Origini della Cattedrale: cap.7,8 e 9, di V.Schiavone

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(stralcio da ...)

“Alle origini della Cattedrale di Andria”

di Vincenzo Schiavone

7) Cattedrale «normanna»?
La cattedrale e la riforma liturgica gregoriana.

Gli avvenimenti normanni che la iscrizione sepolcrale ci ha obbligati ad esaminare, ci rimandano alla Cattedrale. Ma solo a una parte di essa, cioè a quel corpo centrale della fabbrica costituito da sei archi a tutto sesto mpostati sui solidi pilastri quadrangolari: ad essi sono legati i due testi latini che abbiamo illustrati. Vedremo tra poco che una terza iscrizione, che è la più antica, è inserita anch'essa nella struttura muraria di un pilastro: nel terzo, e sotto un «arcus» a cui la iscrizione stessa farà preciso riferimento.
Quella navata centrale, dunque, con i suoi sei pilastri e gli archi rotondi sopravvissuti sino a noi, può dirsi per noi antico retaggio di una cattedrale normanna?
Riccardo, che è normanno, vi ha certo legato il proprio nome insieme a Iannoccaro, che fu a lui contemporaneo. Ma non è solo a questa cattedrale che è collegato il ricordo di un capo normanno.
È certo indubitabile che il periodo di più felice sviluppo della architettura pugliese coincide con lo stabilizzarsi in Puglia del dominio normanno. Ma le ragioni che ispirano una cattedrale, non sono ragioni normanne. I normanni, sin da quando giunsero da noi nel secolo precedente, furono schiere di soldati avventurieri e di astuti calcolatori che costruirono il loro dominio prima sulle ragioni della forza e della guerra e poi sul piano economico e politico: alla fine del secolo XI la basilica di S. Nicola, a Bari, imponente come bastione fortificato, può considerarsi quasi simbolo della potenza guerriera dei nuovi dominatori.
I normanni però non furono qui portatori di una propria originale cultura, che non ebbero: nella Puglia essi la trovarono già costituita da forze variopinte e di segno opposto, come quella longobarda e greca e araba e latina, legate alla varietà etnica delle popolazioni. Da questo crogiuolo di «elementi cozzanti» [54] scaturì, più che cultura normanna, lo stato normanno ibrido, come è stato detto, costituito da elementi diversi, anche se assimilati e unificati in maniera propria ed originale.
Né furono portatori di uno stile architettonico. Il romanico che maturò nelle nostre terre durante la loro dominazione non è legato, necessariamente e come rapporto di causa ed effetto alla presenza di quei guerrieri: già prima del loro arrivo, una maniera pugliese di sentire il romanico in Puglia già stava germogliando: da un pezzo, e contemporaneamente ad altre zone culturali, su un arco di spazio che investe tutta la Europa, non solo paesi a struttura feudale, ma anche regioni di fiorente vita comunale. A ogni cattedrale pugliese è legato un nome normanno [55]: si direbbe che il normanno non vi perda occasione per farlo: sarà per il ricordo sepolcrale di una Contessa, come qui ad Andria, o, come a Barletta, per la costruzione di una porta secondaria che - è detto chiaramente - «a sue spese risplenderà»; o per il trasporto delle ossa trasfugate di un santo (S. Nicola di Bari, 1087) o per la sua papale canonizzazione (come a Trani, 1098). Si trattava di finanziamenti o di favori o donazioni non sempre disinteressate; la loro rozza teologia feudale era forse ispirata dalla persuasione o dalla paura che il successo del regno fosse legato al rispetto per la divinità e per il suo culto [56]. Così dicasi della chiesa di S. Benedetto a Brindisi che il conte Goffredo contribuì ad edificare «pro anima», anche di quella della consorte; a Canosa, poi, la fama del normanno Boemondo venne affidata al mausoleo addossato al muro della preesistente antica cattedrale.
Nessuna prova è stata mai validamente sostenuta, in Puglia, di costruzioni normanne; la presenza di quei dominatori non portò tra noi nè «stile», nè architetti, nè maestranze normanne.
*
Le ragioni che animavano questa cattedrale non erano normanne, perchè le idee di cui essa è espressione non erano quelle della guerra, proprie dello stile di quegli uomini d'arme, ma indirizzi ideologici e, meglio, ideali. Sono queste forze morali che vanno considerate per non svuotare una cattedrale del suo significato: ed erano moventi e forze spirituali che animavano anche la comunità. Questa cattedrale le interpreta e le esprime con una immagine di pietra.
Nel periodo storico in cui essa sorse, era già avviato infatti — e da tempo — quel processo di riforma della chiesa latina con i suoi gravi problemi di vasta portata storica come l'affermazione del primato di Roma su tutte le chiese e della sua infallibilità, la definizione dei suoi rapporti con l'Impero, le prerogative dei metropoliti e dei vescovi convocati a Roma o attraverso i Sinodi periferici; ma vi era poi il problema dell'affermazione della libertà della sua sede apostolica nelle elezioni episcopali e quello del particolarismo nelle elezioni dei vescovi, talvolta anche simoniache da parte del clero o per iniziativa dei signori locali; era la necessità di impedire la frantumazione della Chiesa universale in chiese alla mercè dei principi laici.
Al Papa si presentavano le conseguenze per la situazione delle chiese meridionali derivanti dallo Scisma d'Oriente che, cominciato da alcuni decenni, si era consumato nel 1054 sotto il pa-triarca greco di Costantinopoli Michele Cerulario con la separazione definitiva di Bisanzio dalla Chiesa di Roma.
In questo processo e programma di latinizzazione della Chiesa, dovevano inserirsi anche i Normanni come forza politica, dopo il loro arrivo nell'Italia meridionale: e il Papa Leone IX marciò dapprima contro di loro che con la razzia e lo spirito di conquista si presentavano anche come minaccia per la Chiesa; ma era caduto nelle mani dei vincitori a Civitate sulle rive del Fortore il 17-18 Giugno 1053, prima di ricongiungersi con l'esercito bizantino. L'atteggiamento della Chiesa nei confronti dei Normanni doveva però subito mutarsi in accordo: il Guiscardo, uno dei vincitori di Civitate che aveva esteso ormai la conquista a buona parte della Puglia si farà dare dal pontefice Niccolò II, nel concilio di Melfi (1059), l'investitura e il titolo di «duca d'Apulia e futuro duca di Sicilia»; lenta sarà ancora l'avanzata dei normanni nella Puglia per la resistenza dei bizantini, ancora padroni del territorio pugliese; ma caduta Bari dopo tre anni di assedio, le ultime città pugliesi tutte si sottometteranno: Trani nel 1073, e tra il 1078 e 1080 sarà la volta di Andria, Canosa, Corato, Bisceglie. Si concludevano così due secoli di dominio bizantino che lasciava in Puglia segni duraturi delle sue istituzioni e della sua cultura [57].
Il giuramento di fedeltà del Guiscardo aveva conferito legittimità al suo dominio e i Normanni assumono la veste di difensori della Chiesa nella sua antica lotta contro Bisanzio e l'Impero [58].
La presenza dei normanni divenne, così, decisiva per l'affermazione e lo sviluppo di quel processo di latinizzazione per l'appoggio politico che i normanni dovettero offrire alla Chiesa che si confrontava con la cultura greca, il suo culto, la sua liturgia nell'epoca di quella riforma gregoriana che il grande Pontefice (1073-1085) aveva affrontato con estrema decisione.
Ed è dalle nuove esigenze del culto latino e perciò dalla liturgia e della teologia, che prendono forme e struttura le nuove cattedrali, le quali sotto i normanni assumono forma basilicale che è lo schema latino caratterizzante della riforma di Gregorio che culminò poi in quell'avvenimento ecumenico che vide radunati a Bari in concilio, nel 1098, attorno al Papa Urbano II, il teologo Anselmo d'Aosta e 185 vescovi di ogni diocesi [59], anche d'Oriente, mentre stava sorgendo. sulla cripta di S. Nicola la grandiosa basilica. Ne riuscì rafforzato il primato e la giurisdizione della Chiesa di Roma a cui guarderanno poi i Vescovi dell'Italia Meridionale «prima incerti tra Roma e Bisanzio» [60].
Le costruzioni delle cattedrali, anche se esse in Puglia si innalzarono sotto la protezione normanna, non possono dirsi per questo fabbriche normanne: anche se le loro proporzioni, e le loro mura con la torre campanaria possono far pensare al segno normanno del bastione e delle fortezza o alla monumentalità delle tra-dizioni costruttive del Nord Europa [61].

8) Una iscrizione inedita nella struttura basilicale
della cattedrale di Andria

Gli edifici sacri che sorgevano erano strettamente connessi, dunque, con i bisogni nuovi della riforma liturgica gregoriana. Lo schema costruttivo della Cattedrale di Andria è proprio quello basilicale, come nelle cattedrali di tutta la regione, e come in Italia ed in Europa, la quale in questo periodo «si copre, come di un manto candido, della selva delle sue belle cattedrali romaniche» [62].
La basilica comportava una determinata forma spaziale: un ambiente in cui tre navate — con quella mediana elevata sopra le altre e con proprie finestre — mentre risultavano tra loro separate, erano insieme subordinate a costituire un organismo unitario, correndo parallele «come vie sacre verso l'altare».
Questo il modello comune che si ritrova anche nella cattedrale andriese, pronta ad accogliere anch'essa le voci del rito liturgico romano. Il modello non era di importazione lombarda o normanna, ma linguaggio comune che nasceva anche in Puglia e diveniva pugliese con una sua fisionomia particolare: la Puglia in quel tempo non era marginale periferia ma teatro di vicende storiche in cui, come abbiamo visto, entrano in campo come diretti protagonisti Papi e Imperatori e ove si incrociavano culture di ogni segno, che qui lasciavano voci, suggestioni, fermenti vitali. Lo schema basilicale del resto, di remota origine paleocristiana, era stato già adottato in Puglia sin dagli inizi del Mille, in quegli edifici che poi furono abbattuti alla fine del secolo XI per dar posto alle imponenti costruzioni del romanico [63].
In una di queste cattedrali noi incontriamo ad Andria una epigrafe, inedita, che ora esamineremo.

9) Strutture architettoniche e teologia

Nel terzo pilastro della navata centrale, a sinistra, è inserita una piccola lastra marmorea entro la struttura muraria di cui fa parte: essa precede la iscrizione di Iannoccaro che è nel quarto pilastro successivo. Un esame diretto della tessitura muraria, l'esatta misura del supporto marmoreo e, soprattutto, il significato di questa iscrizione mostrano che anch'essa è nata col pilastro quadrangolare.
Diamo di seguito testo e trascrizione.
+ ETERNA VITA ROGO DONA SANCTA MARIA
ALξEBERIUS
HIC PER QUEM FACTUS TALISPES ČSTAT ET ARCUS

(A)eterna vita, rogo, dona sancta Maria.
Hic per quem factus talis (s)pes c(on)stat et arcus.
Foto dell'iscrizione posta sul 3° pilastro sinistro della navata centrale)
Fra i due esametri, e più vicino al primo che canta una preghiera, è inciso un nome, A l k s e b e r i u s  il quale dalla Vergine ha invocato il dono della vita eterna. Il secondo esametro, apparentemente un enigma, può risolversi nel suo costrutto grammaticale, così: Hic Alkseberius per quem factus; spes (cioè: la speranza di ottenere la vita eterna invocata) constat talis et arcus: «è forte come l'arco». Qui, l'aggettivo talis è seguito da et, invece che da ac ovvero atque come nel latino classico.
Così che «talis et» equivale a «talis ac, talis atque» (= a guisa di, come).
Possiamo allora tradurre così:
«Il dono della vita eterna chiedo a te, Santa Maria.
A l k s e b e r i u s, che l'arco ha innalzato:
la sua speranza è forte, come l'arco».
Il tipo di scrittura lapidaria è la capitale quadrata, con segni di attuaria; la T tende ad accomunarsi con il tratto della successiva E o A; lo stesso avviene tra A e N, mentre poi nel gruppo TALISPES la lettera S è finale di TALIS e iniziale di SPES. Diversa appare poi rispetto ai due esametri la incisione lapidaria del nome Alkseberius, a parte il segno K, che è la lettera greca «csi». ETERNA VITA, infine, è ablativo retto da DONA.
Nel gruppo ČSTAT [64], la linea ondulata sulla C è contrazione di CN: e non ci sono dubbi; tra C e N l'unica vocale possibile — per la metrica e per il vocabolario latino — è una O, che il lapicida intende inscritta nella rotondità della C. Perciò la lettura di ČSTAT non può essere che C(on)STAT, da «constare»: stare saldo, rimanere immutato, non vacillare.
Sono due esametri latini rimati, usati nella forma più comune del verso leonino: la stessa adottata dalla iscrizione di Riccardo ed Emma.
Nel primo esametro, i due emistichi, si accordano per assonanza: Vita-Maria. E il suo senso è chiaro: l'autore, in una invocazione alla Vergine chiede a lei il dono della vita eterna e dice subito il suo nome; direi: scrive il proprio nome (è sin troppo evidente la diversità tra il tipo di scrittura usato per la invocazione e quello del nome Alkseberius, che subito lo segue, e che si estende su tutto il rigo successivo: ed è anzi sillabato, quasi enfaticamente).
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Il secondo esametro non è certo un modello di perspicuità, perchè contiene una forzatura della sintassi, dettata — e certamente — dalla esigenza della metrica (e della rima). Ma non è nemmeno indecifrabile, come abbiamo già chiarito.
In compenso, la prima parte del verso ci è chiaramente intelligibile: hic (pronome) va riferito ad Alkseberius, la firma incisa lì sopra, e per esteso: mentre factus è detto di arcus, che è inciso lontano, alla fine del verso. È come dire: l'opera che vedi (l'arco) è mia (arcus per Alkseberium factus est!).
Lo stesso Alkseberius, che si è rivolto alla Vergine in prima persona, si rivolge ora al lettore per dire dell'orante: per dirgli chi è, indicandogli il proprio nome.
Questa prima parte, allora, possiamo chiarirla cosi:
Hic (est Alkeberius), per quem (arcus) factus (est).
La seconda parte esprime, con una immagine, un pensiero a cui dobbiamo approdare più con l'intuizione che per via della sintassi latina.
Talis spes constat et arcus: «tale speranza, è salda, è robusta come l'arco». L'arco di pietra, che è opera sua (per quem factus) non è più solo opera muraria, ma diventa una immagine: esprime la speranza di Alkseberius nella vita eterna, appena invocata dalla Vergine. È, qui, speranza cristiana che solleva, come un arco, e ch'é salda e robusta perchè è fondata sulla fede.
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A me pare che l'uno e l'altro esametro costruiscano insieme un pensiero assai intenso, e che questo vada anche esaminato da chi, studiando una cattedrale, non si accontenti di ricercarvi nomi e date ma vuol capirla sino in fondo perché essa non diventi solo somma di dati storici ed esercizio di ricerca di stili archittettonici, quasi dominio feudale degli «storici dell'arte».
Non sembra che Alkseberius, che ci ha lasciato il proprio nome così legato al pilastro e alla fabbrica, sia qui un semplice costruttore o esecutore materiale.
Nella successiva iscrizione del quarto pilastro — come abbiamo già detto definendo i modi del loro apporto alla costruzione — i nomi dei quattro signori fanno pensare a esecutori che rivendicano la propria valentia (studuerunt) nella esecuzione della fabbrica. Possiamo qui aggiungere che essi potrebbero rappresentare i continuatori della tradizione costruttiva e muraria locale (che doveva pur esserci), nella quale hanno innestato i portati dell'arte nuova, il fare grande e monumentale, la nuova concezione spaziale, che nella regione stava diventando linguaggio comune e di cui Alkseberius si fa portavoce nel suo progetto di magister.
Il magister (così chiamavano nel medioevo l'architetto), non era necessariamente un professionista dell'arte muraria ed edilizia, anche se poteva averne una certa pratica. Aveva però una preparazione culturale diversa da quella delle maestranze. E appunto a un magister colto e preparato fa pensare anche un più attento esame dei caratteri usati nella iscrizione. Si noti, infatti, che il nome di Alkseberius, è inciso con un tipo di scrittura che si rivela nettamente diversa rispetto a quella di ambedue gli esametri.
Nei due esametri infatti i caratteri epigrafici sono quelli della capitale quadrata, nella quale — come è noto — le lettere hanno aste perfettamente verticali o orizzontali così che ciascuna si può iscrivere in un perfetto quadrato o rettangolo; essa veniva tracciata con la cura professionale del lapicida. Il nome di Alkseberius invece — lo si osservi nelle foto che presentiamo — appare inciso senza molta cura lapidaria: inclina facilmente a destra, non tiene il rigo, ha lettere non uniformi ed evita gli angoli retti (si guardino in particolare le lettere B, o le due E, ad angoli arrotondati) caratteri propri delle minuscole. Non pare che tutto questo risalga alla imperizia del lapicida, ma che sia, invece, un modo diverso di incidere un nome in un marmo. E che Alkseberius — abituato a maneggiare la penna più che lo scalpello — nella cattedrale dovuta alla sua ideazione e al suo progetto ci abbia lasciato anche la firma, personale come la sua invocazione, è ipotesi da prendersi anche in considerazione; perché, se fosse vera (e a me sembrerebbe di sì) ciò aumenterebbe ancora di più la preziosità di questo documento di pietra
Quello di Alkseberius sembra un pensiero che pare egli voglia lasciarci e che — si direbbe — investa tutto il significato della Cattedrale e delle sue strutture. Per capirlo appieno bisogna rammentare che l'asse dell'edificio è allineato secondo la direzione Est-Ovest, riprendendo il primitivo orientamento paleocristiano della cripta premillenaria, con ingresso a Occidente e l'abside volta a Oriente. La nostra cripta è quasi tutta sotto il presbiterio, allineata nella stessa direzione.
Non si tratta di direzione puramente astronomica, superata negli edifici sacri del Medioevo dalla nuova visione della vita portata dal cristianesimo [65]. La orientazione della cattedrale di Andria suggerisce perciò la connesione tra storia ed escatologia, tra la vita umana e l'eterno e diviene — perciò — allusione al Cristo, Luce del mondo e Sole di giustizia e allusione anche alla parusia del Figlio dell'uomo che comparirà nell'ultimo giorno con il suo segno (la croce) per il giudizio supremo, con la repentina evidenza del lampo che “guizza dall'oriente e brilla fino all'occidente[66]. Anche l'abside della cripta guarda a Oriente come le primitive basiliche paleocristiane con un suo preciso significato teologico e liturgico, di cui aveva già dato spiegazione Germano di Costantinopoli [67] negli anni della iconoclastia di Leone (non siamo molto lontani dall'epoca a cui risale la nostra cripta). Nella cripta anzi, il dipinto medioevale del Salvatore, in piedi, reca sul libro aperto l'iscrizione: EGO SUM LUX MUNDI ET REDEMPTOR, che ricalca la espressione giovannea, [68] eco della voce poetica Isaia: “la tua luce non sarà più il sole di giorno, ma il Signore sarà per te luce che non finisce e tuo sole che più non tramonterà[69]).
L'asse della cattedrale, dunque, è come un polo cristologico: e l'invocazione di Alkseberius va letta in quella stessa direzione. Essa infatti invoca la “vita eterna” che è Cristo stesso e — si badi — non la chiede al Cristo, ma alla maternità spirituale della Vergine, la «piena di grazia» [70] che essa dispensa per la vita dell'uomo, perché compartecipe della redenzione che fa, degli uomini, dei figli di Dio: un Dio «che non è un solitario», ma che chiama gli uomini, nel Cristo, al dono di Sé.
Non manca, in quest'asse, anche la invocazione diretta al Cristo: è la invocazione di Iannoccaro, nel pilastro successivo, perché è Lui, come dice la nostra iscrizione, che apre le «porte del cielo», polo di attrazione e di speranza.
E Alkseberius canta, rivolgendosi a Maria, questa speranza, di cui l'arco della sua cattedrale diventa come un simbolo. Era il cristianesimo che animava, con i suoi fermenti di vita, anche l'architettura. L'arco architettonico diviene così emblema: solo apparentemente stabile e fermo (constat), l'arco è in continua tensione dinamica: come la speranza cristiana, arco che solleva per ricongiungere alla Vita.

[54] B. CROCE, Storia del Regno di Napoli, Bari, 1958, pag. 7.
[55] A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia, cit., pag. 79.
[56] M. BLOCH, La Société féodale (Trad. italiana, Torino 1962, pagg. 144-145).
[57] A. GUILLOU, La Puglia tra Bisanzio e Costantinopoli, cit., p. 5.
[58] G. MOR, La lotta tra la Chiesa Greca e la Chiesa latina in Puglia nel sec. X, in Archivio Storico Pugliese, IV (1951), pagg. 58-64.
[59] LUPUS PROTOSPATARIUS BARENSIS, Annales, in «M.G.S.», ed. Pertz, V, Hannover 1844, a. 1099.
[60] Dizionario dei Concili (P. Palazzini), I, Roma, 1963, p. 147.
[61] P. BELLI D'ELIA, Il Romanico, in La Puglia tra Bisanzio e l'Occidente, Milano, 1980, pag. 163.
[62] R. MORGHEN, Medioevo Cristiano, Bari, 1962, pag. 335.
[63] Cfr. Alle sorgenti del Romanico. Puglia XI secolo, Catalogo a cura di P. BELLI D'ELIA, pag. 258.
[64] F. GROSSI GONDI, Trattato di epigrafia cristiana, Roma, pp. 53 e 479 sgg.; A. FERRUA, Abbreviazioni, in "Enciclopedia Cattolica", I, col. 41 e tabelle 43-50.
[65] TERTULLIANO, De oratione, XI. Anche il tabernacolo degli Ebrei, con il santo dei santi (Ex., 26, 22), è volto a oriente.
[66] MATTEO, 24, 27.
[67] Vedi I. P. MIGNE, Patrologia Graeca, 98, col. 392.
[68] GIOVANNI, 8, 12.
[69] ISAIA, 60, 19-20.
[70] A. MULLER, La posizione e la cooperazione di Maria nell'evento di Cristo, in MYSTERIUM SALUTIS, III/2 (Trad. italiana: L'evento Cristo, Brescia, 1973, II, pag. 524-526).

(da "Alla scoperta del volto di S. Riccardo", AA.VV., Supplemento al Bollettino diocesano, Tip. Guglielmi, Andria, Dicembre 1985, pagg.73-84)