il prospetto

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Chiesa di San Sebastiano

Il prospetto

   
[foto 1: il prospetto in una cartolina del 1910 circa  - foto 2: il prospetto attuale (2019)]

Prima di enucleare le informazioni storico - artistiche della facciata, mi piace (come al solito) anteporre la romantica e breve descrizione ottocentesca del Borsella:

Prima di metter piede in quest’altra chiesa suburbana, dedicata anticamente a S. Onofrio, volgiamoci poco cogli sguardi a rimirare il frontespizio della stessa, tutto di pietra viva. Ci si offrono in prima ai due lati due scheletri di morte rilevati secondo natura, e nel mezzo una giovine donna scarmigliata divorata dalle fiamme espiatrici della colpa. Al di là altro teschio fra due ossa incrocicchiate, ed in cima un secondo con crocetta in capo fra due oriuoli, misura del tempo, che statuì l’Eterno, onde uscir dal tormentoso carcere. Nel mezzo la statua di S. Sebastiano legato ad un tronco, nudo, spietatamente trafitto dalle saette. Lavori maestosamente eseguiti dagli scalpelli di nostra patria. Il tutto insieme mostra la chiesa a chi dedicata sia.

[tratto da "Chiesa di San Sebastiano o della morte" in "Andria sacra", di Giacinto Borsella, Andria, tip. F. Rossignoli, 1918, p. 247].

Stando alla data in bassorilievo posta nel cartiglio immediatamente sotto la croce del frontone la facciata è stata totalmente ristrutturata nel 1759, data questa riportata anche nella scultura lapidea del portale, esattamente nello scudo retto dallo scheletro di sinistra (foto a seguire).

Le sculture del portale   il frontone superiore   lo stemma del frontone prima del restauro
[Le sculture del portale, il frontone superiore e lo stemma del frontone prima del restauro - foto Sabino Di Tommaso 2018, Michele Monterisi 2008]

La maestosa scultura che sovrasta il portale presenta al centro una nicchia contenente la statua di San Sebastiano coi polsi ed una caviglia legati al retrostante tronco.
Lateralmente, al di là di due grandi volute floreali si ergono due scheletri simmetrici; quello di destra con una mano regge un cartiglio a forma di scudo con la scritta "NEMINI PARCAM - F. P. Antolini Sculpsit", nell'altra armeggia una falce, mentre sotto i piedi calpesta due cappelli sacerdotali ed una corona con scettro; lo scheletro di sinistra regge anch'esso con una mano un identico cartiglio con la scritta "DIES MEI VELOCIUS TRANSIERUNT - 1759", nell'altra tiene una clessidra alata indicante il tempo che vola rapidamente via, mentre coi piedi calpesta una tiara papale ed una mitra vescovile.
Sovrasta l'insieme un busto femminile tra fiamme su un cartiglio con la scritta "MISEREMINI MEI" [1] e rappresentante un'anima del Purgatorio; il tutto per indicare il Santo titolare della Chiesa, la residente Confraternita della Morte nonché l'autore dell'opera: Francesco Paolo Antolini [2], che la realizzò nel 1759.

Al centro del frontone in basso rilievo è rappresentato uno stemma, leggibile soprattutto nella foto del 2008, scattata prima dell'ultimo restauro: tra due clessidre una croce, ornata con i simboli della passione e con ai piedi un teschio su due femori, sovrasta un rilievo di tre collinette, dette “trimonzio” [3].
Nel cartiglio sotto la croce, abbiam detto, è scolpita la data della drastica ristrutturazione "A. D. / 1759"

NOTE    _

(1) Stralcio di due versicoli tratti dal libro di Giobbe e uno da quello di Isaia.
Dal capitolo 7, vv. 6 del libro di Giobbe questa citazione: "Dies mei velocius transierunt quam navicula texentis et consumpti sunt deficiente filo",
cioè: "I miei giorni son trascorsi più veloci d'una spola che tesse, e sono finiti [come a quella] mancando il filo [ogni altra speranza]".
Dal capitolo 19, versicolo 21 dello stesso libro di Giobbe l'altra citazione:
"Miseremini mei, miseremini mei, saltem vos, amici mei, quia manus Domini tetigit me",
cioè: "Abbiate pietà di me, pietà di me, almeno voi, amici miei, perché la mano del Signore mi ha percosso!".
[Questo tema è ripreso nell'affresco della cupola, nel riquadro dove è rappresentato Giobbe, visitato dai suoi amici.]
Dal capitolo 47, versicolo 3 del libro di Isaia la seguente citazione:
"Revelabitur ignominia tua, et videbitur opprobrium tuum. «Ultionem capiam, nemini parcam», dicit Redemptor noster, Dominus exercituum nomen illius, Sanctus Israel."
cioè: "Si scopra il tuo disonore, si mostri la tua onta. «Prenderò vendetta e nessuno sarà risparmiato», dice il nostro Redentore, Signore degli eserciti è il suo nome, il Santo di Israele."
 

(2) Francesco Paolo Antolini, fu un bravo scultore andriese del Settecento, sia di opere in legno che in pietra.
Tra le tante statue lignee ricordiamo qui soltanto quelle presenti in Cattedrale, citate dall'Agresti a inizi Novecento insieme ad altre di scultori pure andriesi e a molte di varia provenienza:
Varie statue in legno possiede pure il Capitolo, delle quali alcune di molto pregio. Bellissima è quella di Maria Assunta in cielo, titolare del nostro Capitolo. La testa e le braccia sono scolpite in legno. Il volto è un vero capolavoro d’arte per la sua espressione regale. Non meno artistica è l’altra statua dell’Immacolata, sita in pregevole nicchia accanto alla Cappella del Santissimo.
Ammirevole è pure la statua di Gesù Risorto, avendo il pallio nella sinistra, mentre con la destra benedice. La statua della Madonna degli Agonizzanti è pure un lavoro pregevolissimo, eseguito in Lucca. Pregevole è pure la statua dell’Addolorata, donata al Capitolo dal Canonico D. Gioacchino Montaruli. La statua di S. Pietro, che stringe nella mano destra le due chiavi e nella sinistra il nuovo testamento, è opera di un valente nostro concittadino, Giuseppe Santoniccolo. Le statue di S. Filippo Neri e di S. Francesco Saverio sono pure opere pregevoli di un altro nostro concittadino. Francesco Paolo Antolini.
La statua di S. Alfonso M. de Liguori è opera di un altro nostro concittadino, lo scultore Michele Brudaglio. Mirabile è la statua di Francesco di Paola, opera pure di un cittadino andriese, del quale non si conosce il nome. Non meno pregevoli sono le statue di S. Vinceczo de Paoli, di S. Luigi Gonzaga, di S. Ciro, di S. Giuseppe, del Sacro Cuore, e, sopratutte pregevolissima è la piccola statua dell’Arcangelo S. Michele, sito in una nicchia nella Cappella di S. Ciro.

[tratto da "Il Duomo di Andria, Arredi sacri ..." in "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi", di Michele Agresti, tip. F. Rossignoli, Andria, 1912, vol.II, pag. 60].

(3) A proposito dello stemma di una analoga confraternita del Sacro Monte dei Morti esistente a Penne Antonio Di Vincenzo nel sotto citato testo scrive:
“Confraternite intitolate al Sacro Monte dei Morti erano dislocate su tutta la penisola ed oltre ad essere tra loro accomunate dai particolari offici svolti, erano uniformate anche dall’araldica che le identificava. Lo stemma era, ed è per quelle ancora esistenti, costituito essenzialmente da una Croce latina raggiante fondata su di un “trimonzio” e un teschio con ossa incrociate sul tutto. La composizione allude all’antica leggenda che considerava il Golgotha, luogo predisposto alle crocifissioni, la tomba di Adamo. [In nota aggiunge: «Era antica tradizione degli Ebrei ed è sentimento di molti de’ nostri Padri, che quivi fossero sotterrate le ossa, o almeno il cranio di Adamo, da cui questo monte prendesse il nome. Si ciò fosse vero, dovrebbesi notare la meravigliosa condotta della Divina provvidenza, la quale con alto ordine ed eterno dispose, e si prese piacere, che ivi fosse piantata la Croce del secondo, ove era posto il sepolcro del primo Adamo. Sicché il Sangue del Crocifisso colando di prima su quegli ossami del primo ad esser perduto, fosse ancora il primo ad esser bagnato, ed ancora per questo verso, il primo ad esser riparato dal sangue del Redentore». Abate Alessandro MAZZINELLI, Uffizio della Settimana Santa, Roma 1771, p. 501]
Il teschio e le ossa sono i resti mortali di Adamo e rappresentano l’umanità in generale, la quale, a causa della propria caducità, può ottenere salvezza e vita eterna solo con il Sangue versato dal Cristo sulla Croce. Questi simboli, apparentemente macabri, ma che invece rappresentano il preludio di una nuova vita ...“
[tratto da Antonio Di Vincenzo, “La Confraternita del Sacro Monte dei Morti e la chiesa della Ss. Annunziata tra XVIII e XIX secolo”, estratto, dal “Sepolcro Artistico” Aprile 2009, Italia Nostra, PENNE, gennaio 2017, p.9]