Sant'Agostino

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Sant'Agostino

Chiesa di Sant’Agostino

di Giacinto Borsella (1770-1856)
Volgiamo ora lo sguardo alla Chiesa di San Agostino, secondo noi la più bella. A prima vista, si presenta al nostro sguardo la porta tutta di pietra viva, la quale un vero capolavoro d’arte nei suoi svariati, difficili, e finissimi lavori tutti di stile gotico. L'ornato di questa mirabile porta formasi da lunghe strisce parallele fra loro, ossia fascie, dal zoccolo ai capitelli. Questo ornato è largo palmi sei e mezzo, tanto a destra che a sinistra comincia con una cornice sporta dal muro larga mezzo palmo, infissa tenacemente di taglio, che serve alle susseguenti d'appoggio, e difesa. È lavorata a forma della lettera M. con globetti geminati a fianco, lavoro, che così progredisce dal zoccolo sino alla punta della prospettiva terminante ad angolo acuto: e che così scende dal lato opposto, come s'intenderà più chiaramente appresso. La seconda fascia, che si estolle e scende al par della prima, presenta un nastro largo due dita, con fregi variati nel mezzo, anche a traforo. Vien tagliata da sedici quadretti l'un distante dall'altro circa un palmo contornato da cornici a cordone, dal fondo dei medesimi sbucciano rosoni, stelle, girasoli, tulipani, garofani, fiordalisi, gigli, e simili, ricinti di foglie svariatamente. Un quadretto contiene una specie di libretto formato da foglie che s'incurvano dai quattro lati e ne richiudono quasi l'apertura con tanti trafori. Questa fascia sale sino all'apice, come la prima, ma s'innarca da sopra i capitelli. Ai lati dei quadretti da ambe le bande della porta, dal zoccolo all'architrave sporgono teste di puttini, di satiretti, di lumache terrestre e marine, foglie aggomitolate, testuggini, ranocchie, pesci, conchiglie turbinate, nicchie, molluschi, univalvi, e simili capricci; come pure di faccette di monaci impaccuccate in piccol volume. La terza è lavorata di fioretti disposti a croce dal mezzo delle quali esce un globetto trapunto, come fragola o mora. Intorno, ogni crocetta due fettucce opposte fra loro a nodo spirale, che contornano e rinserrano le crocette singole da cima a fondo. Una cornice fatta a scala orla da ambo i lati la suddescritta fascia fregiata internamente anche di giglietti, la larghezza della stessa è al di sopra di un palmo.
La quarta larga mezzo palmo è intagliata a fronti di viti con globetti adiacenti.
La quinta racchiude foglie di gigli verticali larga mezzo palmo.
La sesta offre una specie di goffone di velo crespo, inanellato a brevi tratti lavor eseguito a tutta naturalezza larga tre dita a rilievo.
La settima presenta in quadretti ciocche di varii fiori, cosparsi di foglie, e stelle, non mancanti di trafori, che potrebbero dirsi fiori d'altea, o malvavisco, girasoli, rododafne, e simili altri.
La ottava larga tre dita è fatta a tassellini a punta di diamanti.
L'ultimo lavoro termina con una colonnetta a cilindro spirale del diametro di mezzo palmo, che serve alle imposte della porta.
Le due opposte spalliere portano quasi gli stessi fregi sino ai capitelli; se nonché la fascetta a quadretti incomincia con maschera tragica da un lato e dall'altro con la testa di fiori.
L'una termina con trine arabesco e l'altra con la testa di Daino.
La quarta fascietta a sinistra rinserra gigli aperti con globetti e colonnette sottoposte ad ognuno dei quadretti.
La quinta con le frondi verticalmente disposte come l'altra, sibbene orizzontali del pari che la sesta.
La settima, come quella del lato sinistro, presenta in otto rettangoli, tanti rosoni con foglie circonflesse svariate, nei quali ammirasi un travaglio il più elaborato; sembrando un lavoro eseguito da industre pennello piuttosto, che da paziente scalpello; tant'è la morbidezza con cui son rilevati quei fini lavori. Onde dir potrebbesi, che i varii gruppi delle varie foglie spesse e crespe, che s'incurvano si naturalmente intorno le ciocche dei varii fiori, fosser disposte dalla mente dell'artista in guisa, che dovessero difenderli dalle sferze solari e dal gelido aquilone. Tranne le suddette differenze con talune varietà di cornici altre semplici, altre a cordone, ed altre a gradini e tranne la varia disposizione dei fogliami e dei nastri, che in diverse guise lor corrono intorno e gli abbellano, i fregi nell'assieme si corrispondono sino alla colonnetta spirale, che serve con la prima come si disse all'imposta della porta.
Il zoccolo si alza dal suolo circa due palmi sino al piccolo epistilio sporgente due dita che porta il medesimo fregio della ridetta cornice della porta, non senza altri fregi a traforo, tramisti di globetti, e foglie frastagliate che spiegano gl'intagli dello stile Gotico. I capitelli a foglie con volate in cima, sono della stessa natura.
La porta da sopra il zoccolo all'architrave s'innalza circa dodici palmi, e per altri palmi quindici dall'architrave all'apice.
La prima inferiore è ornata da semplici foglie aperte simili ai pampini delle viti; o alle frondi del platano larga due terzi di palmo; intorno alle quali serpeggiano dei tralci fornita di cornicetta semplice.
La seconda larga quasi un palmo, scanalata nel mezzo formano uno stupendo intreccio di trine, che avvolgonsi intorno a duplici bastoncelli cordonati, che a due a due si intersecan fra loro a modo della lettera X, i quali non sono che scettri aventi in punta foglie di gigli da un capo solo, lungo ognuno tre quarti di palmo sparsi per la superficie tutta dell'arco, l'uno capovolto o contrario all'altro, nel numero di sedici. I latini usavano il verbo decusso as, per dividere una cosa in deca, o decima, ed anche l'avverbio decussatim [1].
La terza, quarta e quinta fascia, larga ciascuna un palmo parimenti scanalata nel mezzo offrono duplice ornato di foglie di acanto, meliloto, o platano che sieno. Lungo il prim'ordine serpeggiano tralci a cordoncini, i quali avvolgonsi intorno ogni foglia quasi che volessero inghirlandarla.
Il second'ordine procede con le stesse foglie le quali aperte come le altre, incurvansi e si ripiegano lentamente in cima, ed innarcate come sono sembran formare un ombrello o padiglione verdeggiante a quadro scolpito sull'architrave nel vano d'un triangolo [2].
Non lasciamo notare, che la fascia inferiore, che forma il primo arco è della circonferenza di palmi dodici approssimativamente, la seconda di sedici, la terza di venti, di ventiquattro la quarta e l'ultima di palmi ventotto.
Or prima di venire alla spiega del quadro succennato, ci piace riportare ciocchè avvertiva Malpica nei suoi viaggi. «Visitare un paese, senza inchinarsi a Monumenti d'arte, che l'adornano è pareggiarsi a quel volgo d'inetti che vivono vita di languore, e di noia, non mai rischiarata dal sole animatore delle opere generose. Ogni sasso della terra, che ci è patria, è una memoria, ad ogni passo tu puoi membrare una pagina della storia. Gli stranieri passan le Alpi ed il mare per prostrarsi agli avanzi della nostra grandezza; e noi che ci siamo in mezzo, li lasciamo inonorati. Facciamo ammenda del fatto».
Ma è d'uopo di esporre del quadro su indicato. Esso rappresenta il Salvatore coi due Serafini sospesi sui vanni da ambo i lati con turiboli offrono l'incenso, dai quali veggonsi uscire i globi di fumo con molta arte imitati. Il Salvatore abbigliato alla greca sta in atto di benedire decorato da grande aureola, che quantunque in pietra, è oscurata dal tempo e dalle intemperie, tuttavolta spicca anche in distanza nei suoi rilievi raffinati. Accanto sta S. Remigio in piedi come il Salvatore, Vescovo di Reims, col suo pastorale mitrato. Alla sinistra S. Leonardo vestito da Eremita Basiliano, con cappotto e scapolare, o pazienza, con. in mano una catena che gli pende a' piedi.
Porta in testa mi cappuccio, come un cimiero puntuto. Tanto egli, che S. Remigio hanno pur anco cinto il capo di aureole, di più stretta periferia di quella del Salvatore.
La storia c'istruisce, che S. Remigio nato d'illustre famiglia Francese fu ancor più distinto, per le sue virtù, che per la sua nascita.
Le di lui grandi qualità lo fecero collocare sulla sede pontificale di Reims, in età, di soli anni 24. Invano tentò resistere egli al popolo ed al clero, che ad una voce lo, elessero, ed ivi il vollero per loro Pastore, nè fuvvi maniera che potesse esimersi dall'uscire dalla sua solitudine. Egli fu che battezzò il Re Clodoveo, che istruillo delle massime del cristianesimo. Egli fu il maestro ancora di S. Leonardo. Egli governò santamente per lo spazio di anni cinquantatre la sua Chiesa.
Ma vorrà, sapere alcuno qual mai fosse l'abito che indossava S. Lionardo con S. Remigio? Quello dell'ordine Basiliano. Imperciocchè S. Basilio il grande di Cesarea fu quello che con S. Gregorio Nazianzeno e S. Giovanni Crisostomo sotto l'Imperatore Valente Indefessus Christianae religionis contra Ariano exstitit propugnator.
E non fia fuor di proposito spendere qualche parola sull'ordine monastico di S. Basilio che influisce alla spiega del quadro in esame. S. Basilio secondo la storia nacque a Cesarea, città della Cappadocia verso l'anno 329. Erasmo non conosceva chi potesse stargli a fronte nell'arte dell'Oratoria e Rollin, che avea tanto meditato i suoi principii di educazione, lo propose alla gioventù come uno dei più abili maestri di eloquenza. Fu inviato ben presto a Costantinopoli, poscia ad Atene, perché ivi assistesse alle lezioni di Filosofia. In quest'ultima Città, contrasse la più stretta amicizia con S. Gregorio Nazianzeno. Così l'uno, che l'altro si esercitarono nella eloquenza, ammirati da Giuliano, che fu poi Imperatore, il quale si trovava per lo stesso oggetto in quel Santuario delle Arti, e della Scienza. Basilio vi lasciò il suo amico Gregorio, e ritorno alla Patria per aprirvi una scuola di Rettorica e dedicarsi agli esercizii del pergamo, che abbandonò poscia per ritirarsi nella solitudine. Dopo la morte di Eusebio Vescovo di Cesarea i voti piú onorevoli chiamavanlo al governo di quella Chiesa, una delle sedi più ragguardevoli dell'oriente. Cesarea era la metropoli delle due grandi provincie dell'Asia Minore, Basilio tracciava le regole dalla vita Monastica, e della penitenza, viaggiava oltre i confini della sua Diocesi, per sedare e prevenire gli scismi; edificava in Cesarea magnifica Chiesa, costruiva vasti ospedali, serviva di propria mano i poveri ed i lebbrosi. I Basiliani della Germania vestono lunga tonica, lunga pazienza, con cappuccio, cappa lunga e larga beretta, che somiglia ad un morione o caschetto, Lat. galea, cassis. Qual'è appunto il beretto che copre il capo di S. Leonardo. Circa la vita di questo Santo sappiamo che nacque di nobile famiglia, e che fu battezzato da Clodoveo di Francia Re. S. Remigio lo istruì, uscito dalla puerizia ci dice la leggenda, che carceribus visitandis et liberandis sedulam operam dedit. Ebbe da quel monarca il potere di far estrarre quei detenuti che volesse, avendo acquistato la di lui amorevolezza. Rinunziò al Vescovado dicendo imparem se huic honori reputans. Chepperò ritirossi nella solitudine di un bosco, ove eravi un monistero dedicato al culto della Vergine, in cui terminò i suoi giorni. Con la sua predicazione convertì migliaia di eretici.
Sappiamo che l'ordine di S. Basilio, che professò S. Leonardo, fu abbracciato dagli Anacoreti, o Monaci sistenti in Oriente e specialmente in Egitto ove quest'ordine fiorì fino al quarto secolo. S. Benedetto nomina S. Basilio come suo S. Padre. Vennero in Italia i Basiliani nell'anno 1059 e furono riformati da Gregorio XIII, che ne formò una sola congregazione di quei di Spagna, d'Italia e di Sicilia. In questo tempo il Cardinale Bessarione, ancor egli monaco Basiliano compendiò la sopradetta regola. Da quanto di sopra raccogliesi a sufficienza come S. Leonardo adempiva le opere della misericordia e quelle del sacerdozio.
Prima di passar oltre, convien conoscere che Clodoveo figlio di Childerico, e nipote di Moroveo ha dato il nome alla dinastia dei Morovinci. Ei nacque nell'anno 467 dell'era volgare, dopo varie conquiste fissò la sua sede a Goisson. Nel 493 sposò Clotilde figliuola di Childerico re dei Borgognoni, cristiano mentre egli, e la più parte dei Franchi eran Pagani. Vinse nel 496 una gran battaglia a Tolbine presso Colonia contro gli Alemanni, che si erano avvanzati sino al Reno e minacciavano la Gallia. Si dice che nel frangente più terribile della mischia egli facesse voto di riconoscere lo Iddio di Clotilde, se rimanesse vincitore. Gli alemanni, vennero totalmente sconfitti, e Clodoveo, e la maggior parte dei soldati furon battezzati il giorno di Natale dello stesso anno da Remigio Arcivescovo di Reims. I Galli ed i Romani delle provincie Occidentali sino alla foce della Loira si sottomisero volontariamente a Clodoveo. Anastasio I. Imperatore di Costantinopoli conferì a Clodoveo i titoli di Patrizio e di Augusto, mandandogli una corona d'oro ed un manto di porpora. Fece egli ordinare, e compilare le leggi dei Franchi Salici e ne formò un codice pei suoi sudditi Franchi. I Galli, i Romani a lui soggetti osservavano il codice Teodosiano. Clodoveo morì a Parigi nel 511 dopo un regno di 3o anni e fu sepolto nella Chiesa detta poi S. Genoveffa. Quando fu atterrata la Chiesa di questo nome si trovarono due Sarcofaghi di pietra con gli avanzi di Clodoveo e di Clotilde sua moglie, avendo il primo un epitaffio scritto lunga pezza dopo la morte di quel re. Questi sarcofaghi si conservano nel museo reale. Lasciò quattro figli, cui divise la Monarchia. Egli fu il primo re che ridusse i franchi a condizione di popolo unito, fino ad un certo grado di incivilimento.
Or tornando dietro alla spiega del quadro, alla bellezza dei lavori che contiene con gli altri sculti la porta, fa mestieri sapere che questo monumento di si fina architettura gotica ha formato e forma a ragione le sorprese che facevansi nel medioevo, talchè gli Esteri non lasciano ammirarlo nei loro viaggi. Quindi tanto questa porta che molte rarità simili, insieme con quella del nostro torreggiante Castello del Monte, il quale domina tutta la Puglia sono state trovate degne di essere contemplate e descritte nella grand'opera uscita per le stampe di Parigi e di Londra, contenente la raccolta di tutti i monumenti Architettonici del Medioevo, copia della quale acquistossi già dal Liceo di Lucera, arricchita di rami.
Sull'atrio spazioso di questo tempio elevato in gradini, sono rizzate due colonne lapidee, l'una d'ordine Toscano, e l'altra Corinto. In questa veggonsi sculti due scudi, uno con gigli laureati intorno intorno, e dall'altra spicca una stella raggiante con la lettera B, cioè Bauci. Delle foglie di Acanto, non senza trafori, sono rilevate pure nel capitello. In mezzo poi dell'altra colonna stava confitto, un calzuolo o cerchietto di ferro in cui situavasi l'asta d'una bandiera, per la celebrazione di due fiere, che avean luogo in questa città, l'una a 23 Aprile, festa della invenzione del corpo di S. Riccardo e l'altra di S. Giovanni a 24 Giugno in ogni anno. La prima concessa al Capitolo Cattedrale con diploma di Alfonso I., la seconda al Barone da Consalvo de Cordova [3]. In quella veniva eletto un Canonico a regger giustizia Civile e criminale per otto giorni assumendo anche il carico di Edile, per le assise commestibili ed altro, onde riceveva delle prestazioni di un rotolo a soma di frutti, che venivansi a vendere in piazza ed i lacerti di vaccine che si ammazzavano ed inoltre un rotolo per ogni soma di pesci.
Del pari deputavasi dalla Casa Ducale a reggere giustizia anche per otto giorni un galantuomo, il quale riceveva gli stessi emolumenti e prestazioni. E tanto il primo che il secondo eran chiamati Mastri di Fiera. Questi formavano gli atti, i precetti di tutte quelle liti, che per allora succedevano e civili e criminali, riscuotendo tutti i dritti come del pari tutte le derrate, dazi e gabelle. Nel sentenziare tanto in materia civile, che criminale si servivano di un dottore laico, chiamato assessore.
Sono ragguardevoli i due leoni fissati ai lati della porta della Chiesa, come nell'Arcivescovato di Napoli, che sostengono sul dosso due colonnette solita impresa Sveva [4]. E qui sappiasi che venuta in potere dei Balzi la Duchea Andriese, dessi apposero i loro stemmi in tutte le nostre chiese. E però nei capitelli della divisata colonna eretta sull'atrio, e negli ornati del tempio spesseggiano i gigli.
È pur notabile la porta antica oggi chiusa a fianco della chiesa, costruita in forma di parallelogramma alta palmi diciassette sino alla lunghezza delle spalliere e dell'architrave, donde per altri palmi sette da ambo i lati le cornici si uniscono ad angolo acuto. Il zoccolo è alto palmo uno e mezzo. Le fasce laterali, o mostre della stessa sono larghe palmi quattro e mezzo. Comincia l'ornato da una cornice infissa tenacemente, e che sporge dal muro circa mezzo palmo di taglio secondo il fare gotico. Sussiegue l'altra a cordone, quindi una fascia, di poi altra cornice a cordone benanche. Viene appresso un solco e termina con l'ultima cornice cordonata. In questa porta non vi sono altri lavori, sull'apice dell'angolo havvi uno scudo con appiccaglio in cui veggonsi rilevati sei gigli, tre in testa, nel mezzo due, ed uno infine. A destra accanto all'architrave un quadretto con lione eretto. Ed in corrispondenza altro quadretto con lo stemma di Monsignor Vaccarella, fuori del cornicione é affisso altro quadretto, con due Aquile a vanni spiegati, emblema di Federico II. Tutto questo ornato è di pietra viva.
Nella parte interna della porta erano figurati a fresco alcuni Cerusici, che medicavano tutti quei fedeli, che per difendere la Cristiana Religione erano stati feriti dai Barbari. E nel lato sinistro osservasi il gran maestro in abito pontificio con mitra, pastorale, queste ed altre simili pitture dell'ordine teutonico abolito.
Dal qual tempo la chiesa venne occupata nel 1387 dagli Agostiniani calzi sotto il pontificato di Urbano VI. Confermasi ciò da una lapide rinvenuta in una cisterna con questi versi:
Belligerus ordo deo haec struxit templa sacrata,
Inque aegris curam struxit et ille domum
His deinde pulsis, pietas suprema Dinastae
Fratribus eremi haec ipsa colenda dedit
Ut fidei nitor, et sanctae observantia legis
Cresceret, et staret. Principis altus amor.
Se ne tolse ogni vestigio nel 1770 quando questa Chiesa fu nell'interno totalmente rimodernata e fregiata con molta eleganza di stucco dal P. Maestro Ricatti andriese, dopo che ritirossi da Roma. In questa occasione trovossi nella trave maggiore che sosteneva il comignolo del palco la seguente altra iscrizione scolpita nel legno a lettere maiuscole tinte di rosso, che attualmente si osserva:
«Federico de Aragonia illustrissimo Principe, ac Duce, Andriae imperante» Appresso «Antonio Marullo Notaio; Nardo Ceresio, ac Marino de Mastro Iosiano procuratoribus 1493».
Espulsi gli Agostiniani nel 19 Settembre 1809 il Collegio dell'Annunziata occupò questa chiesa lasciando quella fuori l'abitato perché molto fredda, ed incomoda.
Qui fa mestieri perciò che si è detto, e resta a dirsi esporre un cenno su gli ordini Cavallereschi militari. La origine di queste pubbliche istituzioni, sulle prime tutte religiose, monta ai tempi della Cavalleria e delle Crociate. Lo più antico di tutti è quello degl'Ospedalieri di S. Giovanni di Gerusalemme, o Gerosolimitani, ad un'ospedale ivi stabilito per li pellegrini poveri ed infermi, la cui chiesa era dedicata a S. Giovanni Battista.
Ai tre voti solenni di religione gli ospedalieri aggiunsero il quarto con cui obbligaronsi combattere gl'Infedeli. Così quest'ordine divenne, militare, fu quindi trasportato a Rodi, a Malta, ed altri luoghi. E così fu anche istituito nella stessa Gerusalemme l'anno 1118 l'ordine dei Templari così denominati, perchè la casa abitata dai Cavalieri era nel luogo del tempio di Gerusalemme. L'ordine del S. Sepolcro, fu stabilito l'anno 1120 per custodia del S. Sepolcro, è preservato dalle profanazioni degl'Infedeli. Quello poi dei Teutonici fu eretto nel 1190 nell'assedio di Tolemaide da Principi Tedeschi, che cola si ritrovavano, e che poi conquistarono la Prussia, la Schiavonia, la Pomerania ecc. Gli ordini militari stabiliti nella Spagna e in Portogallo ebbero per iscopo di difendere quei regni contro i Mori o Barbareschi. Quei poi, che furono istituiti negli stati di Europa sono semplici segni di onore coi quali i sovrani premiavano i sudditi, che per qualche chiaro servizio allo stato, sia nel militare, sia in altro eransi resi benemeriti. L'origine di quest'ordine fu così. Mentre i cristiani sotto Guido di Lusignano assediavano Acri o Acon, città della Siria ai confini di Terra Santa, al quale assedio eran presentì Riccardo Re d'Inghilterra, Filippo Augusto di Francia ecc. alcuni pellegrini Tedeschi, di Brema e di Lubecca compassionando gli ammalati e i feriti, ai quali mancavano le cose più necessarie e comuni stabilirono una specie di ospedale sotto una tenda, la quale essi fecero da una vela d'un vascello, e quivi s'impiegavano nella caritatevole servitù agl'ammalati. Questo eccitò il pensiero di stabilire un terz'ordine militare ad imitazione dei Templari e Spedalieri. Il disegno fu approvato dal Patriarca di Gerusalemme, dagli Arcivescovi e Vescovi circonvicini, dal re di Gerusalemme, dai Mastri del Tempio e dai Signori prelati Tedeschi, che trovavansi allora in terra santa, e di comun consenso Federico Duca di Svevia che era allora loro Capo mandò ambasciatori a suo fratello Enrico re dei Romani, per sollecitare il Papa a confermare il nuovo ordine. Callisto III che in quel tempo governava la chiesa accordò il tutto con una bolla del 23 Febbraio 1192 ed il nuovo ordine venne chiamato de' Cavalieri Teutonici dalla Casa di S. Maria di Gerusalemme. Il Papa concesse loro tutti i privilegi dei Templari, e degli Spedalieri, salvo che dovessero essere soggetti ai Patriarchi ed ai Prelati, e che dovessero pagare le decime di quanto possedevano.
Il primo Maestro d'Ordine Errico ..., eletto durante l'assedio di Tolemaide, e dopo la presa di quella città, comperò un giardino in cui fabbricò una Chiesa ed un Ospedale, che fu la prima casa dell'Ordine Teutonico. Governò l'ordine per io anni e morì nel 1200. L'ordine divenne molto potente sotto il quarto Maestro Ermanno di Salsa.
L'Imperatore Federico II permise che all'arme dell'ordine si aggiungesse l'Aquila Imperiale, e S. Luigi nel 1250 accordò all'ordine d'inquartare il fior di giglio. Essendosi intanto molto diffusa in Italia la religione Teutonica, ed in molti punti del nostro Regno, solo in Puglia mancava.
Trovavasi per ventura in questo tempo gran Maestro il suddetto Ermanno personaggio assai caro al Papa ed a Federico, (che s'impegnò a di lui favore pel matrimonio di Iolanda) ed a molti principi di Europa.
Questi non appena venne nominato Arcivesco di Bari che impegnossi per la introduzione del suo istituto in queste parti. Affacciò dimanda a Federico, il quale graziosamente condiscese, essendosi questo servito dell'opera sua presso Gregorio IX. Si vide quindi sorgere il primo convento presso Siponto, arricchito di vaste tenute, il secondo presso Terlizzi, così detto la Madonna di Sovereto, ed il terzo in Andria. Chepperò venne eretto un altare in onore di S. Leonardo, come loro protettore secondo vedrassi tra poco, esistendo una campana chiamata di S. Lionardo, la di cui protezione si estese in persona delle donne vicine al parto. Sicché a' rintocchi della stessa alleviansi le loro doglie, et onus naturas felicius deponunt secondo la favola di Fedro 18.
Nel codice Giustinianeo, de Episcopis et Clericis propriamente nella legge 26 l'Imperatore così esprimesi. «Sancimus si quis curae Deo amabilium Episcoporum commendat facere aedificationem Sanctissimarum Ecclesiarum, et Hospitalium (ove si raccoglievano i pellegrini, i quali anche si chiamavano Xenodochia et Gerontocomiorum, dove si nutrivano i vecchi poveri) aut Orphanotrophiorum (nei quali si alimentavano gli orfani) aut Protochophiorum (conservatori dove i poveri trovano l'abitazione ed il vitto) aut Nosocomiorum (dove si raccoglievano, e curavano gli ammalati) aut captivorum redemptionem, ant aliam quamlibet actionem piam.» Più sotto ancora si veggono nominati Brephotrophi cioè, coloro che in luoghi pii radunavano i poveri fanciulli. Gareggiavano perciò in Italia i fedeli per fondare simiglianti case di perpetua carità, non meno nelle Città, che fuori di esse. Non v'era alcun Monistero pingue, a cui non fosse unito qualche spedale, in cui si desse ricetto e vitto ai pellegrini, ed ai poveri. Anzi nei Concilii, primo e secondo di Aquisgrana, ciò fu costituito per legge. Ma principalmente in questi uffizii di carità si distinsero una volta i Monaci, a' quali l'ospitalità e la cura de' poveri era più che agli altri raccomandata da' loro Santi Istitutori.
Siccome io feci osservare nel mio trattato della Carità Cristiana (così il Muratori Diss. 37 degl'ospedali dei Pellegrini, fanciulli esposti ecc. de' tempi di mezzo), pare, che ne' secoli barbarici non fossero in uso i pubblici ospizii, oggidì chiamate osterie dove si desse cibo e letto ai viaggiatori. Ne furono anche privi gl'antichi Greci e Romani ne primi secoli dopo la fondazione di Roma. Si cercava allora albergo presso gli amici. A questo fine furono inventate Tessera hospitalitatis, imperocchè gli uomini d'allora, per servirmi delle parole dell'antico scoliaste della Tebaide, quoniam non poterunt omnes suos hospites noscere, tesseram illis dabant, quam illi ad hosjntia reversi ostendebant proposito hospitii. Di tali tessere un erudito trattato ci diede il Tommasini. Poscia a poco a poco s'andarono istituendo in Roma taverne ed osterie, più del solito, dove si dava ricetto a' viandanti, e forestieri. D'esse abbiamo menzione in Plauto ed in altri antichi libri.
La plastica è profusa in questo tempio, con non poca lode della imitata e dello imitato, della Natura dico, e dell'artista; talchè l'occhio prima di slontanarsene, torna non sazio a rimirarne i pregi. Plastiche sono le quattro statue colossali degli Evangelisti, co' loro simboli del Leone, dell'Aquila, del Toro e dell'Angelo maestosamente seduti sui capitelli rispettivi, che fiancheggiano il presbitero, il di cui pavimento intarsiato di marmi come il resto di tutta la Chiesa termina con gradini marmorei bellamente fasciato nei zoccoli. Sicchè, lo sguardo dello spettatore ne rimane a sufficienza soddisfatto. Plastiche pur sono altre tre statue erte attaccate ai muri fra i tramezzi degli altari di esse, uno rappresenta Gregorio de Verucolo, vecchione, morto nel XIII secolo in età di 118 anni. Egli genuflesso umilmente ai piedi d'un crocifisso medita sopra un libro aperto tenendo a manca un teschio di morte cui soggiacciono aspri cilizi e flagelli. Gli ornati, ed una porta, a sghembo mostrano quel venerando in barba prolissa uscire dal cupo antro dell'eremo cinto di piante silvane. L'altro è il beato Agostino Termense Novello, Penitenziere della S. Sede, per cui nella destra stringe una chiave, asceso indi al grado di Generale dell'Ordine che mancò tra i vivi pure nel suddetto secolo. L'ultimo è Tommaso Arbuatti Picentino trapassato in odore di Santità nel secolo XVII.
Egli sta in atto di sovvenire alcuni poverelli chiedenti pane. In uno di essi è bello mirare il fiaschetto di zucca che porta al cintolo, stando col cappello in mano e con la destra distesa sommesso il volto. Tutta viva, e vera natura, la quale mirabilissima è sempre o che fosse nei marmi, o nei bronzi, o nelle pietre nelle tele, nei tufi, o dove che sia. Plastici pur sono i sei altari a stucco, gli Angioli nei corni, le modenature a sghembo, i gradini di marmo, con ornati, né troppo, nè vili. Plastiche le due eroine in cima ai medii altari, Giaele e Giuditta, rilevate dentro due scudi; quella chiodante l'empie tempia di Tisana e questa con la fida ancella tornar vittoriosa dal campo nemico coll'orrido teschio di Oloferne. Nulla parola di lode spendiamo circa le due magnanime, trepidi nell'aguzzare troppo gli occhi e l'ingegno a vedere troppo fino e sottile. Altronde che varrebbe una semplice descrizione di oggetti, senza farne rilevare la storia e l'estetica, che formano lo spirito di letteratura, e di tutte le arti belle? Chi é nato per apprendere e sapere, chi è persuaso che senza le lettere ogni dottrina è inutile, legga, e rifletta. Io considero la letteratura come la espressione della civiltà d'una Nazione, e come la espressione del bello. Quindi credo che entrino in essa due elementi, lo storico e l'estetico. Sviluppare l'elemento storico per me suona mostrar le vicende delle lettere, e additar la influenza che i tempi nelle lettere esercitarono. Così come credo, che a sviluppare l'elemento estetico si debba ricercare la varia forma del bello in generale e del bello dei classici; additar la via per essi calcata, ed i fondi cui attinsero. Applicando questi principii si avrà la storia della letteratura. Senza accoppiare ad essa lo esame degli scrittori, sarebbe un menar troppo per le lunghe lo studioso, sarebbe un separare, ciocchè naturalmente va unito. Veggasi il resto del capitolo del Poliorama pittoresco di Malpica propriamente quello intitolato (Corso di letteratura Italiana anno 7. parte prima).
A gloria della nostra letteratura, trasandando gli altri scrittori di grido, è ben ricordare il nome di Giovanni Grossi che nato in Arce, città del Napoletano nel 1766, vide il tramonto dei suoi giorni nel 1823. Ei fu grande antiquario, e scrisse varie opere tra le quali sulla patria di Cicerone, sugli antichi Volsci, ricavando le sue notizie da quanti monumenti potè disporre, ed osservare. Sicchè andò avanti a quegli autori d'oltremonte, i quali facendo tesoro dei nostri, si fanno, non senza vituperio, belli di quanti scritti acquistar possono, copiando le scoperte scientifiche ed erudite dei nostri Padri, che tanto sudarono in ogni genere di sapere. Oltre a ciò compose un volumetto intitolato Carmina el Inscriptiones, opera nella quale tu trovi, grande proprietà, e maniera dignitosa, sicchè ben si scorge la molta, pratica e dimestichezza, che egli aveva con le antiche scritture. Scrisse inoltre una storia delle belle arti presso gli Antichi, la quale divise in due parti. Nella I.° è narrata la storia della Musica cominciando dai primi antichi tempi fino agli ultimi maestri della scuola napoletana; preziosissimo lavoro. Nella seconda è narrata la storia delle arti plastiche appreso gli antichi cominciando dalla fondazione delle colonie Greche in Italia, e poi venendo ai Romani fino ai tempi di mezzo. Da ultimo si parla anche della Scuola Napoletana dopo il risorgimento delle arti. Quest'altro egregio lavoro del Grossi sarà appena noto a pochissimi per la rarità degli esemplari, e pure dovrebbero i cultori delle arti belle averlo fra le mani e perchè è vituperosa cosa ignorare i fatti, che illustrano la propria arte, e perchè i giovani riguardando l'altezza e la nobiltà degli Antichi, imparerebbero ad essere piú modesti, e meno loquaci, e riserbati nei loro avventati giudizii. Scrisse altre opere degne della immortalità del suo nome. Su di che puossi consultare lo stesso Malpica Anno 9 parte 2, ove a diffuso se ne discorre. Il Grossi fu uno dei benemeriti socii dell'accademia Pontaniana ed Ercolanese.
Tornando al proposito, per essersi interrotto il filo del nostro discorso, merita pur un luogo distinto in questa Chiesa il grand'organo riccamente inaurato a smalto verde ed insieme la spaziosa orchestra, con traforati e rabescati lavori. È situato sul coro dietro il maggiore altare. I fregi che gli fan corona in cima, e lateralmente sono tali, che attirano l'attenzione, e l'altrui compiacenza, per quell'ornato sì luccicante, avendo in testa una gran valva di conca che tramanda splendido risalto. Il coro di buona noce è pregevole tanto per gli stalli superiori, che inferiori, a forma di parallelogramma con cornicione, e cresta ben lavorata, che per la mano d'opera, che costruillo; il di cui nome sarà sempremai ricordato con lode dai posteri di tutte le manifatture lasciateci da quel valente nostro ebanista Giuseppe Gigli, il quale per dargli un risalto, non lasciò di ornare i sedili superiori, per ambo i lati con freggi d'oro pendenti a modo di grappoli.
Il pergamo parimenti non è men pregevole, sebbene di plastica, per li tanti ornati di fiori, di foglie, di fimbrie, di fiocchetti di cornici di teste d'Angioletti, e della leggiadra colomba, che diresti quasi essere viva in mezzo ad un fascio di raggi che la circondano.
Non essendovi altri rimarchevoli plastici travagli, volgiamoci agli affreschi, che molto più splendida rendono questa Casa del Signore. Il primo di essi mostra Agostino in abito del secolo, seduto sotto ad una ficaia, levato il viso mirabondo ad un Angelo porgendogli la sacra Bibbia col motto Tolle lege. In seguito Agostino che riceve il lavacro di salute da Ambrogio con la maggior pompa liturgica. Di poi l'Ipponese in abito claustrale promulgante la sua regola, che ha in mano, agli alunni, che il cerchiano con grande attenzione.
Finalmente Agostino in abito dottorale, fulminante anatemi con la brandita di Padre Eccelso della Chiesa, contro quella sacrilega setta, di cui già fu egli acerrimo difensore. La innocente rozzezza della scena campestre, la magnificenza delle vesti, la grandiosa vasca dell'acqua, la solennità del battezzante, e la umiltà del battezzato, i veraci effetti sculti, nel volto dei Monaci udenti la santa regola del Magistero, l'ansia del regolatore, la severa maestà del Padre della Chiesa ed una misteriosa paura affaticante, un gruppo di demoni, così orridi, folgorati nelle avvampate mentre avviticchiati da serpi, ed aspre ceraste, vomitanti fiamme dalle spalancate bocche con gli occhi così torvi in quei volti, tanto spaventevoli, e truci rendono non poco pregevoli i suddetti affreschi. Le cornici che li ricingono di uno stile capriccioso, servono al maggior merito alla mano maestra, che le congegnò.
Dopo dei quali verremo a parlare dei quadri in tela più spettabili. Eccone due, splendido ornamento del presbitero ove sono affissi a rincontro. Sottoposti ai medesimi sono due abbachi di marmo, per poggiarvi i candelabri e le suppellettili sacre. Nel primo di detti quadri è meraviglioso vedere le forme veramente celesti del Bambino, la umiltà dei Porporati, genuflessi innanzi al re dei re, la modestia della Vergine, e la santa compiacenza del Patriarca Giuseppe, trapassando l'armonia degli atteggi, la benintesa proprietà dei colori, e la proporzione delle ombre, e della luce nel seguito di quei monarchi, e dei loro cammelli; e quella pompa di vestire sulla foggia orientale, e trapassando il fulgore della stella, guidatrice, che veramente, Par nel cielo matutina stella [6].
Dal detto fin qui si scovre apertamente questo dipinto, essere l'adorazione dei Magi, mentre l'altro contiene l'ascenzione del Signore. Vedere l'aspetto del quale risplendere, come sole in piena nube, vedere i discepoli, altri travagliati dall'immensa luce, altri santamente dolorosi, altri mirabondi, altri coi lumi intenti seguir l'assenzo del Divin Maestro, vedere tanto e commosso non gridare, gloria, gloria al mirabile pennello, che pinse, manifesta cosa ella é, che l'anima del Veggente non sentasi dall'armonia del bello, e dalla possanza del bello attirata. Se detti quadri son copie, sono di quei sommi maestri le cui opere decorano le gallerie dei Grandi. In contemplarli ti sentirai l'anima presa da tanti lacci di meraviglia, e di affetto, che ben ripeter potrebbe quei versi che cantava il Petrarca in lode di Laura, nel sonetto 166 parte I.
Lacci Amor mille, e nessun tende invano
Fra quelle vaghe nuove forme oneste,
Che adornasi l'alto abito celeste
Che aggiunger nol può stil, né ingegno umano.
Passiamo quindi a ravvisare le tele dei sei minori altari. Il primo appalesa la Madonna della Consolazione, avente il Bambino sulla destra cinta di Angioletti, ai di cui santi piedi stanno orando S. Monaca e S. Agostino, già vescovo. In cima dell'altare un ovato che figura la disputa di cui ragioneremo tra poco, che si ammira in sulla porta della Chiesa, quadro del tempo dei Templari Teutonici. Nel secondo altare si adora S. Nicola Tolentino dell'Ordine Eremitico, con tunica stellata, emblema di quelle sante virtù che fregiavano la sua bell'anima; nel cui seno splende acceso il sole della carità, che infiammavalo. È risaputo che i genitori l'imposero tal nome per effetto del voto a S. Nicola di Bari, ove si condussero colla promessa, che dato avrebbero il Santo suo nome alla prole nascitura. Nell'ovato vi è S. Gregorio Magno, ispirato dal Paracleto nell'udito, mentre francamente affermava che le sue opere venivangli infuse dallo Spirito settiforme. Su questo altare è esposto un quadro della Vergine del buon Consiglio. Succede il dipinto della Madonna degl'Angioli, che le fan corona, in atto che ella vezzeggia la prediletta prole. A ccanto le stanno S. Anna e S. Rita, sostenuta nei suoi deliquii da due Serafini. Nell'ovato sono effigiati S. Lionardo in abito claustrale, ed il nostro protettore S. Riccardo. E sull'altare è allogato una tela di S. Camillo de Lellis, il quale spiega una singolare tutela a chiunque ricorre a lui negli estremi aneliti di vita.
Vien appresso l'altare dell'Incoronata, cui sostanno le martiri S. Lucia e S. Caterina, avendo ciascuna la palma del martirio. Nell'ovato S. Sebastiano. Conseguita l'Annunziata; e nell'ovato S. Giovanni Sahaum della Spagna dell’ordine Eremitico, con calice nella destra, donde sorge una vipera, santo rinomato per li sorprendenti miracoli da lui operati. Nell'ultimo altare si venera Gesù sulla Croce, con la Vergine, S. Giovanni, e la penitente di Maddalo. Nell'ovato S. Teresa assistita da serafini dedita a meditare il mistero della croce, con un teschio di morte avanti. Tutti i suddescritti quadri di una plausibile bontà sono opere dei ripetuti Calò, che non avendo nulla di pellegrino e di nuovo non entriamo a farle elogio con mentite lodi. Nella Sacrestia vedesi S. Tommaso da Villanova, Agostiniano, Vescovo di Velanza, ardentissima charitade in pauperis conspicuus. Onde dipingesi con un angelo a fianco che ha in mano una borsa, da cui sboccano monete.
E siccome, secondo il metodo adottato, nulla deve sfuggire alla nostra attenzione, per darne contezza e giudizio schietto e imparziale, non omettiamo di fare cenno delle due fonti dell'acqua benedetta, collocate a destra e sinistra della porta, lavorate a chiocciola di marmo piombino, ornate di spalliere a marmi di varii colori con lo stemma in mezzo di S. Agostino, che offre un cuore fiammante penetrato da acuto strale.
Ma volgiamoci allo più subblime ornamento, che illustra questa Chiesa. Come altissimamente sentivi nella tua grand'alma, glorioso Zingaro, a cui l'amore come a mille altri Italiani, non fole, o vilezze, ma celesti ispirazioni e miracoli dettando, te addestrava sulle tele eternatrici del tuo nome che più dolce e più sacro vive nella mia Andria, se ti piacesti arricchirla della tua portentosa Disputa. Cose divine sono in questo dipinto che è sulla porta del Tempio. Le mosse dei dottori cosi confusi e stupidi udire con ardore e raccoglimento il Verbo di Dio da cui con gioviale aspetto, e con pronte labbra arringando, tu aspetti la parola ma neppur questa manca.
Manca il parlar di Dio; altro non chiedi?
Né manca questo ancor se agli occhi credi.
Chi poi enunciar saprebbe quel beato suo volto? Vola col suo spirito sino alle regioni delle Bellezze eteree, e diventa un Genio e prende una natura celeste per riempire l'anima tua con l'idea d'un bello soprumano, potrai fartene allora una giusta immagine..... Ma come potrò io ben disimpegnarla, e descriverla? Io avrei bisogno dell'arte medesima, che guidasse la mia mano anche ne' primi e più sensibili tratti, che ne ho abbozzati. Depongo intanto a piè questa tela maravigliosa l'idea che ne ho dato, imitando così coloro, che posavano a piedi dei simulacri degli Dei, che non giungeano a metter loro sul capo. Così il Winchelmann per un famoso cammeo esprimente la testa di Apollo [7].
E ritornando ai pregi del quadro, ti goderà l'animo ravvisare venerando vecchione con lunga barba, ben alto della persona in piedi, in zamberlucco, svolgere intentamente un volume socchiuso e poi
L'altro vedere che ha fatto alla guancia
Della sua palma sospirando letto;
non saprei se stancato più dalla meraviglia che dalla sapienza del Divin Giovinetto. E l'altro ancora v'è che seggendo, consulta un libro aperto sulle ginocchia ripiegato di pagine ne' bassi e destri vivagni. E l'altro, come dalla mossa fassi intravedere, che intricato dalla larga manica nel leggere, se l'era tolta. Bello e savio è veramente quanto un tocco di pennello, o di scalpello, od una parola, o un verso, oltre a quello, che esprimono, allargano tacitamente l'intelletto a cento altri pensieri. La calca poi, che da un lato del dipinto par sovvenire desiderosa di ascoltare, la conoscenza, e la esecuzione del vestire all'Orientale, non avran da noi lode, ove pur vuole verecondia, che non s'inoltri la penna, avvegnachè ella fosse verissima, altissima.
Né passeremo sotto silenzio tutti gli ornati di stucco, che aggiungono pregio a questa Chiesa, contenti solo di accennare, che vennero eseguiti per mano di abili milanesi che spiccan tant'oltre in quest'arte.

Per lo splendor della medesima Chiesa facciamo rilevare, che in essa esisteva il sepolcro di F. Giovanni Leopardi con questa iscrizione:

Hic iacet F. Johannes de Leopardis
Eques Ierosoljmitanus
Qui comitatus cum Alphonso I. de Aragona
Neapolin venit.
L'ultimo rampollo di questa nobilissima famiglia, che domiciliò in Bisceglie, fu una femina sepolta nella Chiesa dei Domenicani.

A proposito di questo quadro della Disputa, terrem discorso della cosidetta scuola di Atene, perché ben calza al soggetto del divino Raffaello ove si vedono li più grandi uomini in atto di disputare sopra tutte le umane scienze, opera la di cui ricca composizione sorprende ed incanta. Raffaello Sannio, l'Urbinate nato nel 1483 fu tra tutti i pittori quello che ha occupato in sè maggior numero di prerogative eccellenti, talmente che a tutta ragione può considerarsi tra quelli della sua arte, quale Omero tra' poeti. Fu discepolo del Perugino; studiò i cartoni di Lionardo da Vinci, e le opere di Michelangelo. Ad Urbino dipinse vari quadri di Chiesa. Giulio II lo ammise alla sua amicizia e a lui dipinse la suddetta scuola di Atene. A richiesta del re di Francia dipinse S. Michele, che il ricompenso oltre il merito, ed una sacra famiglia, che regalò allo stesso Sovrano. Nel dimandargli Raffaello di compiacersi ad accettarla, questo Principe generoso rispose, che gli uomini celebri nelle arti entrando a parte della immortalità dei grandi, poteano trattar con essi, e raddoppiò la somma che aveagli mandato pel precedente quadro. Fu anche destro nella scultura ed architettura, imitando Michelangelo. Leone X lo ammise tra i suoi camerieri d'onore. La trasfigurazione di nostro Signore nel Taborre, opera premurosamente ricercata da molti, e che meritamente riguardasi come il capo d'opera di tale artefice, supera ogni encomio. Mori nel Venerdì Santo del 1520 in età, di trentasette anni. Il Cardinal Bembo fecegli il seguente epitaffio:

Ille hic est Raphael timuit quo sospite vinci.
Rerum magna Parens, et moriente mori.
Narrasi che incontratolo un giorno Michelangelo in mezzo all'onorifico corteggio, gli disse in tuono alquanto caustico «Voi marciate con un servito, come un Proposto. Voi, gli rispose Raffaello, marciate affatto solo, come il carnefice». Vi fu molta gelosia tra questi due pittori, come avviene quasi sempre tra' grandi artisti, quando la loro emulazione non è regolata dalla saviezza e dalla modestia.
Uno studio impegnatissimo della notomia diede a Raffaello quella correzione, che si fa tanto ammirare. Il Zappi fecegli un sonetto, che comincia:
Questo è ìl gran Raffaello ecc.
Ci animammo a scegliere questi brani dalla di lui vita, nella fiducia che non dovean riuscire discari a chi l'ignorasse.
Notiamo infine che nella sagrestia della congrega di S. Monaca stabilita in questa Chiesa, è affisso un antico quadro appartenente un tempo ai Teutonici che rappresenta S. Gregorio Magno, a dritta nel mezzo S. Agostino, con in mano la esposizione della scrittura, quindi vi é il Cardinale S. Bonaventura, e in fine S. Ambrogio, che sono i principali dottori della Chiesa. Tutti sono vestiti pontificalmente secondo il proprio ordine.
Due campane di ottimo metallo veggonsi sospese nel frontespizio per le sacre funzioni.
Le statue che decorano la Chiesa medesima, sono S. Camillo, S. Monaca, la Madonna della Cintola e S. Nicola Tolentino, che oggi si possiede dagli Agostiniani, stabiliti nel Monistero della Madonna d'Andria, statue che non mancano del loro pregio. Nella sagrestia istessa vi é un crocifisso grandioso, che desta i più sant'effetti nell'anima, sicché t'invita a dirgli con l'Apostolo delle genti: Mihi autem absit gloriosi nisi in cruce Domini nostri. Et ad Galat: Ubi mundi philosophus erubuit, ibi Apostolus tesaurum reperit quod illi risum est stultitia, Apostolo factum est sapientia et gloria.

L'epoca in cui terminossi questa Chiesa rilevasi dalla iscrizione apposta nel primo architrave del presbitero così concepita: Fortitudo mea et laus mea Dominus. Alla parte opposta si legge, Soli Deo honor et gloria 1774. Più sopra una porta finta del coro.

Anno Incarnationis D. N. I. C.
1463 inditione XI consacrata fuit
haec Ecclesia S. Augustini de Andria et
fuit secunda Dominica m.
Octobris
dies consecrationis hujus
Ecclesiae; nec non et per octa
vam sunt mille anni indul
gentiae et totidem quadrag
.

Rimpetto quest'altra:

D. O. M. S.
Collegium S.S. Annunziatae
A vetusto post Urbem templo
Ioacchin Napoleone Rege
Paludamento et toga
Usque dignissimo
Salvatore Maria Lombardi Antistite
Optimo merito
Secundo Civium voto
Indulcentibus
In hoc S. Augustini sane speciosius deductum
Iuribus integris
Post lunas Ianuarii MDCCCXIII
Non ti spiacerà inoltre volgere uno sguardo al quadro di S. Andrea Avellino posto sopra la credenza della sagrestia. Non manca di pregio. Il santo nel celebrare la messa, assalito da santo deliquio, cade tra le braccia d'un chierico che lo assiste, e trapassa, secondo il suo ardente voto, da questa mortal vita in seno del suo creatore.

Per servire alla diligenza aggiungiamo, che in mezzo al chiostro scoverto, lastricato di ciottoli marini, a foggia di mosaico, vi è un pozzo con questa iscrizione:

Baccelliere Domenico Buonpiè Priore d'Andria 1709,
vedesi lo stemma dell'ordine, cioè un cuore trafitto da un acuto dardo.
[integralmente tratto dal libro “Andria Sacra” di Giacinto Borsella, edito a cura di Raffaele Sgarra per i tipi di Francesco Rosignoli, 1918, pagg. 141-171]

[1] Muratori nel tom. 2 delle antichità d' Italia, propriamente nella dissertazione 35, ove parla dei sigilli dei secoli barbarici, osserva quanto segue: In due privilegi di Ugo, e Lottario, Re d'Italia nell'anno 941, e 942 il sigillo di cera rappresenta i loro capi con corona gigliata e tengono ambidue in mano uno scettro con giglio in cima. Lo chè conferma quanto si è da noi notato sull’emblema suddetta, la spiega del quale ci costò non poco, non sapendo che mai denotasse a tutta prima.
[2] Acanto, o biancospina, lat. acanthus. Pianta spinosa di foglie larghe, rugose simili alla spinalba, aculeata in punta. È parola greca, che suona spina. Meliloto, Lat. ferula campana, di cui intrecciano con foglie i suoi fiori. Merula apud Varronem sic loquitur de Apiastro, specie di pianta odorifera, e gentile, ambita dalle api, di cui ornavansi le galanti donzelle, Quod alii melisso phyllon, et militon eadem fuisse herbam. Quidam alii differentiam inter has herbas fecerant. Virgilius tamen cum dicit mellisophilla, de Apiastro intelligit Egl. 4. At tibi prima puer nullo munuscula cultu, errantes hederas passim tellus, Mistaque ridenti colocasia fundet acantho. Fra le altre erbe grate alle api havvi la Corimba di cui parla lo stesso Mantovano. Ella è dell'altezza d'un cubito con foglie candide incurvate, con bozzolo concavo pieno di miele.
[3] Il feudo di Andria fu conceduto al grande Capitano Consalvo di Cordova nel 1502 da Ferdinando il Cattolico. Prima di farne la cessione ordinò alla regia Camera della Sommaria di prendere informazione su quanto rendeva il fendo. La Camera se ne occupò, e diede la sua informazione, e disse, che Andria rendeva al Barone fin dal tempo del Re Cattolico ducati duemila settantanove e grana novantuno. Cioè che l'Università n'era obbligata per istrumento, e disse nella carta tal pagamento si faceva anche a tempo di Federico Duca di Andria. Tutte le indagini mostrano, che questa partita l'Università le pagava in compenso delle basse giurisdizioni. Nella investitura, ossia regio Diploma spedito pel gran Capitano, si dice che la regia Corte gli concedeva la Bagliva, la portolonia, la zecca dei pesci e misure, la mastrodattia della Bagliva e la Mastrodattia del regio Capitano, ossia Governatore. E ciò doveva essere così, perchè le basse giurisdizioni formavano, una parte della feudalità, ed esse possedevansi dalla Università, la quale in compenso di lucri che ne ritraeva, si obbligò di corrispondere i suddetti 2079,91 fin dal tempo del Re Carlo I. Lo stesso fu fatto nella investitura al Conte di Ruvo Fabrizio Carafa. La Università dunque per continuare a godere le suddette prorogative, e dritti cedutogli, donò al Conte di Ruvo Fabrizio Carata ducati quindicimila, e ne fu impartito regio assenso. Tutto ciò rilevasi da Istrumento stipulato nel 1552 tra il sullodato Conte acquirente, e Consalvo di Cordova venditore.
[4] Giudizi o sentenze rese inter duos Leones. Per sapersi ciò, ci dice la storia che una volta specialmente in Francia, il Tribunale Ecclesiastico teneasi alle porte delle Chiese, ed ivi allora ponevasi la figura di due Leoni ad imitazione del Tribunale di Salomone, che era inter duos Leones, si trovano perciò dei giudizi dati inter duos Leones; e l'arciprete di S. Severino di Parigi, aveva una iurisditione che esercitava in questa maniera fra due leoni, i quali sonosi conservati in memoria di questo dritto. In altri luoghi per esprimere la ecclesiastica giurisdizione, si è per lungo tempo rappresentato sulle porte delle chiese Mosè legislatore degli Ebrei, Aronne, loro gran Sacerdote, Melchisedech che figurava il regno del sacerdozio, Salomone celebre per la sicurezza dei suoi giudizi, Gesù Cristo Autore della nuova legge, S. Pietro, e S. Paolo istrumenti del medesimo nel ministero divino. La regina Saba a lato di Salomone, di cui si credeva l'Evangelo avesse detto regina Austri sedet in judicio. Onde questa regina fu dagli antichi commentatori considerata per una figura della Chiesa.
[5] Secondo la mitologia greca l'aquila era l'uccello di Giove, e teneva il fulmine tra gli artigli. In appresso rappresentò le forze, ed il potere sovrano. L'Aquila figurava a' tempi di Ciro sugli stendardi di Persia, e divenne altresì sotto i Tolomei lo emblema dell'Egitto. Allorquando gli Etruschi inviarono dei presenti ai Romani, di cui loro fecero omaggio in segno di amicizia, fu osservato tra gli attributi della sovranità uno scettro coronato da un aquila di avorio. Da quel tempo in poi l'Aquila fu spesse volte impiegata come emblema della Repubblica Romana, e lo divenne sopratutto sotto gli Imperatori. L'Aquila era nella guerra la insegna, e quasi la Divinità protettrice della legione, innalzata sopra la punta d'una picca. Durante la pace le aquile dopo tenevansi nel tempio di Saturno. Il solo esempio di Aquile a due teste, nei monumenti dell'antichità trovasi nello scudo d'un soldato nella colonna Trajana. Secondo alcuni la doppia testa fu introdotta nel 325 da Costantino, che voleva in tal modo esprimere che sotto lo stesso scettro riuniva due imperi quello di Oriente e quello di Occidente.
[6] Le tenebre dice Isaia ricoprivan la terra, ed una densa caligine ottenebrava le intere regioni, ma allo sfolgorare di quella luce, che accompagna il nascimento di questo Dio fanciullo, allo spuntar di questa meravigliosa stella di Giacobbe si avviano alla sua volta i principi delle Nazioni, vengono essi da Saba per tributare a lui l'oro, e gl'incensi: gravan le schiere dei dromedarii di Efa e Madian, dei più ricchi presenti; fortunati si credevano i Re, che di meditar han la sorte; e piegando fino al suolo la fronte, come suoi schiavi lo adorano.... Il signor pose sopra di lui le nostre scelleraggini, per espiazione delle quali ei fu percosso, e per merito delle piaghe sue e della generosa sua oblazione noi siamo risanati. Egli volontario s'offrì in sacrificio; Egli non aprì mai bocca per sua difesa, e fu condannato alla morte come un agnello, che non si duole della mano, che lo percuote.
[7] Per chi non è iniziato nella storia della pittura, non sarà dispiacevole un cenno intorno a questo sommo artista, trascritto nel Giornale de' giovanetti del Malpica «Antonio Solario di Civita, nelle vicinanze di Chieti, nacque sul declinare del 1372. Fu agnominato il Zingaro per lo suo mestiere di concia - caldaie, venuto egli al mondo con felici auspicii, presentì, che il suo spirito chiamavalo a più alti destini. Quindi preso avendo commiato da' suo' poveri genitori, avviossi per la Capitale, continuando per via a darsi pane con quel mestiere. Colà giunto ebbe modo d'entrare nel Castello Capuano, ed anche nella cucina della Regina Giovanna, la quale conosciutolo si compiacque in vedere la maestria del giovine in ridurre qualunque pezzo di ferro all'uso, che si voleva. onde guadagnarsi de' buoni scudi. Quindi esercitando l'arte in Napoli entrò a caso nella Chiesa di S. Lorenzo, e rimase attonito in osservare un quadro di S. Gironimo in atto di togliere una spina, ch'erasi conficcata nel pie' d'un Leone. Informato Antonio, che quel quadro era opera di Nicolantonio del Fiore, illustre pittore, s'introdusse in di lui casa. Ivi rivolti gl'occhi alla di lui figlia, rimase come estatico alle sue bellezze. Continuando a trattare il pittore, si fece ardito a chiedergli in isposa la figliuola, giacché si vedea da quella carezzato oltremodo. Risposegli che gliel'avrebbe accordata quando fosse divenuto pittore. Il Solari fecesi sentire, che volea dieci anni di tempo, scorsi i quali quando non diverrò qual voi mi desiderate, la impalmerete ad altri. Intanto si strinsero fedeli nella parola. Allora Antonio prese la volta di Roma studiando nella scuola di Giotto, che sorpassò il vanto di Cimabue, mentre in origine non era, che un mandriano. Dipoi entrò nello studio di Lippo delle Madonne, ove rimase attonito in iscorgere una Vergine si bella, si affettuosa, in cui alla dolcezza univasi la santità, la maestà. In questa scuola fermossi lunga pezza. Quando questo Maestro rimasto sorpreso della valentia del giovine, che sorpassava la sua, candidamente gli fè sentire, che si fosse diretto sotto altro artista. Partì perciò per Firenze, e dopo per Venezia, dove trovò Gentile da Fabriano detto per antonomasia "Magister Magistrorum". Conobbe inoltre il Giordano, che onorollo della sua amicizia. Scorsi nove anni, ed alcuni mesi torno in Napoli. Presentò alla Regina una Vergine col Bambino in seno coronato dagl'Angeli, opera leggiadrissima condotta con molta diligenza, e grazia moltissima veduto questo dipinto, ritratto del maestro Fiore, né rimase più che ammirata, E da quel tempo il Solario compose varie altre famose opere per diverse chiese di Napoli. Fra 1'altre opere compose un volume sulle tragedie di Seneca, libro che vedesi nella libreria di Valletta. A vista di che fu stretto il matrimonio colla tanto ambita fidanzata. Fu egli lo Zingaro dolce nel colorire, valente in dare azione alle figure, fecondo ne' concetti, unico tra que' del suo tempo ne' paesaggi, unico nel ritrarre tutto dal vero, ma da nessun superato nella bellezza delle teste. Di talchè Marco di Siena solea dire in iscorgerle: Di vero le teste di costui mi sembran vive. La povertà gli fu sprone, e non inciampo, esempio, che dovrebbe imitarsi da' giovani, che poco felicemente s'addicono a diversi rami dell'umano sapere. Chepperò basterebbe stamparsi nel loro cuore la storia del Zingaro per vincere la fortun'avversa, che i grandi uomini non l'ebbero mai propizia».