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altare di S. Domenico   Tela di S. Domenico, foto V. Iaccarino
[altare di S. Domenico, foto Sabino Di Tommaso 2016 - quadro del Santo, elab. elettronica su foto del restauratore Valerio Iaccarino 2016]

Altare di S. Domenico

ovale di S. Ludovico Bertrando
[S. Ludovico Bertrando - elab. elettr. su foto di V. Iaccarino]

Nel dossale di questo stupendo altare in commesso di marmi policromi è incassata una tela di forma mistilinea, raffigurante il miracolo di Soriano del 1530: [1] la Vergine dispiega un dipinto di S. Domenico tra la due sante che (nel miracolo) l’accompagnavano, Caterina Martire e Maria Maddalena. Ai piedi del raffigurato miracolo S. Pietro martire (con angioletto avente la spada del martirio) e S. Giacinto.
Così descrive l'insieme l'Agresti:

"Il secondo altare è intitolato a S. Domenico. Una gran tela, chiusa pure in cornice di marmo, rappresenta la Vergine che tiene spiegato il ritratto di S. Domenico, avendo nella destra la Sacra Bibbia, ed un giglio nella sinistra. Da un lato si vedono la Maddalena, con un vasello di prezioso unguento in mano, e S. Pietro martire col petto trafitto dalla spada, ai di cui piedi vedesi un angiolo portante la daga, che spaccò il cranio al santo martire domenicano; dall'altro lato si vedono S. Caterina Vergine e Martire, con la palma del martirio in mano e la corona di gloria sul capo, e S. Giacinto, vestito di stola, avendo a destra la sacra pisside, e nella sinistra una statuetta della Vergine, col suo divin figliuolo in seno. Nell'ovato si vede S. Ludovico Bertrando con la pistola in mano, dalla quale esce un crocifisso, allusivo al miracolo avvenuto in Inghilterra, quando, predicando il Santo, gli fu tirato un colpo di pistola, dalla quale, invece della palla, uscì un crocefisso.
[in nota] A piè di quest'altare trovasi la tomba gentilizia della nobil famiglia Topputi, traslocatasi da Andria a Bisceglie. Sulla pietra sepolcrale si legge il nome di Riccardo Topputi, che fece costruire la tomba nel 1637, per depositarvi poi la sua salma."

[da "Chiesa di S. Domenico" in Il Capitolo Cattedrale di Andria .., di M. Agresti, tip. F. Rossignoli, Andria, 1912, Vol.II,  pag. 90]

San Giacinto (fatto domenicano dallo stesso S. Domenico) è rappresentato con una pisside ed una statua marmorea della Madonna delle Grazie, in quanto gli agiografi nel sacro diario domenicano raccontano della sua fuga da Kiev all'invasione dei Tartari (del 1223), attraversando sul suo mantello il fiume Dnieper e portando così miracolosamente in salvo i due preziosi oggetti sacri.
Anche San Pietro martire fu consacrato domenicano da San Domenico e, combattendo da inquisitore con la predicazione e i miracoli contro l'eresia del manicheismo, dai seguaci di tale idee dualiste gli fu spaccata la testa con un falcastro e trafitto il petto con un pugnale.

I suddetti Santi presenti nella tela, cioè S. Maria Maddalena e S. Pietro Martire a sinistra di chi guarda, S. Caterina Martire e S. Giacinto confessore a destra, sono ivi raffigurati perché, avendo eliminato ai primi del Settecento i due altari a loro dedicati, si dovettero trasferire i benefici e gli oneri delle relative messe a questo altare.
Scrive infatti il Merra nel testo sotto citato, parlando degli antichi altari:

XI [altare]. La Cappella di S. Pietro, martire Domenicano, il di cui quadro doveva essere certamente quello che si ammira nella Sagrestia. In Chiesa ora si vede dipinto nel quadro di S. Domenico.
XII [altare]. La Cappella di S. Giacinto, di S. Maria Maddalena penitente, e di S. Caterina Vergine e Martire, che al presente stanno dipinti nel quadro di S. Domenico.

[da "La Chiesa e il Convento di S. Domenico" in Monografie Andriesi, di E. Merra, tip. Pontificia Mareggiani, Bologna, 1906, Vol. II, pagg. 19, 53, 64, 70]

Nell’ovato (foto a destra sopra) c’è lo spagnolo domenicano S. Ludovico Bertrando (o Luigi Bertràn; 1526-1581), missionario nell’America centrale che evangelizzò.
Si racconta che, mentre da un pulpito denunciava le malefatte dei conquistatori, uno di questi tentò di ammazzarlo con la sua pistola a ruota, ma questa miracolosamente si trasformò in crocifisso (nel dipinto: il crocifisso fuoriesce dalla pistola).

In merito alla tomba dei Tupputi il Borsella aggiunge dei particolari:

"A piè dell’Altare di S. Domenico avvi altro sepolcro gentilizio della famiglia Tupputi pure in marmo con tale iscrizione:
Richardus ex clara Tupputiorum gente
Prognatus
Ut animæ suæ requiem
Divi Dominici præcibus impetret
In sacello gentilitio eidem Divo sacro
Sepulcrum sibi construxit
A. D. MDCXXXVII
Lo stemma indica un leone intersecato da una fascia che tiene le branche rivolte ad una palma, espresso tanto sul sepolcro, che ai fianchi dell’altare."

[da Andria sacra, di G. Borsella, tip. F. Rossignoli, Andria, 1918, pagg. 209-210]

Sui lasciti della famiglia Tupputi scrive il Merra:

"... il signor Riccardo Tupputi estinse l’annuo censo di doc. 7, che egli pagava al Convento di S. Domenico, dandogli cinque palmenti, con peschiera e terra vuota, nel luogo detto Sopra li Trappeti, con peso di far celebrare all’altare di S. Domenico, tre messe la settimana, cioè il mercoledì, il venerdì ed il sabato; obbligandosi il Tupputi coi suoi eredi di pagare, in ogni 31 agosto carlini 20 per risarcimento delle tine del palmento, come da istrumento di Notar Alfonso Gurgo 1641. ...
Nell’Inventario dei beni di questo Convento, compilato dal Priore, il Padre Maestro Fra Orazio di Taranto, nel 1576; come pure nel Manuale di tutti i censi scritto verso il 1600, non che nel così detto Teatro compilato nel 1703, si trovano segnati i seguenti possedimenti: ... 9. Palmenti cinque di pietra nel luogo detto Sopra il trappeto del Carmine. Questo fondo pervenne al Convento dal lascito del fu Riccardo Tupputi, il quale con atto stipulato dal Notar Alfonso Gurgo nel 1641, convenne col Convento di dare detti 5 palmenti con terra vacua dietro di quelli, nonché annui carlini 20 per risarcimento dei tini; con peso al Convento che gli rilasciasse annui ducati 7, che gli dovea per il fu Vito Mezzafalce, e di celebrare in perpetuo all’altare di S. Domenico tre messe la settimana. Ai 15 maggio 1804 questi palmenti, con istrumento di Notar Leonardo Frisardi, furono venduti per duc. 520 a Saverio Calvano del fu Matteo, col patto di affrancarli, e frattanto avrebbe pagato il censo annuo di duc. 26, a condizione che il Convento doveva, mundo durante, gratuitamente premere l’uva delle 10 vigne, che teneva nel chiuso del Salvatore. ...
21. Una Casa e due Botteghe alla Piazza grande di S. Agostino, pervenute ai Frati Domenicani per l’annuo censo di duc. 12, che Riccardo Tupputi pagava per D. Giuseppe Topazio Tupputi, e rinunziato al Convento dal medesimo Riccardo, come appare dall’istrumento del Notar Girolamo de Micco, dei 22 ottobre 1692. La casa fu data a censo redimibile al Rev.do D. Michele Barletta, ed ai magnifici Giambattista ed Ignazio d’Addati per duc. 850, al 5%, come da istrumento di Notar Leonardo Frisardi, dell’11 marzo 1795."

[da "La Chiesa e il Convento di S. Domenico" in Monografie Andriesi, di E. Merra, tip. Pontificia Mareggiani, Bologna, 1906, Vol. II, pagg. 19, 53, 64, 70]

Questo altare fu fatto edificare a spese dei Padri Domenicani nel 1773. Nel cartiglio della cornice del quadro (al centro in alto) si legge:

D.O.M.
IN  HONOREM  SS.  SUI  PARENTIS
DEUOTA  EJUS  PROLES
ARAM  HANC  ERIGENDAM  JUSSIT

Gli altari della Madonna del Rosario e di S. Domenico costarono 750 ducati ciascuno per un totale di 1500 ducati, versati in parte a fine lavoro, nel maggio del 1774, al marmoraro Domenico Palmieri di Napoli, come risulta dall'atto notarile redatto da Gaetano Frisardi il 16 luglio 1773, stipulato cioè circa un mese dopo la decisione presa a livello di confraternita, citata dal Merra. La ricerca e trascrizione di tale atto notarile è opera dell'arch. Gabriella Di Gennaro, a documentazione della sua tesi di laurea su "Gli altari marmorei settecenteschi ad Andria" del 1995, pubblicato a stampa nel suo studio "Altari policromi marmorei del Settecento ad Andria ed altri arredi sacri", Schena Editore, 2020, pp. 228-230.

altare di San Domenico, del 1774
[particolare dell'altare realizzato dai marmorari Marino e Domenico Palmieri nel 1774 - foto Sabino Di Tommaso, 02/04/2021]

ciborio dell'altare di San Domenico  resti di pavimento maiolicato presso l'altare
[particolare del ciborio dell'altare di San Domenico e resti dell'antico pavimento maiolicato - foto Sabino Di Tommaso, 16/03/2014]


Sull'altro lato della navata, opposto a questo altare, è eretto quello della Madonna del Rosario, in tutto simile per forma e marmi utilizzati, realizzato il 1773 nella bottega degli stessi marmorari Marino e Domenico Palmieri.

NOTE

la Celeste Immagine di S. Domenico a Soriano

[1] Mi piace qui trascrivere dalla “Cronica” sottocitata la descrizione dei fatti che spiegano “il miracolo di Soriano”, illustrato nella tela dell'altare di S. Domenico.
“ ... una notte, che fù l’ottava della Natività di Nostra Signora, à 15 di Settembre del sudetto anno 1530. appunto tre hore prima del giorno, accadè al sudetto Converso F. Lorenzo dalla Grotterìa, che era Sacristano, uno Spettacolo assai stupendo, una Fortuna assai invidiabile; vidde egli nella Chiesa tre Donne, di aspetto maestoso, di bellezza venerabile, di habiti pomposi. Stupì egli al primo aspetto, & il vedere la conditione delle Donne di gran lunga eccedente la conditione di quei paesi, e più per l’hora importuna, & il trovarle senza corteggio, e senza seguito accrebbe in lui lo stupore; ma quando certificossi la porta della Chiesa esser così chiusa, come chiusa l’haveva egli stesso la sera, parte ingombrato dalla novità, parte soprafatto da qualche turbamento di sentimento, e di affetti, rimase immobile come una Statua; fù ad ogni modo destato dalla voce della più Veneranda trà quelle, la quale interrogatolo della Chiesa, del Convento, e se vi fosse Imagine di San Domenico, rispose che non v’era altra Imagine del Santo, che una rozzamente dipinta nel muro. All’hora soggiunse, pigliate questa, e portela al vostro Superiore, e ditegli che la ponga su l’Altare; ciò dicendo si tolse certo invoglio dal seno, e gli lo porse di propria mano.
Volò il Sacristano al Superiore, e narrato anco alla presenza de gli altri Frati l’accidente, mentre stavano tutti turbati, e sospesi, spiegato l’invoglio, al discuoprir di quella Celeste Imagine, fu dileguata immantinente ogni nebbia, che lor ingombrava la mente, e la meraviglia (conosciutola sopr’humana) si cangiò in riverenza; corsero tutti insieme alla Chiesa, ansiosi di riverire le tre Donne, ma invano, perche disparvero fin d’allora, e d’altro non poterono accertarsi, che d’esser elle sparite a porte chiuse.
La notte seguente apparve Santa Caterina Vergine, e Martire ad un di essi, che era suo divoto, e rivelogli, come le Donne che portato havevano la Sacra Telam erano state insieme con la Regina de’ Cieli, Ella, e Santa Maria Maddalena protettrici della Religione Domenicana, che maisempre si trovano presēti alle gratie, delle quali Iddio si degna di arricchirla.
Ma quãte lagrime di tenerezza versassero avãti la nobil Imagine quei fortunati Servi di Dio; quanti affetti insieme co’l cuore depositassero su quel dono inestimabile; con quanta humiltà l’honorassero; con quale espressione di sensi devoti dessero gratie al Cielo del segnalato favore; non vi è mente capace à considerarlo, che non sia illuminata da qualche Raggio di Gratia più che ordinario; né animo bastante ad accompagnarlo con pari affetto, che non sia sollevato dal merito d’una heroica virtù.
Questo sovrano Mistero, non si sarebbe giammai creduto, se non fosse stato dalla sudetta Habitatrice del Cielo rivelato. Eutimio trattando de’ Misteri, che eccedono la nostra capacità dice (In ‘Psal.86): Licet non esset credendum puro homini annuncianti tantum mysterium, sed tamen hoc credendum est Deo revelanti.
… Tutto questo riferisce ancora Silvestro Frangipane, che fu il primo che scrisse questa Historia [S. Frangipane, Raccolta dei miracoli et Grazie adoperate dall’Immagine del Padre San Domenico in Soriano, Stamperia P. Brea, Messina, M.DC.XXI, pp. 48-49] …

… Da questo avvenimento non sarà strano argomentare una scambievolezza d’affetto trà Domenico, e la Vergine, mentre in Soriano collocata da quei buoni Religiosi l’Imagine del Gran Patriarca nel luogo, dove gli haveva riferito il Sagrestano per ordine della Regina degli Angioli, che su la mezza notte accompagnata da Maddalena, e Caterina Vergine, e Martire l’havea portata dal Cielo, che fù appunto sopra l’Altar maggiore della Chiesa, situato nella muraglia della Tribuna, quale per esser sogetta ad una scaturigine d’acqua che da un Monte vicino scorreva; né potendovi se non con grandissima fatica, e spesa rimediare, determinò il Padre Vicario Frà Domenico Galiano con gli altri Frati trasferirla vicino alla porta in un’altro Altare, come fecero.
Ma la notte mentre i Frati stavano riposando, si partì l’Imagine dal nuovo luogo, e se ne ritornò da sestessa al luogo dove prima era stata collolcata. La mattina veduta dal Superiore questa novità, fù causa, che facesse una rigorosa riprensione al Sagrestano, supponendo esser stata opera sua; e quantunque l’innocente con humiltà si scusasse di non haverla toccata, non fù però creduto; e subito ripigliata l’Imagine la riportarono un’altra volta nel sudetto luogo.
Ma la notte seguente avvenne appunto l’istesso. Per lo che il Superiore chiamato il Sagrestano, lo riprese di inobediente, e pertinace; e levandogli tutte le chiavi, egli stesso la sera chiuse le porte, e della Chiesa, e del Convento. Ma levatosi la mattina al Matutino, trovò che l’Imagine era ritornata alla Tribuna, da dove era stata due volte levata, e dove la Regina del Cielo haveva dato l’ordine, che fosse collocata; onde accorgendosi il P. Vicario, che quello non era capriccio del Sagrestano, ma voler della Vergine, e di S. Domenico, pieno di meraviglia, non che di timore, e riverenza, lasciò star quella Santa Imagine sempre in quel medesimo luogo; dove ancor di presente si ritrova, così ben difesa dall’ingiurie del tempo, che non si è maculata. …”
[tratto da “Cronica del Convento di S. Domenico in Soriano dall’anno 1510 fin al 1664”, composta dal Padre Maestro Frat’Antonino Lembo dell’Ordine de’ Predicatori, in Soriano per Dom.o Antonio, 1665, pp. 9-13]