il Cristo Pantocratore

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L'affresco:
particolare del Cristo, di Maria e del discepolo

Il Cristo Pantocràtore
[Il volto di Cristo affrescato nella lunetta - foto Sabino Di Tommaso 2006]

Del Cristo Pantocràtore purtroppo rimane il solo capo, con capigliatura a casco, il viso maestoso e barbuto: Egli penetra negli occhi chi lo contempla come intento alla ricerca del suo intimo mentre, contemporaneamente, gli infonde rispetto, sicurezza e bontà.
Come si è accennato nella veduta d'insieme della Déesis, i tratti stilistici sono toscaneggianti, propri degli affreschi d'inizio Trecento: l'incarnato naturale del viso, la notevole espressività e la sua proporzionata volumetria, la dolce apertura degli occhi (e non molto grandi come spesso nello stile orientale), l'aureola internamente raggiata su fondo giallo-oro con bordo in ocra rossa perlinato da piccolissimi fiorellini chiari.

Scriveva il Petrarolo:

"L'affresco potrebbe attribuirsi al periodo pittorico pre-giottesco, per i visi piuttosto tondeggianti delle tre figure: solenne e grave il volto del Cristo, dolce quello della Vergine, pensoso quello di San Giovanni.

Come nella iconografia medievale, il Cristo con la sua maggiore dimensione domina le altre due figure. A mio parere dovrebbe essere stato realizzato tra i secoli XIII e XIV, forse proprio dalla famiglia De' Meli (o Meli), a cui la cappella apparteneva, donde la denominazione di chiesa di Sant'Angelo dei Meli. Dai De' Meli passò ai Marulli; nel 1705 divenne oratorio del 1° seminario diocesano insediato a via Quarti nel palazzo Volpone, acquistato da mons. Andrea Ariano, vescovo di Andria"

[prof. P. Petrarolo, nel libro Le Storiche Croci del Venerdì Santo di M. Melillo, Tip. Edigraph, Andria, 1998, pag.26]

Diamo un'altra lettura parallela dell'affresco col Cristo Pantocràtore, onnipotente (παν = tutto e κράτος = forza)
L’abside, nella quale è affrescato il Cristo, nell’arte romanica del Duecento (ma anche nei due secoli immediatamete successivi) rappresenta l’etere; elemento intermediario della discesa del divino dal cielo sull’altare, sulla terra, è il Cristo, che appunto funge da mediatore tra terra e cielo, Dio e gli uomini.

"L’indissolubile mistero di Dio che si fa uomo lo si può leggere nelle dita della mano destra che benedice [purtroppo cancellate nel nostro affresco]. Infatti la posizione delle dita ha un doppio significato: le tre dita unite simboleggiano la Santissima Trinità, mentre le altre due stanno ad indicare le due nature di Cristo, perché formano il monogramma greco di Cristo (Jesous Christos). Anche lo sguardo apparentemente severo del Volto mette in risalto che il Verbo incarnato è l'immagine del Padre.
Il volto dipinto frontalmente come tutti i volti delle icone, che non sono mai raffigurati di profilo, sta a significare che la Parola di Dio (che è Cristo stesso) deve essere accolta "faccia a faccia con tutti i nostri sensi: gli orecchi, sempre visibili, ascoltano la Parola di Dio; il naso ne sente il profumo; la bocca parla lodandola, le mani indicano anche la bellezza, bontà e verità e gli occhi contemplano il suo mistero"
(Guillem Ramos Poquì, Come si dipinge un'icona - Ed. Piemme 1991).

Maria            Giovanni Battista
[La Madonna ed il Battista affrescati nella lunetta - foto Sabino Di Tommaso 2006]

Maria Vergine Theotókos (Θεοτόκος, Madre di Dio), con il volto incorniciato dal maphórion (μαφóριον, tipico mantello che un tempo in Oriente [come l'occidentale pallium] copriva la testa e il corpo delle donne fino alle ginocchia), indica, con la mano destra sul petto, totale fiducia nel Figlio, mentre col dolcissimo sguardo invita il fedele a fare altrettanto.

Sull'altro lato del Cristo Giovanni Battista (e non il discepolo Evangelista), anch'egli con la chioma a casco e barbato, è rivolto invece a Colui che ha annunciato sulle rive del Giordano, mentre mostra nella sinistra il rotolo della scrittura con il passo: "Vox clamantis in deserto".