Chiesa del Carmine

Contenuto

da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi"

di Michele Agresti (1852-1916)

Capitolo VI
"Altre Chiese figliali dipendenti dal Capitolo Cattedrale,
destinate poi alle varie case religiose della città"

Chiesa del Carmine
[foto di M. Monterisi, non presente nel testo originale]

7. La Chiesa del Carmine

7. La Chiesa del Carmine. Di questa Chiesa abbiamo pure fatto menzione nel primo volume di quest’opera, la dove parlammo della introduzione dei Carmelitani in Andria, e la dove parlammo delle innovazioni portate a quel Convento ed alla Chiesa dal Vescovo Cosenza, traslocandovi il Seminario diocesano. Aggiungeremo qui poche altre notizie riflettenti questa Chiesa, la quale si presenta con uno splendido atrio, fatto a porticati in viva pietra, diviso da cinque grandiosi archi, poggianti su cinque pilastri pure in pietra, con cornici e basi, sormontate da ampio cornicione. Il frontispizio della Chiesa si presenta con una vasta porta, fornita di stipiti, adornati di rabeschi e di rosoni, sul di cui architrave si vede un mezzo busto a rilievo della Vergine del Carmelo [1]. Sul prospetto della facciata giganteggia un ampio finestrone, fiancheggiato da due nicchie, incavate nel tufo.
La chiesa è ad una sola nave, con volta ben arieggiata ed illuminata da ben dieci finestroni. Sei altari, chiusi in altrettanti piccole Cappelle adornavano il vano della Chiesa [2], oltre all’altare maggiore, sito sul vasto presbiterio, cui si accede per un lungo gradino. Gli altari minori furono dai Carmelitani intitolati alla Concezione [3], alla Vergine del Carmelo [4], a S. Anna [5], a S. Giuseppe [6], a S. Maria Maddalena dei Pazzi, ed a S. Alberto. La Signora Agata Insabato, vedova del fu Notar Sebastiano Gioscia, fece, a sue spese, innalzare sul Presbiterio (in cornu epistolae) un’altare intitolato a Maria Addolorata, non che costruire una statua sculta in legno.
L’altare maggiore, come gli altari minori, era anticamente formato di plastica, da sembrare un marmo. Fu poi ricostruito in fini marmi colorati a musaico. Ai lati estremi del secondo registro di questo altare si ammirano due teste di serafini ben scolpite. Dietro l’altare maggiore esisteva il Coro, che fu poi nel 1822 donato, uno cogli armadii della sacrestia, al Convento dei Cappuccini, per concessione di Re Ferdinando, previo consenso del Vescovo Lombardi, quando furono ripristinati in Andria i Cappuccini, dopo la soppressione del 1809. La sacrestia fu adibita a Cappella privata del Seminario, ed il vano del Coro a sacrestia della Chiesa. I Carmelitani avevano un’altro Coro interno, messo sul porticato della Chiesa, del quale si servivano nelle ore notturne. Il vano di questo Coro è chiuso da una vasta ringhiera con gelosia, sporgente nella Chiesa, e che dà accesso alla grandiosa Cantoria, fatta ad uso orchestra, nel cui centro è sito l’Organo. In cima all’attuale sacrestia vi è un coretto, chiuso da ringhiera, al quale si accede da un corridoio del Convento, e mette capo nella Chiesa.

Madonna del Carmelo
[foto del quadro della Madonna del Carmelo posto nel postergale dell'altare maggiore, non presente nel testo originale]

Varie tele non trascurabili trovansi in questa Chiesa. Ammirabile è quella messa in cima all’altare della Madonna del Carmine, che vuolsi fosse stata donata a questa Chiesa dalla famiglia Carafa. Rappresenta la Vergine del Carmelo col Divino Infante fra le braccia, in atto di carezzare la Madre. Dodici serafini estatici la mirano, mentre due Angioli Le sorreggono sul capo una corona.
Un’altra tela rappresenta il transito di S. Giuseppe, assistito dalla Vergine e dal Divin Salvatore, che gli addita il Cielo, mentre l’Arcangelo S. Michele, con la spada sguainata, tien lontano il serpe infernale, che calca sotto il piede. In cima vedesi l’Eterno Padre e lo Spirito Santo, in forma di Colomba, pronti ad accogliere il Santo Patriarca.
Un’altra tela rappresenta la madre di Maria, Sant’Anna, in atto d’istruire la figlia nelle divine cose della Bibbia, mentre S. Gioacchino sta loro alle spalle, ammirando con occhio di compiacenza quella sublime scena. Nel primo vano di chi entra in questa Chiesa s’ammira un’altra tela, rappresentante Santa Maria Maddalena dei Pazzi, presa da estasi nel rimirar la Croce, mentre due Cherubini la sostengono. In alto vedesi la Vergine del Carmelo che l’ammanta con un velo, ed un angelo, che le mette Sul capo una corona di spine.
Sul Presbiterio, in cornu evangelii, si ammira un’altra grande tela, rappresentante il Carmelita S. Alberto con un giglio nella destra ed un libro nella sinistra mano, mentre un Angelo sostiene un nastro spiegato, sul quale è scritto: Os justi meditabitur sapientiam [7].
Sul muro della sacrestia si vede un’altro grandioso quadro, rappresentante S. Carlo Borromeo e S. Riccardo, genuflessi a piè della Vergine, che i serafini vengono ad incoronare [8]. Un simulacro della Vergine del Carmine, scolpito in legno, è pur degno d’ammirazione in questa Chiesa [9].
Due tombe gentilizie si vedono, l’una a destra e l’altra a sinistra di chi entra in questa Chiesa. Quella a destra, ben lavorata in marmo, porta in cima il mezzo busto del nobil uomo Riccardo Porro, con sopra lo stemma di famiglia. A piè, scolpita a basso rilievo, si vede l’effigie dell’addolorata consorte Donna Maddalena Ceci, ed ai lati, due genii alati, avendo in mano le faci capovolte. Al di sotto leggesi una lunga iscrizione, che dicesi dettata dal Malpica [10].
L'altro monumento a sinistra è la tomba della giovinetta Vincenzina Porro, unica figlia di Riccardo e Maddalena Ceci, premorta nell’età di anni tredici, ai suoi genitori. Il mausoleo, tutto in marmo, rappresenta un’ara, sulla quale vedesi un baule di verde antico, portante la immagine della giovinetta, coronata di rami di papavero, avendo al lato destro un genio alato con la face capovolta in mano, alla sinistra una giovanetta con un agnello; in cima lo stemma di famiglia. Nel centro vi si legge una bellissima iscrizione latina.
Nel 1840 questa Chiesa fu restaurata ed abbellita a spese del sempre magnanimo Vescovo Cosenza, del quale quasi tutte le Chiese di Andria ne portano un ricordo. Il Cosenza vi fece costruire in questa Chiesa anche tre altari di stucco lucido, il pergamo, i confessionili, la ringhiera del Coro interno soprastante al porticato e quella ancora del Coretto, sporgente sulla Sacrestia, il pavimento ed una campana, oltre ad alcune tele di buon pennello, spendendovi in tutto ducati 1372-79, come abbiamo rilevato da una nota, trovata tra le carte del Primicerio D. Giuseppe Troja, Rettore allora del Seminario Diocesano, trasferitosi, in quel tempo, nell’ex Convento dei Carmelitani, per concessione del Re Ferdinando II di Borbone.
Il campanile di questa Chiesa fu rialzato nel 1854 a spesa dei fedeli, ed a cura del P. Federico Tornielli della Compagnia di Gesù (Missionario di santa vita, morto poi in concetto di santità), il quale, adibito da Re Ferdinando alla direzione del carcere di Trani, aveva stanza nel seminario Diocesano di Andria, dal Vescovo Cosenza già affidato alla direzione dei PP. Gesuiti.
Quattro pregevoli campane sorregge questo bellissimo campanile (costruito dal bravo muratore Raffaele Fuzio di Andria), una donata dal magnanimo Re Ferdinando II, l’altra dal nobiluomo Sig. Nicola Iannuzzi fu Giovanni, la terza dal Vescovo Cosenza, la quarta dalla generosità dei fedeli.
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)
[1] Anticamente nell’architrave leggevasi il seguente distico, dettato dal rinomato letterato P. Giambattista Mantovano dell’ordine Carmelitano:
Dum fluet unda maris, curret per aequora Phebus
Vivet Carmeli candidus Ordo mihi.
Questo distico fu distrutto, quando questa Chiesa fu adibita nel 1806 ad ospedale militare delle Puglie.
[2] Quando questa Chiesa fu adibita ad ospedale militare, parecchi altari furono abbattuti, ed altre novità furono fatte in questa Chiesa.
[3] Questo altare fu eretto con denaro della signora Lucia Griffi, vedova del nobile Flavio de Excelsis, la quale, con testamento del 16 dicembre 1698, faceva erede dei suoi beni il secondo marito Gian Lorenzo Guadagno, con l’obbligo di far erigere, dopo la morte di costui, una Cappella nella Chiesa del Carmine, intitolata alla Concezione, assegnando a tal uopo due carra di terreno sul fondo di Sporlincano, e di far celebrare dai Carmelitani, mundo durante, dall’usufrutto, tante messe piane, quante ne cadevano alla ragione di carlini tre (testam. per Notar Menduto).
[4] Questo altare fu fatto costruire da Riccardo Carbone, il quale, con testamento del medesimo Menduto del dì 8 giugno 1710, disponeva che tutti i suoi beni fossero, dopo la morte della moglie Angela Ficco, venduti, e, dal prezzo, costruire una Cappella in onore della Vergine del Carmine, nella omonima Chiesa. Questo altare era formato di plastica, ad imitazione del marmo. Fu poscia costruito in vero marmo a spese del Canonico D. Saverio La Rosa della Collegiata di S. Nicola, per adempimento di un voto alla Vergine, che lo liberò da un grave pericolo nella vita, quando era ancora alunno del Seminario.
[5] Questo altare fu eretto dal nobile Domenico Antonio Topputi, offrendo ai Carmelitani ducati 200 per messe da celebrarsi per l’anima sua su questo altare.
[6] L’attuale altare di S. Giuseppe fu costruito dai Gesuiti, quando presero la direzione del Seminario.
[7] Narrasi di questo Santo che, sorto il dubbio, se dovesse cantarsi la messa di requiem dopo sua morte, ovvero quella di gloria, ad un tratto fu inteso un coro di angeli che intuonavano l’introito della Messa dei Confessori: os justi meditabitur sapientiam.Tanto bastò perché quel Santo fosse canonizzato.
[8] Questa tela fu fatta dipingere dal Vescovo Cosenza, quando la Chiesa del Carmine passò al Seminario, che fu posto sotto la protezione di S. Carlo e di S. Riccardo.
[9] Esso fu scolpito nel 1770 dal valoroso artefice napolitano Giacomo Colombo.
[10] Riccardo Porro fu uomo di nobile ingegno, di cuore generoso e di ottimi costumi. Egli formò una grande fortuna, e vi costruì quel sontuoso palazzo, ereditato dal Sig. Ceci. Per le molte industrie fu soprannominato Impicciatore.

[tratto da “Il Capitolo Cattedrale di Andria e i suoi tempi” di M. Agresti, tipi Rosignoli, Andria, 1912, Vol.II pag.111-114]