Il Duomo di Andria

Contenuto

da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi"

di Michele Agresti (1852-1916)

IL DUOMO DI ANDRIA

CAPO III.

Prònao della cripta - 1903
[Prònao della cripta - 1903 (l'immagine non è nel libro)]

Sommario:
- Continuazione della descrizione del Duomo
- La Cripta o soccorpo di esso
- Il presbiterio,     il coro     e le due sacrestie
- Arredi sacri, suppellettili ed altri oggetti appartenenti alla Chiesa ed al Capitolo Cattedrale
- L’Oratorio annesso al Duomo.


Uscendo dal Cappellone di S. Riccardo, del quale abbiamo parlato nel Capo precedente, uno spazioso vano [il transetto] si presenta, che mette capo alle tre navi del Duomo (dal lato opposto a quello descritto), ed al presbiterio, dove si accede per due lunghi gradini.
In cima al muro di questo vano (dal lato delle tre navi) vi sono tre spaziosi finestroni, che proiettano la luce sul Presbiterio, il quale è diviso dal resto della Chiesa da un arco di gigantesche proporzioni, a sesto acuto, che slanciasi per ben 72 palmi dal pavimento al soffitto [1].
Il soffitto di questo vano (che formava parte dell’antica Chiesa, come è detto innanzi) e tutto in tavole, rabescate di mediocri pitture, rappresentanti fatti biblici, avendo nel centro una gran tela, chiusa in larga e grande cornice, rappresentante l’apostolo San Andrea, titolare pure del Capitolo.
In cima al detto arco si vedono due leoni, che si arrampicano ad una quercia, rappresentanti lo stemma della città di Andria, sostenuto da due Angioli [2].
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Sul pavimento del medesimo vano, che taglia trasversalmente le tre navate, dal lato destro, e propriamente accanto alla Cappella del Crocefisso, vedesi un lungo e largo tavolato, che, presentemente, chiude l’ingresso della Cripta, o soccorpo [3]. Prima di salire sul presbiterio, e continuare la descrizione del rimanente della Chiesa, noi ci permettiamo di «sollevare quel rustico tavolato», e discendere, per poco, in questa Cripta (sicuri di non cadere in fragranza! ...), per farne la sua descrizione.
Scendendo dunque 17 gradini, ci troviamo in questa cripta, d’ogni luce muta, che sembra una vera tomba! ... [4]. Eppure questa cripta oscura manda tanta luce, che è valsa a rischiarare il buio pesto, in cui era avvolta la nostra città ed il nostro Capitolo! ... Rimandando il lettore a quanto abbiamo scritto di questa cripta nel primo volume, qui ci fermeremo a farne la descrizione materiale di quello che era la cripta sino al 1904, e di quel che è al presente.
Prima del 1904 era ingombra da un carcame di ossa umane e di terriccio! ... [5].
Fatto lo sterro di quelle ossa umane e di quel terriccio, due tombe, chiuse da pesanti lastre di pietra, furono scoperte nel 1904, che vuolsi fossero quelle delle due Imperatrici sveve, Iolanda ed Isabella, mogli di Federico II. Nello sterro furono trovati i ruderi di due sarcofaghi di stile ornamentale, ed alquanti frammenti di mausolei, come due piedi di zampe di leoni, in parte smussate (che doveano forse appartenere a qualche urna), archetti di pietra con bellissime aquile scolpite a rilievo, ghirlande di fiori, la testa di una leonessa, geroglifici, colonnette ed altro; tutti sullo stile del secolo XII, ciò che ci fa credere come quei ruderi appartenessero veramente ai mausolei delle due Imperatrici sveve Iolanda ed Isabella.
Tutti questi preziosi avanzi furono, nel 1904, chiusi in appositi armadii, muniti di cristalli, e custoditi nella medesima cripta. Qualche anno dopo furono poi trasportati sul loggiado del Duomo, che serve ora da museo [6].
Sgombrata la cripta di ogni cosa, e trasportati nel museo quei ruderi, fu fatto costruire, per sicurezza, un rozzo muro, che servisse di sostegno alla volta, che corrisponde sotto il pavimento del presbiterio.
Questa cripta è certamente di molto anteriore al Duomo, costruito nel secolo XI. Difatti, le Chiese dei secoli XI, XII e XIII hanno, per lo più, il presbiterio ed una navata trasversale [come l’ha il nostro Duomo], laddove le Chiese antiche sono di tutt’altra forma. La nostra cripta è composta di due parti, la prima delle quali, ad una sola nave, contiene tre pilastri nel mezzo, l’ultimo dei quali poggia su di una mensa di pietra, che serviva da al tare, dietro il quale si vede un muro semicircolare, che dovea forse servire di Coro ai Sacerdoti officianti, due finestre [ora murate] che prospettano l’oriente. La seconda parte, a due navi, contiene delle colonne in istile frammentario (cioè miste ad avvanzi di ruderi pagani), ciò che conferma l’antichita della cripta e della nostra città. Le volte, a crociera, sono formate di piccole e rozze pietre, senza intonaco; come di eguali pietre e senza intonaco sono i muri laterali. Doveano, forse, esser rivestiti di pelli, o di drappi, di cui si scorgevano alcuni brandelli, che sembravano ragnateli, quando fu sterrata la cripta. Queste volte poggiano su delle colonnine, alcune delle quali sono di granito.
La cripta misura la lunghezza di metri 20, la larghezza di metri 6 e centimetri 70, l’altezza di metri 2 e centimetri 80.
Questa cripta par che fosse dedicata al SS. Salvatore, come al Salvatore erano intitolate quasi tutte le Chiese antiche. Difatti, in una Bolla di Callisto II del 1127, si legge come il Papa concedeva ai Benedettini del Vulture la Chiesa di S. Nicola e del S. Salvatore, in Andria, e la Chiesa del Santo Salvatore, in Gurgo: In Andre Ecclesiam S. Nicolai et S. Salvatoris; in Gurgo Ecclesiam S. Salvatoris [7]. Ciò conferma Papa Alessandro III, can Bolla del 2 aprile 1175, data da Forenza a Filippo, abate del medesimo monastero, cui concede, tra gli altri possedimenti della Badia, quelli di S. Salvatore in Andria e quelli di S. Nicola in Gurgo: In Andre Ecclesiam S. Salvatoris; Ecclesiam S. Nicolai in Gurgo [8]. Ora, quale è questa Chiesa di S. Salvatore in Andria? ... Non può essere altra senonchè la Cripta, principale e, forse, unica Chiesa di Andria in quel tempo (1127-1175). Che, difatti, la Cripta fosse dedicata al Salvatore, lo prova l’Immagine del Salvatore, dipinta in faccia all’ultimo pilastro della Cripta [mancante però della testa], tenendo nella man sinistra un libro aperto, sul quale leggonsi queste lettere : L. E. S. M. (che furono interpretate Lux ego sum mundi), mentre la destra è in atto di benedire. Null’altro di rimarchevole trovasi in questa cripta, che ora resta nuovamente negletta ed inaccessibile, chiusa da quel rozzo tavolato, di cui sopra è fatto parola.
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Risalendo dalla Cripta, e percorrendo il vano sopra descritto (detto sotto presbiterio), si accede al grandioso Presbiterio per due spaziosi gradini di marmo. Di marmo, a mattonelle, è pure il pavimento del Presbiterio, chiuso da estesa e pregevolissima balaustra, con pilastrini di scelto marmo, intarsiato di rosso, avendo, nel centro, due solide valve scorniciate di ottone, vagamente traforate.
Questa balaustra fu costruita a spese del Vescovo Giambattista Bolognese, come ne attestano i due stemmi gentilizi, messi ai due lati dell’entrata sul Presbiterio.
Su questo amplissimo Presbiterio maestoso primeggia l’altare maggiore di marmi finissimi, formanti graziosi ed artistici rabeschi a varii colori. Tre grandiose teste di Cherubini, dalle ali spiegate, dai ricciuti capelli, siti, l’uno nel centro e gli altri due nei corni dell’altare, sono d’un pregio artistico, veramente ammirevole. Essi soli costarono la bella somma di mille ducati, come si rileva da carte del nostro archivio.
Dai due lati del Cherubino, messo nel centro dell’altare, si distendono due vaghi festoni di marmo bianco, dai quali vengon fuori spighe di grano, grappoli di uva e frutta, simboli dell’incruento sacrificio. Un ammirabile paliotto, pure di finissimo marmo, rabescato a varii colori, simboleggiando frutta e fiori, chiude la parte inferiore di detto altare, cui si accede per quattro grandiosi gradini di marmo.
Esso è opera dell’insigne scultore napolitano il Cav. Iacobo Colombo.
Fu costruito a spese del benemerito Vescovo Andrea Ariani, come ne attestano i due stemmi, siti ai due laterali dell’altare, rappresentanti un’Aquila [emblema del Vescovo Ariani].
Sul medesimo presbiterio maestoso sorge, sopra quattro gradini di marmo paesano, il trono episcopale, tutto in legno ben intarsiato e riccamente dorato, cui è sovrapposto un ampio Coretto, o Tribuna, a modo di Baldacchino, egualmente di legno dorato, al quale si accede dalle stanze del palazzo del Vescovo, ora adibite a Curia vescovile.
Questo trono e Coretto furono costruiti dal valoroso artefice andriese Tommaso Porziotta, ed a spese del Vescovo Domenico Anellis, patrizio e cittadino andriese. Al lato sinistro del Trono, in prossimità della porta che mette alla Sacrestia. si vedono sul muro i tre stemmi dei tre successivi vescovi Fieschi, cioè il Cardinal Nicola, Gianfrancesco, e Luca.
Di fronte al trono episcopale esisteva un altro Coretto, simile a quello innanzi descritto, cui si accedeva dalle stanze del palazzo Ducale, e serviva alla famiglia ducale, per assistere alle sacre funzioni della Chiesa. Quel coretto, opera pure dell’artista Tommaso Porziotta, fu distrutto nel 1848, (come è detto nel I. volume di quest’opera) per gli abusi, che il caduto feudalesimo aveva introdotto nella Chiesa. ...
Sul medesimo Presbiterio, a lato del distrutto coretto ducale, in cornu Epistolae dell’altare maggiore esiste un ampio abaco di marmo, detto volgarmente la Credenza, formata a guisa di altare, sormontata da una spalliera di marmo rabescato a varii colori, avendo ai due lati una testa di Cherubino alato, e nel centro due registri di gradini. La mensa è pure rabescata a marmi di varii colori; in tutto somigliante a quella dell’altare maggiore, testè descritto. Essa vien sostenuta da tre cornicioni di marmo ben scorniciati e scanalati. In cima di detto abaco si vede lo stemma del Capitolo, in marmo statuario.
Questo pregevole abaco è sito a ridosso di un’antica Cappella, dedicata, una volta, alla nascita del Messia [9], ed ora murata, per avervi collocato il detto abaco, o Credenza [10].
Di questa Cappella si vede ancora il suo primitivo ingresso [dal lato del presbiterio], formato da un cornicione a triangolo sporgente dall’architrave, mettendo capo ad una fascia arcuata di pietra, che lo cinge intorno. I pilastri, le basi, i capitelli, tutti di pietra viva, dimostrano lo stile gotico di detta Cappella, che certamente rimonta ad un’epoca assai remota [11]. Una seconda fascia corre nel mezzo, portando scolpite, in cima, piccole aquile coi vanni spiegati (emblema di casa sveva), ai lati, fiori, scudi, festoni, vasi rabescati, ed altri capricciosi gingilli, facendo da base un teschio di morte, dalle cui tempia diramansi due ali (simbolo del tempo che fugge), cui son sottoposti due corni. Nel centro di detta fascia si vedono due quadretti simmetrici l’uno portante scolpite nel mezzo le lettere A. D., l’altro l’anno 1544.
Sulla medesima fascia di pietra si vedono pure scolpiti a rilievo altri ornati di piante, di vasi, di colombe, di uccelli, che beccano l’erba nata nei vasi, non che due chiavi a forma di croce, armi, scudi, ecc.
Nei piedistalli dei pilastri osservansi degli scudi con nastri pendenti, e, nel fondo, tre chiocciole, emblema di casa Pellegrini, altra famiglia patrizia di Andria, ora scomparsa [12].
Sotto i pilastri sono scolpiti due leoncini e due teste di angioletti alati. Questo magnifico monumento d’arte, è formato sul modello del frontespizio della Chiesa di Porta Santa della nostra città [13].
Accanto alla detta credenza vedevasi sino al 1910 una porta, che metteva nell’antica Cappella del SS. Sacramento, situata in curnu Epistolae a canto dell’altare maggiore. Il Vescovo Lombardi, trovando indecoroso che l’altare del Sacramento fosse situato sul presbiterio, dove, il continuo passaggio dei fedeli disturbava le funzioni capitolari, nel 1805, fece trasportare l’altare del Sacramento nella Cappella del Crocefisso, messa sotto l’organo, di dove fu poscia trasportato nell’attuale Cappella (da noi innanzi descritta).
Nel 1826 il Vescovo Bolognese, vedendo che quella bellissima Cappella restava negletta, voleva che fosse stata dedicata all’Arcangelo S. Michele. Ma il Capitolo, ad evitare l’inconveniente del passaggio sul presbiterio, tanto più che questo, da poco, erasi chiuso con la stupenda balaustre (dal medesimo Vescovo Bolognese fatta costruire), propose di rimanere la devozione a S. Michele nella Cappella al medesimo dedicata (terza a mano della navata sinistra), e di chiudere l’antica cappella del Sacramento al culto, per adibirla ad altri usi capitolari. Annuente il Vescovo, il Capitolo fece costruire allora una porta, simmetrica all’altra che trovasi in cornu evangelii, che mette nella sacrestia capitolare, e cosi quella cappella, la migliore, forse, che trovasi nella Chiesa Cattedrale, fu adibita a deposito di legname, di utensili, di attrezzi d’ogni specie, ed anche della Castellana, (ossia il tumulo), che viene eretta nei funebri dei Vescovi e dei capitolari defunti; seppellendo così, sotto quel carcame di attrezzi, monumenti d’arte pregevolissimi, lapidi sepolcrali, lavori architettonici finissimi, stucchi, dipinti. ecc.! ...
Questa Cappella prese d’allora in poi il nome di Bussola! [14].
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Ma era tempo che questa Cappella venisse riportata al suo antico splendore! La Provvidenza la destinava a risorgere ancora più splendida di prima! E tutto il merito va dato a sua Eccellenza Mons. D. Giuseppe Staiti, il quale, in memoria dello stupendo e straordinario miracolo della S. Spina, avvenuto il 26 marzo 1910, volle che si destinasse una Cappella, per conservare più degnamente, e mettere in perpetua venerazione la Sacra Insigne Reliquia, tenuta fino allora negletta e chiusa in un astuccio nella Sacrestia del Cappellone di S. Riccardo! Sorse allora il pensiero di restaurare la Cappella, ridotta a Bussola! ... e dedicarla alla Sacra Spina.
Molte furono le contrarietà! Ma trionfò questa idea, sostenuta dalla maggior parte dei capitolari, ed appoggiata dall’Eccellentissimo Vescovo Mons. Staiti.
Si ricorse all’obolo dei cittadini (oltre alle contribuzioni del Vescovo e del Capitolo), entusiasti per l’avvenuto straordinario prodigio, (del quale parleremo in seguito) e fu affidata la direzione dei restauri di questa Cappella al valoroso e benemerito Ingegnere Sig. Riccardo Cav. Ceci di Francesco.
Primo suo pensiero fu quello di abbattere la porta, che metteva in questa Cappella, ed il muro che la chiudeva, per sostituirvi una ricca cancellata, che mettesse in vista l’interno della Cappella e la Sacra Reliquia. Se non che, nell’abbattere il muro di fronte, vennero fuori dei veri capolavori d’arte scultoria di gran valore. Due colonne scanalate con pregevoli capitelli smussati, uno stupendo arco, fregiato di foglie, scolpite con arte finissima, ed altri rabeschi di gran pregio, in gran parte sfregiati, vennero alla luce! [15]
Per opera dei bravi scalpellini fratelli Casieri di Andria, furono riparati quei sfreggi, e rifatti a nuovo alcuni pezzi smussati.
Ci duole di non poter continuare la descrizione dei lavori, in marmo, che si vanno eseguendo in questa Cappella dal valoroso scultore Nicola Basso di Trani, sotto la direzione del sullodato Cav. Ingegnere Ceci, perchè ancora sono in via di costruzione, mentre pubblichiamo la nostra istoria. Il solo altare maggiore ed i basamenti dei muri interni (tutto di marmo finissimo) sono già al posto. Però, sulla guida del disegno dell’illustre Ing. Ceci, possiamo qui dare un modesto concetto di quel che conterrà la detta Cappella.
Sul pregevolissimo altare di marmo (nel centro del registro superiore) sorgerà un tempietto, con colonnine ornate di basamenti e capitelli, artisticamente lavorati, sorretto da tre graziosi angioletti alati. Questo artistico tempietto raccoglierà la ricca Teca d’argento, (in forma di Ostensorio, alto 82 centimetri) contenente la preziosa reliquia. Esso sarà chiuso, a guisa di cassa forte, avendo da un lato una porticina (munita da serratura), per estrarre la teca, quando occorrerà. Il prospetto del tempietto sarà chiuso da doppio cristallo, che renderà visibile al pubblico la S. Spina. Sulle mura laterali della Cappella verranno scolpiti a basso rilievi i vari prodigi, verificatisi lungo il corso dei secoli quelli, però, dei quali si ha certa notizia [16].
La volta verrà tutta ornata di finissimo stucco, fregiato di rabeschi ad oro zecchino. Un finestrone, messo a ridosso dell’altare, chiuso da solida cancellata e da cristalli colorati, proietterà una sbiadita luce in questa Cappella, la quale verrà chiusa da ricca ed artistica cancellata.
Il pavimento sarà tutto coperto di finissimo marmo a disegni [17], come egualmente di marmo saranno ricoperte le pareti laterali di detta Cappella. Una lapide marmorea (messa sul muro destro di chi entra in questa Cappella) porterà incisa la seguente Epigrafe, dettata dal valoroso latinista De Maria di Napoli:
Prodigiosae. Spinae.
Sacrosanctae. Iesu. Ch. Coronae.
Quae. Feria. VI. Hebdomadae. Mojoris.
Quando. Festum. Annuntiationis. B. M. V.
Simul. Inciderit.
Vivido. Colore. Sanguineo.
Mirandum. In. Modum. Rubescere. Conspicitur.
Andriensi. Civitati. Secundarum. Rerum. Nuntia.
Quod. Prodigium. An. D. MCMX Non. Quidem. Feria. VI,
Sed. Sabato. Inseguenti. Patratum.
Per. Ipsos. Quadraginta. Dies. Perduravit.
Cum. Nullo. Apposito. Loculo.
In. Hoc. Maximo. Ac. Principe. Templo.
Veneranda. Theca. Pro. Sua. Dignitate. Custodiretur
Ioseph. Staiti.
Ex. Marchionibus. Brancaleonis.
Andriensis. Episcopus.
Ad. Perpetuam. Etiam. Apud. Seros. Posteros.
Singularis. Prodigii. Memoriam.
Hoc. Delecto. Ex. Marmore. Conditorium.
Aere. Suo. Capit. Cath. Et. Collatitio. Parandum. Curavit.
Aram. Que. Majoribus. Coeremoniis. Dedicavit.
………………… [18]
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Ritornando al Presbiterio, un ampio finestrone, messo in cima all'ingresso della su descritta Cappella della S. Spina, fa simetria coll’altro simile finestrone, messo in cima al muro, che contiene la porta d’ingresso nella Sacrestia capitolare.
In cornu Evangelii dell’altare maggiore, sul Presbiterio, è sito il così detto Banco di S. Nicola, costruito dal Capitolo di quella Collegiata Insigne, dove siedono quei Rev. Capitolari, tutte le volte che intervengono all’assistenza delle Sacre funzioni nella Cattedrale [19]. Esso è formato a tre registri con relativa spalliera, ed è addossato al muro, che metteva nell’antico Sacrario, di cui si vede ancora il vecchio arco.
In cima al Banco di S. Nicola, a ridosso del muro, si veggono incisi su targhe di pietra tre stemmi, quello del Vescovo Florio, di Mons. Soto Major, e del Vescovo d’Atella.
Due superbi cornucopii di ottone, messi a destra ed a sinistra dei muri laterali di chi entra sul presbiterio [20], ed un grandioso candelabro con varii bracci, diversamente ritorti e carichi di grossi prisma di cristalli, messo nel centro del grande arcato, formano l’ornamento di questo spazioso presbiterio. A ridosso del muro, dove è sito il trono Episcopale, dal lato della porta che mena nella Sacrestia, si vede una lunga targa di legno che porta incisa la sentenza della Congr. del Concilio del 10 febbraio 1759, che dichiarava la Cattedrale l’unica Parrocchia della città e territorio di Andria.
Una pregevole fonte per l’acqua benedetta si ammira accanto all’ingresso della porta, che mette nella sacrestia capitolare. Essa è formata di puro marmo, a forma orbicolare a mezzo cerchio, striata di fuori. È sostenuta da una colonnina pure di marmo, la quale fino a pochi anni fa, poggiava su d’un antico e pregevole capitello di pietra viva, in cui sono scolpiti otto leoncini nei quattro angoli a foggia di Cariatidi [21] con delle foglie di acanto, ben intagliate, e due cornici che l’abbellano. Questo pregevole capitello è formato da un misto di stile gotico, longobardo e corinto. Esso, secondo l’opinione di valorosi archeologi, si apparteneva ad uno dei mausolei delle due Imperatrici sveve esistenti nella sopradetta Cripta.
Nel 1909, questo antico capitello venne tolto dalla fonte, e trasportato nel museo, per essere meglio custodito, sostituendovi un altro capitello, più semplice, eseguito dai nostri scalpellini. Un altro capitello simile, di marmo cipollino, ornato anche di foglie di acanto, intarsiato da nastri vergati a linee parallele con delle scannellature, era messo sul medesimo presbiterio, e serviva da piede al gonfalone capitolare, quando han luogo le processioni. Però, nel 1909, questo capitello fu pure trasportato nel museo, di cui è fatto innanzi parola.
Non sappiamo qual mano vandalica e sacrilega avesse abbattuto quel mausoleo, e dispersi tanti capolavori che l’adornavano! [22].
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In fondo al presbiterio sopra descritto, a ridosso dell’altare maggiore sorge maestoso lo splendido Coro, tutto in legno di noce, diviso in due ordini, comprendendo sessantuno stalli, incluso quello del Vescovo, che trovasi nel centro [23].
Questo pregevolissimo Coro è dovuto alla munificenza del Vescovo Ascanio Cassiano, il quale, distruggendo il vecchio Coro, resosi alquanto indecente, a tutte sue spese, fe costruire il nuovo coro [24], affidandolo alla perizia del valoroso artefice di Bagnoli, Scipione Infante. Due iscrizioni, messe ai piedi di detto Coro, ricordano l’una il nome del Vescovo e l’anno in cui fu costruito (cioè nel 1650), l’altra il nome dell’artefice: Magister Scipio a Balineo in principato ultra faciebat.
Gli stalli di questo Coro, commodi e ben intagliati, hanno un parallellogramma liscio alle spalle, sormontato da cornice e due colonnette ai fianchi con piedistalli e capitelli corinti, su cui poggiano i bracciuoli con cornice curva, portante sull’estremità la testa di un putto. Nella gran fascia, che cinge il primo ordine dei sedili, sono scolpiti dei Genii con istrumenti musicali, dei leoni, dei capricciosi draghi, delle teste di serpenti, degli struzzi, dei vasi di fiori, degli uccelli, aquile, pesci, lupi, centauri, ed altri ornamenti, fra i quali dei puttini, che strappano la lingua agli orsi, e, di quanto in quanto, degli stemmi del Vescovo Cassiano, e dei cappelli prelatizii. La fascia, che cinge la spalliera del secondo ordine degli stalli, porta intarsiate molte figure di grifoni, di puttini cavalcanti dei leoni, rinoceronti trattenuti per le corna, delle stelle, dei fiori, degli uccelli, dei puttini che suonano le tibie, le cetre ecc. La cresta del Coro, eretta su spaziosa cornice, presenta figure di scimmie, che sostengono lo stemma del Vescovo Cassiano, composto di tre colline con rosa e stella in cima.
Il Vescovo Cosenza, a sue spese, fe poi aggiungere ai due ordini di stalli, sopra descritti, altri due ordini di scanni, pure di noce massiccia, l’uno con spalliera e senza stalli per i diaconi e suddiaconi, che servono alla Chiesa, l’altro senza spalliera per i chierici e seminaristi.
I due lati, che mettono al Coro, portano l’uno impresso nel muro lo stemma del Capitolo, l’altro quello del Vescovo Franceschini, il quale, a sue spese, fe edificare il vasto vano, destinato poi ad accogliere il sopra descritto Coro. Nel centro di esso, e propriamente al di sopra dello stallo destinato al Vescovo, vedesi un ritratto ad olio di Mons. Ferrante, col di cui denaro fu ornato di pregevoli stucchi il vano che raccoglie il Coro.
L’arco della volta di esso, dal lato del presbiterio, porta nell’apice uno scudo, sostenuto da due serafini, su cui è scritto a grossi caratteri il motto: si vis cum Maria ad coelum ascendere descende.
Quest’arco poggia su due colonne, i di cui zoccoli sono di pregiatissimo marmo, fatti costruire dal Vescovo Palica, del quale ne portano lo stemma [25].
Tre grandiosi quadri, con dipinti su tela, formano l’ornamento principale di detto Coro. Quello in cornu Evangelii rappresenta Davide, che, a suon di arpa, precede l’arca del Signore, circondata dal popolo ebreo festante con timpani e sistri, mentre i figli di Abinadab (Oza ed Ozia) miseramente giacciono per terra fra le ruote del Carro, traente il benedetto vaso.
Il quadro in cornu Epistolae rappresenta Aronne, rivestito delle infule e del efod, che sacrifica un ariete sopra un grande altare suffuso d’incenso, mentre gl’Israeliti gli si affollano d’intorno.
Il terzo quadro, sito in cima alla volta del Coro, rappresenta il vitello d’oro, adorato dal popolo israelitico, ed il sommo sacerdote Aronne, obbligato ad offrirgli olocausto, fra una turba di vecchi, fanciulli, donne lattanti, che accorrono dai lontani padiglioni ad adorare. quell’idolo d’oro. A poca distanza vedesi pure il serpente di bronzo nel deserto; indi, in fondo, il Sinai, coinvolto di fumo e di fiamme, in cima al quale vedesi Mosè, che riceve da Ieova le tavole della legge.
Questi tre grandiosi dipinti sono opera del valente pittore Nicola Porta, il di cui nome si legge a piè dei detti quadri, chiusi da cornici a rilievo, di stucco ben ornato.
Un grande armadio, messo a ridosso dell’altare maggiore, serve a custodire i libri di canto corale, ed a far da leggio in detto Coro. Questo armadio fu fatto costruire dal Vescovo Cosenza, come pure dal Vescovo Cosenza fu fatto costruire l’altro pregevolissimo leggio movibile di noce massiccia, con finissimi intagli, fregiati di pampini e grappoli d’uva e di serpenti, attortigliati con le lunghe spire intorno ai piedi di esso. Nell’armadio si conservano sei libri corali antichi, in pergamena, scritti alla gotica, fregiati di vivaci miniature e di preziosi ornamenti e rabeschi. Essi furono scritti prima della riforma dei Messali, ordinata da Pio V. Fra questi sei libri uno ne primeggia di gusto squisitissimo, per le miniature che lo abbelliscono nei singoli margini e nelle lettere iniziali. Il vandalismo di barbari cittadini ha lasciato appena intatte due sole lettere e parecchi margini di quel libro, che bastano a far intuire il valore inestimabile di quel corale. In una di quelle lettere, foggiata a ricami perlati, si ammira la nascita del Messia; nell’altra, in breve diametro, ammirasi l’adorazione dei Re Maggi, con tutto il lor seguito. Nel margine poi si ammirano dei pastori, che menano al pascolo il lor gregge, dei graziosi rabeschi, delle ghirlande di fiori e frutta, degli uccelletti, pavoni, farfallette, bruchi e mostri favolosi. Questo libro è opera certamente del secolo d’oro nell’età di mezzo. Gli altri cinque libri antichi sono di minor pregio del primo. Essi però appartengono alla medesima epoca, ed hanno la medesima vivacità di colori nelle miniature, ed il medesimo gusto artistico nelle lettere iniziali, benché semplici.
Per quanto pregevoli sono i sei libri testè descritti, sia dal lato artistico della scrittura, sia dal lato liturgico delle cantilene, ch’essi contengono, per altrettanto spregevoli sono gli altri libri corali, racchiusi in quell’armadio, fatta eccezione del graduale, edito da Federico Pustet di Ratisbona [26] e del vesperale dell’edizione medicea. Questi libri, composti da profani dell’arte musicale [27], non si sa a che genere di musica appartengono! Nulla hanno di gregoriano, nulla di musica sacra o profana che sia, ma sono un’accozzaglia di note bastarde, messe lì a solleticare il gusto depravat0 degli ignari di musica liturgica.
Ritornando sul Presbiterio, quivi varie epigrafi si riscontrano, come quelle dei Vescovi Ruggiero d’Atella, Martino de Soto Maggiore, Angelo Florio, Luca Fieschi, (già da noi riportate nel parlare di questi Vescovi). Accanto alla porta, che mette nella Sacrestia, esisteva la seguente epigrafe, che oggi più non si vede! ... [28]
Doctor Thomas Candidus doctoris Dileclosi filius
Ex nobili origine Liparensi Romae inde Iofoum
Nunc Andriae diffusa hanc urnam erexit
Pro suis illustribus fratrihus ejus et eorum
Haeredibus et successoribus Te ipsum cognosce
Candidus
1565 [29]
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Uscendo dal presbiterio, in cornu Evangelii si vede una gran porta, che mette nella sacrestia capitolare, fatta costruire nel 1804, quando fu riedificato il muro crollato per l’incendio dei francesi, nella infausta giornata del 23 marzo 1799. La sacrestia fu allora di molto ingrandita, avendo il Capitolo ottenuto dalla Università un sito adiacente, sporgente sul largo della Catuma [30]. Ottenuto questo sito, fu scelta una Commissione capitolare, composta dell’Arcidiacono D. Giuseppe Ceci. dell’Arciprete D. Vincenzo Vespa, del Cantore D. Michele Marziani e dei Canonici D. Michele Inchingolo e D. Francesco Paolo Mita, che ne curassero la costruzione, la quale venne affidata all’architetto Michelangelo Arinelli ed al marmista Andrea Scala, ambidue di Napoli.
La sacrestia è molto spaziosa e piena di luce, riveniente da un grande finestrone, che mette sul largo Catuma. Essa è ornata da lunghi panconi di legno noce, a guisa di armadi, dove si conservano arredi sacri, suppellettili ed altri oggetti per uso della Chiesa. Cinque tavoli, equalmente di noce massiccia, quattro collocati ai lati estremi della sagrestia, ed uno in fondo, contengono pure arredi, libri capitolari ecc. In fondo, appoggiato al muro, vedesi un grande armadio, che custodisce gli arredi sacri più ricchi, e che si usano nelle solennità dell’anno. Varii quadri ad olio ed altri a pastello sono attaccati alle pareti, rappresentanti il sommo Pontefice, il Cardinale Gennari (protettore del Capitolo), i Vescovi concittadini Mons. Regano, Mons. Iannuzzi, e l’Uditore della Nunziatura di Lisbona, Mons. Spagnoletti, non che i Vescovi di Andria Monsignor Lombardi, Mons. Palica, Mons. Bolognese e Mons. Galdi, quest’ultimo in fotografia. Una gran tela, rappresentante S. Riccardo che dona la vista alla cieca nata, è messa sulla bussola, sita davanti la porta di detta sacrestia, ai quattro angoli della quale si vedono quattro porte di noce; quella a man destra di chi entra, chiudeva l’archivio capitolare [31], l’altra a man sinistra, mette nella sacrestia dei cassetti, la terza nel Sacrario e la quarta chiude la cereria.
Uscendo per la porta che mette nel sacrario, si ammira il pregevole lavamani, tutto in marmo finissimo. Esso ha una spalliera, nel cui centro porta scolpito un putto che, con una mano tiene aperta la bocca di un delfino, dalla quale scorre l’acqua contenuta nella gran vasca, mentre ai due lati sono scolpiti a basso rilievo le teste di due satiri, e camosci dalle lunghe orecchie, sostenendo sul capo una cesta piena di varie frutta. Una vasta mensa, incavata, di marmo statuario, ne raccoglie l’acqua, che va poi a scorrere nei sottoposti condotti.
La porta, messa a man sinistra di chi entra nella Sacrestia, mena alla seconda Sacrestia dei così detti Cassetti, alla quale si scende per tre gradini. Questa seconda Sacrestia, sino al 1799, era adibita a scuderia del palazzo vescovile, ed è messa a livello del Cortile di detto palazzo. Distrutta dai francesi la vecchia sacrestia capitolare, questa scuderia fu provvisoriamente adibita a sacrestia capitolare, fino alla costruzione della nuova sacrestia, innanzi descritta. Ma, essendo stati in quel frattempo costruiti i cassetti, ossia gli armadii per uso dei Canonici, continuò quella scuderia, a servire di seconda Sacrestia, Questi armadii, in numero di 58, servono a depositare gli abiti corali di ciascun capitolare. Essi portano dipinti su ciascun sportello un vaso di fiori e frutta, l’uno diverso dall’altro, di non spregevole disegno.
Questi cassetti furono costruiti a spese dei capitolari di quel tempo, E siccome di essi doveano avvantaggiarsi, in prosieguo, i successivi partecipanti, perciò fu stabilito, che ogni nuovo beneficiato dovesse rilasciare pro una vice tantum la somma di carlini 30, da impiegarsi nella celebrazione di messe, alla ragione di carlini 3, per i defunti capitolari, che avean sopportata quella spesa [32].
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Trovandoci a parlare della Sacrestia, non sarà forse fuori posto dare un cenno ancora degli ori, argenti, arredi sacri e suppellettili, che si appartengono alla Chiesa ed al Capitolo della Cattedrale, e che si conservano in detta sacrestia ed adiacenze.
Un bellissimo ed artistico Paliotto di rame dorato e argento, per l’altare maggiore, conservasi in apposito fodero di legno nella stanza del Sacrario o lavamani, attigua alla Sacrestia. Esso è dovuto alla munificenza del Vescovo Cosenza, e si adopera nelle maggiori solennità dell’anno. Ai due lati porta inciso lo stemma del Vescovo donatore, in argento, e, nel centro, l’immagine di Maria Assunta in cielo [titolare della Chiesa], egualmente in argento. Una larga cornice dorata chiude il detto Paliotto, che costò al magnanimo Vescovo Cosenza la somma di ducati Mille ottocento (pari a L. 7650). Un ricco e splendido parato di argento (consistente in 6 grandi candelabri, quattro giarroni con palme ben lavorate in filogramma, ed una Croce, pel registro superiore; e sei candelabri di minor grandezza, pel registro inferiore), per adornare l’altare maggiore nelle principali festività dell’anno. Questo parato, ammirabile per la quantità e qualità dell’argento, e per la finezza delle ceselature, è dono dell’ottimo Vescovo Longobardi, il quale spese per esso la cospicua somma di ducati ventimila (pari a L. 85.000). Questo ricchissimo parato, munito di tanti foderi in legno, quanti sono i varii pezzi che lo compongono, conservasi in apposito armadio, sito in una stanza superiore alla Sagrestia dei cassetti.
Nel medesimo armadio si conservano altri quattro candelieri e tre carte da gloria di metallo bianco per la mensa di detto altare maggiore, a completamento del parato innanzi descritto [33], ed una grande cornice d’argento pel quadro dell’Addolorata (dono del Sig. Morselli).
Un ricco baldacchino [34], di raso chermisi, sostenuto da otto aste, si appartiene pure al Capitolo, il quale se ne serve nelle solenni processioni.
Un ricco gonfalone [35], di raso bianco con galloni d’oro, sormontato da un grande Crocifisso di argento, serve pure nelle solenni processioni, come labaro o bandiera capitolare.
Nel vecchio archivio, messa nella grande Sacrestia del Capitolo, si conservano i seguenti oggetti preziosi:
1.) Cinque pregevoli Calici di argento dorato, dei quali uno fu costrutto a spese del Capitolo, gli altri quattro donatigli dai Vescovi Bolognose [36], Cosenza, Frascolla e Galdi;
2.) dieci Calici di puro argento;
3.) Tre ingenzieri di argento con relative navette;
4.) Due ceroferarii di argento ben cesellati e di molto valore, donati dal Vescovo Palica;
5.) Un secchietto d’argento con relativo aspersorio;
6.) Una croce di nichel;
7.) Due ampolle d’argento, senza piatto;
8.) Due ampolle di argento pel cresima e l’olio santo, e due vasetti pel medesimo uso degli olii santi;
9.) Un vasetto d’argento con relativo piatto e cucchiajo pel balsamo;
10.) Un ostenzorio di argento, dono del Vescovo Galdi;
11.) Un leggio di metallo bianco, dono del medesimo Vescovo Galdi;
12.) Una tavoletta rivestita di foglia di argento, su cui vi è scolpita la Vergine Assunta in Cielo [37];
13.) Due pastorali episcopali, uno di argento, donato da Mons. Bolognese, e l’altro di rame argentato, donato da Mons. Palica;
14.) Un bacile con boccale di argento;
15.) Tre guantiere di argento di diverse dimenzioni, dono del Vescovo Cosenza;
16.) Tre altre grandi guantiere di argento, delle quali una in forma bislunga, e due di forma sferica;
17.) Una scatoletta d’argento per ostie;
18.) Un campanello d’argento;
19.) Due bugie di argento per l’assistenza al Vescovo, una donata al Capitolo dal Vescovo Cosenza, l’altro dal Vescovo Longobardi;
20.) Un’aureola ed un bastone d’argento, appartenente alla statua di S. Francesco di Paola;
21.) Tre mitre preziose, due donate al Capitolo dal Vescovo Lombordi, l’altra dal Vescovo Bolognese;
22.) Sei mitre antiche, delle quali cinque di lama d’oro, ed una di lama d’argento [fuori uso];
23.) Una corona di argento, appartenente alla così detta Madonna del Capitolo;
24.) Una spada d’argento per l’Addolorata;
25.) Una corona d’argento per l’Assunta, dono del Canonico Torelli;
26.) Un fascio di galloni d’argento.
Nella cassa forte del Capitolo si conservano i seguenti oggetti preziosi:
1.) Due anelli d’oro, donati all’Addolorata, ed un pendente a forma di stella;
2.) Due cerchietti d’oro, appartenenti alla statua di S. Rita da Cascia;
3.) Un anello prezioso di oro con smeraldi e diamanti, (dono del Vescovo Longobardi;
4.) Tre anelli d’oro con pietre, donati dal Canonico Cantore D. Domenio Frascolla;
5.) Un paio di orecchini con diamanti, donati alla Madonna dell’Assunta dal Sig. Morselli;
6.) Un paio di orecchini d’oro appartenenti alle Madonna della Purificazione;
7.) Un paio d’orecchini d’oro, appartenenti alla Madonna della Presentazione;
8.) Due anelli d’oro appartenenti alla Madonna del Capitolo;
9.) Due paia d’orecchini d’argento, uno appartenente alla Madonna della Pace, l’altro all’Addolorata;
10.) Un crocefissetto d’oro ed una spadina d’argento, appartenenti all’Addolorata;
11.) Due paia di orecchini d’oro, uno appartenente alla Madonna Immacolata, l’altro, con brolocco [=ciondolo] d’oro, appartenente a S. Maria della Pietà;
12.) Tre croci pettorali vescovili, una d’argento dorato [dono del Vescovo Galdi], l’altra d’oro con laccio e fiocchetto intessuti in oro [dono del Vescovo Longobardi], la terza di argento dorato con laccio e fiocchetti di seta verde ed oro [dono del Vescovo Cosenza];
13.) Due brolocchi d’oro, un cuore d’argento, due piccoli crocefissi di argento, cinque paia di rosette d’oro, cinque anelli d’oro, una crocetta con laccetto d’oro, tutti appartenenti a S. Rita di Cascia;
14.) Un anello di diamanti, appartenenti a Maria Assunta in cielo;
15.) Una spaduccia di argento, appartenente alla Madonna del Capitolo.
Nel grande armadio della sacrestia maggiore conservansi i seguenti oggetti preziosi ed arredi sacri:
— 1. Un grande ostensorio di argento massiccio, fatto costruire con pubbliche offerte [38].
— 2. Due mitre, una preziosa con pietre, e l’altra di lama d’oro, dono del Vescovo Galdi.
— 3. Alcuni sandali e calzari, uno di lama d’oro, l’altro di damasco violaceo, il terzo di lama d’argento.
— 4. Canone legato in pelle bleu con finimenti d’oro [dono del Vescovo Cosenza].
— 5. Pontificali N. 3 (dono del Vescovo Longobardi, del quale portano lo stemma).
— 6. Cinque missali, dei quali tre coperti di velluto rosso con finimenti d’argento in filograna per uso dei pontificali (dono del Vescovo Longobardi, del quale ne porta lo stemma, un altro donato dal Vescovo Cosenza, del quale ne porta pure lo stemma, ed il quinto, in pelle rossa, per uso del Capitolo).
Nel medesimo armadio si conservano i seguenti paramenti preziosi:
1.) Un terno di raso bianco, con antico ricamo in oro, e piviale corrispondente; più un velo per coprire il Sacramento nel Giovedì Santo;
2.) due pianete, quattro tonicelle di lama d’argento con galloni e ricami in oro, due stole, tre manipoli, due borse e due veli;
3.) Un piviale bianco di lama d’argento, gallonato e ricamato in oro, per uso dei pontificali (dono del Vescovo Cosenza);
4.) dieci piviali di lama d’argento con galloni d’oro, dei quali otto portano lo stemma del Vescovo Cosenza, dal quale furono donati, e due fatti dal Capitolo;
5.) Un omerale egualmente di lama d’argento gallonato d’oro;
6.) Dieci pianete di lama d’argento con galloni d’oro;
7.) Dieci pianete di amuerra bianca ricamate con fiorellini, portante la immagine di S. Riccardo;
8.) Una veste pel gonfalone, in lama di argento, ricamata in oro (dono del Vescovo Cosenza, del quale ne porta lo stemma);
9.) Undeci piviali di raso chermisi con galloni e ricami di oro (dono del Vescovo Cosenza, del quale ne portano lo stemma) [39];
10.) Dieci pianete, due stole, tre manipoli, borsa, velo ed omerale, non che quattro tonacelle della medesima stoffa, egualmente donati dal Vescovo Cosenza, del quale ne portano lo stemma;
11.) Quattro pianete violacee di lama d’argento, con galloni d’oro, una stola, due manipoli e linostina [dono del Vescovo Cosenza, del quale ne portano lo stemma];
12.) Un piviale consimile. Otto piviali amuerra violacea con trine di oro, egualmente donati dal Vescovo Cosenza, del quale ne portano pure lo stemma;
13.) Una stola violacea di lama d’argento ricamata in oro;
14.) Un velo di raso bianco ricamato in oro; un terno di lama d’argento, due piviali, due tonacelle complete, due pianete, un altro piviale di raso bianco ricamato in oro con stemma del Capitolo [40];
15.) Un piviale di raso bianco con trina d’oro ed una pianeta consimile (dono del Vescovo Lombardi);
16.) Quattro tonacelle di lametta bianca con fioretti, un grembiale ed un omerale, donati dal medesimo Vescovo Lombardi, del quale ne porta lo stemma;
17.) Un velo bianco ricamato in oro, che serve al baldacchino nella esposizione del SS.mo Sacramento ;
18.) Dieci pianete, quattro tonacelle, un piviale ed un omerale, tutti in lama d’oro [donati dal Vescovo Palica, del quale ne portano lo stemma];
19.) Tre pianete di damasco rosso con galloni d’oro; un terno di damasco rosso con galloni di seta gialla ed un omerale;
20.) Un terno antico, di stoffa velata, [dono del Vescovo Lombardi];
21.) Un velo d’amuerra chermisi, che serve di tendina davanti al Sacramento nella pubblica esposizione;
22.) Una pianeta verde, un piviale con due stole, tre manipoli, borsa velo ed omerale, tutti d’amuerra verde e galloni di oro. Una pianeta completa di raso verde fiorato con galloni d’argento; otto pianete di damasco verde con trine di seta gialla;
23.) Tre rivestimenti di panno verde per gli scanni del Trono e pel banco del celebrante;
24.) Tre pianete di damasco violaceo con galloni d’oro, piviale, due tonacelle, linostina ed omerale;
25.) Otto pianete violacee per uso giornaliero; due vesti violacee ed una bianca per tre vasi degli Olii Santi;
26.) Cinque piviali di damasco nero, uno gallonato in argento e gli altri in seta; Quattro tonacelle consimili gallonate in seta; Due pianete di damasco nero gallonato in argento.
Oltre a questi oggetti ed arredi preziosi, il Capitolo possiede molti arredi sacri giornalieri, dei quali, per brevità, non ne facciano qui menzione, trovandosi tutti elencati nell’inventario capitolare. Solamente vogliamo riportare qui, ad perennem rei memoriam, l’elenco degli arredi sacri, donati al Capitolo Cattedrale, negli ultimi anni del suo vescovado, da Mons. Galdi:
1.) Tre pianete complete, due prezioze [una di raso bianco con galloni d’oro e l’altra di broccato ricamato in oro] [41] la terza color rosso, con fascia in mezzo, tutta con galloni di seta bianca;
2.) Una veste di lama d’oro pel faldistorio;
3.) un nuovo missale;
4.) Due cuscini ricamati per uso di leggio;
5.) Una pianeta nera completa di damasco;
6.) Tre piviali neri egualmente di damasco, portando lo stemma del Vescovo donante;
7.) Quattro tonacelle ed una pianeta di color bianco in seta con galloni dorati.
Molti altri oggetti meno preziosi possiede il Capitolo, per ornamento degli altari, come candelabri di ottone, palme, croci, cornucopii, ecc. Sono rimarchevoli:
1. un grosso ed artistico leone di legno inargentato, ed in varii punti dorato, che serve a sostenere il grosso cereo pasquale. Sulla base che sostiene questo leone è scritto il motto: Vicit leo de tribu Iuda;
2. una colossale ed artistica castellana, che serve pei funebri dei capitolari, composta di molte parti, che si uniscono, e si scompongono, secondo l’occorrenza;
3. una custodia di legno, artisticamente intagliata, ed indorata, che serve per la esposizione del SS. Sacramento;
4. un pergametto portatile (dono del Vescovo Cosenza).

Varie statue in legno possiede pure il Capitolo, delle quali alcune di molto pregio. Bellissima è quella di Maria Assunta in cielo, titolare del nostro Capitolo. La testa e le braccia sono scolpite in legno. Il volto è un vero capolavoro d’arte per la sua espressione regale. Non meno artistica è l’altra statua dell’Immacolata, sita in pregevole nicchia accanto alla Cappella del Santissimo.
Ammirevole è pure la statua di Gesù Risorto, avendo il pallio nella sinistra, mentre con la destra benedice. La statua della Madonna degli Agonizzanti è pure un lavoro pregevolissimo, eseguito in Lucca. Pregevole è pure la statua dell’Addolorata, donata al Capitolo dal Canonico D. Gioacchino Montaruli. La statua di S. Pietro, che stringe nella mano destra le due chiavi e nella sinistra il nuovo testamento, è opera di un valente nostro concittadino, Giuseppe Santoniccolo. Le statue di S. Filippo Neri [42] e di S. Francesco Saverio sono pure opere pregevoli di un altro nostro concittadino. Francesco Paolo Antolini.
La statua di S. Alfonso M. de Liguori è opera di un altro nostro concittadino, lo scultore Michele Brudaglio. Mirabile è la statua di Francesco di Paola, opera pure di un cittadino andriese, del quale non si conosce il nome [43]. Non meno pregevoli sono le statue di S. Vinceczo de Paoli, di S. Luigi Gonzaga, di S. Ciro, di S. Giuseppe, del Sacro Cuore, e, sopratutte pregevolissima è la piccola statua dell’Arcangelo S. Michele, sito in una nicchia nella Cappella di S. Ciro.
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Ed ora, prima di chiudere questo Capo, fa d’uopo dare anche una piccola notizia dell’Oratorio annesso al Duomo, e della Cappella vescovile.
L’Oratorio, del quale già, a suo tempo, narrammo la sua origine e le sue varie vicende (nel contrasto specialmente tra i confratelli laici ed ecclesiastici della confraternita degli agonizzanti), sorge a sinistra di chi mette piede nel Duomo. Esso è chiuso da una spaziosa porta, in cima alla quale si veggono due scheletri di stucco, che sorreggono lo stemma della Congregazione degli Agonizzanti, ivi istituita.
La volta di quest’Oratorio è tutta messa a stucchi. Cinque spaziose finestre danno ad esso abbondante luce. Un organo di mediocre struttura, con relativa orchestra, è sito in cima alla porta d’ingresso. Quattro altari di marmo, oltre l’altare maggiore, che è in fondo, sono simmetricamente disposti, l’uno di fronte all’altro, lungo il vano dell’Oratorio. Dietro l’altare maggiore, nel cavo del muro, avvi una grande nicchia, che custodisce la statua del Cuore di Gesù [44] Il primo altare in cornu epistolae è dedicato alla Concezione di Maria Vergine. Un grande dipinto su tela rappresenta la Vergine Immacolata, ai cui piedi sono in atto di preghiera San Gennaro Vescovo e Martire e S. Giovanni Nepomiceno, ed in cima S. Carlo Borromeo. Il secondo altare in cornu epistolae è dedicata a Sant’Anna. Una tela di mediocre valore, dovuta al pennello del nostro concittadino Eligio Morgigno, rappresenta la Verginella Maria, guidata da un raggio dello Spirito Settiforme, che scorgesi in cima, e dalla sua madre Sant’Anna [45]. Il primo altare in cornu evongelii è dedicato alla Vergine del Carmelo. Un pregevole dipinto su tela rappresenta la beata Vergine, ai cui piedi sono S. Sebastiano martire, Santo Stetano Protomartire e Sant’Andrea Avellino, nell’atto di celebrare il santo sacrifizio della messa, mentre vien colpito da apoplesia. Il secondo altare in cornu evangelii è dedicato al Divin Redentore, espresso sulla tela col suo cuore squarciato, cui prostasi un serafino, offrendo col turibolo odorosi timiami, ed in atto di profonda adorazione; vedonsi al disotto i due servi di Dio San Vincenzo de Paoli e S. Alfonso de Liguori. Nel vano dei due suddetti altari ammirasi una grandiosa nicchia quadrilatera, munita di ampii cristalli che chiude la pregevolissima statua della Vergine degli Agonizzanti. Questa statua porta tre titoli, quello della Vergine degli Agonizzanti, del Carmine e della Grandine. Il dotto Canonico Giacomo Brunetti, valoroso letterato e matematico, dettò il seguente distico per questa Madonna dai tre titoli sopra detti:
Grandine tu fruges, tu nos in mortis agone,
Defunctos, Virgo, tangier igne veta.
Una piccola Sacrestia, tenuta dalla Confraternita degli Agonizzanti, ed un’altra stanza per uso della Confraternita di S. Riccardo, fan parte pure di questo Oratorio.
Una lapide porta la seguente iscrizione, che ricorda la istituzione (fatta in quest’oratorio dal Vescovo Resta), della Confraternita degli Agonizzanti:
Haec Agonizantium Congregatio
Sub patrocinio Sanctae Mariae de Monte Carmelo
Ab Illustrissimo D. Luca Antonio Resta Ep.o
In hac Cathedrali et unica Parochiali Ecclesia
Canonice erecta est Anno Domini MDLXXXII
Un altra iscrizione leggesi sul muro, a destra di chi entra nell’oratorio, cosi concepita:
Me ligat hic lapis, at volo, vosque requiro
Volando sub sacro cunctos hoc operire volo
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Entrando per una porticina di detto Oratorio, si accede al primo piano del palazzo vescovile, dove, percorrendo due sale, s’incontra la Cappella vescovile. Essa fu tutta rifatta a nuovo dal benemerito Vescovo Cosenza nel 1843. I muri di questa graziosa Cappella sono tutti vestiti di stucco lucido color verde antico, da sembrar quasi fossero di marmo. La volta porta dipinti i misteri gaudiosi e gloriosi, eseguiti dal pittore Gennaro Ascano di Barletta. Diciassette colonnine, con basi e capitelli dorati, si ergono su zoccolature a quadretti di un giallognolo macchiato, sormontate da cornicione bianco dentellato. Fra gl’intercolunnii sono affissi 14 cornici, contenenti le 14 stazioni della Via Crucis. Otto sedili di noce sono fissati a piè di dette colonnine. Il pavimento è coperto da mattoni verniciati.
Un altare di marmo si addentra nel muro destro di chi entra in questa Cappella. Esso ha un ciborio a padiglione, sostenuto da quattro colonnette alabastrine, chiuse ai lati da un cornicione costrutto di lamette di cristalli colorati, che imitano i colori del lapislazzolo e delle agate orientali.
È sormontato da una cuppoletta a scoglie d’oro, con ghirlanda di lucidissimi specchietti, e, sù d’essa, una base cilindrica con altri cristalli dorati, sulla quale è fissato un crocefisso ebano.
Il frontespizio di questo ciborio, o Custodia, è decorato da una corona di tasselli indorati, fra cui spicca una Colomba. Ai lati sorgono due pilastrini pure di cristalli dorati, misti a varii colori. La portellina, che chiude questo artistico Ciborio, rappresenta un tempietto, con balaustre e cuppola. Il Padiglione del Ciborio è opera del Padre Tommaso Tosa, agostiniano, residente allora nell’Abbadia di S. Maria dei miracoli.
A pié della mensa dell’altare, nel palliotto, si vede un simulacro in cera, rappresentante il Martire S. Donato, vestito in seta, portante una corona d’argento in capo, stringendo nella destra un’ampolla contenente il suo sangue. Ai piedi di questo simulacro si vede una cassetta, nella quale son raccolte alcune sue ossa ed altre reliquie di santi.
Un dipinto di valore, donato dal Vescovo Ariani, rappresentante l’Ecce Homo, è messo sull’altare di questa Cappella.
Altri quattro dipinti, chiusi in cornici, adornano questo altare. Essi rappresentano il Cuore di Gesù, il Cuore di Maria, la Sacra famiglia e l’Arcangelo S. Michele, cui sono sottoposti S. Riccardo, S. Sabino e S. Stefano, rappresentanti i Prottettori delle quattro città della diocesi, cioè S. Michele protettore di Minervino, S. Riccardo di Andria, S. Sabino di Canosa, e S. Stefano di Montemilone.
A sinistra di questo altare avvi una porta di noce, che mette in una piccola sacrestia adiacente, ed a destra una seconda porta simmetrica, che mette nel palazzo vescovile, al quale si accede per una scala a chiocciola.
Una credenza di marmo bianco, sorretta da un cornicione, che le fa da piedistallo, un confessionile, ed un inginocchiatoio completano l’ornamento di questa vezzosa Cappella, la quale viene illuminata da una spaziosa finestra, che prospetta sulla gran piazza Catuma, oggi piazza Vittorio Emmanuele II.
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)
[1] Questo grandioso ed ardito arco è un vero capolavoro d’arte, dovuto al genio del valoroso muratore andriese Alessandro Guadagno, come rilevasi dalle seguenti parole, incise su d’una delle due mostre di marmo, messe a piè di detto arco, Alexander Guadagno Andriensis hoc arquatum A. D. MCCCCXIV construxit.
[2] Quello stemma forse ricorda la contribuzione della città, nella costruzione della nuova aggiunta fatta al Duomo nel 1414.
[3] Non sappiamo veramente perché quella Cripta debba essere inaccessibile, e non si cerca di munirla con regolare porta o cancello, che dasse accesso alla medesima, tenendo invece ingombro il pavimento con questo mostruoso tavolato!.
[4] Per dare aria, ed un po’ di luce alla cripta furono aperti due lanternini, muniti di griglie, l'uno corrispondente sul presbiterio, l’altro nel sottopresbiterio del Duomo.
[5] Questa cripta era stata adoperata ad ossario dei numerosi cadaveri seppelliti nel Duomo, e a deposito di materiale di rifiuto, quando il Duomo fu restaurato.
[6] Nel trasloco di quei ruderi, due colonnine, le migliori, scomparvero! ….
[7] Robert, Bullaire Calliste II.
[8] Biblioteca Nazionale di Napoli: Ms. I, AA., 39.
[9] Il Vescovo Florio fè trasportare l’altare e la culla del Messia nella Cappella di S. Maria del Capitolo, lasciando negletta quella grandissima Cappella.
[10] Non si sa comprendere come mai questa Cappella sia poi passata in dominio di casa Carafa, ed aggregata al palazzo ducale! ... Ora si appartiene ai Conti Spagnoletti - Zeuli (che comprarono quel palazzo), i quali la cedono in fitto ad operai, per uso di laboratorio.
[11] Questa Cappella, ora adibita a laboratorio di falegname {!!!), mostra ancora le tracce dei suo stile gotico, e la sua ampiezza fa conoscere d’essere stata una delle migliori e principali Cappelle della Cattedrale!
[12] Questa Famiglia aveva il suo palazzo sull’angolo della piazzetta di via Calderisi, dove tuttora ammirasi un gran portone di pietra, avendo in cima uno scudo ben scolpito e lo stemma, formato dalle tre chiocciole suddette Il palazzo è costruito metà in pietra e metà in tufi, formati a bozzetti e a punta di diamante.
[13] Questo pregevole monumento che dovrebbe formare l’ammirazione di tutti non sappiamo da qual mano vandalica fosse stato ricoperto di calcinaccia e d’intonaco, che nascondono tanti pregevolissimi lavori d'arte! ... È desiderabile che quei calcinacci vengano del tutto rimossi, e ritornato quel monumento d’arte all’aulico suo splendore.
[14] Ed avevano veramente perduta la bussola quei buoni preti, che lasciarono perire sotto le macerie quella bellissima Cappella! ...
[15] Tutti questi capolavori d’arte restavano celati sotto l'intonico ed il muro tufaceo.
[16] Questi basso rilievi, richiedendo troppa spesa, non vengono per ora eseguiti; ma lo saranno, la Dio mercè, in seguito.
[17] Nel centro del pavimento di questa Cappella sono depositate le ceneri del Vescono Mons. Ariano; ed una spaziosa lastra di pietra, portante scolpita al naturale la immagine di quel santo Vescovo, copriva il suo tumulo. Nella rifazione della Cappella, quella lastra fu collocata sul presbiterio, di fronte alla medesima Cappella, avanti la cancellata.
[18] Questi puntini indicano l’ultimo verso, che porterà incisa la data della inaugurazione e consegrazione di questa Cappella Monumentale, ora in costruzione.
[19] Della origine di questi Banchi abbiamo già fatto parola nel I. volume di quest’opera.
[20] Questi due cornucopii sono opera del valoroso artista Civita di Andria.
[21] Cariatide in architettura è forma di donna vestita all’orientale, che fa da colonna o da pilastro. Molti esempii delle Cariatidi si riscontrano nei monumenti egiziani, della Persia, della Grecia e di Roma. Queste Cariatidi hanno loro origine dalle giovani Lacedemoni, che in ogni anno recavansi a Cassia per danzare innanzi a Diana Cariatide. Le loro immagini furono poscia imitate dagli scultori greci, e servivano da sostegno (fulcrum dei latini) dei templi.
[22] Nella cripta sopra detta si vedono quattro fusti, privi di capitelli e zoccoli. È probabile che i capitelli sopra descritti appartengono a due di quei fusti.
[23] Anticamente il vecchio coro della Cattedrale, conforme all’uso delle Chiese antiche, era sito in mezzo alla nave della Chiesa, e sul pilastro principale, che lo sosteneva (dalla parte dell’Evangelio) era situato il Pergamo. Il Vescovo Franco, vedendo che questo coro occupava gran parte della Chiesa, ed era occasione di distrazione agli Ecclesiastici nella recita dell’ufficio, lo fe trasferire dietro l'altare maggiore, dove attualmente si trova il nuovo coro, fatto poi costruire dal Vescovo Cassiano nel 1650.
[24] Per questo Coro vi spese la bella somma di Ducati dieci mila (Durso: Storia d’Andria, p. 148).
[25] Era intenzione del Vescovo Palica di costruire tutto in marmo il detto arco.
Ma il tempo e gli acciacchi di salute non gli permisero di effettuare il suo divisamento.
[26] L’edizione di Ratisbona è solamente tollerata, ma non dichiarata ufficiale dalla Santa Sede. L’unica edizione ufficiale è quella che si va pubblicando ai giorni nostri dalla tipografia vaticana sui modelli di quella di Solesmes.
[27] Essi furono composti in gran parte dall’Arcidiacono Lorenzo Marchio, dal canonico Giglio e da altri preti della Cattedrale! ...
[28] Forse andò distrutta nel rifare il pavivento del Presbiterio, o nell’aprire la porta delta Sacrestia! ...
[29] Questa epigrafe era messa accanto alla tomba della nobil famiglia Lupicini di Andria. Di fatti vedevasi lo stemma di questa famiglia, composto da due lupicini arrampicati ad un albero. Il Sig. Tommaso Candido di Lipari, morto in Andria, era forse imparentato alla famiglia Lupicini, od era a questa legato di amicizia, per cui fu seppellito nella tomba dei Lupicini.
[30] Era Sindaco di Andria il Sig, Tommaso Accetta, il quale ottenne dal Comune non solamente il sito per allargare la sacrestia, ma anche un altro sito, corrispondente ai largo la Corte, per allargare ancora la Cappella del Crocefisso, che fu allora destinata a Cappella del Santissimo Sacramento, come innanzi abbiamo detto. Questi due siti erano destinati a pubblico mondezzajo.
Nel nostro archivio capitolare conservasi la deliberazione comunale, con la quale si cedevano al Capitolo i due detti siti, l'uno per allargare la sacrestia, e l’altro per la Cappella del Sacramento.
[31] Ora l'archivio è custodito in una delle stanze superiori alla sacrestia, e quello antico è occupato dall'argenteria e da altri oggetti appartenenti alla Chiesa.
[32] Quest’obbligo ora non si mantiene più dal Capitolo, non sappiamo per qual motivo, né con quanta tranquillità di coscienza! …
[33] Questi 4 candelieri e carte di gloria furono acquistati dal ricavo delle sedie, ...
[34] Baldacchino era un drappo che usavasi in Babilonia, e che i Babilonesi chiamavano bagdad, da noi chiamato Baldacco. Esso veniva usato in Levante per coprire cose sacre, o per ornare i seggi dei Principi e dei grandi personaggi. Ordinariamente era broccato di seta ed oro.
[35] Gonfalone è il labarum dei latini. Labaro si chiamò quella insegna militare usato da Costantino, consistente in un asta dalla quale pendeva un velo in cui era scritto a lettere d’oro il nome di Cristo.
[36] Questo calice, donato dal Vescovo Bolognese è assai pregevole. Esso é finamente ed artisticamente cesellato, avendo la coppa rabescata con spighe di grano e grappoli d’uva fra i pampini; il piede è formato a tripode, avendo nella base inciso un artistico agnellino giacente sul libro dei sette suggelli. Costò questo calice al Vescovo Bolognese ducati settecento.
[37] Questa tavoletta serviva a dare la pace al Duca, quando assisteva alla messa solenne in Cattedrale.
[38] Questo ostensorio porta una grande sfera circondata da pietre preziose, ornata di Serafini, che portano in mano i simboli della passione, con cesellature rappresentanti allegorici significati nelle spighe di grano, nei grappoli d’uva. Ha una lunetta d’oro per l’ostia sacrosanta, circondata da nuvolette contornate da teste di serafini. È un lavoro pregiatissimo, che forma l’ammirazione di tutti. Esso costò oltre a mille ducati, e fu costruito dalle pubbliche offerte, per riparare al sacrilego furto dell’altro pregevolissimo ostensorio, che possedeva il Capitolo.
[39] Questi piviali sono di un valore incalcolabile. Sono circa 8o anni, da che furono donati al Capitolo, e sembrano come fossero stati oggi manufatturati!
[40] Questo piviale fu adoperato a rattoppare altri arredi, ed una pianeta non s'è più trovata! …
[41] Questa pianeta il Vescovo Caldi l’ebbe in dono da Pio IX, e ne fece regalo al Capitolo.
[42] La statua di S. Filippo Neri fu donata al Capitolo dal Canonico D, Domenico Del Giudice, e la famiglia, ogni anno, fa celebrare a sue spese la festività del Santo.
[43] Questa statua porta un’aureola d’argento, il bastone d’argento ed uno stemma, egualmente d’argento, su cui è scritto charitas.
[44] Questa statua è opera dei fratelli Di Noia di Atene, oriundi di Andria. La devozione al Cuore di Gesù, nell’oratorio, fu istallata dal benemerito Can. di questa Cattedrale D. Federico Tannoia, il quale lasciava anche un legato al Capitolo pel dì della festività del Sacro Cuore.
[45] Anticamente eravi una tela, che rappresentava S. Paolo, S. Giovanni e S. Giuda Taddeo, illuminato da raggi della divina Colomba. Non si sa dove sia andata a finire poi questa tela.