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da

Atti e Memorie
della

Società Magna Grecia
Bizantina - Medioevale

I. VOLUME
MCMXXXIV


Atti


Sui restauri della cripta di Poggiardo eseguiti sotto la direzione del compianto collega Q. Quagliati, e sui lavori compiuti nella chiesetta di S. Croce presso Andria, riferisce minutamente in questo primo volume dei nostri Atti e Memorie, il Dottor Bruno Molajoli ispettore della Soprintendenza di Bari.

Notiziario

Il giorno 21 marzo 1934 alle ore 16 pom. nella sede sella Società Magna Grecia a Palazzo Taverna [Roma] si è riunito il Consiglio della Magna Grecia Bizantina-Medioevale. …

Il Prof. Munoz, assunta la presidenza, … dà la parola al dott. B. Molayoli ispettore della soprintendenza di Bari, venuto appositamente a Roma per illustrare al Consiglio, con proiezioni luminose, le due cripte di Poggiardo e di Andria alle quali ha rivolto le sue cure la Magna Grecia Bizantina-Medioevale.

Il Dott. Molayoli espone quanto è stato fatto per salvare le due cripte e ne descrive i più importanti affreschi (le due relazioni complete sono pubblicate nel presente volume). …


La cripta di S. Croce in Andria

di Bruno Molajoli, (1905-1985)

Appena fuori dell’abitato di Andria, nella contrada detta dei Lagnoni, in una massa tufacea di circa cento metri di perimetro ormai quasi da ogni lato frammentariamente isolata e circondata da orti e vigneti (tav. I, A) è scavata la cripta di S. Croce che dovette in antico essere il centro di una serie di grotte e di celle monacali, come può desumersi anche dall’attuale conformazione del terreno circostante e dalle sparse tracce di escavazioni non recenti.


[tav. I, A: Esterno della cripta di Santa Croce - foto di A. Ceccato di Ancona, per Soprintendenza di Puglia, 1934]

Chiari sono anche i segni di numerose manomissioni e di attentati alla sua integrità: il culto che vi rimase fervidissimo fino a tempi a noi vicini, se la preservò dall’abbandono e da una fatale rovina - ché intorno vi si andò a cavar pietra per lungo tempo - non le risparmiò tuttavia modificazioni varie ed anche sostanziali.

Nonostante ciò, la cripta di S. Croce rimane un esempio di notevole interesse nella diffusione di così caratteristici oratori in terra di Puglia: la vastità della pianta, il vario corredo pittorico, il valore storico-religioso che le si connette, ben la rendono meritevole dell’attenzione degli studiosi. A tal fine la Società Magna Grecia Bizantina Medioevale si è preoccupata di preservare questo monumento dalle insidie del tempo e degli uomini, e ha provveduto a far eseguire i più necessari lavori di protezione e di assetto [1], facendo convenientemente sistemare le finestre e la porta di accesso;

     
[Fig. 7 e 8: schemi della nuova porta e delle nuove finestre]

questa restaurata e chiusa con nuove imposte (fig. 7), quelle riadattate per l’aereazione e l’illuminazione dell’interno e fornite di inferriate e graticci (cfr. figg. 4, 5, 6, 8). Ha inoltre provveduto alla ricca documentazione fotografica che correda questo scritto consentendo una più chiara illustrazione dell’interessante monumento, nella sua architettura e ne’ suoi documenti pittorici [2].

         
[Fig. 4, 5 e 6: cripta di Santa Croce: sez. BA, GH ed EF con le nuove finestre - rilievo grafico di Ercole Checchi, Soprintendenza di Puglia, 1934]

* * *

Strana architettura, se pur questo nome le conviene, creata – direbbe il Vasari – «per via di levare» anziché «per via di mettere»; e quindi casualmente immediata, elementare, dissestata nei suoi caratteri planimetrici, come altra mai. Tuttavia non priva per noi di un suo significato derivante soprattutto dagli inattesi aspetti pittoreschi e romantici ch’essa assume ai nostri occhi.

Da un lato la ragione del tutto pratica che le generò nel facile taglio della roccia, dall’altro un residuo ancor vivo di bizantina tendenza a sommettere i valori costruttivi alla decorazione di superficie che tutto avvolge e ogni geometria corrode, fanno sì che codeste strutture grottali, qui ed altrove, ci si presentino come curiosi compromessi tra natura ed arte; come fasi intermedie di un’assurda evoluzione dalla speleologia alla definita architettura.


[Fig. 1: Pianta della cripta di Santa Croce - rilievo grafico di Ercole Checchi, Soprintendenza di Puglia, 1934]

La pianta di S. Croce (fig. 1) rivela siffatti caratteri: nell’interno, di perimetro trapezoidale, dal lato minore, al cui esterno s’appoggia una sorta di atrio, s’irradiano divergenti le tre navate, concluse da cappellette che dell’abside non conservano più la curva forma tradizionale. I quattro massicci pilastri che le separano s’innalzano irregolarmente e si volgono ad arco a sostegno della volta piana, oppure sono assorbiti in essa verticalmente, senza preoccupazioni di simmetria (tav. II, A).

  
[tav. II,A e tav. I,B: I massicci pilastri e l'accesso tagliato ad arco nella roccia - foto di A. Ceccato di Ancona, per Soprintendenza di Puglia, 1934]

L’accesso alla navata centrale è pur esso tagliato ad arco nella roccia (tav. I, B) mentre l’atrio e il vano ad esso contiguo a sinistra costituiscono insieme un avancorpo che si distingue dal resto della chiesa anche per il modo della costruzione ch’è in pietra squadrata, con copertura a volta a botte, e con vari adattamenti d’epoca posteriore, specie nella facciata a doppio spiovente [3]. Da questa al fondo attuale del coro si misurano m. 19,85, (figg. 3 e 4);

    
[Fig. 3 e 4: cripta di Santa Croce: sez. AB e BA - rilievo grafico di Ercole Checchi, Soprintendenza di Puglia, 1934]

ma in origine la cripta non aveva tanta profondità; ché la sua nave centrale, di tre campate come le altre due laterali, terminava con un’abside a pianta semicircolare inconsultamente distrutta in tempi recenti [4], insieme con le vestigia dei subselia ricavati nel masso, allo scopo di dare più ampio spazio ad un ingombrante altare moderno. L’abside antica aveva assai minore larghezza dell’attuale arco di accesso al presbiterio, come può dedursi dal taglio delle scene affrescate ai lati, rimaste ora mozze, e dal breve residuo della rozza scorniciatura in due riseghe al sommo dell’arco (fig. 2), identica a quella che si vede tuttora negli archi di altre campate.


[Fig. 2: la rozza scorniciatura in due riseghe al sommo dell’arco - rilievo grafico di Ercole Checchi, Soprintendenza di Puglia, 1934]

Un tal genere di architettura sommaria e spicciola, priva di spiccati caratteri evolutivi, e la particolare natura della roccia, docile al taglio, friabile e ribelle alle patine del tempo, rendono assai difficile ricercare nella compagine struttiva, come si può altrove, qualche segno della storia del monumento; e consigliano pertanto di accogliere con riserva le datazioni che si sono proposte da alcuni studiosi [5]; non soccorrendoci in questo caso nemmeno il terminus ante quem costituito dalle pitture che decorano le pareti e che per i loro troppo tardi caratteri lasciano facile accesso all’ipotesi di un intervallo anche notevole tra la originaria escavazione della cripta e la decorazione pittorica oggi conservata, che può rappresentare una fase posteriore di rinnovazione per la continuità del culto. Cosicché – allo stato delle conoscenze e dei documenti sui quali possiamo far conto – non ci è consentito fare fondate congetture sull’epoca di origine della cripta, pur non potendo escludere che essa debba presumibilmente riconnettersi alla tradizione basiliana, della cui diffusione in terra di Puglia rappresenterebbe una delle ultime e più settentrionali propaggini.

* * *

Non più che fievoli echi di quella tradizione si possono cogliere, invero, in taluni degli affreschi che decorano la cripta, specialmente in quelli che serbano caratteri ritardatari nella ristampa di consunti modelli; e non sono la parte più interessante di tutta la decorazione pittorica di cui qui brevemente faremo cenno, seguendo, in difetto di un qualsiasi altro ordine storico o logico, quello topografico della distribuzione dei dipinti.


[tav. IV, A: Nell’atrio, a sinistra, entro un archivolto è rappresentato il Cristo Crocifisso, - foto di A. Ceccato di Ancona, per Soprintendenza di Puglia, 1934]

Nell’atrio, a sinistra, entro un archivolto (tav. IV, A), è rappresentato il Cristo Crocifisso, con la Vergine sorretta da due pie donne da un lato e S. Giovanni Evangelista dall’altro; in terra è distesa la Maddalena in adorazione [6]. La modellazione scarna, su un colore carnicino uguale per tutte le figure, è definita con profilature terrose nelle mani, negli occhi, nelle sopracciglia, rosse nella bocca. Nel reclinato capo del Cristo – volto lungo ed ossuto, occhi chiusi, il filo delle labbra incurvato in espressione di dolore – è il vago ricordo dei più diffusi prototipi dugenteschi bizantini; ma per il resto, pur nella sommarietà della grossolana pittura, si vedono chiari i segni di influssi molto più tardi, tali da portare la datazione entro il XV secolo.


[tav. I, B: le due frammentarie figure dell’Annunciazione, ai lati dell’arco principale di accesso - foto di A. Ceccato di Ancona, per Soprintendenza di Puglia, 1934]

Di tipo coerente sembrano le due frammentarie figure dell’Annunciazione, ai lati dell’arco principale di accesso alla chiesa (tav. I, B): a sinistra quella dell’Arcangelo, di cui rimane parte della veste rossa e bianca a disegni rossi e neri, la testa di biondi capelli, le ali gialle su sfondo rosso; a destra la figura della Vergine, pur molto frammentaria, in veste d’azzurro annerito, nimbo giallo, inginocchiata sotto un’edicola bianca a profili neri, su fondo rosso.

Nei fianchi dell’arco, su due sfondi simili di verde scuro incorniciati da fascie gialle, bianche e rosse, sono due immagini di santi. La prima, a destra, è una figura femminile dai capelli biondi spartiti sulla fronte e cadenti in ciocche inanellate, con la veste rossa dall’ampio scollo; sostiene con le mani due cestelli ricolmi di fiori per quel poco che è dato intravvedere tra la rovina dell’affresco, e sembra potersi identificare con S. Dorotea (tav. III, B).


[tav. III, B: Santa Dorotea - foto di A. Ceccato di Ancona, per Soprintendenza di Puglia, 1934]

L’altra figura, nel pilastro di fronte, rappresenta un santo monaco, vestito di saio nero, in atto di benedire con la destra, mentre nella sinistra tiene un libro; si credette riconoscervi S. Basilio [7], ma l’attributo della catena che il Santo tiene ciondoloni nella mano sinistra può farlo meglio identificare con S. Leonardo (tav. III, A).


[tav. III, B: San Leonardo - foto di A. Ceccato di Ancona, per Soprintendenza di Puglia, 1934]

Interessante, sotto l’aspetto qualitativo, il confronto tra le due figure: nella prima l’autore ci appare in uno stadio di conoscenze certamente avanzate, soprattutto nell’ intento plastico del modellato condotto non senza qualche morbidità e finezza; nella seconda questo stadio non è ancora raggiunto, e per quanto certe insistenti ricerche di faticosa modellatura nelle vesti ci assicurino non avere questo dipinto età molto anteriore a quella che può attribuirsi al precedente (XV secolo), tuttavia nel volto lungo e piatto dal fiso sguardo penetrante abbiamo ancora il richiamo agli schemi bizantini del ‘200 trasmessi da una generazione all’altra e ormai così affievoliti da entrar come inerti elementi in tutt’altra maniera.

Nella parete della navata destra si hanno altri dipinti: sull’inizio, entro una riquadratura includente in alto una centina trilobata dal fondo scuro risalta una figura ignuda di Santo (S. Sebastiano?), vista frontalmente, ma ormai quasi del tutto svanita.

Verso la zona absidale restano visibili, sebbene alquanto deteriorate, quattro scene (in origine ve ne erano altre due, poi distrutte per l’apertura della finestra) relative alla Invenzione della Croce. Nella prima, in alto a sinistra, S. Elena a cavallo seguita dal corteggio giunge alle porte di Gerusalemme e consulta i Sapienti; nel riquadro a fianco S $lena assiste alla confessione di Giuda; nella terza scena, sotto la prima, S. Elena ritrova miracolosamente la vera Croce; nell’ultima, l’Imperatore e S. Elena sono prostrati in adorazione davanti alla reliquia (tav.II B).


[tav. II, B: Invenzione della Croce - foto di A. Ceccato di Ancona, per Soprintendenza di Puglia, 1934]

Questi dipinti, non dissimili stilisticamente da quello rappresentante la santa nel fianco destro dell’arco di accesso e quindi databili anch’essi al XV secolo, ci sembrano interessanti per certo paesano spinto aneddotico che vi affiora ingenuamente, animandone la composizione del resto stipata e greve. Ritroveremo più oltre la stessa mano.

Ma intanto prima di procedere verso l’abside, conviene ricordare una strana rappresentazione che si vede nella facciata del secondo pilastro, di prospetto alle scene della Croce: un santo pontefice, assiso in trono frontalmente con il triregno in capo, in atto di benedire, mentre sostiene con la mano sinistra una sorta di calice a navicella sul quale sono posate due teste umane, mozze. Più che la pittura, non dissimile dalle altre, per quanto più evidentemente goticizzante nei linearismi delle vesti, ci interessa la singolarità iconografica nella raffigurazione del Beato Urbano II; ne conosciamo uno simile in un affresco della chiesa di Casaranello, dove una iscrizione agevola la identificazione del soggetto.


[tav. IV, B: decorazione dell’archivolto che conclude la navata di destra - foto di A. Ceccato di Ancona, per Soprintendenza di Puglia, 1934]

E passiamo a dare uno sguardo alla decorazione dell’archivolto che conclude la navata di destra (tav. IV, B): sopra l’arco una fascia orizzontale include una cornice mistilinea tra quattro rombi, due per lato; nella prima è il Cristo, di fronte, a mezza figura; negli altri i quattro Evangelisti rappresentati a mezza figura umana, ma con la testa bestiale o angelica secondo il tradizionale simbolismo apocalittico. Nella parete di fondo è ancora una scena della Crocifissione, simile a quella dell’atrio, ma più volgarmente concitata e più tarda. Nell’intradosso dell’archivolto, su un campo azzurro chiaro cosparso di stelle rosse, entro un clipeo è l’Agnello mistico; nei fianchi sono effigiati due santi. Tutte queste pitture presentano caratteri tanto commisti, grossolani e ritardatari, da rendere alquanto ardua una proposta di datazione anche approssimativa, che può ragionevolmente oscillare tra il XV e XVI secolo [8].


[tav. V, B: quattro figure, a mezzo busto, di Santi pontefici e vescovi, racchiuse entro tondi - foto di A. Ceccato di Ancona, per Soprintendenza di Puglia, 1934]

L’ intradosso dell’arco di comunicazione tra la navata di destra e quella centrale è decorato con quattro figure, a mezzo busto, di Santi pontefici e vescovi, racchiuse entro tondi (tav. V, B); sono opere di mano affine a quella delle storie della Croce; mentre più sotto, nelle figure di S. Antonio abate da un lato (tav. V, C) e di un santo eremita dall’altro, ritornano quei caratteri di ritardato dugentismo che già notammo nella figura di S. Leonardo.


[tav. V, C: pareti di destra fiancheggianti l’arco trionfale - foto di A. Ceccato di Ancona, per Soprintendenza di Puglia, 1934]

La decorazione continua nella navata centrale e precisamente nell’arco trionfale con quattro scene di cui le due nella zona superiore si estendono anche nelle pareti di fianco e rappresentano Cristo tra gli apostoli (a sinistra) e l’Ultima cena (a destra) e pur essendo gravemente sciupate rivelano la stessa maniera delle storie della Croce. Gli altri due riquadri sottostanti rappresentavano l’Annunciazione, a sinistra, e la Crocifissione, a destra; ma come si è più sopra accennato, essi furono sacrificati col taglio dell’arco per l’ampliamento del presbiterio, così che d’ognuno non resta ormai che qualche frammentato elemento. Nelle pareti fiancheggianti l’arco trionfale sono anche due figure di santi: S. Nicola a destra (tav. V, C); non identificabile perché del tutto deperita quella di sinistra.

Nel sottarco tra la navata centrale e quella di sinistra troviamo le due scene più note e certo più importanti tra le altre di questa cripta: la Creazione di Eva e il Peccato originale. In questa (tav. VI, A) vediamo Adamo ed Eva, ignudi, e tra loro il serpente diabolico che s’avvolge in spire attorno al tronco di un albero. Nella prima scena invece è raffigurata – secondo una inconsueta iconografia poi interdetta – la Trinità in forma di persona umana sul cui collo s’innestano insieme le due teste del Redentore e dell’Eterno e quella del Paracleto (tav. VI, B). La divina immagine, rivestita di manto bianco leggermente ombreggiato e bordato in marrone, siede su un trono cuspidato di color giallo decorato a losanghe; sostiene nella mano sinistra il simbolico globo e protende la destra a suscitare la bionda e ignuda figura di Eva uscente dal fianco di Adamo, che è disteso in terra, addormentato.

   
[tav. VI, A e B: Peccato originale e creazione di Eva - foto di A. Ceccato di Ancona, per Soprintendenza di Puglia, 1934]

In queste due scene – nonostante i danni derivanti all’ unità del dipinto da molteplici distacchi e corrosioni dell’intonaco – il colore si mantiene tuttora vivace e gaio, e ci appare nella sua funzione intenzionalmente plastica, disteso con finezza di chiaroscuro e di sfumato. E poiché qui si tratta evidentemente della stessa maniera a cui si devono le scene della Croce e le altre che a quelle abbiamo connesse, qui meglio che altrove ci vengono chiariti i caratteri di una pittura locale che non resiste agli apporti di correnti artistiche derivate dall’Italia centrale e sia pure interpretate e tradotte in linguaggio popolaresco [9].

Non tanto assolute, tuttavia, da non lasciar coesistere ancora – laddove la pigrizia del tema li agevolava – quei reliquati di bizantinismo ché riappariscono nelle due frammentarie figure sottoposte a queste scene, quella di un santo monaco (S. Basilio?) sotto la prima, quella del Redentore risorto, sotto la seconda.

Concludiamo questa ricognizione delle pitture di S. Croce ricordando l’affresco che decora il fondo dell’abside della navata sinistra e in cui è raffigurato Cristo in trono tra S. Paolo e S. Pietro, dietro i quali si affacciano, appena delineate, alcune figurine di confratelli incappucciati (tav. V, A). Questo dipinto, che si presenta rispetto agli altri con caratteri di maggiore antichità e con tipologie più chiaramente vicine a modelli bizantini come soprattutto appar chiaro dalla macrocefala figura di S. Paolo nella quale l’ispirazione agli schemi orientali non può essere posta in dubbio, a nostro sommesso avviso è il solo cui possa convenire quella datazione al sec. XIV che altri con troppa larghezza – come s’è visto – ritennero di poter assegnare ai dipinti precedentemente ricordati, quando addirittura non favoleggiarono di più remota antichità.

Bruno Molajoli

[Testo tratto da “Atti e Memorie della Società Magna Grecia Bizantina - Medioevale”, Vol. I., a cura della Società Magna Grecia, Roma, 1934, pp. 5, 25-35, 39.]

NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)

[1] La somma per i lavori è stata in parte coperta da un'offerta di L. 2.000 raccolte dalla «Roma Unitas» e versate a questo scopo, dal convento di suore inglesi Holy Child di Roma, a Mrs. Strong. Speriamo che il generoso esempio venga imitato da altre istituzioni religiose.

[2] I rilievi grafici qui pubblicati sono stati espressamente eseguiti dal prof. Ercole Checchi, dell'Ufficio tecnico della R. Soprintendenza alle Opere di Antichità e d'Arte della Puglia, in Bari; le fotografie dal Dr. A. Ceccato di Ancona.
La cripta formò oggetto di «Investigazioni» da parte di R. O. SPAGNOLETTI in un opuscolo intitolato I Lagnoni e Santa Croce in Andria, Bari 1892; ma non tutte le notizie e considerazioni che vi sono profuse appaiono oggi accettabili, specialmente per quanto riguarda la datazione degli affreschi, come più oltre si vedrà. Altri accenni, più o meno sintetici ed esatti, vedi in: E. BERTAUX, L'Art dans l'Italie Méridionale, Parigi 1904, pp. 132 e 133 n. 2; A. AVENA, I Monumenti dell'Italia Meridionale, I, Roma, 1902, pp. 3-5; R . PAGENSTECHER Apulien, Lipsia 1914, pp. 98-99; A. VINACCIA, I monumenti medioevali in terra di Bari, I, Bari 1915, pp. 46-9; M. SALMI, Appunti per la storia della pittura in Puglia, in «L'Arte», XXII (1919), pp. t60 e 162 in nota; R. VAN MARLE, Le scuole pittoriche italiane (trad. ital.) I, Milano 1932, p. 463.

[3] Nell’atrio si conserva, utilizzato per acquasantiera, un capitello scolpito in pietra del secolo XIV (fig. 9) su fusto quattrocentesco.

[4] La distruzione avvenne intorno al 1888. Cfr.: SPAGNOLETTI, op. cit., pp. 18 segg. A circa quel tempo risalgono la costruzione di un campanile poi demolito e l’apertura delle finestre tuttora esistenti.

[5] Per il VINACCIA, op. cit., p. 47, «la forma rozza e primitiva della grotta è indice della sua grande antichità, rimontate ai primi secoli del cristianesimo» (sic); meno fantastica l’ipotesi dello SPAGNOLETTI (p. 25) che presume avvenuta l’escavazione della cripta tra il IX e l’XI secolo.

[6] Vedasi il casuale ma significativo richiamo iconografico della rappresentazione della Maddalena nella cripta di Poggiardo, ricordata in questo stesso fascicolo.

[7] Cfr .: SPAGNOLETTI, op. cit., p. 21. Il VINACCIA, op. cit., p. 48, data al XII secolo questa pittura e altre ad essa affini.

[8] Le figure degli Evangelisti furono ritenute dallo SPAGNOLETTI (p. 26) «non posteriori ai principi del sec. XI» (!).

[9] Nella datazione concordiamo con il SALMI, op. cit. p. 160; non con il VAN MARLE, op. cit. p. 463, che desume dal VINACCIA l'assegnazione alla fine del XIII secolo.