da"F. Santacroce ..." - T. D'Avanzo

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Chiesa della Madonna dell’Altomare
da “Federico Santacroce, l’attività dell’architetto fra Andria e Barletta”

Andria, Fondazione Porta Sant’Andrea, pp. 51-53, 57

di Teresa D'Avanzo

Tra il IX e il X secolo, in seguito alle vicende iconoclaste e all’editto di Leone III isaurico, gruppi di monaci basiliani si trasferirono nell’Italia Meridionale. I loro ricoveri furono ambienti di fortuna: cavità, esistenti e adattate, nei banchi di tufo. Quelle caverne rocciose furono abitate dai monaci basiliani e molte di esse furono denominate “laure basiliane”.

In Andria sono particolarmente note: quella di Santa Croce, quella della Madonna dei Miracoli nella valle di Santa Margherita, quella del SS. Salvatore o di Sant’Angelo in Gurgo, quella della Misericordia e, infine, quella della Madonna dell’Altomare o di Santa Sofia [26]. Quest’ultima vide impegnato il Santacroce in una fase della sua vicenda costruttiva [27].

È appena il caso di sottolineare la particolare devozione, degli andriesi e delle popolazioni limitrofe, verso la Madonna dell’Altomare, raffigurata in un affresco, per spiegare l’evoluzione delle vicende costruttive dell’edificio. Infatti, la chiesa esiste proprio perché voluta dai fedeli che, da sempre, hanno contribuito ad ogni tipo di lavoro. Alle offerte e alle donazioni da parte di famiglie più ricche, si aggiungevano “.. . il concorso gratuito degli operai... [dei] contadini per cavare e trasportare il terreno, lavoratori per tagliare i duri massi di tufo e soprattutto scalpellini e muratori per innalzare le fabbriche ... quanti uomini ignoti, quante braccia prestavano la loro opera anche nei ritagli di tempo avanzati ai necessari impieghi …” [28] Le stesse prestazioni dell’Architetto, dal progetto alla direzione dei lavori, furono completamente gratuite. Il culto ebbe inizio dal miracolo avvenuto il martedì dopo Pentecoste del 1598. Allora, fuori dalle mura e precisamente vicino alla Porta Nuova, vi era un’ampia cisterna contenente acqua piovana, per uso pubblico, in cui cadde una bambina che vi rimase per tre giorni illesa grazie all’intervento di una “signora”. In quella occasione, chi soccorse la fanciulla notò sul muro una immagine femminile di’ pennello greco” da allora ritenuta miracolosa. Iniziato il pellegrinaggio, si provvide a costruire una scala che dal piano stradale permise di accedere al fondo della cisterna giungendo di fronte all’affresco [29]. Successivamente, una grave pestilenza, scoppiata nel 1656, provocò ad Andria numerose vittime per cui il luogo di culto si trasformò in una grande fossa comune per la sepoltura dei cadaveri e pertanto cisterna e miracolo furono temporaneamente dimenticati. Un secondo miracolo riaccese la devozione alla fine del Seicento; infatti con l’olio di una lampada, che un’anziana signora manteneva costantemente accesa per venerare la Madonna, una malata grave guarì. La cisterna fu, così, definitivamente trasformata in cappella. All’esterno vi era solo un muretto, provvisto di cancello da cui si accedeva alla grotta, illuminata da una alta finestra semicircolare. Tutto rimase inalterato fino al giorno in cui cominciarono i lavori della nuova chiesa.

Grazie alla generosità di Caterina Jannuzzi e Mariangela Spagnoletti, e in seguito all’autorizzazione del Consiglio comunale per utilizzare venticinque metri di suolo pubblico, si dava l’incarico della direzione dell’opera a Federico Santacroce [30]che la concludeva nel dicembre del 1877. La chiesa mancava ancora di una facciata e delle decorazioni. Un altro devoto, Bartolomeo Rutigliano, si faceva carico delle spese per la costruzione del cappellone di San Giuseppe, situato nel vestibolo, e della facciata, affidando i lavori a Francesco Fuzio sotto la direzione dell’architetto Santacroce. Risale a questo momento anche la realizzazione dello scalone che dal cappellone di S. Giuseppe, in asse alla navata, conduce al piano inferiore. In occasione del terzo centenario del ritrovamento dell’immagine della Madonna, si decideva di realizzare un’abside ed una cupola nel luogo in cui l’affresco, staccato dal muro, era stato trasferito. Il progetto del 1888 è dell’ingegnere Beniamino Margiotta Gramsci. Il presbiterio è costituito da un vano esagonale con sei pilastri nei vertici sui quali si impostano gli archi a tutto sesto che sorreggono il tamburo e la cupola. L’affresco è sistemato in questo spazio che si raccorda mediante altri due archi all’unica navata, illuminata dall’alto, coperta da una volta a botte lunettata, che poggia su una leggera trabeazione sorretta da paraste corinzie binate, sistemate su alte basi, che inquadrano quattro coppie speculari di fornici. Le decorazioni in marmo dell’abside provenivano dall’opificio di Ruggero Izzo di Napoli, mentre le decorazioni pittoriche erano di Raffaele Affaitati di Foggia.

I recenti lavori di restauro [31] hanno supplito al silenzio dei documenti che hanno, o avrebbero dovuto, testimoniare i vari passaggi della vicenda della fabbrica. La chiesa di Santacroce, infatti, sorge su un luogo di culto che è andato modificandosi nel tempo in relazione alle esigenze dei fedeli: la primitiva cisterna rettangolare (di 8 m x 16 m circa) si ampliò occupando gli spazi delle grotte attigue, eliminando i setti di separazione per accogliere più fedeli contemporaneamente.

Intanto, risalendo per la scalinata principale a rampa unica, si accede al vestibolo in parte coperto con una volta a vela, in corrispondenza della scala, e per il resto da un’alta cupola. Tale vestibolo permette il graduale passaggio tra lo spazio urbano e quello di culto. L’accesso alla chiesa è in asse alla facciata mentre l’accesso alla navata è spostato lateralmente rispetto al portale. Lo sfalsamento tra l’ingresso e l’asse della scala è un espediente compositivo collaudato dal Santacroce qualche anno prima, nel teatro Curci di Barletta, per dissimulare il disassamento del percorso tra l’esterno e l’interno. L’ingresso è segnato da un portale che ricalca quello impiegato per l’accesso principale, dal portico all’interno, della Cattedrale. In asse, superiormente alla porta, è posta una finestra la cui sagoma fu largamente utilizzata durante l’Ottocento. Il passaggio dal prospetto principale a quello laterale, in cui si aprono un accesso secondario e tre alte finestre, è mediato dalla sovrapposizione della parasta su una finta colonna della quale si intuisce la voluta ionica. Nel lato destro la facciata si prolunga in una cortina muraria che conclude un vano, coperto a vela, che si fonde nell’ambiente unificato del vestibolo. All’esterno l’edificio si accosta in maniera casuale alla attigua scalinata della sovrastante chiesa della Madonna del Carmine.

[dal “Notiziario della Parrocchia-Santuario Maria SS.ma dell’Altomare” – Andria N.10 del 2/06/1998, pag.15-16]

[26] P. PETRAROLO, Andria dalle origini ai tempi nostri, Andria, 1990.

[27] R. MARI, Il Santuario di Maria SS. dell’Altomare in Andria, Andria 1899.

[28] Ibidem, p. 32.

[29] F.S. Montorio, Zodiaco di Maria, Napoli, 1715.

[30] R. MARI, Il Santuario di Maria .SS. dell’Altomare in Andria, Andria 1899.

[31] Dalla relazione del progettista, architetto Mauro Civita, si legge che la chiesa ha sempre accusato problemi di umidità, attualmente risolti grazie anche alla collaborazione dell’ingegnere Ippolito Massari. L’intervento ha riguardato la ristrutturazione della terrazza, la realizzazione di due intercapedini lungo la via Altomare e il confine con la chiesa del Carmine e lo svellimento del pavimento, con le conseguenti scoperte, per collocarvi un impianto radiante collegato ai pannelli solari, posti sulla terrazza, e ad una caldaia a gas metano. Gli altri impianti sono stati riprogettati e per la facciata si e proceduto con un consolidamento statico. Cfr. M. CIVITA, Santuario della Madonna di Altomare in Andria, dispositivi per la deumidificazione, in “Tema”, n. 2, 1993, pp. 6-13.