Le tele di Tito Troya

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“Rivista Diocesana Andriese”

Anno LV - n. 3 - Settembre/Dicembre 2012

  STUDI 

Le tele di Tito Troja nel Santuario della Madonna dei Miracoli d’Andria

2.   Tito Troja, pittore “Agostiniano” in Andria

di Nicola Montepulciano

Nel santuario sono presenti sei tele del pittore Tito Troja. A prima vista si è indotti a pensare ad un pittore locale, a causa del fatto che questo cognome, nelle sue varie declinazioni (Troia o Troya) è presente in Andria, anche se quì il nome Tito è praticamente sconosciuto. Invece gli storici locali Loconte (22), Gildone (23) e Petrarolo (24) con brevissime e identiche note comunicano che si tratta di un pittore romano. Nulla di più. Questi ultimi, poi, probabilmente, ritenevano l’artista poco importante. Infatti di questo non si trovano notizie nelle diverse enciclopedie di storia dell’arte.
Ma in un numero della rivista Analecta Augustiniana, presente nella biblioteca dei Padri Agostiniani di Andria, un articolo di G.L. Bruzzone fornisce una biografia del pittore (25). Questa presenta Tito Troja come “pittore alquanto dimenticato” perché il suo nome non compare, come si è già constatato, nelle enciclopedie e repertori d’arte. Unica eccezione, dice il Bruzzone, è rappresentata dal Dizionario del 1928 di Antonietta Bessone-Aurelj, che, probabilmente, lo aveva conosciuto di persona o fa sua la testimonianza di chi ne aveva visitato lo studio. Perciò, spiega il Bruzzone, vale la pena riportare la voce relativa al pittore, perché in poche righe si fornisce l’esatta idea delle sue caratteristiche:
“Troja,Tito seconda metà sec. XIX, morto il 16 sett. 1916 a 65 anni, modesto e buono, conosciuto da pochi, viveva solitario nel suo studio in Borgo S. Spirito [a Roma]. Agli amici che si recavano a vedere le sue tele, ritratti di Madonne e di Santi, diceva che gli accadeva sovente di scorgere nella notte nei suoi sonni i volti delle Marie e degli Apostoli che lo spingevano al mattino a prendere il pennello e buttar giù colori, avendo sempre davanti agli occhi i lineamenti delle Sante apparse in sogno. Questi quadri venivano acquistati da prelati stranieri, da madri superiore di conventi, da nobili venuti dalla Francia ad ossequiare il pontefice che stimavano l’ingegno dell’artista. Dipinse un gran quadro che doveva raffigurare la via dei cieli: un lungo viale, una scala altissima perdentesi nell’azzurro infinito e una stella brillante dolcemente; quadro di una delicatezza e di un tono eccellente” (26).
Precisa il Bruzzone che Tito Troja nacque a Ponza, oggi Arcinazzo Romano, distante da Roma 80 km, nel luglio 1847 e morì a Roma il 12 settembre 1916. Sin da giovanissimo si rivelò sveglio e, desideroso di apprendere, entrò nel seminario dei Benedettini di Subiàco. Fu durante questo periodo che venne fuori prepotente la sua vocazione per l’arte pittorica che ha lasciato un segno nella chiesa parrocchiale di Arcinazzo. Nel 1870, ventitreenne appena, intraprese quindi la nuova strada artistica. Il cardinale La Valletta intuì le sue doti artistiche e lo presentò a Luigi Fontana (1827-1908), un pittore che andava per la maggiore a Roma e che apparteneva alla scuola di Tommaso Minardi (1787-1871). Quest’ultimo aveva fondato il “Purismo Italiano”, che fu un movimento pittorico sorto in Italia nel XIX sec. e che proponeva, sulla scia dei Nazareni (27), un ritorno all’arte di ispirazione religiosa e la rivalutazione del Trecento e Quattrocento. Il Fontana coglie questo indirizzo e anche il Troja lo fa suo, con uno stile semplice ed essenziale. Quindi, l’osservazione del Perugino, del primo Raffaello, dei Cinquecentisti, la conoscenza dei pittori Veneziani, la precisione del disegno, la giusta tonalità del colore, una prevalenza dei soggetti sacri, furono assimilati dal Nostro. Aiutò il Fontana per 6 anni in lavori che andava eseguendo in famose chiese romane: la Basilica dei SS. Apostoli, San Lorenzo in Damaso e S. Salvatore in Lauro. Così lo stile di Tito Troja si era ormai affinato e personalizzato e iniziava la fama delle sue tele di soggetto religioso e devozionale. I Padri Agostiniani, custodi del Santuario della Madonna del Buon Consiglio in Gennazzano, vollero ristrutturare l’interno del secentesco tempio, dandogli l’aspetto che si può ammirare oggi. In quest’operazione intervenne Luigi Fontana con Tito Troja ma non più come aiutante, bensì come artista autonomo, effigiando in due affreschi absidali la Madonna Assunta e l’Immacolata Concezione. Lavorò in detto Santuario per circa tre anni, lasciando un’impronta di alto livello e questo fu probabilmente il suo primo lavoro di grande impegno e respiro. L’affresco richiede sveltezza, abilità, senso delle proporzioni, doti non comuni negli effetti chiaroscurali. Fu qui, perciò, che rifulse la sua valentia pittorica e si pensa che da qui sia partito il rapporto Ordine Agostiniano/Tito Troja, ciò che gli valse in seguito il titolo di “pittore degli Agostiniani”. Fu chiamato a Carpineto Romano dove tra l’altro dipinge per la chiesa di Sant’Agostino una pala del vescovo di Ippona; sempre a Carpineto -a palazzo Pecci- affresca la camera natale di papa Leone XIII (1878-1902) trasformata in cappella, con bozzetti approvati dallo stesso Pontefice. Ma da questo momento in poi si fa più intensa, se non prevalente, la pittura su tela. Un soggetto assai ripetuto dal Troja è una effigie di Santa Rita (Fig. 4), non a caso definito “il pittore di Santa Rita”, e quando nel maggio del 1900 fu canonizzata, gli stendardi esposti al pubblico furono preparati dal Troja. Ancora il Bruzzone sostiene che
“Al di là del valore estetico, anche solo per questo motivo il pittore si è allestito un posto nella storia del costume, del gusto, dell’iconografia sacra. Inventore iconografico, [cioè, di immagini, figure e per questo aspetto può considerarsi caposcuola, n. d. a.], egli, per mezzo dell’Ordine Agostiniano, ha diffuso in innumerevoli chiese del mondo quell’immagine della mistica di Cascia, che oggi è patrimonio comune ed è accettato da tutti. Il prototipo (se non andiamo errati) è rappresentato dalla grande tela ideata nel 1888 per il Monastero di Cascia. La Santa, vestita da monaca, ginocchioni, appare nell’estasi mistica, mentre riceve dal Salvatore le stigmate nella fronte. L’ambiente richiama un poco l’epoca e la cella monastica: il pavimento di mattoni disposti a lisca di pesce, l’inginocchiatoio ligneo gotico, il Passio [parte dei Vangeli in cui è narrata la passione di Gesù, n.d.a.] da meditare, un crocifisso, una disciplina [frusta,n.d.a.]. In alto, fra nubi, affiorano angeli con ramo di fichi e con rosa (allusivi ad episodi biografici della Santa). (…). Sino ad allora della Figlia di Cascia si possedeva soltanto il ritratto sul sarcofago (1457), al quale s’ispirò liberamente il Troja modernizzando il costume e mutando positura (…). Negli anni seguenti numerose chiese agostiniane ricevettero tele con S. Rita” (28).
Sin qui il Bruzzone, che ci ha spiegato come il Troja potesse essere stato imitato da altri pittori. Infatti, nel nostro Santuario v’è una tela dedicata a S. Rita, dipinta nel 1899 a Napoli dal pittore, allora ottantenne, Vincenzo Avellino, quindi undici anni dopo il prototipo ritiano di Tito Troja. Le scarne notizie relative a questa tela, stranamente mai presa in considerazione dagli studiosi locali, sono di Padre Cosma Lo Jodice, Priore del Santuario dal 1898 al 1908. La tela arrivò ad Andria nell’ottobre del 1899, qualche mese prima della canonizzazione della Santa, avvenuta il 24 maggio 1900, e costò 200 lire, pari a 807 euro circa. E’ probabile che padre Lo Jodice si sia rivolto al pittore Tito Troja per la tela di S. Rita, forse perché sapeva della sua imminente canonizzazione, ma il pittore, essendo impegnato nella preparazione degli arazzi da esporre in Piazza San Pietro per la canonizzazione della Santa, non potè soddisfare la richiesta; oppure, non volle ulteriormente replicare la “sua” tela di S. Rita. Allora P. Lo Jodice si rivolse al pittore napoletano Vincenzo Avellino. Osservando la tela del pittore campano (Fig. 5) e tenendo presente quanto ci dice il Bruzzone sul prototipo e su altre tele dedicata alla Santa da Tito Troja, possiamo fare un confronto. La Santa nella tela napoletana è vestita da monaca con abiti modernizzati, appare in estasi mistica mentre riceve le stigmate nella fronte, su un piccolo altare vi sono il Passio (29), il crocifisso, un candeliere. Sono le stesse caratteristiche che ci descrive il Bruzzone quando analizza la tela di S. Rita del Troja. Non solo. Anche l’ambiente qui dipinto può riferirsi ad una cella, il pavimento è di mattoni, in alto si vedono le nubi che sovrastano la Santa e due angeli nell’atto di posare sul capo una corona di rose bianche. A differenza della tela del Troja qui vi è un angelo nell’atto di sorreggere la Santa per un braccio mentre riceve sulla fronte una spina della corona di Gesù, ciò che le procura tanta sofferenza. Come si può notare, nella tela campana ci sono molte caratteristiche della tela ritiana del Troja descritta dal Bruzzone. E’ molto probabile che il pittore Avellino abbia avuto modo di vedere qualche tela sulla Santa realizzata dal Troja, oppure che ne abbia preso visione da qualche immaginetta che riproduceva una tela ritiana del Troja. Almeno per questo, dunque, Tito Troja può essere definito “inventore iconografico”, che con un termine, forse, più appropriato si potrebbe dire “caposcuola iconografico”. Dopo tutte queste parole, si potrebbe immaginare che il Nostro abbia condotto una vita agiata fino al termine dei suoi giorni. Invece no. Sappiamo che morì in solitudine e povertà, nel settembre 1916. Sembra impossibile questa fine quando si pensa che le sue tele sono sparse in quasi tutto il mondo: Spagna, Olanda, Malta, Americhe, etc., oltre che, ovviamente, in molte città d’Italia: Bolsena, Bracciano, Bari, Rocca Canterano, e altre fra cui Andria dove, grazie al Santuario della Madonna d’Andria, possiamo ammirare ben sei tele del Troja oltre a due quadri che gli si potrebbero pure attribuire. Speriamo così che si possa ricordare come merita, anche in Andria, il pittore di Arcinazzo Romano.

2.1 L’opera di Tito Troja in Andria

Nella biblioteca del Santuario, oltre alla rivista Analecta Agostiniana, sono presenti altre due pubblicazioni che contengono notizie sulle tele.
La prima é Vita e Martirio degli Undici Beati Martiri del Giappone, opera del Padre Cosma Lo Jodice redatta in occasione del suo cinquantesimo di Sacerdozio. Nell’appendice descrive 25 quadri che adornano detto Santuario. I quadri presenti nel Santuario sono molto più numerosi ma, evidentemente, P. Lo Jodice si riferiva a quelli arrivati a vario titolo nel periodo del suo priorato.
La seconda è un numero del periodico mensile La Beata Vergine Dei Miracoli, pubblicato dal maggio 1906 al maggio 1907 quale supplemento al periodico La Parola di Dio. Questo periodico fu pubblicato in occasione del Cinquantenario dell’Incoronazione della Immagine di Maria SS. dei Miracoli, avvenuta il 3 maggio 1857, perciò il 50° cadeva nel maggio 1907. Uno dei curatori del periodico era l’allora Priore P. Cosma Lo Jodice. Contemporaneamente si è rinvenuta una biografia in Latino su P. Lo Jodice della Bibliographia Augustiniana – Storia Dell’ordine, scritta da Padre David Aurelius Perini (vol II lettera D-M, Firenze,1931). Si riporta solo la parte che ci interessa: “Non parvis insuper expensis, perpulchris Titi Troja picturis aliisque ornamentis illud ditavit”. Traduzione: “Oltre a ciò lo arricchì [il Santuario] di bellissimi quadri, non pagati poco, di Tito Troja e con altri arredi”.
Nelle sue pubblicazioni il P. Lo Jodice descrive le tele in ordine di arrivo al Santuario. La prima tela ad essere descritta è La Madonna della Consolazione o della Cintura con S. Agostino e S. Monica (Fig. 6). Raffigura la SS. Vergine che dà la Sacra Cintura a S. Agostino ed il Bambino Gesù a S. Monica. Dice testualmente Padre Lo Jodice: “Questo quadro è sul tipo di Raffaello e tutta di lui sembra la testa della Madonna. Quanto è mai caro quel gruppo di cinque angeli che le stanno ai piedi! Che dire del numeroso coro angelico che in alto canta le glorie di Maria e del suo sacro Cingolo?” (30). Questa tela arrivò nel marzo 1902 e fu pagata 500 lire, che oggi corrispondono a circa 2018 Euro. L’apparente basso costo della tela non tiene conto dell’alto potere di acquisto che la lira possedeva nel 1902. Possedere 500 lire voleva dire essere benestante, se non ricco. La tela ora si trova nella cappella di S. Benedetto. Misura m 1,66 x 2,35 di altezza e poiché non occupa tutta la specchiatura in gesso allestita nel 1754 è dotata di cornice propria.
La seconda tela rappresenta Santa Chiara della Croce di Montefalco (Fig. 7). Nata nel 1268, ebbe forte inclinazione per la preghiera e profonda devozione per la Passione di Nostro Signore. Entrò in monastero nel 1275 e nel 1291 ne divenne badessa. Era ammirata perché con la parola e l’esempio teneva sempre vivo un gran desiderio di perfezione. Ebbe da Dio singolari grazie mistiche, come visioni d’estasi ed anche il dono della scienza infusa grazie alla quale offrì dotte soluzioni alle più ardue questioni proposte da teologi, filosofi e letterati. Morì nel 1308. Una tradizione leggendaria riferisce che nel cuore di Chiara furono trovati i simboli della Passione (crocifisso, flagello, colonna, corona di spine, chiodi, lancia e canna con spugna) e nella cistifellea tre globi di uguale dimensione, peso e colore, disposti in forma di triangolo e pesati si vide che uno pesava quanto due, in qualsiasi combinazione, a significare il mistero della SS. Trinità. Nella nostra tela sono raffigurati i simboli descritti, sorretti ognuno da un angelo. E’ rappresentato anche un angelo che regge una bilancia, che, pur avendo su un piatto due globi e uno solo sull’altro, non si sbilancia. Questo dipinto dice P. Lo Jodice, arrivò nel marzo 1902 e fu pagata 500 lire (31). Complessivamente il Santuario per queste due tele spese una somma considerevole. Ora la tela si trova all’altezza dei primi sette gradini della scalinata destra che porta alla cripta. Misura m 1,55 x 2,15 circa ed è conformata escludendo la parte del lobo inferiore interno.
La terza tela ha per soggetto il Beato Clemente che presenta a Papa Nicolò IV e alla Corte Pontificia il Beato Agostino Novello (Fig. 8). Il Beato Agostino Novello nacque verso il 1240, gli fu dato il nome di Matteo, non si conosce il preciso luogo di nascita. In seguito, comunque, fu chiamato Matteo da Termini. Intraprese gli studi umanistici e si perfezionò a Bologna laureandosi in Diritto civile ed ecclesiastico. Ebbe come compagno di studi Manfredi, figlio naturale di Federico II. Questi, divenuto re di Sicilia a soli 22 anni, proseguendo lo stile governativo del padre volle portare la corte e i sudditi a periodi di grande serenità. Per questo chiamò gli uomini più colti del suo tempo, fra questi l’ex compagno di studi Matteo. Nella battaglia di Benevento del 26 febbraio 1266, dove Manfredi morì, Matteo fu gravemente ferito e, ritenuto morto, fu abbandonato sul campo. Tutto questo gli procurò tanta delusione per il crollo dei suoi ideali per cui decise di cambiare vita. Divenne frate Agostiniano col nome di Agostino a cui successivamente fu aggiunto l’appellativo “Novello” per la sua vasta cultura e l’acutezza dell’ingegno religioso al punto da essere identificato come un “novello” S. Agostino (32). Dopo alcuni mesi si trasferì da Palermo a Siena. Nel 1288 la comunità religiosa di Siena si vide intentare contro una causa, che rischiava di fargli perdere la proprietà del convento stesso. Fu qui che rifulse tutta la competenza di Agostino Novello, che scrisse una valida memoria difensiva, letta la quale il giudice emanò sentenza favorevole alla comunità religiosa. Il giudice stesso volle conoscere l’autore di sì valida memoria e scoprì che Agostino era stato un suo compagno di studi a Bologna. Il Priore Generale dell’Ordine Agostiniano Clemente da Osimo, saputo tutto questo, lo volle con sé a Roma e lo presentò a Papa Nicolò IV che lo nominò, tra l’altro, suo confessore. Nel 1298 fu eletto Priore Generale, ma poco dopo si dimise perché volle ritirarsi nell’eremo di San Leonardo dove morì il 19 maggio 1309. A proposito di questa tela e di quella dei Martiri Agostiniani del Giappone, il priore Lo Jodice testualmente riferisce: “Questo quadro, come quello degli Undici Martiri Agostiniani del Giappone, è un ricordo del mio Giubileo Sacerdotale”, cioè un regalo al Santuario per il suo 50° anniversario di Sacerdozio, che cadeva nel 1904, essendo stato ordinato il 1° aprile 1854 e per questo le due tele recano la data del 1904 (33). La tela è collocata sul confessionale della navata destra.
La quarta tela rappresenta il martirio dei Beati Undici Agostiniani del Giappone (Fig. 9). Nel 1614 iniziò in Giappone una persecuzione contro i cristiani che coinvolse non solo religiosi ma anche laici cattolici giapponesi di qualsiasi ceto, sesso ed età, con esilio e spogliazione dei loro beni. Il 22 maggio 1617 ebbe inizio l’era dei martirii che terminò il 3 settembre 1632. In questo lasso di tempo ci furono trentadue esecuzioni e 205 Martiri (pagg.7-13). I religiosi martirizzati appartenevano a quattro ordini: Francescano, Agostiniano, Domenicano, Compagnia di Gesù. Nella sua monografia P. Lo Jodice riporta brevi notizie dei soli martiri del sacro Ordine Agostiniano (pagg.14-39). L’episodio illustrato sulla tela è narrato a pag. 27. “Prima di dar fuoco alla catasta per ardere vivi quei tre beati servi di Dio, gli fecero assistere, legati ai pali, alla morte dei dodici avventurosi compagni. Questi decapitati, non si tardò un momento per dar fuoco alle cataste. Se la legna ardeva troppo, i carnefici con i forconi toglievano un po’ di legna per farla ardere a fuoco lento e far durare di più le già atroci sofferenze. Fecero durare il fuoco per due ore circa”. Queste due tele, scrive il Priore Lo Jodice, furono pagate 200 lire ciascuna, pari a euro 807. Le due tele misurano m 1,55 x 2,15 circa in quanto non comprendono la parte che contiene il lobo inferiore rivolto verso l’interno della specchiatura. La tela è collocata sul confessionale della Navata sinistra, di fronte a quella del B. Agostino Novello.
Oltre a queste due tele il P. Lo Jodice parla anche di due piccoli quadri e a pag. 47 dice: “Il quadro del Cuore di Gesù è arrivato nel maggio 1900. É lavoro romano, fu pagato 600 L. e donato dal sig. Salvatore Chieppa”. Valore attuale in euro 2421. Attualmente di questo quadro non vi sono tracce nel Santuario. Il secondo quadro è dedicato a S. Benedetto Giuseppe Labre. “É di pennello romano”, eseguito in occasione della sua canonizzazione avvenuta l’8 dic. 1881. Fu acquistato da P. Antonino di Jorio, nativo di Lanciano e morto in Andria. S. Benedetto Giuseppe Labre nacque in Francia il 26 marzo 1748 e mori a Roma il 16 aprile 1783”. Giovanissimo si recò in pellegrinaggio nei maggiori santuari d’Europa, perciò venne anche nel nostro Santuario. Di questo quadro, quindi, ora sappiamo l’acquirente, l’anno in cui fu dipinto e acquistato, ma non il costo. Misura cm 55 x 69. Ora si trova in sacrestia.
Per quanto riguarda le altre due tele del Troja si sono rinvenute notizie sul n. 13 del periodico La Vergine dei Miracoli pubblicato tra maggio e ottobre 1907, quando le celebrazioni del 50° anniversario della Incoronazione della Immagine della Madonna erano concluse (34). Scrive il P. Lo Jodice: “Due cornici in stucco aspettano ciascuno una tela. Ambedue saranno lavoro di un distinto pittore della scuola romana, saranno collocate appena pronte”. Siamo nel mese di ottobre 1907, quasi a fine anno, e le tele dovevano ancora arrivare. Non cita l’autore, ma dalla firma che si può leggere in fondo alle tele sappiamo essere di Tito Troja e, dalla lettura della data, dipinte nel 1908. Sono dedicate a due beati Agostiniani spagnoli. Una rappresenta l’allora beato, oggi Santo, Alfonso de Orozco (1500-1591) in ginocchio dinanzi alla SS. Vergine (Fig. 10). Questi era un grande devoto della Vergine, con l’intima convinzione di scrivere per suo mandato. Scrisse molte opere in latino ed in lingua castigliana. La tela rappresenta la Madonna che lo invita a scrivere le opere, circondata da vari angeli fra cui uno che gli porge la penna ed un calamaio e, in basso, un altro che gli porge o che gli regge un libro. Di questa tela, dunque,conosciamo il committente (il Santuario), l’anno di esecuzione e arrivo nel Santuario, ma non il costo. Questa tela occupa l’intera specchiatura della cornice e misura quindi m 1,55 x 2,46.
L’altra tela arrivata nel 1908 è quella dedicata alla Beata Giuseppa Maria di Santa Agnese (1625-1696). Nacque da povera famiglia e rimasta orfana di padre in tenera età fu accolta da suo zio; crebbe devota alla Madonna e dedita alla recita del Santo Rosario. A 18 anni entrò in monastero, lasciato il nome di battesimo Giuseppa Teresa, volle chiamarsi suor Maria Giuseppa di Santa Agnese. Comunemente, però, era chiamata Madre Agnese, in spagnolo “Ines”. Era umilissima. Nel tempo libero fabbricava corone del Rosario. La sua comunità aveva l’abitudine di fare tre processioni di penitenza l’anno: il mercoledì santo, il 2 novembre e durante il carnevale. Ebbene, la Beata procedeva sempre per ultima e a piedi scalzi, portando sulle spalle una croce. Morì il 21 gen. 1696. Nella tela è rappresentata nell’atto di ricevere da Gesù la croce e scalza fra piante spinose (Fig. 11). Anche questa tela presenta le stesse misure dell’intera specchiatura. La tela della B. Maria Giuseppa di S. Agnese è la prima della navata destra appena si entra, quella del B. Alfonso de Orozco è la prima della navata sinistra. Quindi, sono una di fronte all’altra.
Come si è detto innanzi, questa tela ricorda alquanto la descrizione di un quadro del Nostro fatta dal Bruzzone: “Dipinse un gran quadro che doveva raffigurare la via dei cieli: un lungo viale perdentesi nell’azzurro infinito e una stella brillante dolcemente; quadro di una delicatezza e di un tono eccellente”. Alcune caratteristiche di questo “gran quadro” sono riscontrabili nella tela di S. Agnese. In un arco azzurro posto in alto vi è una porta o una stella dalla quale promana una luce bianco celeste. Questa disegna un lungo viale sul quale transitano molte anime con una croce verso la porta o la stella. Sull’arco, circondato da un delicato color giallo-oro, v’è una scritta a stento visibile a occhio nudo, JANUA COELI, Porta del Cielo (35). Perciò il lungo viale disegnato dalla luce bianco-celeste rappresenta la via dei cieli.

2.2 Considerazioni conclusive.

Il priore Lo Jodice sia per queste ultime due tele del 1908, sia per i quadri del Cuore di Gesù e di S. Benedetto Giuseppe Labre non cita l’autore; si limita a riferire che dei quattro dipinti uno è “lavoro romano” (Cuore di Gesù), uno è di “pennello romano” (S. B. Giuseppe Labre), e che le due tele del 1908 sono di un “distinto pittore della scuola romana”. Ma le tele del 1908 sono firmate da Tito Troja, che era considerato pittore romano, e poiché i due piccoli quadri sono “lavoro o pennello romano”, è ipotizzabile che siano stati dipinti dallo stesso Tito Troja, ipotesi tutta da verificare.
Per quanto riguarda la tela della B. Maria Giuseppa di S. Agnese, il Priore Lo Jodice ci fa comprendere che è del 1908; infatti, la data, invero un po’ sbiadita, la si può rilevare con una ravvicinata attenta osservazione in basso a destra della tela, accanto alla firma dell’autore. Lo stesso Priore, poi, ci dice anche che l’opera è dedicata alla Beata Maria Giuseppa, in spagnolo S. Ines. Però la targa posta a fianco della tela dopo un restauro porta il titolo di Apparizione di Cristo Portacroce a S. Chiara della Croce e indica la data del 1903. Alla luce di quanto riferito da p. Lo Jodice e dall’esplorazione diretta della tela ne consegue che titolo e anno indicati nella targa sono errati, per cui la stessa andrebbe sostituita.
La tela di S. Nicola da Tolentino (Fig. 12), che si ammira nella cappella di S. Benedetto nel nostro Santuario, contrariamente a quanto riportato in un sito Web (36), non è di Tito Troja. E’ senza firma. Dall’appendice a Vita e martirio di P. Lo Jodice (p.46) leggiamo che “si diede commissione alla Ditta dei Fratelli Bertarelli di Milano per la tela di S. Nicola da Tolentino. Questa è copia del rinomato Gagliardi in S. Agostino a Roma, eseguita da certo Carlo Wilmer. Ha costato lire trecento, e lire cento la cornice. E’ venuto nel Santuario a Gennaio 1900” (37). Non si tratta, quindi di un dipinto ma di una stampa oleografica. Il quadro si trova nella cappella di S. Benedetto, di fronte alla tela della Madonna della Cintura ed ha le stesse dimensioni. Questo quadro, stranamente, non è mai stato preso in considerazione dagli studiosi locali che si sono interessati dell’arte del Santuario. Della stessa tela, dedicata a S. Nicola da Tolentino, vi è un altro esemplare nella chiesa di Sant’Angelo al Lago, qui, nella nostra città. E’ collocata sulla bussola d’ingresso, talché per osservarla bisogna dare le spalle all’altare (38).

 [tratto da “Le tele di Tito Troja nel Santuario della Madonna dei Miracoli d’Andria” di A. Lomuscio, N. Montepulciano, L. Renna, V. Zito, estratto dalla "Rivista Diocesana Andriese" Anno LV - n. 3 - Settembre/Dicembre 2012, pagg. 162-172; Anno LVI - n. 1 - Gennaio/Aprile 2013, pagg. 179-183] (*)

[nelle seguenti pagine del sito potranno essere letti gli altri capitoli dello"studio":]

1.   Il santuario della Madonna d’Andria, tra ’700 e ’800 (di Vincenzo Zito)

3.   Tito Troja: un pittore al “servizio” della fede (di Annalisa Lomuscio)

4.   Il segno di un ordine religioso nell’arte e nella fede andriese (di Luigi Renna)


(*) In merito al presente estratto si precisa che:
- la rivista originale reca le immagini in toni di grigio: nell'estratto sono state riprodotte a colori per una migliore lettura; inoltre sono stati corretti alcuni refusi tipografici.
(22) R. Loconte, Breve guida della Basilica di S.M. dei Miracoli, cit., pag. 4. Contenuto identicamente ripetuto in R. Loconte, Andria ,la mia città, Tip Guglielmi. Andria 1984, pag. 128.
(23) G. Gildone, La Madonna d’Andria, cit., pag. 111.
(24) P. Petrarolo, Il Santuario di Santa Maria dei Miracoli, cit., pag. 57.
(25) G. L. Bruzzone, «Tito Troja, pittore “Agostiniano”», in Analecta Augustiniana, volumen XLVII, 1984, pp. 237-247. Analecta Augustiniana è una pubblicazione periodica dell’Ordine Agostiniano. Altre notizie sul Troja sono riportate da Cesa L., «Tito Troja, abile e ingegnoso pittore di Arcinazzo Romano», in Aequa, n.8/2002 e da Donsanti A., «Tito Troja di Arcinazzo Romano, il pittore ideologico degli Agostiniani», in Aequa n.33/2008.
(26) A. M. Bessone-Aurelj, Dizionario dei pittori italiani, Città di castello, D. Alighieri, 1928, II ed., p. 626.
(27) Il movimento dei Nazareni nacque in Inghilterra e si proponeva un chiaro programma di recupero della semplicità stilistica e del puro sentimento della natura degli artisti prima di Raffaello e di Raffaello giovane. (Enciclopedia dell’Arte Universale, vol. X, Sansoni; Firenze, 1972, pp. 939 e segg.). Per ulteriori ragguagli vedasi il successivo contributo di Annalisa Lomuscio.
(28) Bruzzone, «Tito Troja, pittore “Agostiniano”», cit., pag. 241.
(29) Sul frontespizio del Passio è riportato CRISTI in luogo di CHRISTI.
(30) Lojodice C., Vita e Martirio degli Undici Beati Martiri del Giappone, Bologna 1904, p.49.
(31) Ibidem, p.50.
(32) Amico V., Dizionario topografico della Sicilia, (1756) versione italiana a cura di Dimarzo G., Palermo 1856, vol. II pag.578.
(33) Lojodice C., Vita e Martirio degli Undici Beati Martiri del Giappone, cit., pp.50-51.
(34) Perciò il n. 13 fu l’ultimo ad essere pubblicato, quasi un resoconto di quanto realizzato con, in più, notizie di lavori da portare a termine e di opere da acquistare per il decoro del Santuario. E’ ipotizzabile che le ultime due tele fossero state ordinate in occasione delle feste della Incoronazione e che l’artista non fosse disponibile in quel periodo. A proposito del periodico v’è da dire che nella biblioteca del Santuario non sono presenti tutti i numeri dall’1 al 13, ma solo 10. Ne mancano, perciò, 3. Potrebbe darsi che qualcuno dei numeri mancanti possa contenere notizie utili sul Santuario. Preghiamo chi dovesse possedere copia dei numeri 7 - 11 e 12 del 1906 di farcene prendere visione.
(35) Ringrazio Vincenzo Zito per la segnalazione del particolare menzionato.
(37) Lo Jodice, cit., pag. 46.
(38) Devo questa segnalazione a Michele Monterisi.

figura 4
Fig. 4) Tito Troja, S. Rita da Cascia, presso l’omonimo santuario.




figura 5
Fig. 5) Andria, Basilica di Santa Maria dei Miracoli, navata sinistra. Vincenzo Avellino, S. Rita da Cascia (1899).




figura 6
Fig. 6) Andria, Basilica di Santa Maria dei Miracoli, navata destra, Cappella di San Benedetto. Tito Troja, La Madonna della Consolazione o della Cintura, con S. Agostino e S. Monica (1902).




figura 7
Fig. 7) Andria, Basilica di Santa Maria dei Miracoli, navata destra. Tito Troja, Santa Chiara della Croce di Montefalco (1902).




figura 8
Fig. 8) Andria, Basilica di Santa Maria dei Miracoli, navata destra. Tito Troja, Il Beato Clemente presenta a Papa Nicolò IV e alla Corte Pontificia il Beato Agostino Novello (1904).




figura 9
Fig. 9) Andria, Basilica di Santa Maria dei Miracoli, navata sinistra. Tito Troja, Gli undici Beati Martiri del Giappone (Roma 1904).




figura 10
Fig. 10) Andria, Basilica di Santa Maria dei Miracoli, navata sinistra. Tito Troja, Il beato Alfonso de Orozco (1908).




figura 11
Fig. 11) Andria, Basilica di Santa Maria dei Miracoli, navata destra. Tito Troja, La Beata Giuseppa Maria di Sant’Agnese (1908).




figura 12
Fig. 12) Andria, Basilica di Santa Maria dei Miracoli, navata destra, Cappella di San Benedetto. S. Nicola da Tolentino, oleografia.