Episcopio, La Cappella Vescovile

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CAPPELLA VESCOVILE

Giacinto Borsella (1770-1856)
Ti aggradirà lettore visitare in ultimo l’adiacente Cappella dell’Episcopio, che il nostro Cosenza fu sollecito far ridurre in miglior forma, ricorrendo l’anno 1843. In fronte al primo pianerottolo del quarto inferiore, ti si para in marmo questa iscrizione, composta dal riferito Ruggiano.
Ferdinando II.
Siciliarum Rex P. F. A.
Quod Regni Provincias per lus trans
Episcopalem hanc aedem
Hospitii honore decoravit
Ne faustissimi diei Prid: Nonos Mai
MDCCCXXXV
Memoria intercideret
Diocesanæ Œconomiæ curatores
H. M. P.
In entrar nella sala e quindi nella retrostanza, eccoti la Cappella, in forma di parallelogrammo, il cielo come verrai osservando, è istoriato da misteri gloriosi, gaudiosi eseguito per mano di D. Gennaro Ascanio figurista di Barletta; le mura sono bellamente vestite a stucco lucido, color verde antico, al pari delle diciassette colonne con capitelli e basi dorati che si alzano sopra zoccolature a quadretti di giallognolo macchiato, con cornici sotto la volta estendesi un cornicione bianco dentellato bianco. Tra gl’incolunii sono infissi quattordici quadretti son figure vivamente espresse coperti di cristalli la via crucis in tutte le sue stazioni. Sono essi forniti oltre di cornice dorata, anche di uno di stucco rilevato, con fregi in fronte, sicché t’invitano a rimirarsi. A piè delle colonne stanno tramessi otto sedili di noce. Il pavimento è lustro di mattoni verniciati. L’altare si addentra nel mezzo del muro destro, formato di marmo, con varie intarsiature. Ha un ciborio a padiglione, con quattro colonnette alabastrine ai fianchi alle quali sovrasta artificioso cornicione costrutto di lamette di cristalli colorati imitanti i colori del lapislazzuli e delle agate Orientali. La cupoletta è ricoperta a scaglie d’oro, cui sovrasta una ghirlanda di lucidissimi specchietti e su di essa una base cilindrica con altri cristalli dorati in cui è affissa una croce di ebano con Crocifisso di similoro. La custodia nel frontespizio è decorato da una corona di tasselli inaurati, in mezzo a cui risplende la divina Colomba, ai fianchi sorgono due pilastrini anche di cristalli dorati tramessi ad altri di colori diversi, in faccia alla portellina ti offre un tempietto con balaustra e cupola, a somiglianza della Rotonda di Roma; direi quasi fatta a ricami con sopraffini disegni, sicchè t’attira a non rimuovere sì presto lo sguardo. Nel paliotto giace distesa la statuetta in cera del Martire S. Donato, custodita da ampio cristallo, vestito in seta con diadema d’argento in testa avendo nella destra un’ampolla di sangue ed ai piedi una cassettina con le sue ossa e di altri santi. In riguardar quell’eroe ti sentirai forzato a dire che sia maravigliosamente figurato. Sopra l’altare è messo un Ecce Homo, tela d’inestimabile lavoro, lasciato da Monsignor Ariani. In contemplare la spietata fustigazione, quella tempesta di piaghe e lividure grondanti sangue, da per tutto non sarà ammeno che t’investe la più tenera e santa pietà verso quella vittima innocente, da qual mansueto agnello giacer volle a tanti ludibrii, a tante pene, a tanti martirii onde procacciarti la eterna salvezza. Ma prima di rivolgere altrove gli occhi a vista di quel capo sanguinolento, scarmigliato e così dimesso e quelle sue sante membra così crudelmente flagellate, a vista si tragica se non ti abbrividi, se non ti si gela il sangue, se non ti si spezza il cuore dirò francamente, che spietata hai l’alma, e di macigno il petto.
Due altri quadri si ravvisano sull’altare; l’uno del cuor di Gesù, l’altro del cuor di Maria e nei lati opposti altri due grandi. Nel primo è dipinto la Vergine col suo sposo, che portan per mano il pargoletto Gesù, in cui figgendo le pupille ti si desterà nello spirito la più devota compiacenza, senza parlar del pennello che seppe ritrarlo in sì semplici maniere, ed in quella ben intesa schiettezza di vestire. Nel secondo spiccano l’Arcangelo S. Michele con ali spiegate ornato di fulminea spada la destra, che sovrasta a S. Sabino, a S. Stefano, e a S. Riccardo tutelari della Diocesi di Minervino, Montemilone, Canosa ed Andria. Anche i fiori dell’altare ti soddisferanno non poco, vagamente congegnate di margheritine e di seta, che sorgono da testoline di porcellana dorata.
A darsi maggior lume a questo si pregievole altare si provvide costruirsi nel mezzo della volta un lanternino chiuso di cristalli; al di cui lume spiccano viemeglio i fregi, che l’adornano. A sinistra si entra in una comoda sagrestia, con porta di noce, ed in corrispondenza altra simile porta, apre l’adito, ad una gradinata a lumaca che immette nel quarto superiore dell’Episcopio. Non manca nella Cappella la credenza di marmo bianco sorretta da un cornicione a modo di piedistallo di altro marmo; e neppure il confessionale, l’inginocchiatoio di noce convenevolmente addobbato.
L’opera di questo decentissimo sacello venne per la esecuzione affidata all’Arcidiacono D. Nicolantonio Brudaglio, che ben corrispose all’aspettativa. E vi piacerà insieme l’ampia finestra che la illumina, e affinché non si tacciano i nomi di coloro, che diedero opera ai lavori, soggiungiamo che la erezione dell’altare e gli stucchi si eseguirono dal laico riformato Fra Michele da Molfetta; il padiglione del ciborio formossi da P. Tommaso Tasca, Agostiniano stanziante in questo Monastero della Madonna di Andria, che può dirsi avere le mani Dedalie per questi egregi lavori di cristalli colorati. [1] I fiori s’intessono in questo Conservatorio con tutt’altro che può desiderarsi in materia di ricami in cotone, in seta ed in filograni d’argento ed oro. In uscirne m’immagino lettore, che ti sen¬tirai soddisfatto di averla osservato, che loderai lo zelo del nostro buon Pastore, che tutto profonde per il culto della religione e della Casa di Dio.
A proposito delle tante somme profuse dal nostro Vescovo per il lustro della Casa del Signore, facciam rilevare, che Orazio quantunque gentile, conobbe una gran verità allor che nell’Ode 6 del Lib. 3 diretta ai Romani scriveva:
Delicta majorum immeritus lues,
Romane, donec templa refeceris,
ædesque labentes Deorum, et
fœda nigro simulacra fumo.
Quindi fra le lodi date a Giulio Cesare secondo Svetonio nella sua vita, narrasi, ch’essendo « Edile prœtor «Comitium, et forum, basilicasque, etiam Capitolium ornavit porticibus ad tempus extructis.» E nel cap. 44 «tam de ornanda, instruendaque urbe, item de tuendo ampliando que imperio plura, ac majora in dies destinabat. In primis Martis templum quantum nusquam esset extruere curavit». E nel cap. 98, 0 8, «Periit sexto, et quinquagesimo ætatis anno, atque in Deorum numerum relatus est, non ore modo decernentium, sed et persuasione vulgi siquidem quos primos consecratos ei heres augustus edebat stella crinita per septem dies continuos fulsit. Creditumque est animam esse Cesaris in cœlum recepti et hoc de causa simulacro ejus in vertice additur stella».
[integralmente tratto dal libro di Giacinto Borsella, "Andria Sacra", edito a cura di Raffaele Sgarra, Tip. Francesco Rosignoli, 1818, pagg. 125-129]

[1] Dedalie dedale, e dedalee, Lat: dædalæus, dædalus, a, um, artificioso, fatto con tutta l’arte e maestria. Lucrezio Lib. 2. Cycnea mele Phobeaque dædala chordis carmina. Ove così il Lombino Cycnea mele sanctiones cicnorum ; Cynos traditum est moribundos suavissime caneret; Plato in Phædone. «Cycni morituri tum maxime canunt, lætantes che salgono al cielo i voti, di cui essi furon ministri. Dædala chordis carmina variata quæ varios sonos reddeunt chordis varietate grata, et ineunda. Il med: Poeta nel 4 Verborum Dædala lingua; id est verborum opifex, cioè formatrice, figuratrice pictrix E nel 5 Omnibus omnia larga tellus isfa paret, naturaque Dædala rerum. E altrove, Dædala tellus. Ed ivi pure : Carmina picturas, est Dædala signa polire, Usus et impigræ simul experientia mentis Paulatim docuit. È noto che Dedalo fu il Genio artistico di Grecia, nel quale tanto si favoleggiò.