H. Swinburne: Viaggio ... Castel del Monte

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VIAGGIO ATTRAVERSO LE DUE SICILIE (1777-1780)


Viaggio da Reggio a Napoli

Henry Swinburne (1743-1803)
(stralcio)

Una scomodissima strada sassosa ci portò, attraverso una distesa di vigneti, a Ruvo. Il paesaggio, altrimenti assai monotono, era rallegrato dalle siepi di melograno in fiore e da lecci coperti di ghiande. Presso Quarata si incontra un altro monumento che celebra la vittoria riportata qui nel 1503 da tredici Italiani su altrettanti Francesi. In seguito ad alcune frasi ingiuriose di questi ultimi, gli Italiani li avevano sfidati a scendere in campo. Ciascun componente la squadra sconfitta doveva consegnare cento ducati, il proprio cavallo e l’armatura. La contesa non fu molto ostinata: uno dei Francesi venne ucciso, gli altri furono fatti prigionieri e condotti a Barletta, perché non avevano portato con sé il proprio riscatto. Gli autori italiani esaltano questa azione come un’impresa gloriosa, mentre i francesi accusano gli avversari di aver dimostrato durante il combattimento abilità e astuzia piuttosto che valore.

A questo punto abbandonai la strada romana e proseguii per quindici miglia verso occidente fino a Castel del Monte. La campagna è aperta, diseguale e arida. Il castello è un noto punto di riferimento e sorge sul ciglio di un’alta collina, l’ultima di una catena che si stacca dagli Appennini. La strada che sale al castello è lunga circa mezzo miglio e molto ripida; dal piazzale davanti al maniero si gode un panorama vastissimo. Su un lato si apre un’ampia distesa di mare e di piatte campagne. sull’altro invece si profilano i monti; si distinguono chiaramente tutte le città della provincia; tuttavia la nudità del paesaggio in primo piano sciupa non poco la bellezza del quadro. Il castello è ottagonale, di stile semplice e solido; le mura, di circa tre metri e mezzo di spessore, sono di pietre rossastre e bianche; il grande portale è di marmo, adorno di intricatissimi intagli in stile arabo; sulla balaustra della scalinata poggiano due enormi leoni di marmo dalle folte criniere scolpite con artistica rozzezza; nel cortile al centro dell’edificio v’è una vasca ottagonale di marmo di dimensioni sorprendenti. Portarla sulla cima di questa collina deve essere costato un’immane fatica. Duecento gradini conducono sulla sommità del castello, che ha due soli piani. Su ciascun piano si aprono quindici immense sale rivestite di marmi pregiati; i soffitti sono sostenuti da triplici colonne ricavate da un unico blocco di marmo bianco, con capitelli semplicissimi. Sul fondatore di questo castello le opinioni sono diverse, ma la più plausibile lo attribuisce a Federico di Svevia. Cenai e trascorsi le ore calde con grande comodità sotto il portico, che ha una bella vista sull’Adriatico.

La sera discesi giù per la collina; e viaggiai per nove miglia fino ad Andria, una vasta città feudale, ad est della strada romana. Andria è situata ai bordi di una campagna recintata, e poiché i suoi dintorni sono piuttosto collinosi, sono tutt’altro che spiacevoli, anche se senza acqua corrente. Questa città venne costruita da Pietro il Normanno, e acquisì il suo nome dagli antri o caverne in cui i primi abitanti dimorarono. Corrado IV nacque ad Andria, dove sua madre, l’imperatrice iole regina di Gerusalemme mori di parto a causa sua; e qui giace anche sepolta Isabella d’Inghilterra, un’altra moglie dell’Imperatore Federico. Beatrice, figlia di Carlo Il, ebbe in dote Andria per il suo matrimonio con Azzo D’Este, marchese di Ferrara. Alla morte del principe, ella prese come secondo marito Bertrando Del Balzo, progenitore dei Duchi di Andria, che fu a lungo a capo della Nobiltà Napoletana. Nel 1370, Francesco Del Balzo, per una contesa con il potente casato dei Sanseverino, e la sua ostinata resistenza al mandato reale, attirrò su di lui la vendetta della regina Giovanna I, che confiscò il suo patrimonio. Con l’ascesa al trono di Carlo III, egli venne riabilitato. Con la caduta di questa famiglia, Fabrizio Caraffa comprò il Ducato di Andria nel 1525 per centomila ducati.

Da qui io viaggiai per dodici miglia alla volta di Canosa, su una piacevole collina, dove la strada romana rimane intatta in molti posti pavimentata con comuni rozzi ciottoli.

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Da “Viaggiatori inglesi in Puglia nel 700” di A. Cecere, Fasano, 1990, pagg 251-252

Traduzione di Nina Guarini