Contenuto

Il volto antico
di
Andria “fidelis”

di Giuseppe Ruotolo (1898-1970)
trascrizione in ebook

Capitolo I.
FEDE E STORIA ( pag. 6)

  1. Tradizioni ( pag. 8)
  2. Documenti ( pag. 11)
  3. Alla ricerca della Storia cittadina ( pag. 13)

Il nostro consenso alle verità rivelate da Dio è un atto di fiducia della nostra intelligenza, limitata nelle sue energie comprensive di fronte all’intelletto infinito. Come un fanciullo, ignaro di ogni cultura, sorbisce dalle labbra dell’insegnante i primi elementi della verità, così noi saziamo la nostra fame di conoscere la vita di Dio, accogliendo con intelligente e lieta adesione la parola verace del Maestro divino.

La storia ci aiuta a comprendere il fatto divino, ad investigare gli avvenimenti, attraverso i quali Gesù Cristo ha salvato l’umanità, irretita nelle angustie dell’errore e del male. In questo c’è un legame, un nesso intimo tra la fede e storia.

Nel resto le due scienze, una divina e l’altra umana, hanno campi diversi, metodi propri, finalità differenti. La storia può essere una via alla fede, ma non si confonde con essa: mai.

Nello studio della vita della Chiesa o di un Santo particolare nessuna preoccupazione dommatica diminuisce la libertà d’indagine. Si può sbagliare nel rintracciare lo svolgimento dei fatti, la loro reale concretezza, il loro valore intrinseco e in rapporto allo sviluppo generale della religione e della civiltà, ma ciò non nuoce alla nostra fede cattolica.

Così, per intenderci, se la nostra valutazione della vita religiosa di Andria è differente da quella esposta e difesa da altri studiosi del medesimo argomento, nessuno avrà il diritto di lanciare il grido di allarme come di un’offesa al sentimento religioso, alla fede degli antenati.

La storia, lo ripetiamo, non è materia di fede, perché non sorpassa le nostre forze conoscitive, è alla portata, come si dice comunemente, della nostra capacità assimilativa dei fatti.

Lo svolgimento della vita religiosa cittadina interessa molto noi andriesi, può interessare anche studiosi di altre contrade, si allaccia alla vita della Chiesa fondata da Cristo, ma è semplice questione storica, da studiarsi con criteri storici.

Alcuni secoli fa tale lavoro non era possibile, perché la storia non era considerata come scienza, ma come arte e, al dire di Cicerone, come arte oratoria. Il lavoro di indagine, di critica, quando si verificava, costituiva uno sforzo personale, era l’espressione del valore culturale e della rettitudine morale dello storico.

Oggi invece ogni cultore di storia ha i mezzi per valutare i fatti, la loro consistenza, la loro diversa causalità.

La storiografia incominciò a realizzare notevoli progressi con la dottrina del Cristianesimo. S. Agostino ha dato alla storia un valore fino allora sconosciuto. Egli non solo si può chiamare uno dei primi storiografi, ma è l’iniziatore della filosofia della storia, cioè della ricerca del valore dei singoli avvenimenti della società umana, verificatisi liberamente e sotto l’influsso della Provvidenza divina.

Dovettero passare molti secoli prima che il seme gettato dal grande Vescovo africano avesse ulteriore, vigoroso sviluppo. Nell’evo moderno la storiografia ecclesiastica e civile hanno fatto grandi passi e hanno offerto allo studioso i mezzi per la conoscenza esatta dei fatti.

Non si può affermare che ai nostri tempi lo storico sia talmente protetto dall’errore da rasentare l’infallibilità. Tutt’altro. Lo spirito critico è talvolta degenerato in ipercritica demolitrice. È avvenuto come per le malattie, che possono essere peggiorate da un uso eccessivo e irragionevole dei rimedi suggeriti.

Qui si rivela l’opera personale dello storico. Saper usare i criteri della conoscenza e valutazione storica, vagliare la tradizione, i documenti e gli altri fondamenti della storia senza esigenze strane e soprattutto senza prevenzioni favorevoli o sfavorevoli ad un determinato avvenimento.

Questa spassionatezza è particolarmente difficile, lo riconosciamo, nello studio della storia del proprio paese, perché la tendenza naturale e un pochino ambiziosa ad esagerare le tradizionali grandezze del loco natio può far capolino e corrompere i fatti, alterarli, inventarli e conseguentemente svalutarli proprio quando si cerca, per partito preso, di farne un’epopea. Perciò la circospezione dev’essere maggiore, lo studio più accurato, la passione maggiormente dominata.

Tradizioni.

Spesso ci si incontra in tradizioni più o meno antiche, di cui bisogna tenere il debito conto. La moltitudine ha l’anima ingenua del fanciullo, si esalta nelle ore di prosperità e si abbatte nelle contingenze avverse, ma in compenso giudica gli eventi senza prevenzioni ed inganni. Vi sono dei fatti, che interessano tutti, sono appresi con commozione e sono comunicati con appassionata, incredibile rapidità. Questi racconti sono volentieri ripetuti e i genitori sembrano spiare il destarsi dell’intelligenza nei figli per far loro apprendere l’avvenimento eccezionale, da cui sono stati scossi. Terremoti distruttori, incendi colossali, fatti di sangue, vittorie militari, uomini di grande carità, apostoli della religione costituiscono spesso l’oggetto della tradizione popolare. Emergono gli avvenimenti religiosi, come più aderenti alla natura dell’uomo, che sente impellente il bisogno di Dio.

Ad Andria è racconto tradizionale la zuffa avvenuta tra francesi e andriesi il 1799, fatto che da bambini abbiamo appreso dalla mamma con ricchezza di episodi tragici.

Un avvenimento tradizionale religioso dell’Italia meridionale è il passaggio di S. Pietro, mentre da Antiochia si recava a Roma. Taranto, Otranto, Leuca, Andria, Napoli e molte altre località vantano il passaggio del primo Papa attraverso il proprio territorio. Eppure l’ipercritica protestante e razionalista negò la dimora di S. Pietro a Roma, perché non documentata. E solo le scoperte archeologiche fatte dagli studiosi nelle catacombe cristiane hanno seppellito per sempre l’opposizione.

Una domanda: bisogna accettare ad occhi chiusi la tradizione popolare? Si risponde che è degna di fede la tradizione, quando è universale, costante e uniforme relativamente ad un fatto di speciale importanza.

L’universalità può estendersi ad una nazione o limitarsi ad un solo paese.

È costante la tradizione ininterrotta dal momento attuale al verificarsi dell’avvenimento.

L’uniformità richiede l’unanime consenso di un popolo senza la discordanza di una parte notevole.

La tradizione acquista un valore decisivo, quando è confortata da monumenti o da narrazioni di contemporanei o da altra documentazione.

Oggi ha assunto particolare importanza come ausilio della tradizione lo studio della toponomastica. Difatti i nomi di contrade, di strade, di uomini, di popoli sono molte volte una manifestazione genuina dell’origine di un avvenimento storico ed hanno valore di prova.

È opportuno accennare alle leggende agiografiche. Il nome leggenda anticamente non aveva il significato odierno, ma esprimeva la vita di un santo. Queste biografie erano ricercate da ogni ceto sociale come mezzo di edificazione e di incoraggiamento ad operare il bene.

Ai tempi delle persecuzioni i cristiani custodivano gelosamente i corpi dei martiri e insieme le notizie dei patimenti. Sin dal primo secolo dell’era volgare appositi notari compilavano gli acta martirum, sintetizzando la vita degli eroici fratelli, le accuse, il giudizio, la condanna, la natura del martirio e il seppellimento dei resti mortali.

I martirologi della Chiesa tramandarono dal secolo quarto e anche prima, gli elenchi dei principali martiri con cenni al tempo e al luogo degli avvenimenti. Queste notizie servivano a tener viva la fede nei cristiani e a disporli a lottare e vincere per il Vangelo di Cristo.

Dagli atti dei martiri, dai martirologi e dai calendari delle feste liturgiche ebbero origine più tardi le biografie dei santi. Si leggevano privatamente e nelle funzioni liturgiche; esse costituirono tutte o alcune lezioni dell’ufficio divino e perciò presero il nome di leggende.

Nel Medio-evo fiorirono molte leggende agiografiche, le quali alle volte non raccontano con accuratezza e fedeltà le gesta dei martiri, vescovi ed altri santi. Esse sono piuttosto l’espressione di animi entusiasmati da sentimenti di fede o di riconoscenza, e l’oggetto dell’amore viene ingrandito, abbellito, trasfigurato. Non di rado costituirono un sano diletto, un conforto nelle prove della vita; possono chiamarsi pii romanzi da preferirsi certamente alla letteratura sentimentale, frivola e pornografica dei nostri tempi. Questi racconti erano vere leggende e tali erano stimate non solo dai pii autori, ma anche dagli avidi lettori. Per esemplificare, ricorderò l’arcivescovo di Genova Jacopo da Varazze († 1298), il quale, a soddisfare le esigenze dei fedeli, pubblicò la leggenda aurea, cioè una raccolta di molte biografie di santi con episodi edificanti, eroici, prodigiosi. Tale pubblicazione fu trascritta in innumerevoli codici e diffusa in diverse nazioni.

La critica della leggenda dev’essere fatta con accuratezza, affinché si scopra se si tratta di fatti veri o inventati, o semplicemente alterati. In questo caso lo storico ha il compito di cogliere la sostanza dei fatti per discernerla dai contorni, dagli abbellimenti coloristici, dalle amplificazioni sentimentali.

La Chiesa ha amato sempre la verità ed è stata sollecita nel rifiutare le leggende prive di fondamento storico.

Anche Andria ha le sue leggende, cui cercheremo di dare, per quanto sarà possibile, il giusto valore.

Documenti.

La fonte principale della storia è fornita dai documenti scritti, come decreti, bolle, cronache, lettere, iscrizioni. Gli archivi sono miniere di notizie, che illustrano un dato periodo storico e ce lo fanno rivivere con visione immediata.

Anche i monumenti antichi, come chiese, castelli, statue, illustrano la civiltà di un tempo passato, perché contengono le espressioni dell’arte, della cultura, della spiritualità dei loro creatori. Essi equivalgono ai documenti e spesso li completano, li interpretano, li rendono attuali. L’architettura romanica pugliese, per citare un esempio, è manifestazione schietta di un’epoca di splendore religioso ed artistico.

Lo storico deve studiare il documento nella forma esterna e nel contenuto. Il compilatore di una pubblicazione può aver avuto l’intento di falsare un avvenimento per scopi reconditi. Lo scritto dunque deve essere approfondito, vagliato, affinché riveli l’autore vero, la sua personalità, il fine della composizione.

Noi sappiamo che gli Atti dei martiri erano scritti per ordine dei Pontefici da persone corrette, pie, sincere. Ma alle volte individui interessati imitavano tali scritti per esaltare il martire del proprio cuore. Simili contraffazioni sono state scoperte dalla critica e relegate tra i falsi storici.

Ad un occhio clinico, sagace, il contenuto stesso del documento manifesta il tempo in cui è stato elaborato. Le parole usate, lo stile calmo o irruente, la fraseologia più o meno elegante denotano se uno scritto è o no del tempo e dell’autore, cui viene attribuito.

Alle volte un documento è autentico, ma un amanuense interessato ha soppresso un nome sostituendolo con un altro, oppure ha aggiunto apprezzamenti soggettivi, facendoli figurare opera dello scrittore. Interpolazioni o mutilazioni possono alterare e svisare la fisonomia del documento.

Attenzione particolare dev’essere rivolta alla distanza del documento dai fatti, di cui si occupa e alle fonti da cui ricava le notizie. Certamente quanto più vicino è lo scritto agli avvenimenti, tanto maggiore credito esso merita.

Anche quando noi siamo persuasi dell’autenticità e integrità di un documento, non abbiamo esaurito il lavoro. Per raggiungere la certezza morale, è necessario esplorare la veracità dell’autore e questo possiamo desumere da altri scritti contemporanei, se ci sano, dalle doti morali di chi scrive, dall’accettazione del pubblico o dal contrasto suscitato al tempo della pubblicazione.

Noi sappiamo che il rinvenimento delle sacre reliquie del nostro Patrono provocò dissensi specialmente nel clero. Non possiamo trascurare questo fatto, dobbiamo darci ragione dell’opposizione e giudicare se era motivata da rilievi degni di considerazione.

Questo lavoro di indagine accurata serve a dare garanzia allo storico e ai lettori di quanto viene narrato. E nessun cultore di storia può trascurare simile ricostruzione scientifica degli avvenimenti narrati.

Alla ricerca della Storia cittadina.

Cesare Baronio fu chiamato giustamente il padre della storia ecclesiastica: Il suo nome è scritto a lettere d’oro nella storiografia. L’umile e coltissimo discepolo e amico di S. Filippo Neri propagò e difese la religione per mezzo della storia. A Roma anche i più semplici fedeli potevano ascoltare la predicazione del pio oratoriano, tutta intessuta di episodi dei primi e gloriosi tempi della Chiesa, quando i cristiani, compresi e inebriati della dottrina di Cristo, praticarono l’amore vicendevole come un impegno imprescindibile, zelarono con ardore l’apostolato della verità e, incuranti della potenza armata dei Cesari, furono pronti a vivere e morire per la diffusione del regno di Cristo.

Quella predicazione popolare a base di fatti era più efficace di qualunque argomentazione dialettica per neutralizzare la propaganda protestante, infarcita di calunniose accuse contro la vitalità della Chiesa romana.

Questa propaganda semplice e salutare culminò nella generale iniziativa di diffondere nel mondo la storia critica della Chiesa come l’apologetica più aderente alla realtà e più comprensibile da tutti.

Sorsero così gli Annali ecclesiastici, miniera di notizie, ricavate da documenti più antichi dalla nascita di Gesù Cristo all’anno 1198. Quest’opera di 12 volumi fu ammirata e letta in tutto il mondo e fu ristampata 22 volte.

L’umile religioso, poi Cardinale, fra l’altro si occupò della vita di S. Riccardo e riferì le notizie ricavate dalla liturgia e dalla leggenda del nastro Patrono.

Il Baronio ebbe continuatori nella sua opera in difesa della religione sul terreno storico. Il 1643 il gesuita Giovanni Bolland pubblicava il primo volume degli Acta sanctorum, in cui, dietro la guida del calendario ecclesiastico, espose le diverse biografie dei santi, respingendo quanto non si accordava coi canoni della critica storica, allora ancora agli inizi. Pubblicò 8 volumi, comprendenti i santi commemorati nei mesi di gennaio, febbraio e marzo.

Questo geniale promotore della storia agiografica, i cui discepoli e continuatori dell’attività scientifica si chiamarono bollandisti, ebbe occasione di manifestare il suo apprezzamento benevolo sulla leggenda di S. Riccardo.

Il bollandista Papebroch dedicò particolare studio al ritrovamento del corpo di S. Riccardo e alla biografia del santo. Fu il primo a manifestare i suoi gravi dubbi sulla storicità della tradizione andriese.

Quasi contemporaneamente il dotto storico cistercense Ferdinando Ughelli, nella voluminosa Italia sacra sulla creazione e sviluppo delle diocesi italiane, poneva all’inizio della serie dei vescovi di Andria S. Riccardo, annettendovi le notizie apprese dalla tradizione locale.

Tutti gli altri scrittori antichi e recenti, che hanno trattato dell’episcopato cattolico, hanno espresso il loro parere sull’epoca più o meno remota dell’apostolato riccardiano.

Il Muratori negli Annali e il Cantù nella Storia universale accolsero le tradizioni andriesi.

Ai tempi nostri ha attirato particolare attenzione degli studiosi la cripta della Cattedrale, la basilicula prenormanna, il monumento più importante dell’antica città. Di essa si interessarono particolarmente l’archeologo italiano Bernich e i tedeschi Gregorovius e Hasseloff.

Gli studiosi locali non sono rimasti estranei alla attività culturale degli autori accennati anche quando la storia locale di altri paesi era negletta. Laici colti e soprattutto ecclesiastici hanno scritto apprezzate monografie su S. Riccardo e sulla vita religiosa e civile di Andria. Giovanni Pastore, Riccardo Durso, Giacinto Borsella, Riccardo Spagnoletti, Nicola Vaccina, Emanuele Merra, Michele Agresti, Riccardo Napolitano, Raffaele e Vito Sgarra, Giuseppe Ceci, Francesco Papa, Riccardo D’Azzeo, Pasquale Cafaro sono nomi che meritano la riconoscenza cittadina per aver dedicato parte del loro tempo allo studio appassionato delle vicende storiche di Andria.
Le loro varie opinioni, alle volte opposte, sono ravvicinate e cementate dall’amore alla città e alla fede riccardiana.
Ognuno di essi ha portato un contributo più o meno notevole alla storiografia locale.

Accanto agli autori menzionati ha rilievo l’alta figura del Duca Francesco Del Balzo (1410-1482). Egli amò sinceramente la sua Andria; beneficò i poveri, restaurò chiese e conventi e lasciò i suoi beni per dotare le opere di fede e di arte. Ebbe la fortuna di ritrovare le sacre spoglie del santo Patrono, e si mostrò riconoscente del favore straordinario, lavorando per rintracciare quanti documenti fosse stato possibile sulla vita del santo. A conclusione del suo lavoro d’indagine pubblicò una monografia che, secondo il costume del tempo, chiamò leggenda: «Legenda inventionis et translationis gloriosi sancti Riccardi anglici, Episcopi andriensis».

Il popolo, che era rimasto scosso e disorientato dalle rovine accumulate dai barbari ungheresi e soprattutto dallo smarrimento dei resti mortali di San Riccardo, ritrovò la pace del cuore e l’incremento alla vita religiosa dall’opera del suo duca, umile collaboratore della legittima autorità ecclesiastica.

La sua salma venerata dorme il placido sonno presso il tempio di S. Domenico, di cui egli emulò la dottrina, lo zelo e le virtù. Un pregevole busto in marmo, probabile opera dello scultore Francesco Laurana è tenue segno della riconoscenza andriese a chi seppe congiungere alla nobiltà del sangue quella meno apparente, ma più pregevole dell’animo.

NOTE    (nell'originale le note sono di pagina, non di fine argomento)