Lavori di restauro 1988-91, A.M. Palladino

Contenuto

Complesso monastico "San Domenico"
Il restauro del periodo 1988 - 1991

relazione dell'arch. Anna Maria Palladino
(stralcio)

Analisi storico - artistica

La chiesa di San Domenico e i resti del chiostro ad essa adiacente risalgono com’è noto al 1398, data in cui, per volere di Sveva Orsini, seconda moglie del duca Francesco I del Balzo, fu fondato ad Andria il convento dell’Ordine dei Domenicani, inizialmente dedicato a Santa Maria dell’Umiltà.
La datazione tardo-trecentesca dell’impianto chiesastico e conventuale è ormai consolidata, in quanto fa riferimento alla Bolla papale siglata da Bonifacio IX, con la quale la S. Sede permise l’insediamento dell’Ordine domenicano sul fondo dato in donazione dalla stessa Sveva Orsini.
In realtà, nel 1398 non fu dato inizio (almeno per quanto si evince dalle storie locali) che alla chiesa, alla sagrestia, a parte del convento e al chiostro minore, mentre l’intero complesso dei fabbricati fu completato nel corso di almeno tre secoli.
L’impianto gotico originario, d’altronde, ha subito diverse trasformazioni, in seguito a distruzioni, saccheggi e calamità naturali, la cui successione cronologica è però difficile da stabilire.

Quattro comunque furono i momenti cruciali in cui si ebbero delle sostanziali e documentate modifiche, se non dell’impianto planimetrico e volumetrico fondamentale della chiesa, almeno di quello del convento, e comunque dell’aspetto architettonico interno ed esterno della chiesa stessa. Infatti, dal momento della fondazione (1398) si ebbero nell’ordine:

  1. Il rimodernamento risalente al 1510, che comportò la modifica della facciata, con la creazione del portale ancora oggi visibile.
  2. Le opere compiute nella prima metà del Settecento, che comportarono una sostanziale modifica delle strutture murarie (chiusura totale delle finestre ogivali laterali e di facciata) e della distribuzione interna della navata (riduzione degli altari da tredici a cinque), come pure il completo rifacimento dell’apparato ornamentale del presbiterio, degli stessi altari e della sagrestia. A questo periodo risale probabilmente la costruzione del chiostro maggiore - resa possibile dall’acquisizione dell’orto di Montarone - che si affiancò quindi al minore, risalante invece all’epoca della fondazione del convento.
  3. La costruzione del campanile, eseguita materialmente dal capomastro andriese Domenico (o Vito) Jeva sul finire del Settecento, probabilmente su di una struttura impostata già nel 1765, così come suggerisce il Merra [1], che dà per compiuto il campanile appena quattro anni dopo tale data, anche se basandosi su di un docu-mento conventuale nel quale alquanto ambiguamente si parla dell’esistenza di una torre campanaria ma senza spiegare dove questa si trovasse (ed esiste quindi la possibilità che si trattasse di una piccola torre campanaria ad usa del convento, poi abbandonata o distrutta per essere sostituita dall’attuale, solitamente datata 1781.
  4. distruzione del chiostro maggiore, la chiusura e la sopraelevazione del minore, la distruzione del monastero nella sua quasi totalità, e la creazione della cabina elettrica, che avvennero tutte nell’arco del XIX secolo, quando l’intero impianto conventuale si degradò rapidissimamente, in seguito alla soppressione dell’Ordine dei Domenicani.

Naturalmente, all’interno di questa sommaria cronologia, assai sono i punti oscuri, e non contribuiscono a chiarirli né le storie locali, in tutta evidenza alquanto romanzate anche se per altri versi utilissime, come quelle di Riccardo D’Urso (1842) e dal citato Emanuele Merra (1897), né i documenti originali, andati ormai per la maggior parte dispersi o distrutti.

Per risolvere alcuni problemi cruciali, relativi non solo alla mera datazione, ma anche ad una effettiva riconoscibilità dell’impianto chiesastico e conventuale, l’unica strada percorribile si rivela essere quella dei saggi conoscitivi sulle murature e in fondazione, e tali saggi, operati fin dall’inizio parallelamente alle opere preparatorie per il restauro del campanile e della chiesa, a scopo quindi preventivo e cautelativo, hanno finora riservato non poche sorprese.

La prima zona che ha destato in noi particolare interesse e ha fatto scaturire i primi dubbi per quanto riguarda la datazione e quindi la connessione originaria fra impianto conventuale e chiesa vera e propria, è quella che comprende la sagrestia, la chiesetta interna alle mura del convento situata nelle immediate adiacenze del campanile (attualmente [1988] adibita a sala parrocchiale) ed il piano superiore relativo alla porzione di portico antistante ad essa, ormai chiusa.

Altro oggetto di particolare interesse e curiosità, e dunque di dibattito, è la muratura laterale della chiesa, oggi interna al piano superiore della porzione di porticato ad essa adiacente, nella quale, pur essendo presenti tracce ogivali probabilmente attinenti a quella che doveva essere la finestratura laterale originaria, non si rileva una fattura particolarmente pregevole, mentre ad esempio con tutt’altra perizia e dovizia di materiali sembrano state erette le murature della sagrestia.

L’ultima scoperta infine, che forse rappresenta un punto nodale per la comprensione degli altri enigmi, è quella del sepolcreto che occupa tutta la parte sottostante al pavimento della chiesa.

Tale scoperta è stata originata da saggi sistematici fatti a livello della pavimentazione, inizialmente allo scopo di identificare le cause di una notevole risalita di umidità dal sottosuolo sulle pareti interne della chiesa.

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A questo punto, conviene secondo noi porre ogni quesito all’interno di una sorta di quadro d’unione, la cui rete di riferimento può essere costituita da sette correlazioni fondamentali:

  1. La Chiesa e il Cimitero;
  2. La Chiesa e il Chiostro Minore;
  3. La Chiesa e la Sagrestia;
  4. La Sagrestia e la scala posteriore che monta ai piani superiori;
  5. La scala e la chiesetta inglobata (presunta S. Colomba);
  6. La presunta S. Colomba e il Chiostro Minore;
  7. Il Chiostro Minore e la Sagrestia.

A tali sette correlazioni presiede la definizione principale del rapporto Chiesa – Convento:

schema della relazione

Da questa prima schematizzazione si escludono momentaneamente (e perché più certamente successivi) gli inserimenti del chiostro maggiore e del campanile, l’uno perché nato da un’imprevista crescita, in numero di unità e di importanza, della comunità domenicana, e l’altro perché motivato dall’accresciuta importanza della chiesa all’interno della comunità urbana, mentre il nucleo originario perdeva ogni valore di rappresentanza, in quanto sostituito a questo scopo dal ben più monumentale impianto del chiostro maggiore.

Ci fermeremo per ora, in sintesi, all’analisi del nucleo originario, proprio perché notevolmente più oscura e complessa ci sembra essere stata la sua genesi.

1) Cimitero – Chiesa

Nella Bolla papale di Bonifacio IX, indirizzata ai Padri Domenicani, si legge che Donna Sveva Orsini domandava con la sua supplica che in quel luogo della città di Andria sorgesse "… unum locum pro usu et habitatione Fratrum Ordinis vestri cum Ecclesia, campanili, campana, coemeterio, claustro, dormitorio, refectorio, domibus, et aliis necessariis officinis …" e che tutto ciò fu concesso. [2]

Non è dato sapere se il cimitero dei monaci sia poi stato ricavato all’interno della Chiesa o in altro luogo interno alle mura del convento. Certo è comunque che al di sotto del pavimento della chiesa è stato rinvenuto un impianto tombale complesso e ordinato, un cimitero vero e proprio dunque, con i sepolcri posti quasi ortogonalmente all’asse della chiesa per tutta la sua lunghezza. Tale sepolcreto non è stato ancora rilevato con precisione dall’interno, ma la sua planimetria risponde più o meno allo schema seguente:

planimetria del sepolcreto - elaborazione
[(elaborazione a colori della) planimetria del sepolcreto dell'arch. A.M. Palladino]
(N.B.: i numeri indicano la posizione delle lapidi rinvenute sotto il livello del pavimento; le lettere maiuscole indicano la zone in cui la muratura della chiesa si appoggia alle strutture tombali; le “p” minuscole indicano la presenza di pozzi e fosse comuni; la linea tratteggiata indica la divisione fra i due impianti tombali diversi e riconoscibili.)

Il problema è dunque questo: il cimitero preesisteva alla chiesa e la chiesa vi è stata costruita sopra, oppure è successivo alla chiesa e dunque vi è stato scavato all’interno?

I dati a nostra disposizione sono contrastanti:

  • In nessuna storia locale si parla di tombe sotto il pavimento della chiesa, anche se si parla di un cimitero dei monaci all’interno del complesso conventuale.
  • Sono state rinvenute alcune lapidi al di sopra del piano tombale e al di sotto del pavimento della chiesa, in posizione 1, 2.
    Il testo di tali lapidi è il seguente:
    • SEPULCRV
      CONGREG. SAGRAT.
      ROSARII
      1624
       
    • HIC JACET OSSA SILVVII MA
      RANTA VENUSINI QVINT0
      AUDITORIS REGNI NOVISS
      IME DESTINATI IN ADVOC
      ATUM FISCALEM PROVIN
      TIAE PRINCIPATUS ULTRA
      ORATE PRO EO
    Come si vede, la datazione di tali lapidi arriva fino al 1624, cosa che farebbe pensare a un impianto tombale successivo quantomeno alla fondazione della chiesa originaria, sempreché le lapidi siano strettamente inerenti alle tombe sottostanti, e non aggiunte in seguito.
    A questo proposito è bene ricordare che, mentre è noto che al di sotto dei primi due altari alla destra di chi entra vi fossero i sepolcri di due famiglie gentilizie (quello degli Spagnoletti sotto l’altare di S. Vincenzo, e quello della famiglia Tupputi sotto l’altare di S. Domenico), non si sa nulla circa l’eventuale esistenza di tombe al di sotto dei tredici altari originari, e in ogni caso ciò non spiegherebbe del tutto l’impianto di tombe oggi scoperto, che non sembra essere affatto attinente a nessuna posizione di altare, né nuovo né antico, dato che come si è detto esso si sviluppa in posizione centrale rispetto alla navata, e che la sua orditura trasversale è anche leggermente rotata rispetto all’asse della navata stessa.
  • L’impianto tombale si può sommariamente sudividere in due parti, una anteriore, più prossima all’ingresso, e una posteriore, più prossima alla zona presbiteriale. A prescindere da questa netta diversità planimetrica, i cavi si succedono però con continuità, né tale ideale linea di separazione sembra riferirsi, stando alle evidenze attuali, ad alcunché.
  • È stata rilevata anche la presenza di 3 pozzi e 2 fosse comuni di una certa profondità, sempre interni alle mura della chiesa. La loro posizione è indicata in pianta con le lettere “p”.
  • All’interno della fossa comune “p4” sono stati rinvenuti esclusivamente scheletri di donne, con le capigliature spesso intatte e numerosi tacchi di scarpe in legno, tutte cose che farebbero pensare ad una datazione abbastanza vicina al 1624. Quindi, a questo proposito, due sono le ipotesi: o non si trattava di un cimitero esclusivamente di monaci, oppure questa fossa è stata scavata in epoca nettamente successiva alle altre tombe.
  • L’impianto tombale continua, da quello che è possibile vedere, al di sotto del presbiterio (probabilmente con le tombe dei monaci) [3] e al di sotto delle murature della chiesa, cosa che indicherebbe non solo la sua preesistenza rispetto alla chiesa, ma anche che la costruzione della chiesa soprastante non ha rispettato minimamente il perimetro dell’impianto tombale, quasi che esso risultasse sconosciuto, tanto vero che in zona “A” la muratura portante dalla chiesa alla base dell’arco presbiteriale si fonda su di un’esigua voltina del cunicolo sotterraneo.

2) Chiesa - Chiostro Minore

L’ipotesi che viene immediato formulare è a questo punto che la muratura della chiesa possa essere stata, se non costruita, quanto meno ricostruita in tempi successivi alla presunta data di fondazione. A questo punto, crollerebbe anche l’ipotesi che il chiostro minore possa risalire allo stesso 1398, visto che la struttura di tale chiostro risulta saldamente impiantata nella muratura laterale della chiesa.

Questo discorso coinvolgerebbe anche la facciata, in quanto i conci di facciata rigirano sull’angolo sinistro all’interno del chiostro (è stato fatto a questo proposito un saggio di verifica proprio sulla situazione angolare); se ne conclude che, o è lecito pensare che la chiesa attuale sia una ricostruzione globale della chiesa originaria (ma le finestre ogivali sarebbero allora inspiegabili), e quindi il chiostro è anch’esso ricostruito, o coevo alla ricostruzione, e quindi non gotico, oppure chiesa e chiostro sono davvero quelli originari per quanto riguarda le murature, e allora la costruzione della chiesa è stata effettuata nella più completa ignoranza almeno di una parte della situazione sotterranea.

3) Chiesa - Sagrestia

Per quanto riguarda la sagrestia, possiamo notare, come si è detto, che la sua struttura muraria è di gran lunga superiore, qualitativamente, rispetto alle murature dell’intera chiesa.

Le notizie storiche in nostro possesso riguardanti la sagrestia si riferiscono soltanto al suo restauro e alle opere decorative effettuate dopo il 1750, ma non ci è dato sapere nulla della data di costruzione. Riporta il Merra: “(…) Abbellita la Chiesa, fu necessario far abbellire ancora la sagrestia, che nel 12 luglio 1752 il Priore Fra Lorenzo Germano aveva proposto risarcire e ripulire con intonachi ed ornamenti di quadri, e con alla testa un grande Crocifisso, accanto a cui furono dipinti sul muro l’Addolorata, S. Giovanni, e la Maddalena. Attualmente il Crocifisso sta in Chiesa, a destra di chi entra per la porta maggiore. Ai 9 settembre 1773, volendosi sempre più abbellire questa Sagrestia, dal Padre Priore Fra Ludovico Buchicchio si propose di ornarla di stucchi (…)” [4]

Di un affresco si è trovata traccia, sul muro della Sagrestia comune colla Chiesa, a destra della porta che si apre fra il chiostro e la sagrestia stessa. Benché tale affresco non sia stato, prudenzialmente, liberato, esso risulta stare, in linea di massima, piuttosto in basso, fino a toccare il pavimento, cosa che fa immediatamente supporre che il pavimento attuale della sagrestia stia molto al di sopra del suo piano originario.

È stata inoltre rinvenuta, all’interno del muro della sagrestia a confine con la scala, una pila in pietra, ricavata da un unico blocco, di origine incerta.

Per quanta riguarda il rapporto della Chiesa con la sagrestia, l’unico varco di comunicazione era originariamente quello indiretto, che si apre nell’ambiente che mette in comunicazione la sagrestia con il chiostro. In seguito fu poi aperta la porta nella zona presbiteriale.

4) Sagrestia – scala
5) Scala - Chiesetta inglobata
6) Chiesetta inglobata – Chiostro

Leggiamo nella storia del D’Urso: "(...) Troviamo in questo frattempo, che i nostri Padri Domenicani, volendo dilatare il loro Convento, si siano portati nel Palazzo Ducale a supplicare il Re, onde si fosse degnato accordare loro la Chiesa di S. Colomba di pertinenza del Regio Fisco, attaccata alle loro mura. Il Re, anche ad insinuazione del nostro Duca, commise la supplica al Cardinale Orsino Commissario Generale del Papa, che concesse loro la grazia. Così quella fu subito incorporata coll’altro fabbricato (...)Si è questo rilevato da una pergamena conservata da questi Domenicani, la quale terminava: Datum Andriae ex Domibus Ducalis habitationis nostrae die VI. Januarii millesimo quadringentesimo quinquagesimo nono. (...)" [5].

Esistendo all’interno del chiostro minore, nelle immediate adiacenze del campanile, una chiesetta la cui facciata è ancora perfettamente riconoscibile, con il suo portale in pietra e i due finestroni laterali murati, ed essendo questa completamente accorpata al resto della fabbrica domenicana, ci sembra facile supporre che si tratti proprio della S. Colomba citata.

L’epoca dalla costruzione della chiesa di S. Colomba, genericamente data come preesistente al convento e alla chiesa di S. Domenico, secondo noi non dovrebbe essere comunque anteriore al 1309, anno in cui la principessa Beatrice d’Angiò, moglie di Bertrando del Balzo, “ … La prima volta ch’ella con Bertrando si portò a visitare questo Duomo, si degnò fra le pubbliche voci di ringraziamento, e tra le comuni commozioni di santa tenerezza, donare a questo Reverendissimo Capitolo una delle maggiori Sacratissime Spine, che avevano composta la Corona del nostro Redentore: come anche l’intero capo della Vergine, e Martire S. Colomba, riposto in una testa di argento col rispettivo busto (…)”. [6]

NOTE   (Nell’originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell’intero documento)
[1] “ (…)La Chiesa e la Sagrestia erano state splendidamente arricchite di tutto l’occorrente; vi mancava solo la corona dell’opera, un gigantesco campanile, che stesse alle pari con quello dei Frati Conventuali di San Francesco. L’antico campanile consisteva in alquanti archi, atti a sostenere le campane; infatti il 7 novembre 1751, il Priore Fra Lorenzo Germano, tra le altre cose proponeva ai Padri di alzare altri archi per le campane. Tredici anni dopo, il campanile era già progettato. Chi ne avesse fatto lo svelto ed aereo disegno, è ignoto. Eccone la decisione: «A 28 agosto 1764 fu proposto consiglio dal molto Reverendo Padre ex Maestro di Studio Fra Giacinto Meladandri, attuale Priore di questo Convento di Andria, come rattrovandosi il Convento senza campanile da più anni, e per ciò impedita una campana di potersi suonare a stesa, e trovandosi il Convento aver denaro bastante a poterlo erigere; si cerca intanto dalle PP. loro se debba farsi, avendosi ottenuto il consenso del Generale di potersi fare detta fabbrica; e fu risposto ut infra. Io P. Fra Vincenzo M.a Mongolia sono in voto affermativo per la fabbrica del campanile. Io Fra Arcangelo M. Lombardi sono in voto affermativo. Io Fra Domenico de Vanna sono in voto affermativo. Ita est Fr. Hyacinthus Meladandri Prior».
Nell’anno 1765 era stato già innalzato l’arco, sul quale poggia la mole del campanile, e dopo quattro anni pare che la torre fosse ornai compiuta, (…)”
(Merra Mons. Emanuele, La Chiesa e il Convento di S. Domenico in Andria, Trani, Vecchi, Tip. Ed. 1897, ried. in Merra Mons. Emanuele, Monografie Andriesi, Bologna, Tipografia e Libreria Pont. Mareggiani, 1906, (2 voll.), ivi pp. 44-45)
[3] (...) In mezzo al presbiterio vi è il sepolcro dei figli di S. Domenico, e sul coperchio di marmo lo stemma del loro Ordine (...)", cfr. Merra, op.cit., pag.33.
[5] Sac. Riccardo D’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli, dalla Tipografia Varana, 1842, pag.107.
[6] Sac. Riccardo D’Urso, Op. cit., Napoli, dalla Tipografia Varana, 1842, pag.84.

[testo tratto dalla relazione presentata in pubblica assemblea al termine di quella prima fase di lavori]