Cittadini andriesi illustri

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da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi"

Capitolo XIII.

di Michele Agresti (1852-1916)

Cittadini andriesi illustri nelle armi, nelle scienze, nelle lettere, nella politica, nella beneficenza, ecc.

   

Sommario:
- Francesco II Del Balzo.
- Vincenzo Carafa.
- Flavio Giugno.
- Bernardo Tesoriori, Ferdinando Fellecchia, Domenico Gentile, Il Marchese Flavio Gurgo, Il Cavaliere Domenico Antonio Rossi, Angelo Massaro.
- Il Cav. Michele Attumonelli, Il Cavaliere Michele Troja, Il Cavaliere Tommaso de Liso.
- Giuseppe Ceci.
- Prof. Stefano Iannuzzi.
- Il Commendatore Riccardo Ottavio Spagnoletti.


I. Francesco II Del Balzo. Pare impossibile, ma pur così è! … Di Francesco II Del Balzo non esiste un monumento in Andria! Non una via intitolata a Lui! … (E pur ve ne sono tante, intitolate a delle mediocrità, ed anche a delle nullità!) [1].

Pria, però, di parlare di questo grande, crediamo opportuno dare un cenno del suo casato.

I Del Balzo, secondo quasi tutti gl’istoriografi, traggono origine da una stirpe delle più illustri famiglie d’Italia. Anzi, stando ad una lapide messa in una delle Cappelle della Real Chiesa di S. Chiara in Napoli, par che la famiglia Del Balzo tragga sua origine dagli antichi Re d’Armenia, e, propriamente, dai Re Maggi. Ciò confermasi da una epigrafe messa nella Chiesa di Casaluce (Castello vicino ad Aversa, costruito dai Del Balzo) che dice così: Illustri Bauciorum familiæ, quæ a priscis Armeniæ Regibus, quibus, stella duce, Mundi Salvator innotuit, originem duxisse traditur.

Sino al 1267 questa illustre famiglia risiedeva nella Provenza. Fu, in tal anno, che il Conte Bertrando Del Balzo venne a Napoli, al seguito di Carlo I d'Angiò, chiamato al Governo delle due Sicilie, colla scomparsa di Manfredi e Corradino, ultimi rampolli di Casa Sveva.

Morto il Marchese Azzo d’Este, marito di Beatrice, figlia del Re Carlo II d’Angiò, Bertrando del Balzo sposò la figlia del Re (Beatrice), ottenendo, in dote, la Contea di Andria con Castello Del Monte.

Ritiratasi in Andria questa illustre coppia, venne alla luce, unica figlia, Maria. Nel 1330 Beatrice veniva a morte; e Bertrando, non avendo prole maschile, nel 1331, sposò la Contessa Margherita di Alneto, vedova del Conte Luigi di Fiandra. Da queste nozze venne un figlio per nome Francesco.

Intanto, colla morte di Beatrice, la Contea di Andria (dote di lei) passava all’unica figlia Maria, disposata al Delfino di Francia, Umberto.

Per non dispiacere al padre, ed anche per ricordo della defunta madre, Maria indusse suo marito a rinunziare a favore di Bertrando la Contea di Andria, contentandosi di avere, in ricambio, trentamila once di oro.

Rimasto assoluto padrone di Andria il Conte Bertrando Del Balzo, tutto si dedicò a migliorare le sorti della città, unitamente al figlio Francesco, il quale, nel 1348, andò sposo alla Principessa Margherita, vedova di Odoardo, Re di Scozia. La Regina Giovanna, a premiare Bertrando Del Balzo dei grandi servizii che le avea resi, specialmente nella lotta con Ludovico d’Ungheria, decorò del titolo di Duca il figlio Francesco, assegnandogli ancora alcune altre terre di Puglia. Così Andria fu decorata del titolo Ducale.

Francesco I del Balzo ebbe da Margherita due soli figli, Antonia e Giacomo, la prima andata sposa al Re Federico di Sicilia, il secondo impalmò la Principessa Agnese, figlia di Carlo III di Durazzo, divenuto Re di Napoli. Ma questo imeneo fu presto seguito dal talamo funereo! Caduto in disgrazia del Re Carlo III di Durazzo, il povero Giacomo Del Balzo, dopo d’aver visto assassinata la moglie Agnese, ebbe tale dolore, che di lì a poco vi lasciava ancor egli la vita! …

Intanto Francesco I De Balzo, dopo la morte di sua moglie Margherita, trovandosi ancora in fresca età, era passato in seconde nozze a Donna Sveva Orsini, dalla quale ebbe due altri figli, Guglielmo e Bianchini.

Nel 1406 Guglielmo andò sposo alla Contessina Antonia De Brunforte, Conte di Bisceglie, dalla quale ebbe un unico figlio, cui dette il nome di Francesco. Ed è di questo Francesco che imprendiamo ora a parlare.

Francesco II del Balzo nacque dunque in Andria nel 1410 da Guglielmo e Antonia Brunforte, morta di lì a poco, tumulata nella Chiesa di S. Maria Vetere.

Giunto all’età matura Francesco II Del Balzo impalmò la nobildonna Saucia di Chiaromonte, figlia di Tristano e di Caterina Orsino Balzo. In quel tempo aspra era la lotta fra Alfonso di Aragona e la Regina Giovanna II, che aveva adottato a suo erede del Trono di Napoli Renato, Duca d’Angiò. Il nostro Duca Francesco II Del Balzo parteggiava per l’Aragonese, unitamente a Gianantonio Orsino.

A difesa di Renato d’Angiò si unì Iacopo Caldora, il quale, nel 1436, dopo aver preso Lavello, ed assediato Barletta, venne in Andria, difesa dal nostro Duca Francesco II Del Balzo e dall’Orsino. Discacciato da Andria il Caldora ed anche da Venosa, si ridusse a Bari, dove addivenne ad una tregua coi suoi avversarii. Intanto, unitosi al Caldora Giovanni Vitelleschi (Patriarca d’Alessandria) in favore degli Angioini (protetti dal Papa Eugenio IV), molte città della provincia di Bari caddero nelle mani del Caldora e del Patriarca Giovanni Vitelleschi, fra le quali Ruvo, Terlizzi, Trani ed Andria, dove presero quartiere le armi del Vitelleschi, nato più per la vita militare che per l’ecclesiastica.

I cittadini andriesi, animati dal nostro valoroso Duca Francesco II Del Balzo ricorsero alle armi. Terribile fu la lotta, nella quale più di 300 andriesi vi lasciarono la vita, mentre dei seguaci del Patriarca Vitelleschi ne morirono oltre a settecento.

Riuscito vittorioso Alfonso d’Aragona, il nostro Duca Francesco II Del Balzo venne nominato Gran Contestabile del Regno, pur mantenendosi nella Duchea di Andria. Che se tanto fu prediletto il nostro Francesco da Alfonso di Aragona, non meno lo fu poi dal figlio Ferdinando (succeduto, nel Reame di Napoli, al padre, morto il 27 Giugno 1458), di cui era cognato.

Intanto salito al trono Ferdinando d’Aragona, il Principe di Taranto, Gianantonio Orsino, non sappiamo per quale corruccio, si pose di fronte al Re ed al suo parente Francesco II Del Balzo, parteggiando per Giovanni (l’Angiò, che venne a contendere il regno a Ferdinando d’Aragona. Venuto a battaglia i due rivali, Ferdinando d’Aragona ne portò la peggio.

Lasciando da parte gli avvenimenti di questo contrasto, da noi già riportati nel I. volume, diremo solo che il Principe Orsino, non avendo potuto ottenere l’adesione del suo congiunto Francesco II Del Balzo, nel 1462, volse le armi contro Andria, per avere nelle mani Francesco Del Balzo e suo figlio Pirro, Signore di Minervino - Murge. Il valore addimostrato da Francesco del Balzo in tale incontro fu da noi già narrato nel I. volume di quest’opera (pag. 169 - 170).

Intanto, stanco delle lotte, Francesco II del Balzo pensò ritirarsi dai fasti del mondo e dalla politica, dedicandosi ad una vita tutta dedita alle pratiche religiose.

Già, per opera sua, era stato rinvenuto il Corpo di S. Riccardo, fin dal 1438; e devesi al medesimo la istoria di quella invenzione, che tanta luce portò alla storia della nostra città, fino allora avvolta nel bujo! … A lui devonsi pure la istituzione degli otto giorni di Fiera, (nei quali concedevasi al Capitolo della Cattedrale il così detto privilegio della Bandiera) e la concessione della terza parte di tutte le gabelle e dazi, che si esigevano dalla Università e dalla casa ducale.

A Lui devesi l’aver composto nel 1446 una strepitosa vertenza fra il Capitolo della Cattedrale e la Collegiata di S. Nicola, circa i diritti parrocchiali e l’associazione dei defunti.

Nel 1472, rinunziata nelle mani del Re Ferdinando d’Aragona la carica di gran Contestabile del Regno [2] Francesco II del Balzo tutto si dedicò a beneficare la sua città natale.

Fe restaurare Andria dai danni patiti nell’assedio del Principe Orsino; fe costruire la porta, detta della Barra; fe innalzare, nel centro della città, un pubblico orologio. Istituì un’altra fiera (oltre a quella innanzi detta), quella cioè intitolata a S. Giovanni, che cominciava il 24 e terminava il 30 giugno d’ogni anno. A sua iniziativa fu rifusa ed ingrandita l’antichissima campana della Madonna, per la torre del nostro Duomo. Per opera sua fu compiuto il Convento dei Domenicani, già iniziato da suo avo Francesco I Del Balzo, ed ingrandita l’annessa Chiesa. L’ingrandimento della Chiesa di S. Maria Vetere devesi pure alla sua ducale generosità. A favore del Monistero di S. Domenico accordò quattro miglia di mare nell’Adriatico (possessione a lui pervenuta come beni burgensatici) ecc. ecc.

Il Duca Francesco II Del Balzo morì in Andria il 1482, nell’età di anni 72. La sua spoglia è depositata nella Sacrestia della Chiesa di S. Domenico (visibile ancora, e conservata intatta, in cassa foderata di cristalli), dove pure si vede un modesto busto marmoreo (unico monumento che ricorda questo illustre cittadino andriese) fatto scolpire, per gratitudine, dai PP. Domenicani.

Alla morte di Francesco Il del Balzo, la Duchea Andria passò al figlio Pirro, il quale, disgraziatamente, fu fatto sgozzare nel Castel Nuovo di Napoli da Re Ferdinando d’Aragona, perché ritenuto fedifrago, essendosi unito agli altri Baroni del Regno, nella congiura di Alfonso d’Aragona contro suo padre Ferdinando! Né soddisfatto d’avergli tolta la vita, Re Ferdinando confiscò tutti i beni di Casa del Balzo, assegnandoli al suo secondo genito Federico.

Così la Duchea di Andria e Castel Del Monte passarono a Federico d’Aragona, e la famiglia Del Balzo esulò da Andria, prendendo stanza in Napoli, dove tuttora si propaggina nei suoi illustri discendenti, sotto il nome di Del Balzo di Andria.

2. Vincenzo Carafa. Anche di questo illustre nostro concittadino non esiste in Andria un monumento, una lapide, una via a lui intitolata [3]; che lo ricordi ai posteri qual valoroso Cavaliere e grande benefattore della città! … Della famiglia Carafa abbiamo pure largamente discorso nel I. volume di quest’opera, cominciando da Fabrizio I (1552) sino a Carlo (1799), ultimo Duca di Andria di Casa Carafa, la quale, vistasi confiscata dei suoi beni in Andria da Re Ferdinando I di Borbone, si ritirò in Napoli, mantenendo il solo titolo onorario di Duca d’Andria.

Vincenzo Carafa nacque in Andria, secondo genito di Fabrizio I [4]. Alla morte del padre (1557) successe nella Duchea d’Andria il primogenito Antonio, morto nel 1560, lasciando incinta la sua Consorte D. Adriana Carafa (sua parente), la quale dette di lì a poco alla luce un pargoletto, cui fu dato nome di Fabrizio II. Alla morte di Antonio, la Duchea di Andria passò nelle mani del nostro Vincenzo Carafa, il quale continuò anche a tenerne la tutela del piccolo Fabrizio II, suo nipote, sotto la reggenza della madre Donna Adriana Carafa, finché Fabrizio II non giunse all’età adulta.

Vincenzo Carafa fu uno di quei prodi Cavalieri, che tanta parte ebbe nella famosa battaglia contro i Turchi, nelle acque di Lepanto.

Avendo i Turchi già tolta ai Genovesi l’Isola di Scio (1566), e poscia soggiogata la città di Malta, e la bellissima isola di Cipro, con poderosa armata penetrarono nell’Adriatico, mettendo a sacco e fuoco molte città d’Italia.

Il nostro Duca Vincenzo Carafa, unitamente ai Veneziani e ad altri principi italiani, a proprie spese, fatta accolta di gente armata (fra i quali quattro altri nostri concittadini Giammarco Quarti, Cesare Marulli, Federico Leopardi e Marino Filangieri, tutti quattro appartenenti a famiglie patrizie di Andria), venne a giornata contro i Turchi, discacciandoli dall’Isola di Malta. Pel valore addimostrato dal nostro Vincenzo Carafa, e dai quattro sunnominati patrizi andriesi, Re Filippo II di Spagna, allora Re di Spagna e di Napoli, decorò il Carafa della Gran Croce di Malta, del titolo di Priore d’Ungheria, ed indi lo nominò Capitano Generale delle Galee dell’ordine di Malta [5].

Intanto, assunto al Pontificato Papa Pio V, a fiaccare l’audacia della mezza luna, pensò formare una santa lega tra i Veneziani ed i Principi italiani. Allestita quindi un’armata di dugento galee, (trenta delle quali del Vicereame di Napoli, tenuto dal Vice Re il Duca d’Alcalà), venne affidato il supremo comando a D. Giovanni d’Austria, fratello naturale del Re Filippo, il quale il dì 22 maggio 1571 erasi unito a quella santa lega.

Il nostro Vincenzo Carafa, all’invito di Papa Pio V, volenteroso accorse a Messina, dove, unitosi agli altri Crociati, mosse pel Levante, incontrandosi, presso le coste di Epiro, con l’armata ottomana, forte di dugento quarantasette navi da guerra. Il dì 7 ottobre di quell’anno 1571 l’armata ottomana, uscita dal golfo di Lepanto, presso le isole Curzolari (dette dagli antichi Echinadi) s’incontrò con le armi cristiane, ingaggiando battaglia.

Grande prova di valore dette il nostro Duca Vincenzo Carafa, unitamente all’Ammiraglio Doria ed a Marco Colonna, i quali ebbero la fortuna di veder fiaccata la mezza luna. Tornato a Napoli, dopo quella strepitosa vittoria, Vincenzo Carafa, dal Re Filippo II, venne nominato Consigliere di Stato e Maestro Generale di campo delle truppe italiane.

A questo valoroso Andria deve pure eterna gratitudine pel gran bene che fece alla nostra città, quando tenne la tutela del minorenne Fabrizio II. A Vincenzo Carafa devonsi anche molte opere pie, fra le quali l’introduzione dei Frati Cappuccini in Andria, e la costruzione del loro Convento e dell’annessa Chiesa, sul frontone della quale leggesi la seguente iscrizione: Sacra ædes Vincenti Carafa aere fundata A. D. 1573, ope fidelium restaurata 1843 [6].

Nel soccorpo di Santa Maria dei Miracoli, sull’altarino a man destra, vedesi, su d’una tela rappresentante la Vergine, prostrato Vincenzo Carafa con la divisa militare del secolo XVI. Sotto questo altare, pochi anni fa, fu scoperta una lapide (fatta poi collocare a lato di questo altare), che ricorda il valoroso nostro concittadino Vincenzo Carafa.

Non si conosce l’anno di sua morte.

3. Flavio Giugno, nacque in Andria il 1468. Fu medicò alla Corte di Lorenzo de Medici in Firenze. Pubblicò varie opere, fra le quali cento epigrammi in lingua latina, dal titolo: Centum Veneres, seu Lepores: stampati in Firenze: una 2ª. edizione stampata in Venezia; ed una 3ª. in Napoli. Questo celebre medico morì in Andria nel 1550, e fu tumulato nel Convento di S. Agostino, dove leggesi la seguente epigrafe: Ossua el cineres Flavii Iunii 1550. Il suo palazzo passò ai Conti Marulli, indi al Conte Aggiutorio, finalmente al Sig. Riccardo Porro (alias Impicciatore). Oggi è proprietà del Cav. Riccardo Ceci fu Diodato. Non avendo eredi, cui assegnare il suo palazzo, il Medico Flavio Giugno, nel suo stemma, fece scolpire queste parole: Flavius Iunius nec sibi, nec suis, sed cui Deus, et dies.

4. Bernardo Tesoriori, nacque in Andria nel 1551. Fu celebre istoriografo, molto rinomato e citato da illustri scrittori di storia, fra i quali specialmente il Muratori, negli Annali d’Italia. Egli pubblicò, in lingua latina, un’opera in otto volumi, dal titolo: Chronicæ Rerurn Italicarum. Morì sulla fine del XVI secolo.

5. Ferdinando Fellecchia, nato in Andria nel 1653, fu valente Medico e distinto poeta. Studiò lettere in Napoli, indi dedicossi alla medicina, dove riuscì celebre. Pubblicò in Napoli, pei tipi del Castaldo nel 1685 un Poema sulla vita e miracoli di S. Riccardo, che riscosse la generale ammirazione.

6. Domenico Gentile, nacque in Andria sulla fine del secolo XVII. Fu celebre Giureconsulto. Nel 1730 occupò la Cattedra di Giurisprudenza alla Università di Napoli, dove pubblicò parecchie opere legali, molto apprezzate dai Giureconsulti. Fu anche distinto letterato e poeta geniale. Morì nella prima metà del secolo XVIII.

7. Il Marchese Flavio Gurgo, nato in Andria nella prima metà del secolo XVIII, tenne la Reggenza della Vicaria di Napoli, dove molto si distinse per le sue legali deliberazioni, raccolte in due volumi e pubblicate in Napoli.

8. Il Cavaliere Domenico Antonio Rossi, nacque in Andria sulla fine del secolo XVII e mori in Napoli nel 1754. Fu distinto Giureconsulto e Consigliere del S. R. G. di Napoli. Pubblicò alcuni dotti comentarii sulle leggi allora vigenti nel Napoletano.

ritratto di Michele Attumonelli - Palazzo di Città, Andria
[Ritratto di Michele Attumonelli - Palazzo di Città, Andria]

9. Angelo Massaro, nato in Andria nel principio del secolo XVIII, morì in Parigi, ove occupò, per molti anni, la Cattedra di matematica. In questa scienza divenne sommo, tanto da essere annoverato, dopo sua morte, fra gli uomini illustri di quella Metropoli; ed un suo ritratto fu sito nella gran sala dei personaggi illustri di Parigi.
Fu anche addottorato nelle discipline filosofiche e nella numismatica. Pubblicò a Parigi un corso completo di matematica, ed alcuni volumi di filosofia e numismatica, assai apprezzati dai dotti.

10. Il Cav. Michele Attumonelli nacque in Andria nel 1753 e morì a Parigi il 16 Luglio 1826. (Di questo sommo abbiamo fatto cenno nel I. volume (pag. 433), parlando del legato di L. 5000 lasciato al nostro Capitolo, per sovvenire ai poveri della città, e per una messa solenne nel dì di sua morte, largendo la somma di lire 500).

Michele Attumonelli, giovanetto, fu alunno nel Seminario di Andria. Smesso l’abito talare, recossi a perfezionare i suoi studii in Napoli, dove si addottrinò in medicina. Nel 1788 pubblicò un’opera dottissima dal titolo: Elementi di Fisiologia Medica, o Fisica del corpo umano, che gli procurò gran rinomanza. Chiamato ad occupare la Cattedra di Medicina all’Università di Parigi in Francia, ivi pubblicò poscia molti opuscoli apprezzatissimi, specialmente quelli sulle acque minerali, e sulla botanica. Ebbe l’onore d’esser nominato primo medico di Corte, e decorato dal titolo di Cavaliere.

L’Attumonelli era ascritto alle principali accademie d’Europa, ed onorato di vari titoli cavallereschi. Fu tumulato nel cimitero del P. La Chaise, ove gli fu eretto un monumento. Un ritratto di lui fu pure sito nella gran sala degli uomini illustri a Parigi.

Il Durso, nella sua storia d’Andria, riporta un’ottava del Sig. Francesco Gianni Romano (allora Console a Parigi), il quale così descrive il celebre medico Attumonelli:

Robusto aspetto, ed ampia fronte, e negro
Il crine, il ciglio, e negra la pupilla,
Faceto il labro, ed il sembiante allegro,
L’alma contenta, e l’indole tranquilla.
D’Ippocrate seguace, al pallid’egro
Spirti di vita ne le membra instilla
Con l’alto ingegno che di mano a morte
Fè sovente cader lo stral più forte.

11. Il Cavaliere Michele Troja. Un altro illustre concittadino fu il Cav. Michele Troja; doppiamente illustre, e per merito personale, e per aver dato i natali a Ferdinando e Carlo, il primo Vice-Presidente della Suprema Corte di Giustizia in Napoli, il secondo resosi famoso per la storia del Medio Evo e per gli studii su l’Alighieri [7]. Il Cav. Michele Troja nacque in Andria di modesta famiglia. Fu alunno del nostro Seminario e condiscepolo del Cav. Michele Attumonelli. Lasciato l’abito talare, coll’Attumonelli si condusse in Napoli a studiare Chirurgia, nella qual scienza riuscì tanto sommo, che il Re Ferdinando lo destinò a primo Chirurgo della Corte, decorandolo di varie onoreficenze. Egli si rese celebre in Napoli colle sue scoperte intorno alla fabbrica dell’uomo. Pubblicò un’opera sulla vescica crinaria, e poscia un’altra’opera sulla riproduzione, ossia rigenerazione delle ossa [8], che lo resero celebre in tutto il mondo. Questa seconda opera fu tradotta in tutte le lingue europee. Michele Troia morì in Napoli nel 1827.

12. Il Cavaliere Tommaso de Liso nacque in Andria il 28 Dicembre 1764. Fu eminente giureconsulto. Dopo d’aver esercitato, con plauso, l’Avvocatura in Andria, fu chiamato alla magistratura in Napoli, dove fu presidente al Tribunale Civile e poscia alla Corte di Appello in quella nobile città. Nel 1817 da Re Ferdinando di Borbone fu nominato Consigliere di Giustizia del Regno, coll’ufficio speciale di Procuratore Generale del Re presso la gran Corte Civile di Trani. Indi passò a Palermo coll’incarico di organizzare i Collegi giudiziari al di là del Faro.

Nel 1814, da Gioacchino Murat, allora Re di Napoli, il De Liso fu mandato Commìssario Generale nelle Marche, dove la sua abilita politica, di fronte alla S. Sede, talmente rifulse, da meritare una lettera di lode di Papa Pio VII. Il De Liso fu ascritto all’accademia Pontiana di Napoli, che cura lo studio delle scienze e delle arti utili, ed all’accademia degli Emeriti di Palermo.

Quest’altro nostro illustre concittadino morì in Molfetta il 1849, accolto da una sua figlia, ivi disposata [9].

13. Giuseppe Ceci. Grande riconoscenza deve Andria a questo illustre personaggio di Casa Cuci. Nacque Giuseppe il 30 Giugno 1817 da Riccardo e Mariolinda Barone. Ebbe la prima educazione nel rinomato Seminario di Molfetta; compì poi i suoi studii letterarii in Napoli alla scuola dei celebri letterati Cesare Malpica e Basilio Puoti. Laureatosi poscia in giurisprudenza, seppe conquistarsi in Napoli la considerazione dei più illustri giureconsulti del suo tempo. quali un Pisanelli, un Savarese ed altri. Tornato in Andria, tutto si dedicò a servizio della povera gente e delle Opere Pie, mettendo a traffico tutto il tesoro dei suoi studii e della sua dottrina. Vanno ricordate specialmente due sue monografie messe a stampa, una sulla Quistione Siciliana, che fu agitata nel 1848, e l’altra per la causa S. Lizio. Ed Andria, per lunga serie di anni, lo volle Sindaco, Consigliere Provinciale, e poscia Deputato al Parlamento Nazionale. Giuseppe Ceci fu d’un carattere inflessibile da non piegarsi a qualunque sopraffazione. Giuseppe Ceci era la mente dei suoi quattro fratelli Nicola, Diodato, Consalvo e Francesco, che facevan capo sempre da lui nell’amministrazione del loro vastissimo patrimonio.

Fu per lunghi anni, cioè dal 1835 sino al 1894, anno di sua morte, Presidente del Monte di Pietà, che arricchì con la sua sagace amministrazione e con suoi lasciti. Chiuso nel suo principesco palagio Barbadangelo, alla vista del mare, fra l’ombra dei verdeggianti ulivi e mandorli, sembrava che non si curasse della città; ma, invece, da quella campagna, era il Direttore dei suoi fratelli e nipoti, il consigliere degli amici e delle classi meno agiate. E tutti si rivolgevano a lui per averne consigli; e tutti erano accolti con gentilezza di modi; e tutti tornavano in città pienamente soddisfatti. Giuseppe Ceci morì il dì 11 Marzo 1894, munito di tutti i conforti della Chiesa, compianto da tutta la cittadinanza andriese.

ritratto di Stefano Iannuzzi - Palazzo di Città, Andria
[Ritratto di Stefano Iannuzzi - Palazzo di Città, Andria]

14. Prof. Stefano Iannuzzi. Dal gentiluomo Nicola e Maria de Rosa nacque in Andria, il 30 gennaio 1838, il Professore Stefano Iannuzzi, vera illustrazione della nostra città. Il Padre suo, colto nel diritto e nelle lettere, largamente pur fornito di avito censo, anziché pensare ad aumentarne il patrimonio di famiglia, pensò alla istruzione ed alla educazione dei suoi figli, ben comprendendo che la istruzione e la educazione formano il vero patrimonio, e non il patrimonio la felicità dell’uomo.

Perciò, compiuti gli studi primari in Andria [10], dal padre fu inviato a Salerno a compiere gli studi letterari, e poscia a Napoli i giuridici, sotto la sapiente guida dei celebri Professori Pisanelli, del Rocco, Paolo Emilio Imbriani, Pessina, e La Volpe. Quanto avesse profittato il Iannuzzi alla scuola di questi grandi, lo dimostra il fatto che, appena ventitreenne, sostenne uno splendido esame, conseguendo la nomina di magistrato, ed ottenendo la laurea in diritto, con decreto ministeriale, senza esame. A 25 anni, non ancora compiuti, il Iannuzzi già insegnava in Napoli Istituzioni di diritto romano, e di diritto e procedura civile! A 27 anni, cioè nel 1865, vacata la cattedra di diritto e procedura civile nella Università di Ferrara (che negli antichi tempi era parificata alle Università di Parigi e di Bologna, ed ebbe l’onore di avere avuto a professore un Torquato Tasso), il nostro concittadino Iannuzzi, dal consesso dei Professori dell’Università di Napoli, venne, all’unanimità, prescelto ad occupare quella antichissima ed importante cattedra. Però, la sua malferma salute non gli permise di continuare l’insegnamento in quella città, ed abbondonata Ferrara, fece ritorno al mite clima di Napoli, dove fu presto nominato professore di diritto civile complementare, e poscia professore ordinario di diritto commerciale e marittimo del R. Istituto Tecnico di quella Metropoli, cattedra che mantenne per ben venti anni.

In questo frattempo il Iannuzzi pubblicò moltissime opere giuridiche, che, per brevità non possiamo qui tutte enumerare. Principalissime furono il Discorso sul Codice civile, edito a Firenze nel 1866; il Trattato sulle assicurazioni terrestri a premio; Studi di diritto e procedura civile; Nozioni elementari sulle disposizioni che precedono il Codice civile; Elementi di diritto civile e sulla cittadinanza; Del diritto dello Stato sugli oggetti di belle arti; Manuale d’introduzione alle scienze giuridiche ed Istituzione di diritto civile, ecc., ecc., oltre a molte monografie, discorsi, necrologie, ecc. … Collaborò pure in molte effemeridi e periodici legali, come il Filangieri, la Rassegna giuridica, la Gazzetta del Procuratore, la Enciclopedia giuridica italiana del Vallardi, ecc.

Il Iannuzzi fu tra i più distinti Avvocati del foro Napoletano del suo tempo, tenendo molto alla dignità della toga, e tutelando coscienziosamente gl’interessi dei clienti, che numerosi a lui affluivano.

Fu anche esimio letterato ed artista. Amicissimo del Manzoni, del Mancini, del Vannucci, del Borsari, del Fornari, dello Sclopis, del Palizzi, del Veltri, del Morelli e di altri sommi, la sua casa in Napoli era, in gran parte, occupata dalla ricca biblioteca e dalla pinacoteca, che raccoglieva una quantità di quadri di valenti artisti.

Era ascritto a molte Accademie nazionali, come la R. Accademia di scienze, lettere ed arti degli Agiati in Rovereto; la Pontaniana e quella del R. Istituto d’incoraggiamento di Napoli; alla Società Reale di Lucca; all’Ateneo di Bergamo; all’Associazione Nazionale degli scienziati, letterati ed artisti ecc.

La fama che si era acquistato a Napoli il Iannuzzi non poteva lasciare indifferenti i suoi concittadini, i quali, nel 1890, lo portarono Deputato al Parlamento Nazionale, in compagnia del Bovio, del Pansini, dell’Imbriani. Nella Camera egli rimase due anni, dove si distinse specialmente nel descrivere le miserande condizioni della Puglia, proponendone gli opportuni rimedii, per riparare alla crisi, che l’affliggeva, e nel discorso sulla economia nazionale e le scuole. La sua malferma salute non gli consentì riproporre la candidatura politica, e si ritirò a vita privata.

Il Iannuzzi fu poi soprattutto cristiano nel vero senso della parola, anzi cattolico, apostolico, romano, convinto. E questa è la maggior sua gloria.

Egli morì in Napoli il 3 Luglio 1906.

Sulla facciata del palazzo, ove il Iannuzzi nacque, fu murata la seguente iscrizione dell’illustre Torelli di Napoli, che riepiloga egregiamente la vita dell’illustre uomo andriese.

A STEFANO IANNUZZI
QUI NATO IL XXX GEN. MDCCCXXXVIII
MORTO IN NAPOLI IL III LUGLIO MCMVI
DELLA SCIENZA DEL GIURE
PROFESSORE E SCRITTORE PROFONDO AMMIRATO
ANCHE FUORI D’ITALIA
DELLE LETTERE DELLE ARTI BELLE PASSIONATO CULTORE
UOMO SEMPLICE INTEGRO GENEROSO
CHE NEL FORO E NEL PARLAMENTO NAZIONALE
SEMPRE IL GIUSTO L’ONESTO VIRILMENTE DIFESE
E TRA DOLORI MOLTI E LUNGA MALATTIA
FU ESEMPIO AI GIOVANI D’INSTANCABILE OPEROSITÀ
A TUTTI DI CRISTIANA FORTEZZA
QUESTO COMUNE
ALTERO DI SÌ NOBILE FIGLIO
UNANIME POSE
―――――――
APRILE MCMVII

Un’atra lapide, dettata dal Prof. R. Bracco di Napoli, fu murata nella sala delle lapidi del Palazzo di Città, che qui, per brevità, omettiamo.


15. Il Commendatore Riccardo Ottavio Spagnoletti. Un altro illustre andriese, contemporaneo al Prof. Iannuzzi, fu Ricc. Ottavio Spagnoletti, nato in Andria nell’Ottobre del 1829 dal gentiluomo Ottavio e Donna Maria Clementina Ferrara. Di forte ingegno, più che ai pedagoghi, deve a se stesso la profonda cultura letteraria, formatasi sui modelli dell’Alighieri e del Manzoni. Giovanetto fu alunno dell’illustre Canonico teologo della nostra Cattedrale, D. Berardino Frascolla, poscia primo Vescovo di Foggia. Dal teologo Frascolla, geniale poeta, ed oratore, Riccardo Spagnoletti ebbe il primo impulso negli studii letterarii, proseguiti poi da sé con tenace ardore, compulsando i volumi dei classici nostrani e stranieri.

Riccardo Ottavio Spagnoletti fu letterato autentico e poeta geniale. La sua prosa, curata sempre nella lingua e nello stile, è ammirata per la sua semplicità ed eleganza. I suoi versi, sia che cantino Dio, la famiglia, l’amore: vuoi che cantino la patria redenta, sono sempre ispirati, gentili, affascinanti. E, se lo Spagnoletti non si fosse dato anima e corpo alla politica, il suo nome oggi avrebbe un posto distinto fra i più insigni letterati e poeti del suo tempo, quali un Carducci, un Fogazzaro, un Rapisardi, ed altri sommi. Fu appellato dai suoi ammiratori il Poeta gentile della Puglia. Si dedicò pure agli studii storici, ed archeologici, rievocando le memorie d’illustri andriesi e descrivendo l’antica cripta di Santa Croce, studi che pubblicò in due monografie date a stampa. I suoi scritti letterarii, fatta eccezione di poche poesie, e di qualche monografia, restano tuttora inediti. Scoppiata la rivoluzione del 1848, lo Spagnoletti, giovanissimo ancora, si fece ardente propugnatore della rivoluzione italiana, cooperandosi tuttuomo alla ricostituzione della nuova Italia. E fu allora che dové subire maltrattamenti ed angarie, ed il vasto patrimonio di sua famiglia ne risentì forte scossa, essendo casa Spagnoletti divenuta ricettacolo di patrioti nostrani e forestieri. …

Venuto il 1860, lo Spagnoletti, anima della rivoluzione, patriota a tutte pruove, occupò i più distinti posti nella Provincia di Bari e fuori. Fu Membro del Governo Provvisorio della nostra Provincia; poscia Regio Commissario di Barletta e Monopoli; Deputato e Consigliere Provinciale; Assessore e consigliere del Municipio di Andria; Delegato Scolastico e Sopraintendente governativo; finalmente Deputato al Parlamento Nazionale.

Devesi allo Spagnoletti il trasloco della colonia agricola da Giovinazzo in Andria, sua patria, e la istituzione della Scuola Tecnica.

Lo Spagnoletti ottenne varie onorificenze, fra le quali la Commenda di Spagna dal Re Amedeo di Savoja.

Riccardo Ottavio Spagnoletti morì il 6 Novembre 1892. Nell’Albo Pretorio del Municipio di Andria leggesi la seguente epigrafe: «Il Popolo riconoscente lo addita ai Fattori dell’avvenire, instancabile promotore di sapere e di civiltà».

NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)

[1] Vi è una via intitolata a Suor Caterina Del Balzo figlia di Bertrando (della quale abbiamo parlato nel I. volume. Per rapporto alla venuta in Andria degli Ungheri, che fecero prigioniera Suor Caterina in onta al padre, creduto difensore della Regina Giovanna, la quale fece strangolare suo marito Andrea, fratello del Re Ludovico di Ungheria), ma non esiste una via intitolata a FRANCESCO II DEL BALZO.
[2] Questa carica dal Re venne allora conferita al figlio, Pirro del Balzo, Signore dì Minervino.
[3] Esiste, invece, una piazza, intitolata ad un suo tardo nipote, Ettore Carafa, il quale, unitasi all'esercito repubblicano francese, portò la rovina in Andria nel 1799, secondo è narrato nel I. volume di quest'opera! … Vicende umane! …
[4] Fabrizio I ebbe quattro figli, Antonio, Vincenzo, Francesco ed Orazio.
[5] Gli altri nostri concittadini Quarti, Marulli, Leopardi e Filangieri, oltre alla croce di Malta, ottennero dal Re Filippo II alcuni poderi nei tenimenti di Andria.
[6] La primitiva iscrizione diceva Vincentius Carafa Magnus Hangariæ Prior Anno Domini 1573.
[7] Carlo Troja nacque a Napoli, il 1784. La sua fama di letterato insigne lo portò sino all'alto grado di Ministro della Pubblica Istruzione. Morì nel 1845.
[8] Questa seconda opera fu prima scritta in lingua latina e poscia in italiana.
[9] Il De Liso morì povero, mentre avrebbe potuto diventar ricco, per aver goduto la fiducia di Re Ferdinando e di Gioacchino Murat, alla di cui morte il De Liso consegnò a Ferdinando 10 milioni di ducati appartenenti alla cassa dell’esercito del Murat, senza che nessuno lo sapesse!
[10] Suo maestro fu il nostro caro zio, il Prevosto D. Nicola Agresti, cui il Iannuzzi serbò affetto e gratitudine per tutta la vita.

 [testo tratto da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi" di Michele Agresti, tipi Rossignoli, Andria, 1912, Vol II, pag. 209-221]