Capitolo I

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da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi" - Vol. I

di Michele Agresti (1852-1916)

capitolo I

Sommario:
— Origine della Città di Andria
— Varie opinioni degli storici
— Se il Netium di Strabone sia Andria
— Se Andria abbia avuto origine da Diomede, secondo lo storico D’Urso ed altri autori moderni
— Se Andria fu edificata da Pietro Normanno
— I Bollandisti e la loro opinione circa l’origine di Andria
— Andria sotto il nome di Rudas
— Andria prima dell’epoca normanna
— Le Cripte di Andria attestano la sua antichità
— È ammissibile la venuta di S. Pietro in Andria?
— È vero che Andria, nel secolo X e XI, era una villa di Trani?


Nel dar mano alla Storia del Capitolo Cattedrale di Andria, riteniamo pregio dell’opera dire prima una parola sulla origine della città.
Andria [1], ridente città, in Provincia di Bari, è messa a circa otto chilometri dalle sponde dell’Adriatico, che guarda da Levante.
Essa poggia su d’una amena collinetta, che va a perdersi in una leggiera vallata, dal lato di ponente e mezzogiorno. Dal settentrione guarda il Gargano e, dalla parte opposta, le Murge ed una catena di monti e colline, che vanno a confondersi con gli Appennini.
La sua figura è di forma elittica (detta volgarmente ovale), non però perfetta, ma irregolare nelle linee della sua circonferenza.
Il Duomo, se si divide la Elissi (ossia ovato) per la sua lunghezza, rimane quasi sopra una quarta parte della linea diametrale e divisoria: se si taglia invece per la sua larghezza, sta collocato quasi sul mezzo del diametro.
Riproduciamo qui un’antica pianta della città di Andria, quando questa era tutta cinta di mura e ben fortificata di torri e bastioni, chiusa da quattro maestose porte [2].
A piè di questa pianta sono segnate tutte le misure e distanze dei luoghi principali della città, facendo capo al Duomo, che ne forma il punto di partenza.
La pianta, che qui riproduciamo (in piccolo formato) fu riprodotta nel 1762 del Vescovo del tempo Monsignor Ferrante, quando agitavasi, presso la S. Congregazione del Concilio, una lite tra il Capitolo e detto Vescovo circa i diritti parrocchiali, come, a suo tempo, narreremo.
Pianta del Murena del 1758
ANDRIA ANTICA

NB. Per ben osservare la pianta antica della città (ridotta in piccolo cliché) e leggere i minutissimi caratteri, occorre far uso di lenti d’ingrandimento [NDR].
Delle quattro porte della città, ora, non esiste che la sola Porta di S. Andrea, sulla quale leggesi scolpito il famoso distico, dettato da Federico II Barbarossa [n.d.r.: non sembra che Federico II sia stato chiamato "Barbarossa"!], nel suo ingresso trionfale in Andria:
Andria fidelis nostris affixa medullis.
Porta la data dell’anno 1230.
Porta Sant'Andrea ai primi del Novecento
PORTA S. ANDREA

Le mura ed i bastioni non più esistono, essendosi la città, da tutti i lati, di molto estesa fuori le mura, prendendo, al presente, una figura quasi quadrata.
La fotografia, che qui appresso riproduciamo in piccolo cliché, rappresenta la parte più alta della città, torreggiata dai suoi famosi campanili e dal palazzo ducale, che ricorda l’epoca feudale [3]. La parte più bassa della città non è, ora, più divisa dalle mura, come una volta, ma fa tutto un corpo con essa.
Andria ai primi del Novecento
ANDRIA ODIERNA
Andria, al presente, conta oltre a sessanta mila abitanti, come risulta dall’ultimo censimento.
Il territorio andriese, anticamente, si estendeva dalle Murge sino al mare, comprendendo molti villaggi e casali, che facevano capo ad Andria. La via Appia, che da Roma menava a Brindisi, tagliava il territorio Andriese, per quel ramo che da Benevento passava per Canusium e Rubos; ed, a poca distanza dalla nostra città, incontravasi, sulla via Appia, una taberna, detta ad quintum decimum.
Ora il territorio Andriese (distrutti i villaggi e casali, che si vennero ad unire ad Andria) è ricoperto di estesi vigneti, di mandorli e di olivi, che formano la ricchezza della città e la maggiore industria dei cittadini.

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Circa l’origine di Andria nulla si sa di preciso. Vi han degli autori paesani, i quali, presi da eccessivo amor di patria, si son fatti guidare la mano dallo spirito di parzialità, facendo sorgere Andria fin dai tempi preistorici, ricorrendo alla popolare tradizione, alle congetture, ed anche alle favole! … Vi han poi degli autori, stranieri, i quali, animati da soverchio zelo di voler tutto controllare, tutto passare al crogiuolo della critica storica, han dato il crollo a quanto finora si riteneva di vero, senza aver tenuto conto delle circostanze locali, che valgono ad attenuare la mancanza dei richiesti documenti.
Di fronte a così opposti criterii, è malagevole ed ardua impresa poter stabilire l’origine della nostra città. Però, se in tutto quell’ampio fondaco di verità e di menzogne, di congetture e di favole dei primi, la critica moderna giustamente mostrasi tanto severa ed inesorabile, da non voler nulla concedere, che non sia ben documentato, non è pure da ammettersi l’eccessivo zelo dei secondi, i quali si sono spinti al di là del giusto, con metodi speciosi, sino al feticismo, demolendo monumenti e fatti, radicati nel cuore delle generazioni; non tenendo neppure conto di prove equipollenti che, molte volte, bastano a dimostrare l’esistenza e la verità della cosa. Né è pure ammissibile, che la buona fede e l’ardente immaginazione dei primi debba dare argomento ai secondi per tutto distruggere! …
E, per quel che riguarda Andria, par che la critica storica moderna siasi spinta al di là del giusto, per quanto al di là del giusto siansi spinti gli storici paesani, che si son fatti guidare dallo spirito di parzialità e dall’eccessivo amor di patria! … E, cominciando da questi, dobbiamo pur dire francamente di non poter dividere la loro opinione, quella cioè di attribuire ad Andria una origine troppo remota, facendola, nientedimeno, nascere dopo il diluvio universale, da Noé, o dai suoi prossimi discendenti! … sol perchè, da taluni lessici, la parola Andria vieti tradotta dal latino Nœtium [4], la di cui etimologia fanno derivare da Noè! … Di tale opinione, scrive lo storico D’Urso, fra i tanti, il chiaro Alessandro Tassoni, il quale, parlando delle Olimpiadi, che cominciavano dal mese di Settembre, asserisce che in Italia, nella provincia della Puglia, la città di Andria, che si tiene fondata da un figlio di Noè(!?), comincia l’anno da questo mese, quasi in memoria dell’antico suo fondatore! [5] Il D’Urso, però, nella sua storia d’Andria, benché dice di non sostenere tale opinione, (ad evitare qualche sogghigno o Motto pungente) pure scrive, che all’assertiva di questo scrittore [il Tassoni] io aggiungo solo, che il costume d’incominciarsi il nuovo anno dal mese di. Settembre si è mantenuto sino a questi ultimi tempi; e ne fanno fede molli vecchi memoriali, oltre dei monumenti patrii in pergamena [6]. Anzi il D’Urso, benché chiama temeraria tale opinione, ed asserisce di dover far ricorso ad un’epoca molto posteriore al diluvio universale, pure ammette che Andria (se non fu costrutta da un figlio di Noè) certamente, egli dice, fu originata dalla discendenza noetica! … [7]. E così il D’Urso spiega il nome di noetium, dato dai lessici latini alla nostra città! …
Come poi il nome di Andria abbia sostituito il Noetium, il medesimo D’Urso, sull’autorità del Crocifero e del Franco, narra che Diomede, figlio di Tideo, Re d’Etolia e di Deifile, dopo la famosa guerra di Troia, sceso dalla Grecia con ben agguerrite falanci di militi, per vendicare il torto subito dal suo oltraggiato amico Menelao, Re di Sparta, (pel ratto della sua Elena) siasi fermato in Italia, sposando una figlia del Re Dauno II, e che, incantato dall’amenità del sito della nostra Nezio, abbia dato a questa città il nome greco Andros, togliendolo da una isola dell’Ellesponto sul mtare Egeo … E, siccome questa città, allora, era formata da rozze capanne, Diomede (al dir sempre del D’Urso) ne rinnovò i principii, ne fortificò il recinto, dandole insomma una qualche forma d’incivilimento. Ora, (secondo il medesimo D’Urso) dacchè questo rozzo abitato quasi rinacque ad un certo lustro sotto i suoi potenti auspicii, volle egli (Diomede) assumerne il titolo di fondatore, scambiando il nome vago di Nezio in quello di Andria [8]! …
Senza venir meno alla stima, dovuta all’illustre storico D’Urso, uomo di mente elevata e di non comune cultura, nella di cui famiglia è tradizionale anche il culto alle muse, a noi sembra che la sua opinione, sull’origine di Andria, abbia del favoloso e del fantastico, sia per rapporto al Noetium dei discendenti di Noè, sia per rapporto all’Andros di Diomede.
Per rapporto al: Noetium, basterebbe leggere lo stesso storico D’Urso, per convincersi che la sua opinione, sulla origine di Andria, abbia del favoloso e del fantastico. Difatti, prendendo le mosse dallo storico Gioseffe Ebreo, e dal Calmet (i quali asseriscono che l’Europa sia stata rioriginata da Jafet, terzo genito di Noè), il D’Urso scrive: In rapporto al nostro Nezio vi ha di verosimile (!?), che siccome da tempo in tempo e da luogo in luogo incominciavano le terre denudate dalla generale devastazione del diluvio a riabbellirsi di fabbricati, questi certamente (?) non da altri ripetevano la origine ed il nome se non dai discendenti di Noè: e non avendo sortito questa città (Andria ! …) un nome individuale nel suo nascimento (sic), così, come originata dalla discendenza Noetica, chiamossi Noetium, vel Netium (!!!) [9].
Lasciamo al lettore il commento di quanto, sul proposito, scrisse il D’Urso, il quale, in sostanza, dal nome noetium, sostiene che Andria fu originata dai discendenti di Noè! …
Che, se fantastica è l’asserzione circa il nome Netium, dato ad Andria, non meno fantastica ed erronea è l’opinione del D’Urso, il quale sull’autorità del Facciolati, del Hofmanni, del Nigro, e di altri, sostiene, che il Noetium, di cui parla lo Strabone [10], sia veramente la nostra Andria. Difatti il Pratilli [11], uomo versatissimo nella geografia storica (da tutti ritenuto il più genuino e verace interprete e commentatore dello Strabone), parlando di quei tratto che si riferisce alla via Appia, che da Brindisi menava a Roma (sunt autem a Brundisio duæ viæ: una qua muli ire possunt per Peucetias, qui pediculi dicuntur [12] et Daunios ac Samnites [13], Beneventum usque; qua in via urbes sunt Egnatia [14] Coelia, Netium, Canusium, Hordiana [15] etc.), per riguardo al Netium, scrive: era città mediterranea tra Bitonto e Bari, dalle cui rovine surse, come dicono, Giovinazzo, città marina. Parlando poi di Giovinazzo, il medesimo Pratilli dice: Giovinazzo fu dal Pontano creduto edificalo dalle rovine di Egnazia, errore poscia da altri seguito. Doveano piuttosto dire essere surta dalle rovine di Netio o Natiolo, di cui fece memoria Strabone, descrivendo la via Egnazia, la quale città era forte fra Bari e Bitonto, a sinistra della via Trojana, ne troppo lontana da Giovinazzo. [16] — Il D’Urso, però, a sostenere la sua asserzione, attribuisce ad un certo Paglia, (nativo di Giovinazzo) l’opinione del Pratilli, e la chiama congettura o capricciosa interpretazione della quale, dice, dovè servirsi il Pratilli per dimostrare ehe Giovinazzo fosse surta sulle rovine dell’antica Noetium, da cui venne il nome di Iuvenetium o Iuvenatium, ossia giovine Nezio.
A noi sembra invece che, da tale equivoco, sia venuto fuori il nome di Nezio, dato ad Andria.
Che, se non regge alla critica storica l’ipotesi, che Andria avesse avuto sua origine dai discendenti di Noè, e che il Netium di Strabone non si riferisce alla medesima, neppur regge l’altra ipotesi, che Diomede ne avesse voluto assumere il titolo di fondatore, e che avesse sostituito, alla vecchia Nezio, il nome greco di Andros.
Ed in vero, senza tener conto dei due scrittori, citati dal D’Urso (il Crocifero ed il Di Franco), i quali, senza alcun documento, fondano la loro asserzione sulla etimologia della parola Andros, facciamo osservare, che gli argomenti, addotti dal D’Urso, a sostenere tale ipotesi, punto non reggono alla critica storica. Difatti il D’Urso fonda la sua opinione sulla tradizione e sull’esempio delle altre città circonvicine (quali Canosa, Arpi, Siponto, Nasso, Ginosa, Prazzo, ecc.) che, dal medesimo Diomede, (al dire del D’Urso) ebbero il nome, tolto da città greche [17]. Quanto alla tradizione, non vale la pena di occuparcene, quando si consideri l’ignoranza, in cui vivevano i primitivi popoli, e lo stato deplorevole, in cui versò l’Italia, in tutto l’evo antico, per le continue invasioni di barbari nazioni! … L’esempio, poi, delle altre città circonvicine neppur regge a dimostrare, che Andria, sull’esempio di quelle, avesse assunto il nome di una città greca, giacchè, Canosa, Arpi, Siponto, Nasso, Prazzo, ed altre città circonvicine hanno veramente una origine storica ben definita e documentata. Difatti, di Canosa, scrive l’Ortelio: Strabone avvisa che fosse stata fondata da Diomede. [18] Il dotto Giac. M. Pagi, parlando di Canosa, scrive: la si vuole ancora colonia dei Greci, poichè Orazio scrive (lib. I. Satira 10) - verba fons malis Canusini more bilinguisnel qual tempo dovevasi parlare greco e latino. [19] Perciò Canosa fu detta bilingue. Il Pratilli (La via Appia) conferma quanto asserisce il Pagi, dicendo che: a ciò volle alludere Orazio chiamando i Canosini di doppia lingua (Canusini more bilingui), che dall’antico Scoliaste venne spiegato: eo quia utebantur graeco (da cui ebbero l’origine) et latino sermone. E ciò attesta apertamente lo stesso Orario nel libro primo, satira quinta - Nam Canusi lapidosus: aquae non ditior urnaa, qui locus a forti Diomede est conditus olim.
Come di Canosa, così di Arpi, scrive Plinio, che fosse stata costrutta da Diomede - Oppida Canusium, … Arpi aliquando Argos Hippium (dall’Argos-Hippium nell’Etolia) Diomede condente mox Argirippa dictum [20]. Ciò vien confermato dallo Strabone (della Geografia: Tom. I, Lib, VI), tradotto in italiano dal P. Desiderii. di S. Antonio dei Portoghesi in Roma - Argirippa ora è chiamata Arpi. Canusio ed Arpi si dice, essere state edificate da Diomede - Anche Siponto (oggi Manfredonia) secondo lo Strabone, fu edificata da Diomede [21]. Il Prazzo, ora distrutto, (territorio sito al di qua dell’Ofanto), ebbe pure sua origine da Diomede, dandogli il nome di Pactium, città dell’Ellesponto, come ne attesta Plinio [22]. Di Andria nulla si riscontra in questi antichi autori, che hanno scritto delle città costruite da Diomede.
Non si comprende; quindi, come il D’Urso, ed altri autori prima di lui, abbiano poi potuto asserire, con tanta disinvoltura, che la nostra città fosse stata costruita da Diomede! …
Potrebbe pure darsi che il nome Andros sia stato dato alla nostra da qualche colonia greca, venuta a stabilirsi, in questa regione, nel progresso di tempo, giacchè è indubitato che i primi abitatori d’Italia furono orientali; e che, secondo la comune opinione, questi solevano dare i loro nomi ai paesi che fondavano, o venivano ad abitare. Ma non è provato che Andria esistesse all’epoca di Diomede, e, che questi le avesse dato tal nome, cancellando quello primitivo di Nezio. Onde ben a ragione il Pacichelli, riferendo l’opinione di quelli, che attribuiscono a Diomede la fondazione di Andria, scrive: esser questo un racconto sprovvisto di fermezza e di valido appoggio [23]. E l’Ughelli, la di cui autorità è indiscutibile, dice che, l’attribuire a Diomede l’origine di Andria è un voler indovinare le favole. Ecco le sue parole: Compulit tamen quendam modernum auctorem, ut forte fabulas divinaret, cum scribat, Diomedis temporihus in Apulia regnantis a Graecis ab insula Aegei maris Andriam progressis illam conditam fuisse, cum in memoriam relictae patriae Andria nomen inditum [24].
Questa favola della fondazione di Diomede dette poi l’occasione ai Bollandisti di mettere il dubbio, e distruggere quanto altro fu asserito circa l’antichità di Andria e circa l’istituzione della sua sede episcopale. Difatti ecco ciò che scrivono i Bollandisti: sicut recentiori cuidam visum est exordium profanae rei a Diomede adductisque ab Andro insula colonis petere; sic impune licuit sacra initia ad quamcumque attollere vetustatem invitante praesertim Gelasii Papae ambiguo nomine. [25] Circa l’ambiguità del nome Gelasio, cui alludono i Bollandisti, ne parleremo in seguito. Le prove di fatto poi, che ci presenta il D’Urso, nella sua storia di Andria. [26] (cioè i siti prescelti dagli antichi per le fabbriche, … le reliquie e rottami antichi … i vasi, … gl’idoletti metallici ed argillosi … le antiche corniole, … le monete di antichissimo marchio d’ogni sorta di metallo … i suoi infiniti sepolcreti) non varranno mai a far credere che Andria rimonti all’epoca di Diomede. Difatti quei vestiggi di antichità, citati dal D’Urso, si riferiscono ad un’epoca assai posteriore, quando cioè i Greci bizantini, guidati dal famoso Belisario (a tempo di Giustiniano Imperatore), al principiar del sesto secolo, vennero ad invadere la Puglia. Non devesi, dunque, confondere la venuta di questi greci bizantini del sesto secolo con la invasione dei Greci antichi, avvenuta 433 anni avanti Cristo!, quando tutta la nostra regione, che si disse Magna Grecia, fu popolata da colonie greche. E questi sepolcreti, questi vasi, queste monete antiche, di cui parla il D’Urso, si riferiscono ai greci del sesto secolo; ed, anzichè nel recinto della città, si riscontrano nelle sue adiacenze, e nelle contrade vicine.
Dal che concludiamo, essere un vero parto di fantasia il voler, dalle parole Noetium ed Andros, attribuire l’origine della nostra città ai discendenti di Noè, od a Diomede.
A noi sembra poi, che le origini della città sono arcane; e non è raro il valersi di una incognita per spiegare un’incognita! … Onde essendo arcana l’origine dei nostri popoli, si ricorse ai Galli ed ai Celti, volendo dedurre da radici celtiche i nomi dei nostri paesi, che, secondo vari autori, si asserisce che parlassero il greco. Però, studiatasi, ai tempi più vicini a noi, la lingua sanscrita, si conchiuse, che la lingua celtica ha molta affinità colla sanscrita, alla quale s’appigliano tutte le lingue europee.

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Ma, se temeraria è l’opinione di coloro, che vogliono far rimontare Andria ai tempi noetici od ai tempi di Diomede, non meno temeraria, ed erronea, a noi sembra, l’opinione di coloro, i quali vogliono far nascere Andria dopo il mille dell’era volgare.

I Bollandisti, avendo messo il dubbio sull’epoca, in cui fu istituita la sede vescovile di Andria, se cioè nel decimo secondo secolo, sotto Gelasio II Papa, o nel secolo quinto sotto Gelasio I, (come già da tutti si riteneva), una pleiade di moderni scrittori ha gridato a coro, che Andria non esisteva nel quinto secolo, e che la sua apparizione si deve a Pietro Normanno, Conte di Trani nel 1042. Tale opinione trovò il suo sostegno nel poeta Guglielmo il Pugliese, il quale, parlando del Conte Pietro Normanno, aveva scritto:

«Edidit hic Andrum, fabbricavit et inde Coretum»
« Busilias, Barolum maris aedificavit in oris
» [27]

Al Pugliese si aggiunse Goffredo Malatesta, riportato dall’Ughelli, il quale così scrive — Goufridus Malatesta, in_Normannorum chranica, a Petro Normanno, Tranensi Comite, posterioribus saeculis vult aedificatam (Andriam). — Ma lasciando, per ora, da parte i Bollandisti, fermiamoci al poeta Pugliese ed al cronista Malatesta, i quali, per i primi, attribuiscono a Pietro Normanno la costruzione di Andria.

Ed, innanzi tutto, domandiamo ai moderni scrittori, è poi vero che la parola edidit, usata dal Pugliese, significa costruire, edificare, fabbricare una città? Che, se cosi fosse, perchè allora la medesima parola edidit non usò il Pugliese per Coretum (Corato) per Busilias (Bisceglie), per Barolum (Barletta), mentre, invece, per queste città, usò il verbo fabbricavit ed aedificavit? Il fabbricare, l’edificare una città vuol dire darle la sua prima origine ; ma l’edicere vuol dire svelare, ordinare, dare alla luce; ed, in senso poetico, l'edicere, a parer nostro, suona, illustrare, adornare, fortificare una città.

E che, in tal senso, l’abbia adoperato il poeta Pugliese, appare evidentemente dai seguenti versi:

« Ac veniens Andrum, varios ad bella paratus »
« coepit inire Petrus: nova praecipit arma parari »
« Auget militiam, suffragia poscit ibique »
« Queque sui juris servari tuta laborat »
[28]

Ora, se si vuol essere logici, come poteva Pietro Normanno, giunto in Andria [29] menar leva di militi, fornirli di armi, chieder ausilio e voti ai cittadini andriesi, per esser difeso nei suoi diritti contro i rivali, se Andria allora appena veniva da lui fondata? … Ma torniamo ai Bollandisti.

I Bollandisti, società di dotti scrittori della Compagnia di Gesù, istituita a Bruxelles, presero il loro nome dal fondatore, il Padre Bollando, uomo di alta mente e cultura. La loro opera, veramente colossale, intitolata Acta sanctorum, raccoglie le principali notizie intorno a tutti i Santi della Chiesa Cattolica. Con uno studio profondo di documenti, di archeologia, di numismatica e delle scienze affini, son riusciti, quei sommi, tra tanti anacronismi storici, fra tante congetture, fra tanti equivoci a rintracciare la verità, offuscata dalla fantasia dei popoli, dalle passioni partigiane, intorno alla vita dei Santi, che la Chiesa onora. La loro opera, avanzandosi, quale gigante, a traverso i secoli, ha steso al suolo quanti monumenti non avevano la forza di resistere al suo passaggio, per deficienza di documenti irrefragabili.
In questa ecatombe di cose storiche, non v’ha dubbio, molti monumenti sono stati rimessi al loro vero posto, ed altri, giustamente, ridotti in frantumi.
Ma è pur vero, che, non pochi, al passaggio di questi giganti della storia, hanno ricevuta una fatale scossa, della quale, approfittando i meno esperti, han dato di piglio al piccone, per completarne la demolizione, senza distinguere cose da cose senza considerare quello che i Bollandisti hanno affermato dommaticamente, con pruove incontrastabili, da quello che hanno asserito con riserva di maggiori pruove … E questi inesperti scrittori moderni, nella foga di apparir dotti, han messo lo scredito su tutto, demolendo, senza pietà, quanto da valorosi istoriografi antichi era stato edificato! … ed a base di documenti! …
E ciò par che sia accaduto per Andria! Difatti i Bollandisti, parlando del nostro Protettore, S. Riccardo, asseriscono, che fosse stato preconizzato vescovo, forse, da Papa Gelasio II, nel 1118, nella città di Terracina, dove erasi rifugiato, per isfuggire all’insidie dell’antipapa Gregorio ed alla tirannide dell’Imperatore Enrico. Però, non avendo pruove alla mano, per sostenere tale asserzione, essi aggiungono:
Sappiamo che gli andriesi ascrivono l’istituzione della sede vescovile a Papa Gelasio I (492-496); ma poiché l’origine della loro città è ignota, o per l’antichità, o per il silenzio degli scrittori, secondo attesta l’Ughelli, e come ad un moderno scrittore saltò in capo di attribuire la fondazione di Andria a Diomede, così impunemente gli fu lecito far risalire ad un’epoca tanto rimota l’istituzione della sede vescovile, profittando (come è facile congetturare) dell’ambiguità del nome di Papa Gelasio. [30]
Ecco la opinione dei Bollandisti, (poggiata, come si vede, sul dubbio e sulle congetture), per ciò che riguarda la istituzione della sede vescovile, e la origine della città!
Ma, mettendo da parte la quistione della istituzione della sede vescovile (se fu cioè sotto Papa Gelasio I (492-496), o sotto Gelasio II (1118-1119), della quale avremo da trattare lungamente in seguito), per ora fermiamoci a quel che riguarda l’origine della città.
I Bollandisti, adunque, dicono che la sede vescovile di Andria non potè essere istituita ai tempi di Papa Gelasio I, il quale governò la Chiesa dal 492 sino al 496, e ciò perchè l’origine di Andria è ignota, o per la sua antichità (vel ex antiquitate) o per il silenzio degli scrittori (rei ex scriptorum silentio). [31] E confermano la loro asserzione con una congettura, prendendo argomento dalla leggerezza di un moderno autore, il quale affermò che Andria fosse stata, fondata da Diomede per dedurre poi la conseguenza, che, come fu lecito a quello scrittore, per riguardo alla cosa profana, asserire cosa inesatta, così impunemente fu lecito asserire ancora inesattezze, per riguardo alla cosa sacra, cioè alla istituzione della sede vescovile. Da ciò i Bollandisti deducono esser lecito, quindi congetturare, che la sede vescovile fu piuttosto istituita da Papa Gelasio II nel 1118, anzicchè da Papa Gelasio I fra il 492-496, attribuendo al moderno Scrittore il trucco dall’ambiguità del nome! …
Senza venir meno alla stima verso questi giganti della critica, noi, tanto piccini di fronte ad essi, pur tuttavia dobbiamo dichiarare, che questo modo di argomentare ci sorprende non poco; e dobbiamo pur dire che, le ragioni, dai medesimi addotte, sono tutte negative, e non positive; e che dimostrano e confermano piuttosto la nostra tesi, anzicchè la loro.
Difatti, se l’origine di Andria, come dicono i Bollandisti, è ignota, o per l’antichità o pel silenzio degli scrittori, perchè poi la istituzione della sede vescovile la si vuol attribuire al decimo secondo secolo, anzicchè al secolo quinto, sol perchè non si conosce l’origine della città, e per la sua antichità, e pel silenzio degli scrittori? Se per l’antichità e pel silenzio degli scrittori l’origine di Andria è ignota, non vi par giusto motivo, per credere, che la istituzione della sede vescovile debba attribuirsi piuttosto al quinto anzicchè al decimo secondo secolo?
Se gli scrittori non han poi saputo o potuto rintracciare la sua origine (appunto per l’antichità), non viene piuttosto la conseguenza, che Andria rimonta ad un’epoca assai remota, e che, perciò, bisogna piuttosto credere, che la sede vescovile fosse stata istituita nel quinto secolo, sotto Gelasio I, anzicchè nel secolo decimosecondo, sotto Gelasio II?
E che dire poi dell’argomento, fondato su d’una semplice congettura - come, cioè, fu lecito ad un moderno scrittore asserire cosa inesatta per riguardo alla cosa profana, (l’origine della città da Diomede), così si è potuto assegnare un’epoca troppo remota, per rapporto alla cosa sacra? (l’istituzione della sede vescovile).
Questo argomentare ci sorprende non poco! Padronissimi i PP. Bollandisti di negare che Andria fosse stata fondata da Diomede, e padronissimi di bollare ancora cotesto moderno autore, che sostiene tale opinione; ma, da ciò, non scaturisce il diritto di conchiudere, che la sede vescovile sia nata sotto il secondo Papa Gelasio, anzicchè sotto il primo. La conseguenza ci sembra più larga delle premesse.
In ogni modo i Bollandisti ci han dato così un argomento per sostenere sempre più l’antichità di Andria, assicurandoci che la sua origine è ignota, o per la sua antichità, o per il silenzio degli scrittori; ad onta che, dal dubbio insinuato, circa la istituzione della sede vescovile, essi abbian voluto trarre un motivo, per negare alla nostra città un’epoca tanto remota.

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Ma, quale fu, dunque, la vera origine di Andria?
A dire il vero, res ardita est! … Nè a noi, ed a quanti hanno scritto, o scriveranno di patria istoria, è possibile poter precisare la origine di Andria, mancando assolutamente notizie sul riguardo. Per quante ricerche avessimo fatte in tutte le geografie storiche, e nelle istorie antiche delle varie città, nei monumenti patrii, ecc. nulla di preciso ci fu dato riscontrare, se non che opinioni, più o meno accessibili, secondo l’indole degli scrittori, in verità guidati più dallo spirito di parte, anzicchè da serietà di documenti. E non solamente di Andria, ma di tutte le città pugliesi accade lo stesso, avendo gl’istoriografi fatto ricorso più alle locali tradizioni, che alla dimostrazione documentata dei fatti. Ond’è che molti han dato libero campo alle congetture, nell’assegnare l’origine delle città a tempi più remoti del vero! A ciò arroggi l’ingiuria dei tempi, la frequenza delle guerre, la tenzone fra pagani e cristiani, e sopratutto le traversie dell’Impero Bizantino in Italia, non che una serie di pubblici e privati disastri, congiunti ad una deplorevole ignoranza, che han fatto scomparire molte notizie storiche. Onde ben scrive il Muratori.
Nel terzo secolo, benchè le lettere si mantenessero in gran credito, pare ci fu gran penuria di luce per apprendere le avventure d’allora, e per ben regolare la cronologia di quei tempi. Nel secolo quinto poi e nei secoli successivi, cioè dacché le nazioni barbare s’impossessarono d’Italia, fra gli altri gravissimi mali, s’introdusse una somma e deplorevole ignoranza. Non solamente son venute meno le storie di qui tempi, ma con tutta ragione si può asserire che pochissime se ne fossero compilate in quei tempi. [32] Devesi a Paolo Diacono, che compose la storia longobardica sino al 744, se la storia d’Italia non restò seppellita nel perfetto bujo. E non avremmo avuto più notizie da quell’epoca sino al mille, se la cronaca di Luitprando non avesse recato un po’ di luce. [33]
Dopo di ciò, in mezzo a questo perfetto bujo, come sarà dato rintracciare la origine di Andria, quando appena, al dire del Muratori, si è potuto salvare la storia d’Italia? Ond’è che Andria subisce le sorti di molte altre città consorelle; cadute sotto il piccone della critica storica!
Parlando dunque di Andria, è fuori dubbio, che il processo evolutivo della sua origine appare ben chiaro ed evidente dall’epoca dei Normanni sino ai giorni nostri. Per quel che riguarda poi l’epoca precedente ai Normanni, se non da prove dirette, certamente da prove indirette, attinte a dati di storia convergenti, risulta che Andria esisteva già molto prima dell’epoca normanna.
A scanso di equivoci, per non dar di cozzo negli anacronismi, ed aspettarci ad ogni passo una smentita, dobbiamo pur premettere, che, parlando di Andria, non intendiamo dire di essa, quale città, ma quale esisteva in quei remoti tempi, sparpagliata nei vari casali, che tutti facean capo ad essa, quale maggiore borgata. Insomma, parlando di Andria, di quei remoti tempi, intendiamo parlare del suo contado. E questo contado andava, anticamente, sotto il nome di Rudas, come attestano alcuni scrittori, tra i quali il De Luca nella sua Geografia, ed Ettore Pais nella sua opera Magna Grecia.
Ora, di questo contado Rudas, parla Plinio il vecchio sin dal primo secolo dell’Era volgare, enumerando i castelli della Peucezia, fra i quali quello di RudasPediculorum oppida Rudiae, Barion, Egnathia — La medesima Rudas troviamo nella tavola di Puntinger del terzo secolo, fra i contadi vicini di Bardulus (Barletta), Turenum (Trani), Natiolum (sulle cui rovine surse Giovinazzo): Barium (Bari), Rubos (Ruvo), città tutte messe fra le Murge ed il mare Adriatico, come apparisce dall’antica carta peutingeriana, che fedelmente riproduciamo, in fine del presente volume.
Di Andria si fa menzione in una lettera, registrata nella cronaca Cassinese (volume II, pagina III), nella quale vien riportata la relazione, che S. Placido faceva a S. Benedetto, circa il viaggio fatto da Canosa a Reggio di Calabria nel 536. Se quella lettera non vuoi dichiararsi apocrifa (come qualche scrittore asserisce), da essa risulta che S. Placido, da Canosa, nell’anno 536 fosse passato per Andrim, dopo un viaggio assai disastroso: Ad Andrim a Canusio iter nimis molestum, imbre numquam cessante …
Ed il monaco Gordiano, parlando di questo viaggio, così scrive nella vita di S. Placido: Benedictus osculans beatum Placidum, et benedicens, dimisit a se anno Domini Incarnationis quingentesimo trigesimo sexto. [34]
Di Andria troviamo ancora notizia nella tavola Corografica Longobardica, esposta dal monaco Gaspare Berretti, riportata dal Muratori (Tom. X. Script. Rerum ltalicarum del secolo VIII). In essa si enumerano le città appartenenti al ducato di Benevento, fra le quali Andria.
Di Andria troviamo ancora notizia in un pubblico Istrumento 915, riprodotto dal Prologo (ricavato dall’Archivio della metropolitana di Trani: n. IV. pag. 26). In esso si tratta di una donazione di certo Pietro, figlio di Landone, nella quale interviene Adelprando, figlio di Ralemprando ex loco Andre.
Dell’esistenza di Andria, prima della dominazione normanna, ne fan fede molti scrittori, che han parlato dei vescovi di Andria, prima dell’epoca normanna. Tra questi il Cappelletti, autore stimatissimo, e di più recente data, il quale, parlando di Andria, scrive: Città di qualche importanza, nella Peucezia, fu Andria, detta anche Andri, nella provincia di Bari. … Certo la sede vescovile n’è antica; si ha notizia dei suoi Vescovi sino dal declinare del quinto secolo [35].
Di un altro vescovo di Andria, nel secolo ottavo, ci da notizie il medesimo Cappelletti. Esso fu un tal Gregorio, di cui, secondo asserisce il detto Cappelletti, ne fa parola l’Avellana nel suo cronologio, sotto il 22 agosto. [36] Di questo vescovo ne parlano anche gli annali Camaldolesi, (tomo III, pag. 84) - obiit Dourinus Gregorius Sancti Andrii Episcopus commissus noster - Parlando di questo vescovo Gregorio, il medesimo Cappelletti dice: che si presenta ad interrompere il vuoto di tre secoli, che lasciò l’Ughelli - (cioè dal secolo quinto, in cui parla del beato Riccardo al secolo ottavo, in cui figura Gregorio). Nè si può dubitare che l’Andri non fosse la nostra città, giacchè scrive il medesimo Cappelletti — non saprei dare ragione della denominazione di Sancti Andrii, attribuita a questa città (ad Andria); né al certo sap-piamo, che vi fosse altra città di tal nome, la quale potesse averlo avuto a suo Vescovo. [37]
Quanto poi alla interruzione dei Vescovi, lamentata dal Cappelletti, questa avvenne per la invasione longobardica. Difatti il Di Meo, valoroso scrittore delle longobardiche vicende, nei suoi annali, enumera le varie sedi vescovili, soppresse dai Longobardi, e, fra queste, vi pone Andria. E questa invasione longobardica abbraccia proprio quel periodo di tempo, che corse tra il Vescovo Riccardo e Gregorio, cioè dal quinto all’ottavo secolo.
Dunque, se esisteva una sede Vescovile, esisteva una città, denominata Andri.
Il fin qui detto basterebbe a dimostrare l’esistenza di Andria, nell’epoca anteriore a quella normanna. Ma non vogliamo defraudare i lettori di altre prove irrefragabili che ci assicurano l’antichità di Andria. Esse ci vengono fornite dall’esistenza di alcune cripte, messe nel territorio andriese. Queste cripte, o soccorpi, ordinariamente si trovano in tutte le Chiese antiche. Esse rimontano ai primi secoli del cristianesimo, e si rassomigliano alle catacombe romane, dove i primi cristiani si raccoglievano per l’esercizio del divin culto, e per sottrarsi alla persecuzione dei Cesari tiranni. Queste cripte, ordinariamente, sono cavate nel masso del sottosuolo, e, come le catacombe romane, esse servivano a raccogliere i fedeli per le loro notturne adunanze, e per la celebrazione dei divini misteri. Quando poi, nel quarto secolo, dal magnanimo Costantino, fu donata la pace alla Chiesa Cattolica e la libertà di poter edificare i sacri templi, e di professare pubblicamente il culto divino, quei sotterranei furono allora adibiti a depositare le ceneri dei fedeli, morti nel bacio del Signore. Su quelle Cripte furono poi costruite Chiese e Basiliche, le quali, al dir del famoso archeologo romano Giov. Batt. De Rossi, non furono, al principio, che ampliazioni delle primitive celle o memorie, erette a guisa di edicole sepolcrali nelle aree di Cimiteri [38].
Ed Andria ha pure le sue Cripte, a dimostrare ch’essa è una città molto antica.
La Cripta, messa nelle grotte o lagnoni di S. Croce, e tutta cavata nel masso tufaceo, a due metri circa sotto il suolo della strada adiacente. Questa cripta par che rimonti al secolo ottavo, quando inferociva la persecuzione degl’Iconoclasti e di altri barbari avventurieri, i quali osteggiavano i fedeli che professavano un culto a Dio ed ai Santi suoi [39].
Questa cripta avea, forse, annesso un cenobio o badia, come ce lo dimostrano le tante cellette sotterranee, sparpagliate in quei pressi, tutte costrutte nel masso tufaceo, secondo usavano, nei tempi di mezzo, i monaci in Oriente.
Questa antica cripta porta il nome di Santa Croce; e ciò ci induce a credere, che fosse dedicata al Santo Legno della Croce, dopo che Costantino e la madre sua S. Elena, l’ebbero scoperta. Tale asserzione viene confermata ancora da alcuni affreschi di mano greca, esistenti in quella cripta, (ora appena riconoscibili per l’antichità), rappresentanti il medesimo Costantino e S. Elena.
Questa cripta ha dovuto subire in seguito alcune innovazioni, come rileviamo da una dotta monografia del nostro concittadino Comm. Riccardo. Ottavio Spagnoletti, [40] il quale ottenne pure che, per la sua antichità, fosse dichiarata monumento nazionale. Essa ora è sotto la dipendenza del Capitolo Collegiale di S. Nicola, cui si apparteneva il territorio annesso. Questa cripta è chiusa al pubblico, e viene aperta una sol volta nell’anno, il dì 3 maggio, festività della Croce.
Un’altra Cripta, forse più antica della prima, è quella di Cristo della misericordia, cavata pure nel masso tufaceo, a guisa di catacomba, e che tuttora è aperta al culto. Essa rimonta all’epoca dei Basiliani, perseguitati dagl’Iconoclasti. Di questa Cripta si vedono, ora, appena le vestigia, essendo stata su di essa ricostruita la nuova Chiesa, intitolata a Cristo della misericordia.
La cripta di S. Margherita, messa nel soccorpo della maestosa Chiesa di S. Maria dei miracoli, è essa pure una prova dell’antichità della nostra città. Essa par che rimonti pure alla medesima epoca degl’Iconoclasti, e che fosse opera dei medesimi Basiliani. Ciò vien attestato da quella spaziosa grotta (cavata nel masso tufaceo, al solito dei Basiliani) e dalla immagine della Madonna (scoperta nel 1576) assisa sul trono, col suo divin pargoletto in seno. Quella immagine è certamente opera di greco pennello, come ci apprende il suo abbiliamento e vestito all’orientale. Quel tipo di Madonna, dall’oriente passò all’occidente, come si riscontra in molte Chiese di quelle città, che ebbero facile comunicazione coll’oriente, come Venezia, Roma, Brindisi, Taranto ed altre.
Ed ora veniamo alla Cripta, da pochi anni scoperta nei sotterranei della nostra Cattedrale, che forma la prova parlante dell’antichità di essa Chiesa, e, per conseguenza della nostra città.
Di questa cripta, or sono circa settant’anni, già ne parlava lo storico D’Urso, nella sua storia d’Andria; e, circa un secolo prima del D’Urso, ne faceva menzione il Preposto Pastore, nella sua Storia manoscritta, descrizione della città di Andria [41].
Una tradizione popolare ci faceva pure conoscere l’esistenza di questa cripta, nella quale, (secondo la medesima tradizione) sin dai primi tempi del cristianesimo, gli Andriesi, rigenerati alla fede di Cristo, si raccoglievano per l’esercizio del divin culto, quando un misto d’idolatria e di cristianesimo divideva il popolo di Andria.
Senza voler mettere il nostro visto a tale tradizione, egli è certo che, di questa Cripta, ne parlano molti valorosi scrittori, e specialmente il Gregorovius (a proposito delle due Imperatrici Sveve, Iolanda di Gerusalemme ed Isabella d’Inghilterra, successive mogli dell’Imperatore Federico II Barbarossa), il quale asserisce essere state seppelite le due Imperatrici Sveve nel Duomo di Andria [42], e propriamente nella Cripta del Duomo di Andria [43].
Questa Cripta, però, era stata chiusa al culto, e ricolmata di macerie, quando fu costruita la soprastante Chiesa (all’epoca della dominazione normanna), come a suo tempo diremo. In prosieguo, questa cripta, che volgarmente chiamavasi soccorpo, fu adibita ad ossario, ove si raccoglievano gli scheletri dei cadaveri, estratti dalle varie tombe, esistenti nella Chiesa Cattedrale.
Se non che, nell’aprile del 1904, in occasione della scesa in Puglia dell’Imperatore Guglielmo II di Germania (il quale mostrò vivo desiderio di ammirare il famoso Castello del Monte, opera insigne di Federico II di Svevia, e visitare le tombe delle di costui due mogli imperatrici, che si credevano seppelite nella su detta Cripta), l’amministrazione comunale di quel tempo ne fece fare lo sterro di tutte quelle macerie ed ossa umane ammonticchiate; e, dopo non lieve lavorio e dispendio, rimise in luce quell’antico monumento di storia patria, così abbiettamente lasciato nell’oblio e nel dispregio ! …
Mancata però la visita Imperiale, l’amministrazione suddetta non si arrestò nell’impresa; e, fatti raccogliere i ruderi dei sarcofagi, e quanto di più interessante si potè rinvenire fra quel carcame di ossa umane e di rottami, ne fè collocare ogni cosa in appositi armadii, da poter poi servire ad illustrare la storia di quei tempi [44].
Ed ora questa Cripta, che il vandalismo, l’ignoranza e la igniavia dei nostri predecessori avean ridotta ad un deposito di scheletri umani, è là, al chiarore della luce elettrica, a fugare le tenebre, che la critica storica moderna facea addensare sulla nostra città, e ad attestare al mondo la vetustà della nostra Andria!
Questa Cripta è anche un monumento assai interessante dell’architettura pugliese primitiva, non che della scultura e pittura, come rilevasi dai molti frammenti, ivi rinvenuti.
A qual’epoca risale la costruzione di questa Cripta? …
Se volessimo seguire la popolare tradizione, che afferma l’esistenza di detta Cripta fin dai primi secoli del cristianesimo (quando i primitivi fedeli Andriesi in essa raccoglievansi per l’esercizio del divin culto e per sottrarsi alle presecuzioni degl’idolatri), dovremmo ammettere che un Apostolo fosse passato per Andria, e vi avesse predicata la nuova legge di Cristo; ed allora avremmo assicurata l’esistenza della Cripta e della nostra città fin dal principio dell’era volgare. Ma non la pensano così i due valorosi archeologi, il Comm. Ettore Bernich ed il Dott. Arturo Hasselloff, inviato, quest’ultimo, espressamente in Andria, dal Ministero prussiano della pubblica istruzione, a studiare la quistione dell’esistenza, o meno, delle due tombe sveve in questa Cripta.
Questi due insigni archeologi asseriscono, che questa cripta non sorse come cripta della Cattedrale di Andria, ma era la Chiesa primitiva, anteriore al X secolo e posteriore al VII, sulla quale poi, nel secolo XI, fu eretta la Cattedrale [45]. Circa poi l’erezione di detta Cattedrale, così si esprime il Comm. Bernich, nella sua relazione archeologica. « Sappiamo che l’odierna Cattedrale d’Andria dové essere terminata prima del 1069. Infatti, in quell’anno, vi fu seppellita la principessa Emma, figlia di Gottfredo, conte di Conversano, il tumulo della quale fu scoperto nel Gennaio 1779 nel togliere lo stucco da un pilastrone, a cui era addossato il pulpito. Poiché la Cattedrale fu costruita appunto sulla nostra cripta, è indubitabile che questa non possa essere posteriore al X secolo; e che non sia anteriore al VII è accertato dal trovarsi adoperato come materiale di risulta da altro edificio demolito, il capitello bizantino. Inoltre, per la totale mancanza in Andria di altre Chiese importanti così antiche, possiamo anche asserire, senza timore di fare un’ipotesi troppo arrischiata, che essa fosse la principale del luogo, e, come tale, dedicata al Salvatore [46]».
Sicché, dalla relazione di questi due valorosi archeologi, veniamo assicurati, che quella Cripta non è anteriore al secolo VII, e nè posteriore al secolo X. Dunque, esisteva all’epoca normanna e, per conseguenza, Andria non ebbe origine dai Normanni. Però, dalle su citate parole del Bernich, possiamo noi trarne argomento, per dimostrare come quella Cripta tragga a se anche un’epoca anteriore al secolo VII. Di fatti, se, nella costruzione di quella cripta, venne adoperato il capitello bizantino (come materiale di risulta da altro edificio demolito), ciò fa supporre, che un’altra edicola trovavasi precedentemente costruita, cui apparteneva quel capitello bizantino, come materiale di risulta da altro edificio demolito. Se, dunque, esisteva [precedentemente al secolo VII], in quel luogo, un altro edificio, demolito nella costruzione della Cripta, questo edificio ha dovuto essere costruito nei secoli precedenti al settimo. Ed allora ci avvicineremmo all’epoca del nostro S. Riccardo [secolo V], e forse anche a quella degli Apostoli.
E ciò renderebbe probabile la tradizione Andriese, che l’Apostolo S. Pietro, passando per la via Appia, nel viaggio da Brindisi a Roma, [o viceversa] fossesi fermato in Andria, ed avesse quivi celebrato i santi misteri, su quel medesimo tempietto dedicato alla dea Venere, dopo avere rovesciato il simulacro di quell’invereconda, e rizzato il vessillo della Croce, predicando al popolo andriese il nuovo vangelo di Cristo, secondo narra lo storico D’Urso. E quel tempietto par che fosse eretto proprio in quel sito, ove poi sorse la Cripta.
Nè tale tradizione è poi da mettersi in non cale, quando gravi autori pur la sostengono. E le tradizioni volgari, dice il Vico [47] «devono avere avuto pubblici motivi di vero, onde nacquero e si conservarono da intieri popoli per lunghi spazii di tempo». E non vi mancano davvero degli autori, che confermano una tale tradizione. Così il Coronelli «Nel luogo, dove Pietro celebrò in Andria, i fedeli convertiti fabbricarono col suo nome una Chiesa, e su una cappella» [48]. Il Pacichelli «tuttavia rimane in piedi venerabile ai cittadini di Andria la Cappella e l’altare, in cui celebrò il santo apostolo passando di lì». [49] L’Ughelli «Eo in loco ubi Petrus sacrum fecisse asseritur apud Andria, pii fideles ad Crhistum conversi, in eius memoriam ex eius nomine aedificaverunt Ecclesiam» [50]. E così molti altri scrittori di cose ecclesiastiche.
Ma, è proprio qui che la moderna critica fa tanto d’occhiacci, e, con ghigno beffardo, si ride della venuta di S. Pietro in Andria ! …
Di fronte a tali dottoroni moderni, noi non sappiamo che rispondere, conoscendo purtroppo la nostra pochezza. Solo ci limitiamo a contrapporre dottori a dottori, perchè, nel contrasto, venga fuori la verità.
È vero, dunque, che S. Pietro sia venuto in Andria, a predicare la fede del Nazareno? … E qual meraviglia, rispondono alcuni scrittori, se S. Pietro, passando per la via Appia, nel viaggio da Brindisi a Roma, o viceversa, siasi fermato in Andria? Se Andria trovasi a pochi chilometri dalla via Appia, qual meraviglia se S. Pietro, nel suo transito, si fosse quivi, come altrove, fermato, a predicare la fede? Non era questa forse la sua missione, lungo il percorso del suo apostolico viaggio?
Ma Andria, dicono altri, non esisteva allora … o, tutt’al più, era un piccolo villaggio, che non poteva richiamare l’attenzione di S. Pietro.
Non volendoci noi perdere in vane dissertazioni, ne volendoci pronunziare in simili disquisizioni, riportiamo ciò che gli scrittori, che van per la maggiore, hanno scritto su tale argomento.
E per primo l’Ughelli. «Constat tamen in actis S. Riccardi, hujus civitatis primi Episcopi, S. Petrum Apostolorum Principem prima Cristianae fidei fundamenta jecisse, quod accidisse opus est asserere post annum a Christo resurgente 44, in secundo, vel in tertio itinere, cum Apulos invisisset [51]. All’Ughelli fanno eco il Summonte [52], il Caracciolo [53], il Coronelli [54] il Pacichelli [55], il Giannone [56], il Petavio [57] e tanti altri, fra i quali Benedetto XIV, nella sua Bolla In excelsis per la erezione della Canonia nella Chiesa Cattedrale di Andria [58]. A questi autori potremmo aggiungere Mons. Tortora [59], il dotto Gesuita P. Canger [60], il Cappelletti [61], e molti altri, che omettiamo per brevità. Tutti questi scrittori asseriscono che S. Pietro, lasciando la Cattedra di Antiochia, navigasse verso l’Italia, approdando prima a Brindisi, quindi ad Otranto; e, di là, a Taranto, visitando poscia Trani, Andria, Oria; e, per l’Adriatico, fermarsi a Siponto.
Ammessa la venuta di S. Pietro in Andria, viene, per conseguenza, che Andria esisteva sin dai primi tempi del cristianesimo.
Ma, che risponderà la critica storica moderna, di fronte a tale asserzione? … Ammetterà la venuta di S. Pietro in Andria, assicurata da tanti illustri autori? … Noi lo crediamo, quando si è giunto perfino ad impugnare la venuta di S. Pietro in Roma! … Difatti il dotto Marsilio da Padova, lo Scaligero, Flaccio Illirico, e, più di tutti, un dotto Prete Valdese [che scrisse un libro dal titolo: Impossibilità storica del viaggio di S. Pietro a Roma [62]] hanno sostenuto, che S. Pietro non fu mai a Roma! …
Or, se si è giunto ad impugnare perfino l’andata di S. Pietro a Roma, dove tanti monumenti parlano di Lui, (basterebbe leggere l’aureo libro del dottissimo Gesuita P. Giovanni Perrone, per non lasciarci alcun dubbio sulla venuta di S. Pietro in Roma), qual meraviglia se, la critica storica moderna, impugni la venuta di S. Pietro in Andria? …
Ma sentiamo quel che scrivono i contradittori.
Andria, poco prima del mille, era una villa o casale, soggetto Trani, come, risulta, essi dicono, da documenti del secolo X ed XI. Come dunque, S. Pietro potè essere venuto in Andria, sul principio del secolo primo, quando questa città, nel secolo decimo ed undicesimo, era appena un picciol villaggio ed una villa di Trani?
Non volendo noi pronunziarci per l’affermativa, o per la negativa, sulla venuta, o meno, di S. Pietro in Andria, ci fermeremo, però, un tantino ad esaminare questi documenti del secolo decimo ed undicesimo, per vedere se veramente Andria, in quel tempo, fosse stata una villa o villaggetto, dipendente da Trani. Questi documenti furono per la prima volta pubblicati in Napoli nel 1865 da Francesco Trinchera, ricavandoli dal Syllabus Graecorum Membranorum del Cronista del tempo, Leone Ostiense. Sono tre diplomi coi numeri XII, XIV, e XXIII, riportati a pag. 10, 14 e 24. Il primo è del Catapano [63] Gregorio Tracaviota del febbraio 1000; il secondo del Catapano Basilio Masardonita, dell’ottobre 1011; il terzo del Catapano Photo Argiro, del Marzo 1032. Da questi tre diplomi risulta che, tra i possedimenti, che avea il Monastero di Monte Cassino in tutta l’Apulia, eranvi alcune vigne ed oliveti (messi nei tenimenti di Andria), che si ordinava fossero restituiti al detto Monastero, cui erano stati tolti. Ecco le parole di quel documento, che han dato occasione ai critici di creare l’equivoco, che Andria, cioè, nel decimo ed undicesimo secolo, fosse una villa di Trani «Et in civitate Tranensis, et villam quae est de civitate ipsa, quae cognominatur Andre, vinee deserte et olivetate viginti septem».
Or bene queste parole, dai critici moderni, furono interpretate nel senso che il villam si riferisca alla città di Trani (quae est de civitate ipsa) cioé Trani, invece di riferirla alla città, quae cognominatur Andre, cioè Andria. Di qui l’equivoco. Ma la cosa, non va cosi.
Difatti, in quei diplomi, si fa precetto di restituire al monastero di Monte Cassino i beni ad esso derubati, e si enumerano tutte le sue pertinenze, sparse per l’Apulia, delle quali Leone Ostiense ne fa la numerazione [64]. E qui, dopo, aver parlato dei possedimenti delle altre città di Puglia [Minervino, Canosa, Ruvo], viene a parlare dei beni messi in civitate Tranensis, e poscia della villa, quae est de civitate ipsa, quae cognominatur Andre. La villa, ossia villaggio, se ben si osserva, non si riferisce a Trani, ma alla città quae cognominatur Andre. E ciò lo confermano la congiunzione et, messa dopo Tranensis, ed il secondo pronome quæ, riferendosi ad Andre e non a Trani. In sostanza, dunque, il diploma, esaminato a rigor di grammatica e di logica, parla non di una villa di Trani, ma della villa o villaggio, [65] che è della medesima città, che cognominasi Andre.
Come ognun vede, la interpretazione, data alle parole dell’Ostiense, ha fatto nascere l’equivoco, che Andria, nel decimo ed undicesimo secolo, fosse un villaggio appartenente a Trani.
Per cui possiamo, a rigor di logica, conchiudere che Andria, nel secolo decimo ed undicesimo, non era una villa o villaggio appartenente alla città di Trani; ma era una città sui generis, formata di molti villaggi, che facevan capo Andria; e tutti, Andria compresa, erano sotto il potere della fortezza Trani. Ciò vien confermato da parecchi documenti, esistenti nell’Archivio Metropolitano di Trani, riprodotti dal Prologo; dai quali apparisce che Andria, a quei tempi, era una città a sé, come Lavello, Cisterna, Minervino, Acquatetto, Polignano, S. Vito ed altre; sulle quali l’Arcivescovo di Trani godeva di alcune pertinenze sulle rispettive Chiese e Monasteri, esistenti, tanto dentro, che fuori le medesime città. A conferma di ciò riproduciamo una Bolla del 1063 di Papa Alessandro II, diretta all’Arcivescovo Bisanzio di Trani, nella quale si confermano tali diritti, «Polinianum et sanctum Vitum cum suis pertinentiis, monasteria quoque et cunctas Ecclesias, Labellum et Cisternam, Minerbinum, Montem Milonem, et Acquatectam, Cauratum et Andrem, Barolum et Viglilias cum omnibus suis pertinentiis et ecclesiis constructis intus et foris [66].» Un’altra Bolla di Papa Urbano II del 1090 conferma al medesimo Arcivescovo Bisanzio le sue pertinenze sulle medesime città, fra le quali Andria [67]. Altre simili Bolle furono spedite ai successivi Arcivescovi di Trani dai Papi Callisto II [1120], Anacleto [1130], Eugenio III [1150], Adriano IV [1158], ed Alessandro III [1177], riprodotte dal medesimo Prologo [68], nelle quali si confermano i medesimi diritti di pertinenza sulle Chiese, e Monasteri delle suddette città, fra le quali Andria.
Dunque Andria, nei secolo X ed XI non era una villa di Trani, ma una città, sulla quale l’Arcivescovo di Trani aveva diritti di preminenza, Era, in sostanza, Andria, suffraganea di Trani, come la è tuttora. E ciò par che basti a dimostrare l’antichità di Andria, la quale par che rimonti sin ai primi tempi del cristianesimo, non quale città ben costituita, ma quale principale borgata, cui facean capo tanti altri villaggetti circonvicini. Questa a noi sembra la più probabile opinione.
Qual fu poi la sua vera origine? … Deus scit! … A noi basta aver dimostrato, come Andria esisteva molto tempo prima dell’epoca normanna, e che essa vanta un’antichità ben considerevole, quando la si fa sorgere [almeno quale borgata] fin dai primi tempi del cristianesimo, e ciò, non per spirito di parte, ma dimostrato alla stregua di prove, se non irrefragabili, almeno equipollenti, che bastano a poter sostenere la sua antica origine, di fronte a moderni critici, che vorrebbero farla nascere all’epoca normanna! …
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)
[1] Andria, dal greco Ανδρεια suona fortezza. Il suo antico nome però non appare con certezza, se fosse stato Andri o Netio, come lo segnano varii autori: o Rudas, come vien segnato nelle tavole dell’antica Peucezia, che, in seguito, riprodurremo.
[2] La prima di queste porte nomavasi Porta del Castello, perché adiacente al Castello, che poscia fu distrutta dai francesi nel 1799: la seconda dicevasi Porta S. Andrea, perché adiacente alla Chiesa omonima, intitolata al S. Apostolo: la terza dicevasi Porta della Barra, perché era traversata da una grande sbarra, che impediva il transito a forestieri, che venivano per la Via Appia, se prima non pagavano il dazio di dogana sui commestibili: la quarta dicevasi Porta Nuova, perché l'ultima ad esser stata costruita.
[3] Ora quel palaggio - di molto rifatto - si appartiene ai Signori Spagnoletti – Zeuli.
[4] Facciolati: Vocabolario delle sette lingue «Noetium» Andria - Amb. Calep. Noetium - Andria, città della Puglia — Michael Ant. Baudrand super lexicon geographicum Philippi Ferrarii Alexandrini, pag. 330 — Andri vel Andria, Noetium, urbs Apuliae — Hofmanni, lexicon universale - netium, peucet. Oppid, in Italia - Strabo, Andri - Broucher; dizion. Andria, Noetium etc.
[5] Tassoni; dieci libri di pensieri diversi: Lib. II. pag. 74. opera pubb. in Milano nel 1628.
[6] D’Urso: Storia della città di Andria, Libro I: pag. 3.
[7] D’Urso: Storia della città di Andria, Libro I: pag. 4.
[8] D’Urso: luogo citato, pag. 5.
[9] D’Urso: Storia della città di Andria, Libro I: pag. 3 - 4.
[10] Strabone morì sotto Tiberio verso l’anno XXV di Cristo.
[11] Il Pratilli fu Canonico di Capua. Visse nel XVII secolo.
[12] Cioè la terra di Bari, a destra degli Appennini.
[13] Presso la foce dell’Ofanto, facendo alcuni parte della terra di Bari, altri di Capitanata.
[14] Presso Monopoli.
[15] Presso Ordona, possessione del Collegio Romano dei Gesuiti.
[16] Pratilli, Lib. VI: De sito Orbis; pag. 282.
[17] D’Urso: luogo citato.
[18] Orlelio, Thesaur: Geograph: sotto il nome Canusium.
[19] Giac. M. Pagi; Notizie di Canosa, ricavate dalla relazione dei tremuoti di Basilicata del 1851.
[20] Plinio Lib. III, Hist. Nat.
[21] Vedi il sopradetto P. Deriderio. Traduzione italiana dello Strabone.
[22] Hist. Nat. libro 4.
[23] Pacichelli: Regno di Napoli, 1703.
[25] Bollandisti: Acta Sanctorum; Tom. II, p. 245.
[26] Storia d’Andria: pag. 7-9.
[27] Guglielmo Pugliese; Lib. II, pag. 1. num. 103.
[28] Guglielmo Pugliese, Lib. 3 pag. 122.
[29] il veniens Andrum già fa supporre l’esistenza di Andria! …
[30] Riportiamo nella loro lingua, le testuali parole dei Bollandisti:
Andrium, sive Andria Apuliae Peucetiae civitas, titulo ac dignitate ducatus inclita, uti scribet Leander Albertus, idque ab anno circiter MCCCI., multo etiam citius Episcopali dignitate fuit ornata, fortassis a Gelasio Papa II, qui anno MCXVIII, ultima Ianuarii electus Pontifex Romae, indeque subito compulsus fugere, Terracinae est coronatus XXIV Februarii, convenientibus ad eum titius Apuliae Calabriquae Princibus et Praesulibus, ubi interim, dum Romae Antipapa Gregorius intruditur ipse mansit per totam Quadragesimam usque post festa paschalia, adeoque facile potuit institutione quorundam novorum Episcopatuum, auxisse numerum fidelium sibi, contra praedictum Antipapam et Henrici Imperatoris tyrannidem. Scio Andrienses initium suae provectionis ad eam dignitatem Gelasio I adscribere: sed cum ipsiusmet urbis exordium lateat, vel ex antiquitate, vel ex scriptorum solentio, uti fatetur Ughellius; sicut recentiori cuidam visum est exordium profanae rei a Diomede adductisque ad Andro insula colonis petere; sic impune licuit, sacra initia ad quamcumque attollere vetustatem, invitante praesertim (ut coniectare licet) Gelasii Papaeambiguo nomine. Acta sanctorum.
Tom. II, pag. 245.
[31] Ragioni queste che dovrebbero far opinare tutto il contrario! …
[32] Ecco le ragioni del lamentato silenzio degli scrittori, cui accennano i Bollandisti, per riguardo alla origine di Andria.
[33] Muratori: Scriptores rerum italicarum.
[34] Gordiano: Vita di S. Placido.
[35] Cappelletti: Chiese d’Italia, Vol. XXI, pag. 77.
[36] Cappelletti: loc. cit.
[37] Cappelletti: loc. cit.
[38] De Rossi: Roma sotterranea, I. pag. 96.
[39] Il Comm. Riccardo Spagnoletti, che scrisse una pregiata monografia di questa Cripta, ci assicura che, fra quelle grotti, si scoprì una via sotterranea, che menava in un’altra, sita a lato del Convento di S. Maria Vetere, mettendo sulla strada delle Murge. Forse quella via sotterranea serviva a mettere in salvo i fedeli dai persecutori.
[40] Questa Cripta, secondo scrive lo Spagnoletti, ha un perimetro esteriore di metri 90 e centimetri 70. Essa è a tre navate, sorrette da quattro pilastri, e terminati ad una quarta piccola navata transversale, nel mezzo della quale sorgeva l’altare, e, dietro di esso, un’altra piccola navata longitudinale mediana, avente un abside semicircolare, nel cui fondo, sino al 1888, si scorgevano i segni degli stalli del Coro. La Cripta era tutta istoriata di affreschi. La porta d’ingresso pare dell’epoca della dominazione Angioina. Vi sono, al dire dello Spagnoletti, tutti i segni dell’arte franco-tedesca, sia nello stile arco-acuto, sia nella struttura. Ai due lati d’ingresso in detta Chiesa si scorgono due immagini, appena riconoscibili, l’una di S. Basilio, vestito di tonaca bianca, avendo nella sinistra un libro chiuso, che sarà, forse, la sua regola (ciò fa supporre che la Badia adiacente fosse stata abitata dai Basiliani), l’altra di donna, di cui si scorge appena la testa. Altri affreschi si vedono nell’interno di questa cripta, fra i quali appaiono riconoscibili i quattro Evangelisti, la SS. Trinità, la creazione della donna ecc.
[41] Parte I, capo XV.
[42] Gregorovius - Studi ed impressioni nel viaggio attraverso la Puglia, raccolti nel quinto volume dei suoi Wanderjahre in Italien, pag. 250.
[43] Idem, pag. 127.
[44] Per opera del nostro illustre concittadino c valoroso archeologo Signor Giuseppe Ceci, quei ruderi vennero trasportati nel 1909 sul loggiato interno, che prospetta il nostro Duomo, formando così un museo, dove vennero depositati altri oggetti d’arte, di Cui l’amministrazione dei monumenti nazionali delle Puglie e del Molise ne ha preso vivo interessamento.
[45] Napoli nobilissima: Vol. XIII, pag. 183-186.
[46] Difatti in faccia ad un pilastro di questa Cripta vedesi dipinto ad incausto una immagine del Salvatore.
[47] Giambattista Vico: Principii di scienza nuova: L. I. & XVI.
[48] Coronelli: Biblioteca Universale. pag. 654.
[49] Pacichelli: Il regno di Napoli in prospettiva.
[50] Ughellius; Italia Sacra. Tom. VII col. 920.
[51] Italia Sacra. Tom. VII col. 920.
[52] Summonte: Lib. I, Cap. I.
[53] Cap. III. sess. 4, Il Caracciolo, dopo d’aver descritto il viaggio di S. Pietro da Roma a Brindisi, così scrive:
Ceterum adversus sam dictum itineris Petri descriptionem insurgere possunt Tranenses, Urienses, ANDRIENSES et Sipontini … Et vero ipsi quoque ostendunt vetera Ecclesiarum eius Provinciae monumenta … ac proinde existimo B. Petrum, non hoc primo itinere, neque hoc anno salutis 44 (ed in ciò solo disconviene dall’Ughelli e dagli altri autori) invisisse Appulos, sed illac transisse pastquam fixa iam Romae cathedra, urbe discessiti diversas orbis partes peragrans …
[54] Biblioteca Universale; pag. 654.
[55] Regno di Napoli in prospettiva, sotto la parola Andria.
[56] Lib. I, pag. 56.
[57] Successiones Summor, Pontifi, Tom. II. pag. 486.
[58] Cost. In excelso per la Catt. di Andria, 1746. Ivi leggesi: Potissimum vero Civitas praedieta (Andria) in eo laetatur et gloriatur in Domino, quod fidem catholicam ab ipsomet B. Petro Principe Apostolorum acceperit; et quidem prope et extra moenia dictae civitatis supersunt reliquiae Cappellae et Altaris, in quo ipse Apostolorum Princeps Sacrum peragisse traditur. E con ciò conferma ancora l’esistenza della Cripta fin dai tempi apostolici.
[59] Storia di Canosa: pag. 10. Quam plurimae vero Apuliae civitates in hoc maxime gloriantum, quod ex ipsius Petri ore sacrosanctum Iesu Cristi Evangelium susceperint. Hac proinde praerogativa se gaudere merito existimant et cives Andrienses et Sipontini etc …
[60] Panegirico di San Riccardo, pag. 7.
[61] Chiese d’Italia, vol, XXI p. 77.
[62] Vedi Piolanti: La Grammatica del buon senso. pag. 263.
[63] Catapano era il Governatore della Provincia.
[64]carlulani restitutionis, et confirmationis fecit de omnibus pertinentiis Monasteri huyus (Monte Cassino) per totam Apuliam, quas eo tempore perditas abebamus, idest etc... (e qui Leone ostiense enumera le dette pertinenze).
[65] Questa villa, o villagio, ha potuto essere uno dei tanti, che circondavano il territorio andriese.
[66] Prologo: sotto l’anno 1063, pag. 56.
[67] Prologo: pag. 65.
[68] Prologo: pag. 72 –77 – 104 – 108 – 143.

[tratto da “Il Capitolo Cattedrale di Andria e i suoi tempi” di M. Agresti, tipi Rosignoli, Andria, 1912, Vol.I, cap. I, pagg.13-37]

NOTE    (del Redattore del Sito ANDRIARTE)
[NDR] Essendo illeggibili le note nel cliché della pianta del Murena inserita nel capitolo dall'Agresti, se ne trascrive il testo e si aggiunge un breve commento.
Nota delle misure, e distanze de luoghi principali della Città di Andria
A. Da num. 1 Porta maggiore della Chiesa Cattedrale ed unica Parrocchiale sino a 2 Angolo della dispensa (??) dell’Ecc.ma Casa d’Andria passi 23. di là sino a 3. Pennino passi 63. di là sino a 4. Piazzetta passi 43. e di là sino 5. Porta di S. Andrea passi 87. In unum passi 218.
B. Da dett. N°1 Porta dell’anzidetta Chiesa per sotto il Campanile sino a 6. Angolo del V.bˉle Monastero delle Monache passi 36, di là per la strada di S. Francesco sino a 7. Casa de Sig.re De Romano passi 57. di là sino a 8. Angolo delle Case nuove di Fravino, e propriamente della casa di Nicolò Carbone passi 60. In unum passi 153.
C. Da detto n.ro 1 Porta per 2. Angolo per 3. Pennino per 9. Casa del R. D. Riccardo Montanaro per 10. Casa del Sig.r Not.ro Gian Lorenzo Tupputi sino a 11. Porta della Barra passi 192.
D. Da d.to n.1. Porta per mezzo il largo della Corte per avanti le Carceri per 21. Arco del Magnifico Notaro Antolino per 13. Casalino per 14. Strada del R.D. Michelangelo Schiena per S. Ciriaco sino a 15. Case nuove del R. Priore Facinio, e di la sino a 16. anche Case nuove del d.o R. Prior Facinio passi 229.
E. Da d.to n.1 Porta da sotto il Campanile per 6. Angolo per 17. Portone del Palazzo Vescovile per 18. Vaglio per 19. Strada di S. Bartolomeo per 20, avanti il sig.r Iannuzzi per 21. sino a 22. discoverto dell’Abitazione del Magnifico Notaro Gaetano Frisardi di passi 190.
F. Da d.to n.1 Porta da immezzo la Catuma cioè da 6. Angolo per 17. Portone per 23. Casa del Sig.r Governatore per 24. Portone de Mulini sino a 25. Casa del fu Arcid.o Marchio passi 182.
G. Da d.to n°1. Porta per il largo delle R.R. Monache a canto la Chiesa per 26. S. Angelo sino a 27. Arco del Sig.re Sarcinelli passi 106. di la sino a 28. Case nuove attaccate al Parco di Giglio passi 32. in unum passi 138.
H. Da d.to n°1. Porta per 26. S. Angelo sino a 27. d.° Arco portando pas 106. e di la per 28. a 29. sino a 30. Portone di Giglio importando passi 73. come pure da d.° 27. Arco per avanti S. Chiara per 31 stradella che corrisponde a 30. d.° Portone di Giglio inportando anche passi 73. l’intiera distanza da d.ta Chiesa Catt.le sino a d.to Portone di Giglio da ciascuna delle descritte Strade importa passi 179.
I. Da d.to n°1. Porta per 6. riferito Angolo delle RR. Monache per 7. descritta Casa de Sig.ri de Romano p. 32. Casa di Riccardo Greco sino a 33. Casa del Magnifico Domenico Logetto passi 195.
K. Da d.ta n°1 Porta per 6. Angolo per 7. Casa de Sig.ri de Romano per 8. Largo di Fravino sino a 33. riferita Casa di Loggetto passi 176.
L. Da 34. Porta mag.re della Colle.ta, Chiesa di S. Nicolò per 35. Angolo della strada della Porta nuova sino a 36. Porta nuova passi 65.
M. Da 34. Porta p.37. Bottegola sino a 5. Porta di S. Andrea passi 88.
N. Da d.to 34. Porta sino a 38. Casa de Brunetti passi 42. di la sino a 39. Angolo del Portone de Sig.ri Baldini passi 34. in unum passi 76.
O. Da d.to 39 Angolo de Sig.ri Baldini sino a 10. tra Marco di Ieva Notaro Tupputi, e q.m Vito di Cillo passi 33.
P. Da d.to 34. Porta sino a 38. Strada de Brunetti portando passi 42. e di la per la Strada della Giudea a 40. Muro del Lato della Porta nuova importando passi 61. in unum importa l’intiera distanza da 34. per 38. a 40. passi 103.
Q. Da d.to 34 Porta per 37. per 41. Casa de Sig.ri Cataldi sino a 30. Portone di Giglio importando passi 70. e di la per 29. e 28. sino a 8. Angolo della Casa di Nicolò Carbone importando altri passi 70. in unum l’intiera distanza porta passi 140.
R. Da d.to n.°34. Porta sino a 42. Portella delle Pergole di detta Chiesa importano passi 17. di la per 4. Piazzetta per 31. e 27. Strada di S. Chiara sino a 8. riferito angolo della Casa di Carbone importano passi 132.
S. Da d.to n.° 34. Porta per 42. Portella sino a 4. Piazzetta importando passi 50. di la per 43. Strada di Sig.ra Lucrezia sino a 39. Casa de Sig.ri Baldini importano passi 90.
T. Da d.° n.° 34. Porta per 42. Portella sino a 4. Piazzetta portando passi 50. e di la sino a 3. Pennino passi 43. in unum. L’intera distanza importa passi 93.
V. Da d.° n.° 34 Porta per 42. Portella per 4. Piazzetta sino a 43. Stradella di Sig.ra Lucrezia che sporge dietro il Coro di detta Chiesa di S. Nicola passi 70.
Da una prima lettura appare subito evidente che sono solo due i punti di partenza delle varie misurazioni:
- dalla lettera A alla K le misurazioni partono dalla porta maggiore della Chiesa Cattedrale e, probabilmente, intendono dare una misura delle distanze di punti finali delle varie vie ricadenti sotto la giurisdizione di tale Chiesa Cattedrale;
- dalla lettera L all’ultima, la U (scritta alla latina V) le misurazioni partono dalla Porta maggiore della Collegiata di S. Nicolò e, conseguentemente intendono indicare una misura delle distanze di punti finali delle vie ricadenti sotto la giurisdizione di questa Chiesa Collegiata.
Quanto sopra dà adito a pensare che probabilmente la pianta è stata elaborata alfine di assegnare o comunque indicare le zone di giurisdizione pastorale delle uniche due chiese che, al tempo, potevano somministrare i sacramenti propri di una Parrocchia.
In mancanza di un documento ufficiale che lo attesti, non è azzardato affermare che sia stato Mons. Ferrante il committente di questa pianta, in quanto pubblicata nel periodo del suo vescovato andriese, mentre cercava di sanare le liti che intercorrevano tra il Capitolo Cattedrale e quello di S. Nicola sulle competenze territoriali; tanto risulta anche dalle sue relazioni inviate a Roma per le cosiddette “Visitae ad limina”. (dell’anno 1760 e seguenti).
Il Prevosto Pastore (allora vivente e Canonico di San Nicola), a pag. 64r del suo manoscritto sulla "Origine, erezione e stato della Colleggiata Parrocchial Chiesa di S. Nicola .." scrive: "Questo [il Vescovo Ferrante] ubbidendo agli ordini della Sagra Congregaz.e, monitis partibus nel dì 6 luglio 1759 procedè a tal divisione con suo decreto con cui assegnò li termini al Colleggio ne' quali avesse dovuto esercitare la cura parochiale."