prefazione, di Raffaele Sgarra

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greca

Prefazione

di Raffaele Sgarra (____-____)
il fare un libro è meno che niente
Se il libro fatto non rifà la gente.
Giusti - Epigrammi
Ai miei concittadini,
Avete voi udito parlare di Giacinto Borsella, Andriese distinto per non dire illustre, che con grande amore al luogo natio scrisse delle cose nostre religiose e profane?
Senza dubbio il nome e l’opera sua riusciranno ignoti a molti. Egli nacque in Andria nel 1770 da Vincenzo Borsella ed Irene Sorge, sposò Anna Teresa Frascolla, dalla quale ebbe sette figli: quattro maschi Vincenzo, Michele, entrambi canonici della cattedrale, Raffaele avvocato, Giovanni cancelliere; tre femmine Emilia, Rachele nubili e Gabriella maritata al Dott. Francesco Fabiani, morì il 15 ottobre 1856 nell'età di anni 86 nella propria casa a via S. Bartolomeo. Il figlio Michele, cerimoniere del vescovo Longobardi, morì a Minervino, la salma fu tumulata nella cappella S. Chiara; Giovanni, padre del mio condiscepolo Giacinto, morì di colera nel 1867. Ebbe un fratello usciere dal quale nacquero tre figli, Nicola, Vincenzo, Antonio.
Sono viventi due nipoti: Vincenza Borsella vedova Montanari ed Anna Fabiani maritata Pietrangelo, le quali a stento mi hanno dato brevi ragguagli sul suo conto. Fu dotto giureconsulto, occupò la carica di giudice a Galatina, a Casamassima, a Minervino, ad Altamura, dilettante di poesia, erudito, amante degli studii storici e geloso delle cose e delle tradizioni cittadine.
Se un caso fortuito non mi avesse messo a contatto col Rev. Arcidiacono D. Nicola Troja, io non sarei venuto in possesso del manoscritto, che egli strappò alle granfie di un pizzicagnolo, e a voi sarebbe mancata l’occasione di conoscere una opera pregevole ed importante per la illustrazione della patria. Indirizzo dunque a voi la pubblicazione dell’opera inedita del Borsella «ANDRIA SACRA» perché si onori lo studioso, si accresca il materiale storico che riguarda la nostra città, si agevoli l’opera di colui che sarà per compilare la storia di Andria e si scongiuri il pericolo che essa vada perduta ed obbliata, come sono andati dispersi e distrutti molti e preziosi nostri ricordi.
Questa opera che descrive dettagliatamente e con molta tecnica quasi tutte le chiese, inserendo notizie storiche esatte, ha un valore inapprezzabile; in essa si trova la descrizione minuta del trono episcopale, del coretto del vescovo a modo di baldacchino, del coro del capitolo, e dei diversi quadri a pittura che esistevano sul presbitero della Cattedrale, cose preziose per arte che sono andate distrutte a causa dell’incendio del 17 Aprile 1916; la descrizione al vivo è fatta con tanta maestria, che i posteri avranno l’idea esatta di quelle che erano le cose più belle del presbitero. Son degne di nota la illustrazione del portale della chiesa di S. Agostino, della chiesa Porta Santa, e la descrizione dei 12 quadri su tavolette bislunghe in campo d’oro, lavori della celebre scuola Senese che esistevano nella sagrestia di S. M. Vetere, quadri che dovrebbero conservarsi ora nel museo provinciale, se non andarono dispersi dopo le devastazioni derivate dall’incameramento dei beni ecclesiastici. Troverete la descrizione di quadri appartenenti a Raffaello o alla sua scuola, allo Zingaro, a Guido Reni e ad altri famosi artisti d’Italia, sarete confortati di apprendere che anche Andria ha dato una schiera numerosa di personaggi che si sono distinti nelle arti, nelle lettere, nella religione, nella politica e nella guerra; come pure sarà per voi d’orgoglio l’accenno del servo di Dio Fra Pietro De Feo, morto in Napoli in odore di santità, per la vita spesa in opere caritatevoli, specialmente nella tremenda epidemia di peste avvenuta nel 1656.
Mi pregio adunque di offrire a voi, miei cari concittadini, tale pubblicazione, perché ritengo necessarie ed utili le notizie complete di tutto ciò che fu il nostro passato; non si può aspirare ad egregie cose se i titoli di onore dei nostri antenati non agissero come vis a tergo per accendere l’animo alle virtù civili e morali e giustamente il Borsella ammonisce i giovani dicendo loro, che è cosa vituperosa ignorare i fatti che illustrano la propria patria e ricorda il detto di Malpica: ogni sasso della terra che ci è patria è una memoria, ad ogni passo tu puoi membrare una pagina della storia; gli stranieri passano le alpi e il mare per prostrarsi agli avanzi della nostra grandezza e noi che siamo in mezzo li lasciamo inonorati.

A questo proposito piacerci rilevare una lacuna che esiste tuttora nelle nostre scuole: l’insegnamento storico che riguarda Andria si ignora ed è trascurato, in modo che la scolaresca, che è accesa di entusiasmo per il luogo natio, è vagolante ed incerta sul suo passato, quasi che non dovesse possedere una genesi nobilissima. I giovani i quali hanno la mente satura della grandezza della patria comune, l’Italia, credono che il nostro nascimento sia bastardo, di incerta origine ed ignobili i progenitori.
Io posso affermare, con cognizione di causa, il contrario e proclamarmi fiero della mia vetusta città. Chi può occultare l’origine sua antichissima? Chi può disconoscere le testimonianze che confermano le sue tradizioni? Sepolcri antichi, vasi preistorici, greci e latini, molti elementi di numismatica, avanzi di simulacri di deità pagane, [1] templi antichi, come la Cripta della Cattedrale (che a me costò lavoro, pazienza e diligenza nel procedere agli scavi nel 1904 e conservare gelosamente quello che ivi fu rinvenuto), tenaci tradizioni, canti popolari, poemi epici religiosi [2], tutto ciò permane ed esiste a dispetto di coloro che richiedono istrumenti pubblici con iscrizioni ipotecarie per vedere confermate le tradizioni storiche. La critica che non vuole criticare è distruttrice, al contrario essa deve essere reintegratrice appoggiandosi agli elementi che vengono forniti dalla tradizione. Vero è che fitto buio avvolge le cose nostre più belle, ad esempio: noi non conosciamo chi costruì il Castello del Monte e il palazzo Ducale, che fu la Regia degli Svevi, chi fu l’autore del portale della chiesa di S. Agostino. Ad onta di tutto ciò queste opere monumentali e di arte squisita attestano il genio dei nostri artisti e della nostra razza.
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Andria si ritiene ed è, una città Diomedea, lo afferma il suo nome greco, che significa forza; pria che Diomede ne avesse gettata le fondamenta, sul suo suolo visse un popolo di avanzata civiltà preistorica, come testimoniano i vasi [3] bellissimi e gli scheletri fossilizzati, rinvenuti nella villa Porro Regano a pié del muro che limita la strada provinciale Andria Corato e propriamente nel sito rimpetto alla cisterna munita con pompa a motore. Detti vasi osservati prima da me, furono, a mia proposta, inviati al defunto Antonio latta, il quale, dopo avere visitato il sepolcro, li illustrò con una dotta monografia [4], fissando con molta erudizione la data preistorica o neolitica, vasi che si conservano parte nel museo provinciale di Bari e parte nel museo Iatta di Ruvo.
reperti archeologici trovati in villa Porro-Regano
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Dopo questa, epoca molto primitiva Andria ebbe vita e sviluppo parallelli a quelli di Siponto, di Benevento (della quale fu detta sorella) e di altre città di origine greca; subì le vicende comuni ai popoli dell’Apulia, prima col resistere nelle lotte contro Roma, indi col partecipare alla vita romana o latina. Il suo territorio, solcato da vie parallele che da Roma per Benevento conducevano a Brindisi, fu percorso dalle legioni romane, poscia animato dal traffico di Roma con l’estremo oriente, infine battuto dagli eserciti delle Crociate. Il sepolcro di Boemondo a Canosa ne è la conferma.
Nei primi anni dell’era volgare fu un centro di vita politica e civile di tale importanza, che attirò le premure dell’apostolo Pietro, il quale la visitò nella sua andata a Roma. Nel 492 al 498 si registra la venuta del suo primo vescovo S. Riccardo, la cui storia a conforto degli studiosi, confermata dai canti popolari, dalle tradizioni e dalle date storiche che coincidono con gli avvenimenti religiosi e politici di quel tempo, si integra e si identifica con la storia cittadina, in lotta allora con le vicende alterne tra il paganesimo e la nuova religione di Cristo.
In questo periodo ed anche prima, per l’accresciuto numero degli aderenti alla nuova fede e per le estese affermazioni della religione nuova, surse la Cripta che dovette essere considerata come una piccola catacomba, costruita con criterii architettonici suggeriti dai primitivi cristiani.
In questa Cripta, gloriosa nel suo primo periodo si svolsero i fastigi del Cristianesimo e si onorò il luogo dove probabilmente celebrò S. Pietro e dove avvennero le instaurazioni del santo patrono, come dice il Morgigni, per purgarla dalle contaminazioni perpetrate dai seguaci dei vecchi idoli; in questa Cripta, gloriosa anche al periodo Svevo furono deposti i sepolcri delle due imperatrici, Iolanda ed Isabella, mogli di un sovrano geniale e con tendenze Italiane, in questo luogo insigne si riscontrano i documenti araldici del periodo storico più importante della nostra città.
avanzi scultorei della cripta
avanzi scultorei della cripta
Avanzi scultori dei mausolei delle Imperatrici rinvenuti nella Cripta della Cattedrale. Rimarchevoli i rilievi delle aquile simili a quelle delle Augustali di Federico II.

Verso il mille ed anche prima di questa epoca è a considerarsi stabilmente convertita al Cristianesimo; poscia danneggiata dai terremoti, dalle pesti, dalle irruzioni barbariche, e dalle incursioni degli eserciti stranieri, verso il 1063 fu ricostruita e cinta di mura dai Normanni, i quali ampliarono la Cattedrale aggiungendovi le navate odierne all’antica chiesa, che era limitata al presbitero, sovrastante alla vetusta cripta. La nostra Cattedrale doveva originariamente ripetere lo stile e l’architettura delle bellissime Cattedrali pugliesi, ciò si desume dagli avanzi scultorii che tuttora si conservano, che io riproduco dal vero.
Poscia rifulse al tempo degli Svevi, fu lealmente Ghibellina nella lotta tra l’impero e la Chiesa, parteggiò con l’imperatore, al quale si mantenne fedele e per la sua fedeltà le furono rivolti titoli di elogio, che restano ancora come testimoni della sua correttezza e della sua tenacia nell’amicizia e nell’amore.
Subì le vicende della lotta tra gli Svevi e gli Angioini, ed ebbe perciò a sopportare deturpazioni e distruzioni più feroci di quelle che patì per le invasioni barbariche che allagarono l’Italia meridionale. In questa lotta tenace degli Angioini contro gli Svevi furono distrutti i Mausolei delle imperatrici, dei quali uno forse è rappresentato dagli avanzi di archi in pietra viva con capitelli e putti di varie figure che limitano la scaletta che conduce sull’organo e l’altro è rappresentato dai resti scultorii da me rinvenuti il 1904 negli scavi della Cripta, che si conservano nel piccolo museo in formazione, diretto e custodito dal Canonico Morgigni. Durante questi eventi furono rinchiusi nel Castello del Monte per molti anni i teneri figli di Manfredi, per i quali non furono efficaci prieghi ed esortazioni a sentimenti di clemenza e di là furono fatti uscire quando divennero paralitici o ebeti.
reperti trovati nelle scuderie Spagnoletti
Opere scultorie pregevolissime che esistono nelle scuderie del Sig. Pasquale Spagnoletti e funzionano da cariatidi a sostegno di una lunga mangiatoia. Sarebbe pregio dell’opera che venissero rimosse e custodite degnamente. Siamo grati ai Signori Spagnoletti di avere conservate, sotto una forma qualsiasi, queste opere di arte scampate ad una cieca devastazione.

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Al periodo Angioino successe quello feudale e passò sotto la Signoria dell’antichissima e nobilissima casa Del Balzo col titolo di Ducato, della quale casa fu illustre e chiaro rappresentante Francesco Del Balzo, letterato, poeta, guerriero di cui si conserva il corpo mummificato nella chiesa di S. Domenico, e come afferma il Borsella con la morte d’Isabella Del Balzo, moglie di Federico d’Aragona, re gli Napoli, restò estinta la famiglia Del Balzo dei Duchi di Andria ed il Ducato fu devoluto al R. Fisco. Nel 1507 re Ferdinando il cattolico donò questa città al Gran Capitano, Consalvo Ferdinando di Cordova, che diedela in dote ad una sua figlia maritata con Luigi Di Cordova suo parente. Da costui nacque un figlio chiamato Consalvo Ferdinando Di Cordova e questi fu quello che nel 1552 vendè Andria a Fabrizio Carafa.
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La Casa Carafa non meno: illustre della precedente per nobiltà, per potenza e per ricchezza, se non potè rinunziare al sistema oppressivo delle famiglie feudali del tempo, conferì lustro e decoro al ducato. Rifulsero nel suo seno molti personaggi per virtù civili, militari, religiose, fra questi Vincenzo Carafa, secondogenito del Duca Fabrizio. Egli occupa un nome nella storia del Regno per le sconfitte da lui date alle schiere ottomane. Essendo stata assediata l’isola di Malta dai Turchi, assoldò un esercito a proprie spese e in compagnia di altri quattro nobili personaggi andriesi, anche cavalieri di Malta, Giammarco Quarto, Federico Leopardi, Cesare Marulli, Marino Filangieri mosse contro i Turchi. Si distinse tanto per valore che venne decorato della Gran Croce, ascese al gran priorato di Ungheria, fu nominato capitano generale delle galere della religione e rifulse come uno dei comandanti della battaglia di Lepanto. I nobili andriesi al suo seguito ottennero da Filippo alcuni tenimenti in territorio di Andria.
Dalla Casa Carafa ebbero i natali Paolo IV papa, 14 cardinali, molti prelati e la figura fulgida per il suo martirologio di Ettore Carafa, il giustiziato repubblicano della rivoluzione del 1799, di cui hanno scritto ampie monografie il Senatore Riccardo Carafa e Giuseppe Ceci.
Colui che imprendesse a scrivere la storia completa di queste due illustri famiglie, dei Del Balzo e dei Carafa, compilerebbe la storia del periodo più operoso di Andria, la quale ne uscirebbe degnamente illustrata [5].
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Negli eventi della rivoluzione del 1799 ed all’annunzio della venuta tra noi delle truppe francesi, fra le quali eravi Ettore Carafa con un esercito assoldato a proprie spese, il popolo cieca per fanatismo religioso ed eccitato da un falso principio di campanilismo a resistere alle armi repubblicane, assertrici di libertà e di emancipazione, avvennero le scene orrende della zuffa del 23 marzo, in cui perirono 658 cittadini dei quali sarà pubblicato l’elenco in appendice.
In questa luttuosa circostanza, oltre Ettore Carafa, rifulsero figure repubblicane vittime del furore popolare come Domenico Tupputi, Giuseppe e Nicola Noja, Pasquale Cannone, Geremia Attimonelli e molti altri. Parteggiarono per le armi francesi i Montenegro (Angelo, Giuseppe e Vincenzo), i Porzio, i Giorgio ed una schiera di altri cittadini della quale rilevo l’elenco dei nomi da una cronaca del tempo a firma V. F.
  1. Vincenzo Losappio detto ciuccione.
  2. Giovanni Addati sparpiello.
  3. Francesco Biancolillo crusta e creta.
  4. Uno di Barletta detto Bucquino.
  5. Certo Paglia Paglia.
  6. Riccardo Nuzzi detto Perrucca.
  7. Savino Tria detto mambrucchio.
  8. Fratello Zagaria detto abutto.
  9. Cialea.
  10. Tommaso Lardiello.
  1. Nicola Laspina.
  2. Pasquale Pascullo detto ciampecurto.
  3. Un certo teriaca.
  4. Giovanni Di Bari detto vocca tonna.
  5. Savino Forte detto cacciante.
  6. Raffaele Sipone detto Ramizzo.
  7. Certo Viscio detto mezzarecchia.
  8. Giuseppe Margiotta detto capodiferro.
  9. Riccardo Calvi detto Ciola.
  10. Sebastiano Cocco.
Inoltre Geremia Montencgro afferma che Angelo Montenegro suo antenato, residente a quel ternpo in Napoli, ebbe dal comitato centrale un pacco di salvacondotti che egli spedì in Andria. Alla mattina del 23 Marzo le case dei repubblicani erano contrassegnate da tali distintivi e furono risparmiate dal furore delle armi francesi.
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Da questa epoca incomincia la storia contemporanea, la quale si avvolge pure in un impenetrabile ammanto. Poco conosciamo e si ignorano le figure specchiate per patriottismo e per virtù civili che lavorarono per l’affermazione del principio democratico moderno.
I popoli attratti dal fascino delle nuove idee, marciano dopo il 1799, alla conquista della libertà e della loro emancipazione e questa marcia va, procede e si avanza con mire sempre più alte. Per tale destino comune a tutti, in Andria surse nel 1821 un partito liberale appartenente alla Carboneria. Ebbe vita la setta degli Spettri o tomba Centrale. (illustrata con un romanzo dal Mezzanotte). Teneva sedute segrete nella remota campagna di notte con riti speciali. Congiurarono per un movimento insurrezionale, e con lo scopo di deporre il governo corrotto di Ferdinando I. proclamare l’Unità, e ciò fecero prima che fosse stata fondata da Mazzini la giovane Italia. Ispiratori furono 5 specchiate figure di patrioti e liberali, Nicola De Giorgio, Raffaele Ricciardi, Mariano Porzio, Riccardo Cocco, Riccardo Matera che debbono ritenersi martiri precursori del movimento e del riscatto nazionale.
Denunziati da un agente della pulizia Borbonica furono condannati alla pena di morte col laccio sulle forche. I condannati ascoltarono la lettura della sentenza esterrefatti. Solo D. Nicola De Giorgio rimase fermo ed ardito e rivolgendosi ai suoi carnefici disse: voi siete degli infami. Il giorno della ese¬cuzione si avviarono lentamente verso il patibolo, trascinati sopra tavole con piccole ruote, coi piedi nudi, coperti con una lunga veste nera e un velo nero nascondeva il loro volto. Sul petto ciascuno portava un cartello con la scritta a caratteri cubitali «Uomo Empio». D. Nicola De Giorgio, sprezzando la morte che l’attendeva, aveva il capo eretto ed altero sotto il velo nero ed era tenuto di vista dai feroci gendarmi, come un facile concionatore della moltitudine. Furono graziati mercé i sacrifizii ingenti delle proprie famiglie con l’ergastolo ed il biglietto di grazia giungeva nel momento solenne in cui salivano il patibolo a piazza del mercato in Napoli. Scontarono parte della pena e riacquistata la libertà non rinunziarono ai loro principii di fede, di speranza; continuarono a congiurare e le riunioni si tenevano nel casino di Mariano Porzio.
Ecco la copia di fedina penale:
Il Cancelliere del Tribunale di Trani attesta che eseguite le più diligenti richieste sul registro dell’abolita Gran Corte Criminale di Traini dell’anno 1826 al Vol. 2. dello stesso fol. 31 veggonsi segnati:
Nicola De Giorgio, Raffaele Ricciardi di Luigi, Mariano Porzio, Riccardo Cocco, Riccardo Matera tutti di Andria, imputati di riunioni settarie commesse nel 1825 nei Comuni di Andria, Trani e Barletta, nelle quali essi fecero da dignitari.
La Commissione suprema dei reati di Stato 8 Maggio 1827 li condannò alla pena di morte col laccio sulle forche. Pena che venne commutata per De Giorgio in quindici anni di ferri, per gli altri in anni dodici di relegazione con Decreto Reale del 13 Agosto 1827.
Trani, 16 Luglio 1877.
P. Il Cancelliere - Il Vice Cancelliere
Firm.to Francesco Losavio
Copia
Regio Archivio di Stato in Napoli
Sezione Giudiziale - Napoli 27 Febbraio 1910
Si certifica resultare dal Gran Registro della Commissione Suprema dei reati di Stato dal 1830 segnato col N. 1 e propriamente dal N. d'ordine 75, pagina 55 di detto Registro che Nicola De Giorgio, Raffaele Ricciardi [6], Mariano Porzio, Riccardo Cocco, Riccardo Matera di Andria, accusati d’illecita società segreta contro il Governa sotto il titolo Tomba Centrale, scoeverta nella provincia di Bari nell’anno 1825, furono nei giorni 1, 2, 3, 4, 5, 8 Maggio 1827 giudicati dalla detta Commissione Suprema, la quale unanimemente ed in conformità delle conclusioni del Pubblico Ministero li condannò alla pena di morte col laccio sulle forche ed alla multa di ducati mille per ciascuno. A margine si legge che il Re con Decreto di grazia del 13 Agosto 1827 commutò per Nicola Giorgio, la pena di morte in quella di anni quindici di ferri, per Raffaele Ricciardi, Mariano Porzio, Riccardo Cocco e Riccardo Matera in quella di anni dodici di relegazione.
L’Archivista
Firm.to Mariano Mongillo
Visto il Direttore — Firm.to C. Casanova

[integralmente tratto dal libro “Andria Sacra” di Giacinto Borsella, edito a cura di Raffaele Sgarra per i tipi di Francesco Rosignoli, 1918, pagg. 3-17]

Pagina in allestimento!


[1] Effigie in pietra del Dio Marte, che esiste ancora ed è infissa. sullo spigolo della casa del defunto D. Luigi Montaruli, che fa angolo tra la strada S. Francesco e Via De Anellis. Essa non è la sola testimonianza di Andria pagana: il Borsella parlando della Chiesa Portasanta afferma, che nelle demolizioni eseguite per la costruzione di detta Chiesa, fu rinvenuto la statua del Dio Baccante. Di più le viventi Nunzia, Filomena, Vincenza e Maria Troja sorelle di Michele Troja, l’infelice assassinato del 1909, ricordano di aver posseduta la statua di altra deità pagana, Priapo dell’Orto, che con la ricca biblioteca, la collezione delle monete antiche, dei vasi greci e romani appartenenti al defunto Canonico D. Lorenzo Troja, fu donata al loro parente Dott. Vincenzo Leonetti - Troja.
Sono avanzi dei tempii pagani le colonne di marmo che limitano le zone delle diverse parrocchie: al vaglio, a Fravina, a S. Domenico, a Via Tutino ed a Porta S. Andrea, le quali due ultime sono state recentemente rimosse.
[2] Dott. Ferdinando Fellecchia. — La vita del glorioso S. Riccardo Poema Sacro. Napoli per Salvatore Castaldo 1685.
Francesco II del Balzo — Storia della Invenzione del corpo di S. Riccardo – L’autografo si conserva in Roma nella Biblioteca Vallicelliana.
[3] Vasi neolitici rinvenuti nella villa Porro - Regano
[4] A. Iatta — Un sepolcro primitivo ad Andria e l’eneolitico nell’Apulia Barese. Parma — Stabilimento Tipo-litografico L. Battei 1905.
[5] Ecco uno degli atti di amministrazione della casa feudale, che si conserva dal Canonico D. Nicola Sinisi:
"Decreto di nomina del Duca di Andria.
Riccardo Primo; Signore della famiglia Carafa; Duca XVI d’Andria e del Castello del Monte; conte di Ruvo, marchese di Corato; utile Signore della Terra di Maschito ecc. ecc. Cavaliere del R. l’ord. insigne di S. Gennaro; e gentil.o di Camera con esercizio della Maestà del Rè delle due Sicilie ecc.
Dovendo noi destinare un M.ro di Fiera in questa nostra Città in Andria per il buon governo dei Negozianti, che ci concorreranno in occasione della Fiera di S. Giovanni Battista in questo corrente anno 1776, come ancora per la detta Amministrazione della giustizia e per la conservazione dei nostri privilegi; ed avendo piena cognizione della integrità e sufficienza del Magnifico Notar Donato Senisi, ci siamo mossi ad eleggerlo, come in virtù di questo lo eleggiamo e deputiamo Maestro della descritta Fiera per quest’anno da durare secondo il solito per otto giorni continui, con tutti gli onori, dignità, ed emolumenti soliti e spettanti a detto Ufficio, comunicandoli a tale effetto quell’autorità, e potestà che han tenuto i suoi predecessori. Ordiniamo per tanto a chi spetta, che per tale lo ricevino, stimino, e riconoschino sotto pena della nostra disgrazia e di Ducati mille alla nostra camera Ducale, in fede di che ecc. ecc.
Dato dal nostro Ducale Palazzo d’Andria questo dì 23 Giugno 1776.
R. DUCA D’ANDRIA
Pietro Torsaniseglia.
Leg.to al f. 97 t."

[6] Nella prima raccolta delle iscrizioni funebri (Tristia) del Prof. Nicolò Vaccina Lamartora, edita a Trani nel 1891 pei tipi di V. Vecchi, leggesi a pag. 69:
Nella Chiesa di Portasanta — Andria, 2 febbraio 1887
     (A piè del catafalco)
RAFFAELE RICCIARDI
DI QUESTA SUA TERRA NATIVA
IL NESTORE DEI PATRIOTI
GIOVINE CONGIURATO NEL 1823
CEPPI FORCHE MANNAIE
DAI BAGNI DI NAPOLI DI GAETA
GUARDÒ IMPAVIDO
DIECI ANNI ESULE
VAGÒ PER LA TERRA DE’ VESPRI
RIMPATRIATO
AL 1848 GIOÌ PIANSE SPERÒ
CON L’ITALIA LIBERA ED UNA
ESULTÒ AL 60
ESEMPIO D’INTEGRITA
AGLI AVVENIRE