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Domenico Di Leo

RICERCA SULLE ORIGINI DI ANDRIA

stralcio dalla tesi di laurea del 17/12/1971

Parte I - le fonti archeologiche:
I Monumenti


Dopo un vuoto di circa nove secoli in cui si riscontra la mancanza pressoché totale di qualunque testimonianza sia archeologica che letteraria, i monumenti, appresso descritti ed esaminati, tornano a documentare nel periodo che va all’incirca dal VI al XII Sec. l’esistenza di insediamenti umani più consistenti nella zona di Andria.
Tra i monumenti che più interessano per la storia delle origini di Andria è la cosiddetta Cripta della Cattedrale. Si tratta in realtà non di una Cripta, ma di una vera e propria Chiesa a due navate con abside circolare, innalzata a suo tempo sull’antico piano stradale, come testimoniato dalle finestre e dall’ingresso. L’essere stata rinvenuta nel 1904 sotto il Presbiterio della Cattedrale, interrata di circa m 4, le è valso il titolo improprio di Cripta. Molto hanno scritto gli studiosi locali intorno a questo monumento, ma poco è giovato a far luce sulla sua storia, essendo la loro ricerca diretta ad altri obiettivi. Preoccupati infatti di dimostrare l’esistenza di Andria in tempi pagani, D’Azzeo[1], Morgigni[2], e Mucci[3] vi hanno scorto, fondandosi si alcuni elementi architettonici come l’altare, il pozzo, le colonne e i capitelli, tracce di un antico edificio pagano; d’altra parte Zagaria[4] e Cafaro[5] contestano tutto e ritengono che la Chiesa testimoni solo la presenza di un piccolo villaggio in epoca pre-normanna.
Si è reso pertanto necessario un riesame del monumento fondato sulle osservazioni dei due studiosi che lo visitarono subito dopo i lavori di sterramento: Ettore Bernich [6] e Artur Haseloff[7].

Il primo problema da rivedere è relativo alla datazione. Gli storici locali, sulla scorta del Bernich, sono concordi nell’affermare che la Chiesa dovrebbe essere ufficiata prima del 1069 perché in quell’anno essa era già interrata e sostituita dalla Chiesa soprastante. Questo, in sostanza, è il ragionamento del Bernich: “Sappiamo che l’odierna Cattedrale di Andria dovè essere terminata prima del 1069. Infatti, in quell’anno, vi fu sepolta la principessa Emma, figlia di Gottifredo, Conte di Conversano, il tumulo della quale fu scoperto nel gennaio 1799, nel togliere lo stucco da un piastrone, a cui era addossato il Pulpito. Poiché la Cattedrale fu costruita appunto sulla nostra Cripta, è indubitabile che questa non possa essere posteriore al X secolo. [8]”. Così hanno ragionato anche Cafaro[9] e Mucci[10].
Tutto ciò è però fondato a mio avviso su un equivoco causato in buona o mala fede dal D’Urso, la cui testimonianza è stata pienamente accolta senza ulteriori verifiche. Infatti il Bernich ha ripreso quasi integralmente il relativo brano del D’Urso che nel testo dell’iscrizione inserisce arbitrariamente la data del 1069, e, per di più, in cifre arabe. L’inserimento della data non è casualmente sfuggita al D’Urso perché poco appresso ripete: “essersi di fresco scoperta una colonna marmorea con alcuni versi e con l’indicazione del 1069.” [11].
L’epigrafe invece, che per gentile consenso del Conte Spagnoletti, mi è stato possibile fotografare, non porta alcuna indicazione di data e piuttosto che l’avanzo di un tumulo sembra essere stata incisa con intenti commemorativi all’epoca della prima costruzione delle navate della Cattedrale [12].
Inficiata pertanto la cronologia di questo documento, resta solo la probabilità che la Chiesa sia stata costruita prima dell’ XI sec. , ma non la certezza, come vuole il Bernich.
Ancora sul problema della datazione, gli studiosi si sono così espressi: “che la nostra Cripta non sia anteriore al VII SEC.è accertato dal trovarsi  adoperato, come materiale di risulta da altro edificio demolito, il capitello bizantino. Così il Bernich [13] e così pure l’ Haseloff: “in quanto alle date, noi possiamo trarre da quest’ultimo soltanto (il capitello bizantino) l’argomento che la costruzione non possa essere stata condotta a termine prima del VII Sec” [14].
Di fronte a queste asserzioni non valgono le contestazioni dei nostri studiosi che vogliono far rimontare la costruzione ad un’epoca anteriore al VII Sec. E addirittura all’epoca pagana, come, secondo loro, dimostrano l’altare “che è una vera e propria ara pagana”[15] e il pezzo che “serviva molto ai pagani, per lavare le vittime animalesche che essi immolavano”[16]. Solo valida sembra invece l’osservazione del D’Azzeo a proposito del capitello bizantino considerato dagli archeologi: “essi dicono, che la Cripta non va oltre il Sec. settimo, perché è adoperato il capitello bizantino nel pronao. Ma il pronao è necessario osservare, non è mai stato costruito contemporaneamente alla Chiesa a cui appartiene, ma è sempre o quasi sempre di data posteriore” [17]. Quest’osservazione è avvalorata dalla presenza di diversità di costruzione e di materiali tra il corpo centrale ed il pronao in cui è il capitello; pertanto viene meno ogni solido fondamento per collocare la Cripta in età non anteriore al VII  Sec.

Caduto così ogni tentativo di datazione e d’interpretazione, ancora oggi il monumento pone una grossa remora alla comprensione della storia delle origini. Significativa è a questo proposito la dichiarazione dell’ Haseloff : “i motivi per cui fu conservata questa specie di costruzione meschina nei nuovi fabbricati della Cattedrale sono ignoti: potremmo ammettere, che degli importanti ricordi ecclesiastici fossero ad essa costruzione collegati” [18].
Ma vi è ancora una traccia, finora trascurata, che seppure molto vaga, può con ogni probabilità fornire una certa spiegazione. È la presenza del bizantinismo rilevata pure dal Bernich nelle sue osservazioni intorno a questo monumento [19]. La Cripta è infatti orientata alla bizantina, avendo l’abside ad oriente, e l’ingresso ad occidente. Vi furono rinvenuti all’epoca del restauro, moltissimi pezzi di intonaco sui quali appaiono i soliti motivi ornamentali su fondo rossastro cupo, che tradiscono l’origine orientale. Sotto il terriccio il Bernich notò pure “frammenti dell’antico pavimento ad opus cesellato [20], policromo, composto di rombi e stelle”. Altro elemento decisamente bizantino è il già menzionato capitello. Inoltre il Duca del Balzo poté osservare nel 1438 vari affreschi di pontefici e santi eseguiti “da mano greca” [21].
Questo riferimento al bizantinismo, che nel caso della Cripta può essere anche discutibile, diventa tanto più concreto ed opportuno in quanto vi sono in Andria altre testimonianze ben più precise: le cosiddette Lauree basiliane.
Sono testimonianze di quel monachesimo orientale che interessò l’arte, la cultura e la storia dell’ Italia Meridionale pre-normanna e che in Andria ebbe la sua punta più avanzata verso il Nord. Attualmente vi sono quattro cripte bizantine: S. Croce, S. Maria dei Miracoli, S. Maria dell’Alto Mare e Cristo di Misericordia; ma nei tempi passati furono certamente di più; di esse ci dà notizie il Gabrieli [22]; si tratta di una, non meglio identificata, Cripta in masseria Piscialo, proprietà G. Puntodda, a circa 8 Km da Andria, sulla via Altamura-Taranto (?); di un’altra, pur essa introvabile, in Contrada S. Nicola, sulla via di Cassano (?), e, infine, della Cripta di S. Vito, ancor viva nel ricordo dei più anziani andriesi; di questa non è rimasto più nulla essendo stata ridotta a frantoio d’olive.[23]
Fra tutte solo S. Croce è rimasta pressoché intatta, mentre le altre sono state “ripulite”, incorporate in più grandi edifici e adattate a più nuove esigenze.
Queste Chiese grotte vengono generalmente indicate come “Lauree basiliane” da lungo tempo usate per riferirsi generalmente al monachesimo orientale, resta da esaminare se qui si tratta di Lauree o di semplici oratori rupestri eremitici o no.
La Laura, si sa, è una forma tipica di insediamento monastico orientale molto vicina al tipo cenobitico occidentale, dal quale si differenzia per un più accentuato impegno di vita contemplativa che comunque non vieta a questi monaci di inserirsi attivamente nel vivo ambiente laico del villaggio già esistente o non ancora nelle immediate vicinanze.
Che quindi le Chiese grotte di Andria siano state inserite nel vasto complesso della Laura e non siano state soltanto oratori eremitici, lo si può agevolmente dedurre dalla presenza di moltissime celle grotte circostanti.
Il Molajoli osserva a proposito di S. Croce: “…dovette in antico essere il centro di una serie di grotte e celle monacali, come può desumersi anche dall’attuale conformazione del terreno circostante e dalle sparse tracce di escavazioni non recenti”. [24]; la stessa osservazione va fatta per le altre Chiese grotte e specialmente per S. Maria dei Miracoli e S. Maria dell’Alto Mare.
La breve distanza che separa i vari oratori oltre a fugare del tutto il sospetto che si tratti di cappelle eremitiche, suggerisce l’ipotesi che i vari oratori siano stati inseriti in un unico e vasto complesso, una grande Laura con una Chiesa madre ed altre secondarie da essa dipendenti.
Come nel caso della Cripta della Cattedrale, così anche in questo caso è molto difficile una precisa collocazione cronologica. Gli studiosi che finora si sono interessati delle grotte bizantine di Andria hanno proposto, partendo da considerazioni generali sulla storia di questi insediamenti monastici, il Sec. X e XI ; ma nulla vi è nelle nostre grotte che lo indichi chiaramente. Le pitture sono, nella maggioranza dei casi, del 400 e 500, e si tratta quasi sempre di rifacimenti e sovrapposizioni, mentre la struttura architettonica della Chiesa può indifferentemente essere assegnata al VII come all’XI sec. e cioè può inserirsi in un momento qualsiasi del lungo periodo di presenza dei Bizantini in Italia Meridionale[25].

Per una più completa e chiara visione dei problemi che i monumenti di Andria pongono alla storia delle sue origini, conviene prendere in considerazione alcune notizie che ci pervengono da varie fonti.
La pur  breve e vaga descrizione fatta dal D’Urso[26] a proposito di una chiesetta, oggi non più esistente, induce a pensare ad una Cripta bizantina rimasta dimenticata, come successo per qualche altra. Questa la descrizione: “nello scavo, che anni sono venne praticata nell’ antica e colladente casa de’ signori Colavecchio, dirimpetto la Chiesa di S. Domenico, si rinvenne un sotterraneo, dove patentemente si manifestavano i Cristiani esercizii della nascente Chiesa; cioè un altarino con una croce nel tufo”.
Secondo il Morgigni[27], sembra che debba interessare l’archeologia cristiana uno strano monumento che si trova tuttora in via Tutino. Si tratta anche qui di un vano di forma rettangolare ricavato nel masso tufaceo che però, per le recenti trasformazioni non presenta più alcuna traccia di abside né di nicchia. Resta solo, a metà della lunghezza dell’unica “navata”, un monolitico architrave con bassorilievi cinquecenteschi che sembra essere stato posto a consacrare un più antico luogo di culto.
Nella descrizione che il D’Urso [28] riporta del rudere di un’altra chiesa, posta fuori del centro abitato, in località S. Pietro, si possono cogliere collegamenti con la Cripta della Cattedrale e altri ruderi che presentano identica struttura. Questa Chiesa si trovava dove ora poggia la casina del sig. Pastina nella località anzidetta a 3 KM dall’abitato. Il D’Urso poté osservare la superficie del suolo “tutta ingombra di smussati rottami”, era rimasta solo la fonte absidale, “in forma di nicchia all’uso antico.”[29] Scavi occasionali effettuati nella stessa zona portarono alla scoperta di numerosi sepolcri “e principalmente uno molto ampio contenente uno scheletro di smisurata mole; giacendogli accanto alcune militari divise”. Manca nella descrizione ogni elemento utile per la datazione di queste tombe.
L’abside circolare già indicato dal D’Urso può essere considerato tipico della struttura architettonica delle più antiche Chiese di Andria. Così è infatti nella Cripta della Cattedrale e nel rudere di una altra Chiesa esistente in località Quadrone [30], proprietà Porro Pastore. Quest’ultimo, che presenta tracce di più recenti manomissioni, oltre al caratteristico abside centrale, ha ai lati due nicchie pseudo-absidi. Si riferisce forse a questa Chiesa una notizia del 1144 riportata nel Chronicon del Monastero di S. Stefano [31]. Secondo questa fonte la Chiesa, dedicata a. S. Nicandro e S. Marziano, fu, nell’anno suindicato donata da un Vescovo Leo di Andria al detto Monastero. Anche nei dintorni di questo rudere Morgigni riferisce che si trovò un gran numero di tombe “contenenti monete di imperatori greci” [32].
Ancora una notizia si può ricavare dal Morgigni[33] a proposito di una “antichisissima Cappella pitturata detta di S. Pietro”, che si trova in cima a una collina a breve distanza da Montegrosso. Non si può dire quanto sia fondata tale notizia; il Morgigni è l’unico infatti che vi accenna. Dai ruderi che tuttora esistono si può comunque rilevare che il sistema costruttivo è sempre lo stesso, qui come nella Cripta della Cattedrale, come nel rudere già indicato in località Quadrone, come in quello indicato dal D’Urso. La presenza inoltre in questi luoghi di tombe contenenti monete di imperatori greci, di toponimi come Papaluca e Paparicotta, in cui il termine “Papas” è da riportare alla terminologia ecclesiastica orientale, la presenza, infine, di Chiese che hanno nell’abside una caratteristica dell’architettura bizantina e, ancora, l’esistenza di una di queste che nel 1144 era dedicata ai S. Nicandro e Marziano [34], molto noti ai monaci orientali che ad essi dedicarono altre Chiese, sono tutti fatti che vanno collegati e inseriti nell’ampio contesto storico bizantino in Italia Meridionale.
A tale presenza devono pure riferirsi le rivelazioni del Canonico Cristiani sulla Chiesa di S. Michele al Lago, oggi S. Angelo: “nel demolire l’antica Chiesa dentro e fuori di essa si sono trovati parecchi sepolcri entro i quali non poche monete che si conservano tuttora; … sulla faccia di alcune si legge “Λεον εν θεο Βασιλευς Ρομεον”. Nel rovescio rappresenta uno stemma in forma di croce sormontata dalla medesima iscrizione”[35]. Il Cristiani riporta inoltre alcuni passi dagli Atti di S. Visita di vari Vescovi[36], da cui risulta la presenza in questa Chiesa di affreschi tipici della iconografia orientale, simili a quelli di S. Croce; nulla di preciso comunque si può dire sulla loro datazione.
Alla presenza in Andria del culto orientale di S. Michele [37] si riferisce la preziosa notizia del Pastore [38] relativa a una grotta presso il Santuario del SS. Salvatore in cui “si osservano alcune pitture ritratte nella superficie dei lati, alla greca maniera, una delle quali rappresenta l’Arcangelo S. Michele, e le altre altri Santi; ma oggi sfigurate in modo che non fa distinguere quali personaggi rappresentar voglino… dal volgo viene appellato S. Angelo in Gurgo” [39].
Di altri affreschi bizantini dà notizia il D’Urso che li vide ai suoi tempi “affrescate nella muraglia presso l’altare maggiore” di Porta Santa [40], e Mucci che si riferisce a immagini di Santi assai  rovinate [41] viste però da altri in una cisterna nei pressi della Chiesa rurale di S. Lucia.
Non ho potuto accertare la veridicità di alcune notizie riportate dagli autori locali relative a una specie di cripta, le cui parete affrescate rappresentavano “cavalli, figure ignude pagane”[42] ; a “un tempietto pagano con colonnine di pietra e la testa di un Nume” [43] ; a “una cappella sotterranea avente le pareti coperte di affreschi”. [44]
Si sente in queste notizie quel particolare gusto popolare per il fantastico che ingigantisce e colora tutto ciò che di strano si possa presentare e che lascia naturalmente perplesso chi vuole iniziare una verifica.


[1] D’AZZEO, Andria nel I° millennio … cit., pag. 1-5.
[2] MORGIGNI, Pagine sparse,  cit., p. 119.
[3] MUCCI, Sulle origini … cit., p. 95.
[4] ZAGARIA, S. Riccardo, p. 120.
[5] CAFARO, La prima pagina … cit., pag. 7-8.
[6] BERNICH, La Cripta del Duomo di Andria, in: Napoli mobilissima, t. 12°, fasc. 12°, p. 183-185.
[7] HASELOFF, Le tombe delle Imperatrici Sveve, in Rassegna pugliese, XXII – 1905, p. 186.
[8] BERNICH, op. cit., p. 185.
[9] CAFARO, op. cit., pp. 12-13.
[10] MUCCI, op. cit., p. 95.
[11] D’URSO, op. cit., p. 50.
[12] [nota illeggibile]
[13] BERNICH, op. cit., p. 185.
[14] HASELOFF, op. cit., p. 186.
[15] MUCCI, op. cit., p. 95.
[16] D’AZZEO, op. cit., p. 3.
[17] Id., p. 24.
[18] HASELOFF, Loco cit.
[19] BERNICH , Loco cit.
[20] Il termine riportato dal D’Azzeo è errato e sta sicuramente per “tessellatum” e comunque, in italiano, “tessellato”.
[21] Dal BALZO , Legenda inventions et traslationis gloriosi Sncti Richardi Angelici, episcopi andriensis, trad. in Zagaria, S. Riccardo, op. cit., p. 22.
[22] GABRIELI, Inventario topografico cit.,  pp. 11-12. Le indicazioni molto imprecise rendono difficile la localizzazione.
[23] Una sommaria descrizione di questa Cripta si trova in Merra, Monografie andriesi, vol. 1^ p. 77.
[24] MOLAJOLI, La Cripta di S. Croce in Andria , in: Atti e memorie della Soc. Magna Grecia Biz. e Med., Vol. 1^, 1938,  pp. 25-36.
[25] ABATANGELO, Chiese-Cripte e affreschi italo bizantini di Massafra, Taranto 1966, p.5.
[26] D’URSO op. cit.,  pag. 18.
[27] MORGIGNI, Pagine cit., pp. 153-154.
[28] D’URSO op. cit.,  p. 17, n 2.
[29] Dalla concavità dell’abside si ricavò n seguito un ripostiglio.
[30] Di tale rudere non si parla in alcuna pubblicazione. E’ stato da me rinvenuto casualmente il giorno in cui mi sono recato in questaa località per vedere il muro romano citato dal Morgigni. (op. cit. p. ___) A circa m 500 di distanza dal muro era l’abside sopra descritta. Per quanto riguarda il muro, esso presenta ancora qualche traccia di opus magnum ed è da collegare alla presenza della via Traiana che passa proprio in quel luogo.
[31] Archivio storico per le Provincie napol., a. X. pag. 573.
[32] MORGIGNI, op. cit., p. 164.
[33] Id. p. 157.
[34] VENDITTI, L’architettatura bizantina nell’Italia Meridionale, vol. 1^, p. 163. L’autore descrive una cripta bizantina di Siracusa dedicata a S. Marziano.
[35] CRISTIANI, La nuova Chiesa di S. Michele al Lago, Bologna, 1897 , p. 34, n. 11. Su altre monete si leggono secondo l’autore le seguenti lettere: I P P. Rex Ara, e nel rovescio una croce sormontata dal motto “In hoc signo vinces”; su altre è scritto “Roma vecchia” (?).
[36] Cita gli atti di Mons. Trieri (1694) di Mons. Ariani (1697) e di Mons. Tordi (1721). Oggi non si trovano più.
[37] Sulla provenienza orientale del culto di S. Michele, cf. LUCIUS, Die Aufange des Heiligenkultus in der Christilichen Kirche, Tubinga  1904, pp. 266 e segg. ; GUNTER , Psychologie der Legende, Friburgo 1949, pp. 133 e 157.
[38] Il Pastore (1806) è il primo studioso e appassionato ricercatore della storia andriese; dai suoi manoscritti, purtroppo perduti, prende il D’URSO.
[39] MERRA, op. cit. I p. 303.
[40] BERNICH, Andria e reminiscenze sveve, Andria 1904, p. 5.
[41] MUCCI , op. cit. p. 103.
[42] MORGIGNI op. cit p. 131.
[43] Id . Loco citato.
[44] Basti qui riportare, a titolo d’esempio, quanto mi è risultato nel chiedere ai sigg. Latorre e Loizzi (l’arrotino citato dal Mucci – vedi nota (4)-  maggiori particolari sulla notizia riferita al Mucci e da lui raccolta: mi ha stupito il fatto che il primo ha dichiarato di non aver dato notizie del genere a Mucci; il secondo ha precisato di non aver visto “una cappella sotterranea con le pareti coperte di affreschi; ma più semplicemente le pareti della casa attigua”.