La Chiesa dell'Annunziata di fuori in Andria, di G. Fuzio

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La Chiesa dell’Annunziata «di fuori» in Andria [*]

di Giovanni Fuzio (____-____)

(estratto dalla Rivista dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Bari, n. 3 del 1964)

Controversa è l’origine di Andria: i più la ritengono fondata dai Normanni [1] altri la ritengono sorta prima del V secolo [2] ed ancora alcuni la ritengono di origine greca e fondata da Diomede [3] .

Quest’ultima tesi, indubbiamente affascinante, si basa essenzialmente sulla duplicità di denominazione che ha avuto in antico la città: Netium ed Andrum [4] . Si ritiene infatti, dai sostenitori di tale tesi, che fu Diomede a cambiare il primitivo nome della località di Netium, dove egli aveva impiantato un campo di addestramento per i suoi armati, con Andros, nome di un'isola delle Cicladi.

Di certo però vi è che sia l’impianto urbanistico della città, come si rileva anche da una pianta del borgo all’interno delle mura redatta nel 1758 [5], sia la mancanza di tracce di edifici per gli spettacoli di masse, sia la forma tutt’altro che regolare degli isolati con la mancanza della caratteristica gerarchia stradale del periodo romano, porta a pensare ad una origine del centro abitato prettamente medioevale.

    
Figura 1. - Pianta del borgo all’interno delle mura di Andria redatta nel 1758 dall’architetto Carlo Murena ed inserita in un articolo su Andria di Riccardo Colavecchia di pari data. Dalla pianta si rileva in maniera chiara l’impianto medioevale del borgo, l’andamento delle mura, la posizione delle quattro porte principali e della Porta Santa (tra Porta la Barra e Porta Castello) donde, vuole a tradizione, transitò S. Pietro recatosi in Andria per predicare e diffondere la religione di Cristo.
Figura 2. - Veduta prospettica di Andria di G. Battista Pacichelli inserita nel testo « Il Regno di Napoli in prospettiva » Napoli 1703. A differenza della pianta del Murena questa veduta ha avuto, come del resto tutte le altre contenute nel testo citato, larga diffusione, ma a noi interessa per la chiara identificazione della Chiesa dell'’Annunziata «di fuori» indicata con la lettera x alla cui sacrestia era già addossata la costruzione del Calvi che ne tolse la diretta comunicazione con la strada. Interessa inoltre per i particolari che in essa si riscontrano riguardanti la facciata, il campanile e la copertura.

Il che non elimina ovviamente la possibilità che per Andria sia avvenuto ciò che il Lavedan ritiene tipico di tutte le città giunte fino al medioevo con il susseguirsi delle tre fasi: quella di contrazione della città greca o romana ad un piccolo nucleo raggruppato nella località più facilmente difendibile; quella di consolidamento di tale nucleo mediante una cinta murata e quindi quella della successiva espansione di sobborghi con o meno ulteriore cinta murata [6] .

In questo caso però, del centro relativo alla prima fase sarebbe andata distrutta completamente ogni traccia giacché, come si è detto, oggi si può riconoscere con certezza la sola strutturazione medioevale la quale, del resto, in tutto il periodo che va dalla sua fondazione sino agli inizi dell’Ottocento (quando interverranno nuovi fattori di indole economica, sociale e tecnica) ha subito soltanto perfezionamenti e completamenti, mentre dall’inizio dell’Ottocento fino quasi ai nostri giorni tale nucleo ha poi avuto modificazioni parziali, essendosi i nuovi quartieri (nel giro di meno di un secolo la popolazione di Andria si è quintuplicata) sviluppati attorno, ad esso lasciandogli la sua originaria funzione rappresentativa, ed essendo soltanto in questi ultimi anni avvenuta l’invasione massiccia e distruttrice del cemento armato nel centro storico.

Pur tuttavia nonostante ciò, vi sono ancora tracce delle antiche mura (ma chi sa per quanto tempo ancora), e precisamente sul tratto che congiunge Porta Castello a Porta La Barra, in prossimità dell’innesto di via Pisani con via Ruggiero Settimo; ed è possibile anche oggi ricostruire con esattezza il loro percorso e localizzare le quattro porte: da Porta La Barra (attuale Piazza Ettore Caraffa) risalendo per via Orsini e deviando in Piazza Ettore Fieramosca per via Ruggiero Settimo si giunge a Porta Castello; quindi per via Giovanni Bovio, attraversando piazza Umberto I e scendendo per via Fratelli Rosselli e per il pendio di S. Lorenzo si giunge alla Porta di S. Andrea; da qui per via Porta Nuova, all’incontro di questa con via Manthonè alla omonima Porta Nuova, e quindi seguendo via Manthonè si torna a Porta La Barra.

La costruzione di tali mura fu iniziata quasi certamente nel 1073 quando, smembrata la Contea di Trani dopo la occupazione di quasi tutta la Puglia da parte di Roberto II Guiscardo (occupazione di Bari nel 1071), Andria divenne feudo a sé con Pietro II figlio di quel Pietro cui si farebbe risalire la fondazione della città.

    
Figura 3. - Le tracce, ancora oggi riscontrabili sulla facciata della Chiesa, dell’accesso alla navata di sinistra.
Da un attento esame del prospetto della Chiesa e delle più antiche costruzioni affacciantesi sulla via dell’Annunziata, si rileva come il piano di calpestio della stessa debba essere stato sollevato di diverse decine di centimetri rispetto a quello originario.
Ciò spiega la scomparsa della scalinata di accesso alla Chiesa riscontrabile sulla veduta prospettica di Pacichelli.
Figura 10. - Pilastro e capitello dei locali adiacenti al transetto. È questa la parte più antica della Chiesa dove è ancora riscontrabile l’impianto prettamente romanico della costruzione con volte a crociera cordolonate. [Sulla parete destra si vede, di profilo, lo stemma della pietra tombale di Carlo Albanese, a metà Ottocento vista dal Borsella in presbiterio sul relativo sepolcro.]

Andria rimase normanna fino al 1193 quando scomparso Roberto di Calagio essa passò sotto la signoria di Jacopo da Segni che la tenne fino al 1221.

Da quest’ultima data inizia la dominazione sveva che durò, come in tutta l’Italia Meridionale fino al 1266.

Fu probabilmente a partire da questo periodo, dal 1100 circa, sino alla fine della dominazione sveva che Andria dovette assumere una certa importanza come centro urbano con l’espansione in sobborghi oltre la cinta murata (in corrispondenza delle porte) formati da popolazione prevalentemente forestiera: sobborghi commerciali e sobborghi di artigiani attirati oltre che dal rapido aumento della popolazione locale anche dal fatto che Andria veniva a trovarsi sulla strada che percorrevano da Canosa ad Egnazia i partecipanti alle Crociate.

Ciò può anche spiegare il formarsi, quasi contemporaneo alla costruzione delle mura, del nucleo fuori di Porta La Barra sulla via che ancora oggi collega Andria a Canosa: il bisogno di contatti con l’esterno prevalse subito su quello della difesa, ma ciò costerà caro al sobborgo, periodicamente distrutto e saccheggiato come dimostrano le vicissitudini della sua Chiesa, della Chiesa cioè dell’Annunziata chiamata appunto di « fuori » per distinguerla dall’altra interna alle mura facente parte del Convento degli Agostiniani, oggi detta di S. Agostino.

Tale espansione fuori delle mura continuò anche nei tempi successivi, con Andria divenuta Contea della potente famiglia Del Balzo, fino al 1350 quando venne quasi totalmente distrutta dagli Ungheresi [7] . Ma già l’anno dopo lo stesso Bertrando del Balzo, discendente diretto del Bertrando genero di Carlo II che ebbe nel 1266 la Contea della città, ne iniziò la ricostruzione pare proprio dalla Chiesa dell’Annunziata « di fuori » che aveva subito gravi danni come tutta la contrada [8] .

    
Figura 11. - Il pilastro di sinistra su cui scarica l’arco ogivale di separazione della navata dal transetto.
Figura 13. - Fonte dell’acqua santa a forma di cal[i]ce con gli stemmi del Duca Del Balzo posta vicino all’ingresso al transetto dalla ex sacrestia.

Fino al 1377 Andria rimase Contea dei Del Balzo, passando poi sotto la Signoria di Giacomo Arcucci de Capro, Conte di Minervino e padrone di Altamura; di Alberico de Barbiano e Federico Dentice, e quindi di Antonio de Acquaviva Conte di Sanflaviano.

La ricomprò la famiglia Del Balzo dal Re Ferdinando nel 1458 e la mantenne fino al 1483 quando perduta da essa, fu data con il principato di Altamura a Federico d’Aragona.

Nel 1495 la conquistò Carlo VIII Re di Francia il quale nel 1507 la concesse al Gran Capitano Consalvo Ferdinando da Cordova; a questi succedette la figlia e quindi il nipote Consalvo che nel 1552 la vendette a Fabrizio Carafa col titolo di Duca [9] .

    
Figura 12. - Stemma della famiglia Camerota datato 1496 [sotto lo stemma si legge MCCCCLXXXXVII, cioè 1497. A metà Ottocento questo stemma, che il Borsella ipotizza dei Campanile, si trovava in presbiterio, non lontano dalla lapide sepolcrale dei Camerota (o, forse, Cammarota / Gammarota, documentati in Andria dal 1267) [NDR2].].
Figura 14. - Pietra tombale di Carlo Albanese, antico patrizio andriese, che lasciò i suoi averi al capitolo dell’Annunziata e che ivi fu seppellito [nel 1712, come recita la relativa lapide].

Sotto questa famiglia rimase fino al fatidico 1799 quando si vide nuovamente saccheggiata e semidistrutta dalle truppe del generale francese Broussier [10], per passare, dopo la parentesi francese, sotto il dominio dei Borboni fino al 1860 e cioè fino alla unificazione d’Italia.

Tornando al fenomeno dell’espansione del borgo fuori dalla cinta murata, si può affermare che esso continuò nel periodo successivo a quello delle Crociate anche perché la città venne a formare con il suo territorio un corpo inseparabile dimorando in essa, dentro o fuori le mura, quasi tutta la popolazione del territorio stesso, non venendo così a formarsi alcuna soluzione di continuità tra gli abitanti della città e quelli della campagna.

Tale accentramento della popolazione, con altri fattori, portò poi a fare sì che in Andria, prima che in altri centri della regione, si formasse quello spirito di municipalità di cui diede prova la sua popolazione in due occasioni «storiche» sopra accennate, quelle cioè del 1552 e del 1799 (quando tentò, in maniera diversa, di acquistare un’autonomia comunale), e che si manifestò altresì nell’attaccamento di tutta la popolazione alla città intesa come patrimonio comune: ne fa fede la volontà con cui quest’ultima è sempre risorta da calamità naturali (terremoti, alluvioni, incendi, epidemie, ecc.) e da calamità causate dagli uomini.

È in questo contesto storico urbanistico che si inseriscono, come abbiamo già accennato, le vicende della Chiesa dell’Annunziata « di fuori ».

Già aperta al culto nel 1173, come risulta da una lapide murata all’interno [11] , la Chiesa ebbe nel suo impianto originario la icnografia delle chiese basilicali latine. A volere usare una classificazione certamente non ortodossa in quanto una delle caratteristiche dell’arte romanica è appunto quella della sua indipendenza da una qualsiasi dogmatica e, specialmente in Puglia, sempre in originale evoluzione e libera interpretazione, si può dire che l’Annunziata sia rientrata nel gruppo delle chiese romaniche (tipicamente pugliese) che nella Cattedrale di Ruvo trova la sua più notevole espressione, e che è caratterizzato da un organismo a tre navate, senza volte, con transetto privo di incrocio e tre absidi allineate.

Durante l’invasione degli Ungheresi del 1350 la Chiesa, che come si è detto era fuori delle mura, venne però quasi del tutto distrutta ed incendiata: della primitiva struttura non rimasero che la parte bassa del prospetto sull’attuale via Annunziata con i tre ingressi, due ambienti della sacrestia allora affaciantesi sulla strada, ed i due pilastri di base dell’arco separante il transetto dalle navate.

Tutti elementi, ancora oggi riscontrabili, di chiara impostazione romanica: in particolare modo per gli ambienti della sacrestia che hanno la copertura realizzata con volte a crociera costolonate, pilastri e capitelli certa-mente del primo periodo dell’architettura romanica [12].

La ricostruzione, iniziata subito dopo l’allontanamento degli Ungheresi, ne cambiò l’impianto, probabilmente per mancanza di materiale da costruzione, e la Chiesa diventò ad una navata, così come si presenta attualmente; sui due robusti pilastri che delimitavano il transetto fu innalzato un notevole arco ogivale [13] ; sul muro frontale dello stesso anziché ricostruire le tre absidi furono realizzate due cappelle ed il coro centrale, mentre vennero mantenuti i tre ingressi, relativi alle ormai scomparse tre navate, sulla facciata.

In tale forma la Chiesa dovette rimanere fino al 1799 quando fu nuovamente incendiata e semidistrutta, questa volta dai Francesi, salvo parziali modifiche ch’essa subì particolarmente nella sacrestia, nell’aggiunta di cappelle e per i danni provocati da numerose alluvioni.

Sono del 1495 le notizie più precise che si hanno sull’Annunziata: dell’anno cioè in cui avvenne il prodigio della « Madonna della Pietà »: « era il marzo 1945, ed alcuni soldati di Re Carlo, sbrigliati ad ogni licenza, stavano intenti al giuoco fuori Porta della Barra. Uno di essi avendo sciaguratamente perduto quanto denaro seco aveva, con l’ira nel cuore, con la bestemmia sulle labbra, col pugnale nella destra, corre furibondo contro una Immagine della Pietà, che colà vicino era in una cappelletta dipinta a fresco; e tu, o Maria, grida da forsennato, tu sei stata la causa della mia perdita, e tu ne pagherai il fio. Ed avventarsi fremente di rabbia contro la sacra Effigie, e trafiggerla sacrilegialmente nell’occhio sinistro, fu un punto solo. La Madre di Dio, che in atteggiamento di estasi sublime e d’ineffabile dolore stava con le braccia distese verso del Figlio, che col capestro del condannato alla gola, tutto insanguinato e legato ad una colonna le era dinnanzi, non appena ebbe ricevuto il colpo nefando che, mirabile a dire, come fosse viva corse con la mano destra a riparare la ferita, rimanendo la sinistra nel primiero suo sito, come tuttora di osserva » [14] .

    
Figura 9. - L’Altare della « Madonna della Pietà » con la Immagine Sacra della stessa.
Tale altare è composto da frammenti marmorei di pregevole esecuzione scolpiti da un diretto discepolo del Laurana rimasto in Puglia dopo la partenza di questi dalla Corte dei Del Balzo.
Notevole è infatti l’affinità di esecuzione tra questi frammenti ed il busto di Francesco II Del Balzo del Laurana conservato nella Chiesa di S. Domenico in Andria.
Figura 8. - Il campanile di originale configurazione con le tre piccole campane di fusione piuttosto recente.

Dopo qualche tempo la parte di affresco raffigurante l’Immagine, ormai venerata in tutto il circondario, fu traslata all’interno della Chiesa ed oggi trovasi sul lato destro della navata in prossimità del transetto.

Intorno al 1500 le venne innalzato, a spese del Comune, un notevole altare composto da frammenti marmorei di pregevole esecuzione scolpiti da un diretto discepolo del Laurana [15] .

Dopo tale episodio, per tutto l’oscuro periodo della dominazione spagnola, ed anche in seguito, dell’Annunziata si hanno notizie di riflesso giacché essa era ormai considerata soltanto come la Chiesa in cui si venerava la Madonna della Pietà.

Nel 1799 però Andria, come è stato già detto, fu occupata dopo aspra lotta dalle truppe napoleoniche avendone gravi distruzioni, tra cui anche quella della Chiesa dell’Annunziata. Riedificata nello stesso anno con le sue stesse macerie, vennero rinforzate le murature laterali della navata, in parte calcificate, con una serie di lesene sormontate da archi a tutto sesto su cui si fece scaricare una sommaria copertura.

Figura 16. - Uno dei due pregevoli altari in legno posti di fronte nella navata con dipinti di scuola raffiguranti: la visita di S. Elisabetta a Maria e lo sposalizio della Vergine [riprodotto in questa foto] su quello di destra [scendendo dal presbiterio], la Concezione ed il Creatore su quello di sinistra [venendo sempre dal presbiterio].
Notevolissimo inoltre il dipinto sospeso al centro della navata raffigurante la Vergine su una rappresentazione del peccato originale.

Pare che la costruzione fosse eseguita in maniera affrettata e senza molta cura anche perché il Capitolo Collegiale dovevasi trasferire nella già citata Chiesa di S. Agostino. Ciò infatti avvenne nel 1813 e l’Annunziata restò chiusa fino al 1857 quando divenne sede di una Parrocchia [16] .

Lo stato di completo abbandono della Chiesa fece sì che essa nel 1878 corresse il rischio di venire destinata ad altro uso, ma fu invece sommariamente ripristinata con, tra l’altro, un colpevole rifacimento della facciata [17] .

Di recente parzialmente restaurata senza però che alcuna aggiunta alterasse le successive trasformazioni dell’architettura della Chiesa (trasformazioni che ormai esse pure appartengono alla storia ed alla cultura della città), è oggi temporaneamente chiusa al culto.

Così come ogni organismo, anche i monumenti di solito nascono, si sviluppano, subiscono la crisi, declinano e muoiono se ciò non viene impedito da interventi esterni ad essi: è quello che è accaduto nel caso dell’Annunziata in quanto quello spirito di municipalità, di cui si è innanzi detto, acceso dalla devozione per un’Immagine sacra, ha fatto sì che giungesse sino a noi la testimonianza di un passato di una storia cioè che, purtroppo, per Andria ed anzi per tutta l’Italia Meridionale da molti secoli non è un misto di sventure e fortune, come per gli altri popoli, ma soltanto un susseguirsi di sventure.

Infatti, dalla crisi generale che investì tutta l’Italia nel Quattrocento e Cinquecento, soltanto il Mezzogiorno non ne uscì mai, anzi la vide aggravarsi con la dominazione spagnola e non certo schiarirsi con la unificazione d’Italia, tanto da essere chiamato oggi « area depressa » mentre, dice il Pepe [18], dovrebbe essere chiamato « terra dei morti ». E ciò vale oltre che per i monumenti anche per gli edifici di architettura minore, e ne abbiamo visto un esempio, essendo questi legati attraverso l’ambiente urbano (spesso da essi stessi determinato e che con essi vive) alla storia delle comunità.

Dott. Ing. Giovanni Fuzio


[ Le TAVOLE inserite nel testo ]

Nella pianta si riscontrano le numerose Cappelle aggiunte alla navata centrale (fenomeno questo tipico del periodo di cui ogni officiante tendeva ad avere un proprio seguito di fedeli, magari dirottandolo dal seguire le funzioni religiose tenute sull’altare maggiore). Si riscontrano altresì il coro e le due cappelle costruite al posto delle distrutte tre absidi, e le lesene aggiunte alla fine del 1700 onde alleggerire la funzione statica delle murature longitudinali della navata parzialmente calcificate.

  
Nelle sezioni si notano le lesene con gli archi a tutto sesto della navata centrale, di cui si è detto, e la copertura costituita da capriate di legno rinforzate da staffoni metallici.
Notevole è l’arco ogivale separante la navata dal transetto realizzato in pietra e tufo carparo, ed impostato sui due pilastri che insieme con i locali adiacenti al transetto costituiscono la parte più antica della Chiesa.

 
Sul prospetto sono stati evidenziati i due accessi di cui alla fig. 3.

 

BIBLIOGRAFIA

Oltre ai testi citati nelle note si ritiene essenziale ai fini di eventuali approfondimenti sugli argomenti riguardante questo breve lavoro la seguente bibliografia:

AVENA A., Monumenti dell’Italia Meridionale.

BERTAUX E., L’art dans l’Italie Méridionale.

BORSELLA GIACINTO, Andria Sacra.

DEL GIUNIO, I normanni e l’influenza loro nell’architettura Pugliese.

FIOCCA LORENZO, L’Architettura nell’Italia Meridionale.

GOLZIO V., Architettura Bizantina e romanica.

LENORMANT F. À travers l’Apulie et la Lucanie.

KRONIG W., Contributi all’architettura pugliese del Medioevo.

PETRIGNANI MARCELLO, Architettura Romanica in Puglia.

PETRIGNANI MARCELLO, Il rilievo delle strutture urbane nella conoscenza delle città.

RICCI C., L’Architettura Romanica in Italia.

RUOTOLO GIUSEPPE, Andria Sacra.

SPAGNOLETTI RICCARDO, Gli andriesi illustri.

VACCINA LAMARTORA NICOLA, Andria, le sue vie, i suoi monumenti.

VIOLANTE ALFREDO, Andria e Castel del Monte.

Estratto dalla Rivista dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Bari, n. 3 del 1964

NOTE   

[*] N.D.R.:
L'autore scrive che questo studio è estratto dalla Rivista dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Bari, forse, con più precisione, potrebbe essere stato estratto da «RASSEGNA TECNICA PUGLIESE», rivista dell'Ordine degli Ingegneri ed Architetti della provincia di Bari.
Nel testo originale le immagini (foto e tavole) sono inserite nel testo in posizioni diverse da quelle di questa pubblicazione web.
Una copia di questo opuscolo, per studio e relativa pubblicazione esclusivamente come documento di studio,  mi è stata gentilmente fornita dall'arch. Vincenzo Zito, al quale va il mio ringraziamento.

[1] Lorenzo Giustiniani nel suo « Dizionario Geografico del Regno di Napoli », Napoli 1797-1805 riporta (Torno I pag. 187) un passo del Poema di Guglielmo Pugliese in cui parlando di « Pietro normanno » Conte di Trani si dice « Edidit hic Andrum, fabricavit et inde Coretum ».
Zagaria Riccardo nella sua « Descrizione storico-artistica di Andria », Andria 1927, è del parere che nei primi decenni del mille la città non fosse altro che un « locus sub trane », essendo essa denominata « Andre, in civitate tranensis, de ipso civitate tranensis » nelle tre pergamene del « Syllabus græcarum membranarum » di F. Trinchera.

[2] Ciò risulta dagli atti di S. Riccardo suo primo Vescovo nominato da Gelasio I nel 492. Dopo S. Riccardo però non v’è traccia d Vescovi Andriesi fino alla fine del secondo Concilio Nicea del 787 quando Andria ebbe i Vescovo Cristoforo.
In proposito vedasi « Italia Sacra sive d Episcopis Italiæ » di D. Ferdinando Ughello Fiorentino - Venezia 1717 - Tomo settimo, colonne 920-935.

[3] Riccardo D’Urso: « Storia della città di Andria », Napoli 1842.

[4] Che in antico Andria fosse chiamata Netium è fuori di dubbio: tuttora atti provenienti dall’Archivio Segreto Vaticano lo attestano ed, oltre a quanto scritto da Strabone (63a. c. -19 d.c.) nel VI libro della sua « Geografia »: « Sunt autem duæ viæ una qua muli ire possunt per peucetios, qui pediculi dicuntur, et Daunios, ac Samnites, Beneventum usque, qua in via urbes sunt, lª Ignatia, 2ª Celia, 3ª Netium, 4ª Herdonia, ... », nel « Lexicon totius Latinitatis » di Facciolati, Forcellini e Furlanetti, Padova 1864, e precisamente nell’appendice « Onomasticon totius Latinitatis » a cura di Perin, risulta una notevole documentazione attestante la realtà di tale fatto.

[5] La pianta fu redatta in tale data dall’architetto Carlo Murena ed inserita nell’articolo su Andria di Riccardo Colavecchia.

[6] Lavedan: « Histoire de l’Urbanisme » Parigi 1926, Torno I.

[7] Nel 1350 gli Ungheresi assediarono e quindi saccheggiarono Andria per vendicarsi di Bertrando del Balzo, Gran Giustiziere del Regno e Duca di Andria, che aveva dichiarato innocente la Regina Giovanna I dall’uccisione di Andrea d’Ungeria, Re di Napoli.

[8] D’Urso, opera citata.

[9] Nel 1552 Consalvo II per pagare i numerosi suoi creditori vendette Andria, Castel del Monte, ed il titolo di Duca a Fabrizio Carafa, Conte di Ruvo per 100.000 ducati: parte di tale somma (15.000 ducati) fu, si può dire, estorta ai cittadini Andriesi con uno dei diffusi falsi con cui durante la dominazione spagnola i Baroni erano soliti imbrogliare e quindi sfruttare le popolazioni.
Vedasi in proposito: Spagnoletti, « Studi di Storia Andriese », Martina Franca 1913.

[NDR2] Cfr. Ceci. G., "Le Istituzioni di Beneficenza della Città di Andria", in “RASSEGNA PUGLIESE di Scienze, Lettere ed Arti”, ed. Valdemaro Vecchi, Trani, 1891, vol. VIII, pagg. 75-78, 182-187, 214-220, 282-287.

[10] A chi non conosca la situazione politico-economica di Andria alla fine del 1700 può sembrare quanto meno strano che la sua popolazione s’opponesse, anzi arrivasse a combattere strada per strada, porta per porta le milizie francesi del generale Broussier che venivano a liberare l’Italia Meridionale dalla monarchia dei Borboni; ma ciò è comprensibile e spiegabile se si tiene conto di decenni di lotte accanite e spesso dolorose che la popolazione aveva sostenuto per liberarsi dalle schiavitù baronali impostale dalla famiglia Carafa, combattute, ma spesso in mala fede, anche dai Borboni soltanto nei quali pertanto il popolo vedeva possibilità di riscatto. Vedasi Spagnoletti, opera citata.

[11] La lapide dice [n.d.r.: La trascrizione del Fuzio presenta alcune omissioni e imprecisioni, qui corrette]:
D. O. M.
Francisco Romonditio Quod Pia Munificēta
Ab Anno: CIƆCLXXIII Testamento reliquit
Ut Hujus Sacri Collegii Ad Aram SS: Sacramenti
Pro Perenni Lampadis Lumine Et Ceræ Consumsione
Andriæ Universitas Cui Pecuniam Suam Crediderat
Quotannis Ducatos Sex
Ex Publicis Redditibus et Vectigalibus Solveret
Et Quod Eius Votis ut Perpetuo Fieret satis
Syndicus et Magistratus Publici Instrumēti Adstipne.
Ab Anno: CIƆCLXXIX Cautum Fecerunt
Capitulares Monumeum. Hoc Gratitudinis Ergo Posuere

[12] Da il « Romanico » di Giovanni Lorenzoni in « L’Arte del Medioevo », T. C. I. 1964 pag. 65 e seg.:
« L’architettura romanica si realizza soprattutto tramite la volta a crociera costolonata, tipica del nuovo linguaggio artistico. A questo proposito sarà bene notare che la volta a crociera non è affatto una novità del romanico ma un sistema di copertura largamente usato dagli antichi romani. Durante l’alto medioevo, in Occidente, esso venne per lo più trascurato, per venire ripreso nella nuova formula della costolonatura, in epoca preromanica … ».

[13] Da « Le Cattedrali di Puglia » di Alfredo Petrucci, Roma 1960 pag. 89 e seg.:
« … Nel 200 già in Puglia ci si era famigliarizzati con l’arco acuto, si veda Anseramo artista di Foggia che decorò la seconda fiancata della Cattedrale di Foggia (ad arcatelle ogivali), mentre quelle della fiancata sinistra sono ad arcatelle tonde … ».

[14] Merra: « Monografie Andriesi », Bologna 1906 pag. 254-255.

[15] Dal « Catalogo della Mostra dell'Arte in Puglia dal tardo antico al rococo » pag. 74:
« Benché la produzione pugliese del Laurana (Zara - Avignone 1502) si riduca solo alle opere qui esposte, l’importanza del complesso di Santeramo fanno pensare ad un soggiorno dell’artista nella regione, probabilmente alla Corte dei Del Balzo, ultimi rappresentanti in Puglia di un gusto rivolto piuttosto alle cose di Francia che a quelle di Spagna.
Tale soggiorno collocabile negli anni 1472-73 (D’Elia 1959), immediatamente successivo al periodo siciliano e precedente l’andata a Napoli, nonostante la sua brevità dovette esercitare una notevole influenza sull’ambiente artistico locale, anche ad opera di qualche stretto seguace rimasto in Puglia, come l’autore dei frammenti marmorei oggi inseriti nell’altare cinquecentesco della Madonna della Passione, nella Chiesa dell’Annunziata in Andria, o quello che scolpì alla fine del secolo la Madonna di Bari qui esposta ».

[16] Fu una delle sei Parrocchie impiantate nel 1857 da Monsignor Longobardi, ed il Canonico D. Saverio Cannone ne fu il primo Vicario Curato.

[17] Nel 1878, il Sindaco Gioscia, assillato dal Parroco Zinni affinché provvedesse a completare il restauro, propose allo stesso Parroco la cessione della Chiesa per farne uso profano, mentre egli si impegnava a costruirne una nuova altrove. Al rifiuto del Parroco vennero eseguiti i lavori di cui si è detto.

[18] Gabriele Pepe, « Il Mezzogiorno d’Italia sotto gli Spagnoli » Firenze 1952.