dalle profonde escavazioni effettuate per la realizzazione di vigneti a tendone, per cui è da ritenere che ogni eventuale traccia dell’antico villaggio di Alcognano sia stata definitivamente cancellata e l’unico resto sia il rudere della sua chiesetta.

Anche per quanto riguarda la dedica della chiesetta al momento non è possibile avanzare ipotesi stante il silenzio dei documenti.

 [estratto da "I ruderi di una chiesetta altomedievale tra le località Calcagnano e Quadrone", pubblicato sulla "Rivista Diocesana Andriese", il 2020, nelle pp. 556-569, nonché in "Pubblicazioni su Andria", sul sito andriantica.altervista.org (consultato il 10/12/2021).


NOTE

(1) Francesco Maria Pratilli, Della Via Appia riconosciuta e descritta da Roma a Brindisi, libri IV, Napoli 1745, pp. 525-526.
(2) Dalla Relatio ad limina di mons. Franceschini del 15/11/1636, traduzione di Sabino di Tommaso in
https://www.andriarte.it/Episcopio/documenti/VisitaAdLimina1636_11_15_FFranceschini.html#ChieseRurali.
(3) Can. M. Morgigni, Pagine sparse della storia civile e religiosa di Andria, Andria, 1919, pag. 129.
(4) R. Loconte, Andria la mia città, Quinta edizione, ivi 1992, pp. 22-24.
(5) R. Campanile, I pastori abruzzesi in Andria dai documenti d’archivio dal 1500, Andria 2010, p.93.
(6) Pubblicata da Sabino Di Tommaso nel sito “Andriarte” all’indirizzo
https://www.andriarte.it/Biblioteca/RicercaOriginiAndria-DiLeo/ricerca_origini_andria-index.html.
Ringrazio Dino Di Leo per avermi concesso l’autorizzazione a pubblicare le sue foto.
(7) Ad es. Le cappelle dirute di S. Angelo e S. Maria in Chiancola. Cfr. V. Zito, “Andria scomparsa: le cappelle rurali di S. Angelo e S. Maria in Chiancola”, Rivista diocesana Andriese, Anno LXII, Numero unico 2019, pp. 568-574.
(8) G. Alvisi, La viabilità romana della Daunia, Bari 1971
(9) Gioia Bertelli, Cultura longobarda nella Puglia altomedievale. Il tempietto di Seppannibale presso Fasano, Bari 1994
(10) F. Dicarlo (a cura), Le radici della cattedrale di Bari. Il succorpo e la cripta, Rutigliano 2009, pp.28-29.
(11) fr. T. Farenga & E. Ancora, L’abbazia di San Mauro a Sannicola,
https://web.archive.org/web/20120813000502/ http://www.sicgalatonesannicola.it/PDF/Abbazia%20San%20Mauro.pdf, URL consultato il 23/12/2020.
(12) Nel rettangolo aureo il rapporto tra i due lati è 1:1,618. Il numero 1,618 è detto anche “numero aureo”. La proporzione “aurea” è stata usata spesso in passato per definire le dimensioni di opere architettoniche.
(13) Cfr. A. Prologo, Le carte che si conservano nello archivio del Capitolo metropolitano della città di Trani (dal 9. secolo fino all’anno 1266), Barletta 1877 [pp.24-28].
(14) Giovanni Pontano (1429-1503) fu un politico e umanista italiano che operò al servizio dei re aragonesi. https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-pontano/. Le mappe superstiti sono conservate in numero di sette presso la Biblioteca Nazionale di Francia nel fondo Richelieu - Cartes et plans — magasin. Altre sei carte sono conservate presso l’Archivio di stato di Napoli nel fondo Farnesiano, Raccolta piante e disegni.
(15) F. La Greca & V. Valerio, Paesaggio antico e medioevale nelle mappe aragonesi di Giovanni Pontano, Acciaroli (SA) 2008, p. 16 e segg.
(16) Ibidem, p. 36.
(17) Cfr. Italia di Gio. Antonio Magini, pubblicata postuma nel 1620. Il Magini (1555- 1617) è stato il più operoso e accreditato dei cartografi fra il ‘500 ed il ‘600, autore del primo atlante italiano. Per la sua opera si servì delle migliori carte esistenti, ricevute dai vari governanti degli stati regionali italiani grazie anche alla sua amicizia col duca Gonzaga. È probabile quindi che abbia potuto avere o consultare le carte aragonesi del XV secolo. Le carte del Magini rimasero un modello insuperato di rappresentazione. Più volte aggiornate saranno utilizzate sino a tutto il XVIII secolo. Sul Magini e la cartografia napoletana del periodo cfr. Almagià R., «Studi storici di Cartografia napoletana», Archivio storico per le province napoletane, anno XXXVII, 1913.