Contenuto

pianta del complesso monastico nel sec.XIX
[elaborazione elettr. su planimetria del Complesso monastico presente nell'Archivio di Stato, fasc. 7/6/2 1833-1901]

Il complesso conventuale di San Domenico
da fine Settecento ai primi del Novecento

La pianta (elaborata utilizzando la planimetria dell'Arch. di Stato fasc. 7/6/2 1833-1911, fornitami dall'arch. Rosangela Laera) presenta l’insieme piano terra della chiesa e del complesso conventuale così come appariva nell’Ottocento.

Le abitazioni prospicienti Strada Santa Chiara e addossate ai chiostri, dalla Piazzetta (Manfredi) sino alla scalinata Montarone (Via S.Angelo de’ Meli), un tempo erano botteghe di proprietà del convento, come risulta dai documenti indicati da Mons. Emanuele Merra nel sotto citato testo. È da notare che tra queste botteghe si apriva il portone del Convento da cui entravano carri e diligenze.
"19. Quattro botteghe, l’una all’altra vicina, nel largo detto la Piazzolla, accanto al portone del Convento, per dove entravano i cavalli. Le prime di queste botteghe pervennero ai Frati di S. Domenico da una compra fatta da Angelo Mandrollino nel 1401, come da istrumento in pergamena conservato una volta nell’archivio dei Padri, e fatto per mano del Notar Gianotto. La terza bottega fu loro lasciata da Pietro Lombardo, oblato domenicano, con alcune vigne a Casa d’Angelo, col peso dell’alimento, vita sua durante, e di due anniversarii dopo morto, cioè uno per sé e l’altro per sua moglie Giovanna Navarra. La quarta bottega pare esser doveva quella, che il Convento aveva concessa in enfiteusi ad un certo Giuseppe de Robertis, vita sua durante, pagando a tal fine 20 carlini annui.
… … …
28. Finalmente una Casa al Montarone, attaccata al Convento. Essa apparteneva a Francesco Ieva, che la commutò con una casa alla terza Ruga lunga, con due vigne ed ordini 18 al Pennino, e con 4 vigne alla Grava, come da istrumento di Notar Vito Menduni, il 14 gennaio 1725."

In quattrocento anni, da fine Trecento ai primi dell'Ottocento, il Convento espanse la sua importanza sia religiosa e culturale che economica.
Scrive il Merra:
"Intanto mentre la Chiesa ed il Convento andavansi murando; si veniva a poco a poco formando la proprietà monastica dei PP. Domenicani in Andria; proprietà che ha avuto per origine l’atto più nobile dell’uomo, cioè il dono spontaneo dell’amore, della riconoscenza e della fede. Non vi mancarono dei benefattori, i quali cristianamente generosi di pii lasciti, frutti del sacrifizio, doni del pentimento e legati del dolore, l’una e l’altro munificamente arricchirono."

1° chiostro: colonne Lato sud del chiostro restaurato, ingresso Chiostro: angolo Sud-Ovest, di fronte all'ingresso
[scorci del chiostro presso la base del campanile prima dell'ultimo restauro(2012) - angolo Sud-Ovest del chiostro restaurato - particolare delle colonne dell'angolo Sud-Ovest, presso l'ingresso]

Ma sul finire del Settecento, per sopravvenute imposizioni fiscali borboniche e, successivamente, per le contribuzioni forzate operate dai Repubblicani francesi, il Convento perdette gran parte del suo potere economico.
Continua il Merra, tra i pochi storici molto attento agli avvenimenti andriesi di quel periodo:
"Nell’anno 1794 Re Ferdinando IV, vedendo omai esausto erario dello Stato, pensò rivolgersi ai Capitoli, ai luoghi pii ed alle Comunità Religiose del Regno, e di insinuare loro che tutti gli argenti sacri inutili ed inservibili delle Chiese li spedissero alla Regia Zecca in Napoli, per batterne moneta, compromettendosi di dare loro annuo censo del 4%. ...
- Il Convento indebitato - Il 20 aprile 1796 il Priore di S. Domenico, Fra Giovanni Caprile, esponeva ai Frati radunati in Capitolo come pel rovescio sofferto da più anni non meno nell’industria degli animali, che nel ricolto del grano e delle biade, il Convento trovavasi gravato dei seguenti debiti, cioè: al signor D. Filippo Minutillo di Gravina doveva ducati 700: al signor Nicola Ceci di Andria ducati 300: al signor D. Michele Patroni di Corato duc. 500: al signor D. Tommaso Cantore Marziani di Andria duc. 600: finalmente al magnifico Giuseppe Riccardo Campanale di Andria ducati 850. A dir breve, il Convento aveva un debito di duc. 2950. E poiché anche in quel medesimo anno era venuto meno lo sperato ricolto del grano; il Convento anziché potersi sdebitare delle sopraddette cambiali, in buona parte maturate, si vedeva inabilitato a tirare innanzi le industrie, dalle quali ripeteva l’intiera rendita, e conseguentemente il mantenimento della numerosa famiglia, che lo componea. Laonde propose ai Padri che per estinguere questi debiti e per tirare innanzi le loro industrie fosse necessario prendere a censo redimibile quandochessia duc. 4000. I Padri, vedendo la ragionevolezza della proposta, dettero a tal uopo la facoltà al loro Procuratore in Napoli per ottenere Expedit ed il regio assenso. ...
Intanto nel marzo 1799, di giorno in giorno sempre più crescevano i rumori che i Repubblicani erano prossimi ad avvicinarsi ad Andria; ed i Sanfedisti, o per dir meglio la plebaglia sguinzagliata correva fanatica di notte tempo all’abazia di Santa Maria dei Miracoli d'Andria, e di là, armata mano, trascinava in città tutti quei Frati, e li chiudeva nel Convento dei Padri Domenicani, ove, insieme a questi, ai religiosi degli altri Ordini e a non pochi gentiluomini, li sottoponeva a pagare grosse taglie, col pretesto di dovere alimentare gran numero di Tranesi venuti in aiuto di Andria, non che dugento e più giovani armati di Gioia, spediti dal finto Francesco principe ereditario di Napoli, un certo Corbara, un vagabondo, e dal Duca di Sassonia, l’avventuriere de Cesare. Nel terribile eccidio del 23 marzo del medesimo anno, tra i 687 uccisi Andriesi, che per altro fecero in quel giorno prodigi di valore, mentre ogni casa era un castello; nessun Domenicano resto vittima del furore Francese. La Chiesa però ed il Convento, come tutte le altre Chiese e gli altri conventi della città, furono senza modo e misura da quegli avari ladroni depredati. ...
Per tutte queste contribuzioni forzate, e per altre ancora, le finanze del Convento di S. Domenico andavano ogni dì più di male in peggio. Una nuova invasione di Francesi era avvenuta nel Regno, ai 14 febbraio 1806, condotti da Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone I; ed il dì 20 ottobre 1806 il P. Lettore Fra Vincenzo Amatulli, Vicario in Capite di questo Convento, era costretto a lamentare in tal modo dinanzi ai Padri capitolarmente adunati lo stato finanziario del Monistero: « Al vuoto che soffre questo nostro Convento per li disastri del passato anno, si unisce oggi il ristagno industria per l’intaglio del commercio. Per l’opposto si aumentano di giorno in giorno li pesi fiscali e civici in corrispondenza dei bisogni dello Stato; e il maggiore di questi risulta dalla necessità di trattare a spese del cennato nostro Convento li diversi Ufficiali acquartierati ed anche infermi, destinati dal Governo per l’alloggio ». ..."

Quando infine nel 1808 salì al potere del Regno di Napoli Gioacchino Murat si delineò la fine della permanenza dei Domenicani in Andria.
Riferisce sempre il Merra:
"Soppressione dei Domenicani - Giuseppe Bonaparte dopo di avere per due anni dominato in Napoli, venne mandato Re in Ispagna da Napoleone I, che invece di lui spedì in Napoli il Generale Gioacchino Murat, il quale vi prese possesso, il 6 settembre 1808. Assisosi costui sul trono delle Due Sicilie, ai di cui popoli prometteva felicità e grandezza, mutò interamente ordine del governo e della pubblica amministrazione. Impose nuove tasse: soggettò tutti i beni di qualunque natura ad una imposizione denominata fondiaria: e tutte le arti e tutti i mestieri a varie tasse da pagarsi mensilmente. ...
Finalmente nel 1809 Murat abolì tutti gli Ordini Religiosi possidenti, in numero di 213 tra Conventi di Frati e di Monache, ed i loro beni dichiarò beni di manomorta; mentre avrebbe dovuto dirli di mano immortale, come quella che aveva dato la vita alle creazioni pia durevoli e più feconde del genio cristiano! Questi beni donò ai nuovi Ministri, che aveva stabiliti, ai Generali dell’armata, ed a quanti avevano mostrato zelo maggiore nel sostenere il nuovo governo. Fu in quest’epoca, e propriamente verso la fine di settembre, che il Convento di S. Domenico di Andria venne ancor egli soppresso! ...
Dopo tre anni circa, cioè nel 1812, i Domenicani, che rimasero in Andria, svestirono provvisoriamente abito per ordine di Mons. Lombardi, il quale non volendo vederli girovagare per la città, li ascrisse ai varii Capitoli. Di poi dopo molti anni domandarono alla Santa Sede la secolarizzazione, a cui appose il regio assenso il Governo. ..."

Dal primi dell'Ottocento sino alla fine di quel secolo il Convento andò gradualmente deteriorandosi per i seguenti avvenimenti che è ancora mons. Merra a descriverceli:
"Nel 1815 avvenuta la restaurazione Borbonica, risalito sul trono di Napoli Re Ferdinando, e ridonata la pace al Regno; i Conventi dei soppressi Ordini Religiosi di Andria, ed un buon numero di case, non ancora vendute da Re Gioacchino Murat, furono dal Governo date in dote agli Agostiniani Scalzi di Napoli. Tra questi Conventi vi fu quello di S. Domenico. Il gentiluomo D. Emmanuele Spagnoletti lo comprò dai Padri Agostiniani, per farne, come generalmente fu creduto, una Casa Religiosa di Padri Liguorini, lasciando a questi il suo ricco patrimonio, e forse perciò sin dal 1811 egli nel Consiglio Comunale si oppose, perché venisse adibito per uso di carcere. Ma sventuratamente lo Spagnoletti morì in Napoli ab intestato, ed i suoi eredi non sapendo, o simulando di non saperne la destinazione, lo rivendettero a minor prezzo ai medesimi Frati [Agostiniani]. Le celle monastiche per molti e molti anni furono abitate da gente per lo più povera e scostumata.
Coll’andare del tempo il Convento, non essendo stato quasi mai fatto riattare dal Notaio Michele Cristiani, amministratore di tutti i beni, che gli Agostiniani Scalzi avevano in Andria, si ridusse in pessimo stato. Di più quelle stanze essendo state vandalicamente rovistate in tutti i punti da ansiosi e da avari cercatori di tesori, perché parecchi se n’erano trovati; il povero Monistero andò di anno in anno sempre pin deperendo, finché in un’orrida notte del 1891, un’acqua torrenziale prima, ed una forte nevicata di poi, lo ridussero in un mucchio lagrimevole di macerie!"

elaborazione elettronica su una cartografia del 1875
[elaborazione elettronica su un particolare della cartografia del 1875, con evidenziazione dei complessi conventuali di S. Chiara e S. Domenico] L'originale della su riprodotta cartografia,
sulla quale ho aggiunto note e ulteriori rilievi grafici inerenti l'argomento di questa pagina, è una pubblicazione e proprietà dell'ing. Riccardo Ruotolo.

nell'ex chiostro costruita l'officina, poi trasformata in scuola
[nell'ex chiostro di S. Domenico fu costruita l'officina, poi trasformata in scuola]
Alla fine del XIX secolo il secondo chiostro di San Domenico viene trasformato nella nuova e prima centrale elettrica della Città. Annota il Merra:
"Fortunatamente però nel novembre del 1896 l’egregio giovane, il Cavaliere Pasquale Marchio, Sindaco di Andria, bollente di carità patria, ed il benemerito Consiglio Municipale vollero che, sul sito, ove un giorno erano accumulate le macerie del Convento di S. Domenico, si rizzasse l’elegante officina per la luce elettrica, che illuminò splendidamente Andria, la più popolosa citta di Puglia, dopo Bari. L’impresa fu assunta dal nostro valentissimo ingegnere, il giovane Nicola Labroca, il quale in fatti di meccanica è a niuno secondo. Questa luce elettrica fu simbolo quant’altro mai bellissimo e splendidissimo della luce letteraria, scientifica e morale, che dal 1398 sino al 1809 dal Convento di S. Domenico mirabilmente si spandeva sopra Andria, e la irradiava vagamente; mentre i Chiostri, in mezzo alle città tra cui si elevarono sublimi, furono sempre fari luminosissimi di luce intellettuale, di luce d’amore, di civiltà e di verace progresso.
Il 18 luglio 1897 alla parete dell’officina, elettrica fu da me apposta la seguente epigrafe, che non rifinirà, di dire ai presenti ed agli avvenire:
QUI SULLE ROVINE
DEL CHIOSTRO DEI FRATI PREDICATORI
MURATO NEL 1398 DA SVEVA ORSINI
DUCHESSA DI ANDRIA
DAL 1809 RIMASTO IN ABBANDONO
IL SINDACO CAVALIER PASQUALE MARCHIO
I CONSIGLIERI COMUNALI
DIRETTORE NICOLA LABROCA INGEGNERE
VOLLERO QUESTA OFFICINA ELETTRICA SI COSTRUISSE
AUGURIO DI AVVENIRE MIGLIORE PER ANDRIA
CHE RICORDERÀ SEMPRE CON GIOIA
LA SERA DEL 18 LUGLIO 1897
QUANDO VIDESI LA PRIMA VOLTA
A LUCE ELETTRICA
SPLENDIDAMENTE ILLUMINATA"

[da "La Chiesa e il Convento di S. Domenico" in " Monografie Andriesi", di E. Merra, tip. Pontificia Mareggiani, Bologna, 1906, Vol. II, pagg. 53-169]

Il giorno dell'inaugurazione della suddetta centrale elettrica un cronista della "RASSEGNA PUGLIESE di Scienze, Lettere ed Arti" scrisse una gustosa relazione [nel numero di luglio 1897]; allo scoprimento della lapide commemorativa annotava:
"Si era all’aperto, ai piedi del superbo campanile di S. Domenico, che protegge amicamente colla sua ombra l’officina della luce elettrica (chi mai l’avrebbe detto ai padri Domenicani!). I balconi, i tetti, i ruderi dei recenti abbattimenti erano gremiti di popolo plaudente e presentavano una veduta pittoresca. Nel recinto dell’edificio erano parecchie centinaia di persone, fra cui moltissime signore e signorine. Anche le città vicine hanno dato il loro contingente di intervenuti abbastanza numeroso. ...
Alle 8 il Sindaco, il Sottoprefetto e tutti gl’invitati lasciarono l’officina per recarsi sul palazzo Municipale. La popolazione si riversò nel largo del Municipio. Il Sindaco dalla ringhiera del palazzo disse brevi ma vibrate e patriottiche parole al popolo che applaudì freneticamente; e in un attimo la città fu illuminata. Allora la popolazione si diede a percorrerla in tutte le sue vie, ammirando estatica, a bocca aperta, il grande fenomeno di una luce splendida … senza petrolio. E come succedeva? Mah! Certo, Labroca se l’era intesa col diavolo! … No, Labroca se l’era inteso colla scienza, di cui è valoroso sacerdote, ed è riuscito a dotare Andria di una illuminazione che le sarà da molte città invidiata. ... Per molte ore la popolazione si è pigiata nelle vie a contemplare la luce, la quale è veramente ammirabile. ..."