Relazione sul Monastero, del 1909 - A. Pantaleo

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Premessa

La relazione di seguito riportata fu redatta dall'Ispettore della Sopraintendenza ai Monumenti, Angelo Pantaleo, dopo che il 6 dicembre 1909 aveva visitato il Monastero, in compagnia del Sindaco di Andria Michele Marchio, dell'Ispettore onorario Giuseppe Ceci, dell'Ing. Antonio Tammaccaro dell'Ufficio Tecnico Municipale, al fine di autorizzare il Comune di Andria all'adattamento del complesso architettonico, Chiesa e suoi ambienti di servizio eccettuati, a Carcere, Pretura e Conciliazione.
La si trascrive in quanto ricca di dettagli architettonici del pregevole monumento settecentesco e dei suoi altrettanto preziosi arredi.
(Per inciso: l'opzione di adattare il Monastero a Carcere, Pretura e Conciliazione, fu poi abbandonata, anche su suggerimento del Pantaleo, e il complesso dopo il 1913 fu ridotto ad Asilo e Scuole. Infatti, nel rapporto su quella visita, redatta nello stesso giorno, l'Ispettore annota "... data l'architettura dell'edificio consigliai il Sig.or Sindaco a riserbarlo piuttosto a sede del Ginnasio o d'altro istituto d'educazione, anche perché lo smembramento avrebbe carattere assai ristretto. ...")


Sopraintendenza
ai Monumenti
della Puglia e del Molise
[luogo e data scritti in calce]

Relazione sul Monastero e Chiesa di donne Monache
sotto il titolo di S. Benedetto in Andria

Notizie storiche.

Dalla lapide marmorea sita a muro a sinistra guardando dall’interno la porta d’ingresso, si rileva che Pio IV, con bolla 7 Maggio 1563, concedeva con la fondazione, al Monastero alcune indulgenze plenarie ed altri privilegi per far sì che detto monastero avesse vita rigogliosa e fosse frequentato dai fedeli e da monache [1].

Da altra lapide, pure marmorea, a destra guardando la porta d’ingresso stando internamente, apprendiamo che le trasformazioni subite dal monastero e la sua consacrazione [2]. Fu dunque il tempio dedicato alla SS. Trinità e ridotto a nuova forma, sia nei marmi negli altari, nel pavimento che nel soffitto, nelle pitture, nel cancello, nelle pietre, nelle dorature.

Operatisi questi lavori, l’allora badessa, Edvige Totta, supplicava il Vescovo d’Andria Saverio Polico [Palica] dell’ordine benedettino e patrizio Barlettano, di farne la dedicazione con gran pompa; cosa che avvenne il 4 Giugno 1776.

Sul gradino o soglia della porta d’ingresso, dall’iscrizione incisavi, conosciamo che la religiosa Agnese Durante, nel 1822, ne faceva fare il restauro della porta istessa.

A completamento di queste riassuntive notizie storiche, aggiungerò che l’attuale monastero surse sull’ospedale di S. Riccardo e ciò avvenne verso la metà del 1500.

Nella grande chiostra a portico pilastrato, vi sono ancora alcune basi di colonne e capitelli di pregio artistico, del tempo dell’ospedale di S. Riccardo. Questo ospedale, in origine, doveva appartenere all’università di Andria, ragion per cui l’attuale Comune di Andria ne ha rivendicato il diritto ad aver ceduto il Monastero che proponesi di trasformare in Carcere e Tribunale, appena le suore superstiti saranno uscite di monastero, epoca però non ancora destinata, per quanto si siano già progettati i lavori di adattamento.

L’attuale costruzione componesi della Chiesa e del monastero che resta isolato a nord, ad est e a sud, mentre ad ovest confina con delle case private. La facciata a sud della chiesa e monastero, forma con le case private confinanti e con quelle rivolte a Nord e levante, la piazza della Cattedrale dedicata a S. Riccardo,[?] che ha la facciata rivolta a ponente.

Premessa la descrizione storica e l’ubicazione, passo a descrivere la parte architettonica e ornamentale del monastero e della chiesa.

Parte esterna.

La facciata della chiesa guardante il levante ed il ponente e la facciata del monastero guardante il mezzodì, nonché i lati a levante e a Nord, hanno opere architettoniche, compreso il campanile, che ben chiaramente si appartengono alla maniera barocca, ma ad un delizioso ed armonico barocco, che nelle sue volute, nei suoi accartocciamenti, serba della compostezza e della misura, ed una molto apprezzabile logicità negli scomparti. Questi, mentre furono con ogni regola costruttiva ed architettonica studiati tuttavia sembrano una graziosa fantasia tradotta in atto con sublime disinvoltura. Ogni manufatto è in pietra scolpita. Nell’ornato e nelle modanature è usata una sapiente larghezza ed efficacia di chiaroscuro che permettono alle ombre ed ai chiari un rapporto di semitonalità che danno al lavoro effetto pittorico e di movimento maggiore al reale.

Alla prospettiva architettonica è accoppiata quella pittorica, usanza proprio dell’epoca barocca; il pianterreno del monastero è in pietra a dossa greve, maniera grottesca, ed il tempo le ha patinate di cupa ruggine, confacente austerità; il piano superiore invece, finestrato gaiamente con ornamenti e di griglie panciute alla maniera andalusa, hanno due tonalità due sinfonie: la melodica e l’armonica che però non stridono ma che armonizzano sì da essere una parte la complementare necessaria dell’altra. La maniera barocca qui usata, non è quella che fu tanto in voga a Napoli e che molto s’accosta alla maniera spagnola, e non fu neppure la Leccese che ha dello Spagnolo, e tanto della libera fantasia dell’artefice, ma un quid medium, una nota più organica e serena che non stanca ma soddisfa e si fa ammirare.

Oltre alla parte superiore, ove ricorre l’ordine di finestre già dette è notevole la porta d’ingresso al parlatorio del monastero, che ha proporzioni sobrie ed imponenti, i cui portali architettonici ed ornamentali sono disposti con perita ripartizione e l’architrave è aumentato da maggiore ornamentazione per motivo d’una cartella con lapide dai caratteri assai sciupati, con due stemmi lateralmente: vescovile uno, essendo mitrato, e l’altro del Comune di Andria, tagliato alla maniera della rinascita toscana ed avente il leone rampante che abbraccia una palma. Quest’arma ritrovasi, ugualmente foggiata, all’angolo Nord – Levante del monastero.

È notevole anche la porta in legno, rivestita di lamina di ferro, tempestata di chiodi, con la buca della toppa in ferro foggiata a cuore, le sbarre in ferro battuto a foggia di un giglio a formare il prolungamento dei gangheri della porta istessa. Decorazione questa assai caratteristica, che mostra all’evidenza come in quei tempi curavano il dettaglio per avere l’opera in ogni sua parte stilizzata.

Sia le mura della chiesa, che quelle del monastero, sono ben salde e non presentano alcuna inclinatura o lesione. Solo pone una nota stridula l’imbianchitura della parte superiore dei fabbricati e proprio nella parte più bella!

Parte interna.

Varcata la porta già descritta, s’entra nel parlatorio di servizio, nel quale s’aprono, a sinistra, le grate munite di doppia cancellata ornate da buona decorazione in pietra a cartoccio; in fondo la porta che mette nel monastero, a destra il vano della ruota, per l’uscita e l’entrata delle forniture e la porta del parlatorio di riguardo.

In questo secondo parlatorio vi sono le grate pure munite di doppia cancellata, ornate da una decorazione originale che dà alle grate, già come alle altre, una forma rettangolare. Qui però una grata resta dall’altra divisa da un corpo avanzato in pietra seguitante la decorazione generale a forma di pilastro al fronte sagomato con in alto sotto la cornice coronale, un mascherone barbuto. Il lavoro nel suo insieme, è di effetto, benché non fine, ma tuttavia risulta organico. La porta in legno di questo secondo parlatorio, ha maniglia ad anello, imitante la sagoma delle finestre barocche, il saliscendi poi ha la parte estrema decorata a conchiglia tarantina. Trovasi inoltre una poltrona in legno noce di buon disegno, che usa il vescovo quando va a visitare le monache.

Dopo l’ascesa di due gradini, si entra nel monastero propriamente e si è in un capace corridoio detto «delle grate» poiché si aprono le grate dei parlatori descritti. Oltre alle grate s’aprono molte porte, delle quali una immette ad una scala che fa discendere ad un atrio che risponde a tergo della chiesa.

Su di un muro, protetto da un arco, a destra scendendo la scala, vedesi dipinto su intonaco un Crocifisso fra i conventuali di S. Benedetto e S. Chiara [Scolastica], i due ordini fondamentali dei benedettini. La pittura murale non à valore essendo condotta senz’alcun garbo nel disegno e nelle tinte.

Ritornando nel corridoio, dirò che a sinistra, dopo la porta di discesa all’atrietto descritto, vi è uno stipo con portelle in legno sulle quali dopo la gessatura, fu passata una tinta di fondo di color berillo e mischiata di lette e di colla di frumento. Nella parte inferiore una larga fascia di color giallo chiaro, limitata in su e in giù da filetti rancioni. Sulla fascia son dipinte, stilizzate, delle dalie di color rosa pallido contornate da medesima tinta di tono più scuro e foglie verde – chiaro a tinta piatta a contorno di tono più scuro. È ornamentazione del 1800, ossia della maniera «Impero» motivo decorativo che va scomparendo.

In fondo a detto corridoio, apresi la porta che va nella chiostra.

Questa chiostra è imponente per essere costruita su semplici pilastri rettangolari sui quali s’impostano e girano gli archi a pieno centro che formano il portico della chiostra e reggono le celle superiori delle monache, che prendono luce dal giardino che vegeta nell’area lasciata libera dal portico e che limita con lo stesso. Nelle mensole delle balconate, nelle colonnine panciute che formano le balaustre, si ritrova la nota graziosamente barocca già altrove osservata e massime per alcuni dettagli veramente gentili. Per terra presso alcuni pilastri del portico, vi è una base atticizzante con ai lati del plinto una zampa di leone, tradizione medioevale, prolungatasi assai tardi in Puglia. Vi sono inoltre due capitelli alla maniera corinzia con foglie d’acanto italico, il cui intaglio è trattato così piatto da sembrare cosa fusa e non pietra sculta. Queste opere non si anno alcun valore e probabilmente provengono dall’ex Ospedale di S. Corrado [Riccardo], come già in principio dicemmo, abolito intorno al 1500.

Pianta del piano superiore del 1909, con note per la trasformazione a Palazzo di Giustizia
[Pianta del piano superiore del Monastero con note per la trasformazione a Palazzo di Giustizia - 1909]

Salendo la scala che fa ascendere al piano superiore, al primo ballatoio a muro, trovasi appeso un quadro dipinto ad olio su tela figurante S.° Benedetto, ma che non ha nessun valore; nelle corsie s’aprono le porte delle celle delle monache, della badessa e del noviziato, del refettorio.

Ai muri delle corsie sono appesi quadri ad olio e stampe di nessun valore.

Nel refettorio sono ancora le mense in legno, site poco discoste dal muro le cui panche per sedere sono a foggia di stalli, sono interessanti ma di nessun pregio artistico. Sotto la soffitta vi è un quadro ad olio dipinto su tela figurante S. Benedetto. Il quadro benché molto sciupato, à qualità pittoriche non disprezzabili, massime alcuni scorci condotti assai bene; come la tecnica riporta alla scuola del Porta, del Giaquinto, del Prete ecc. Non vi è firma. Misura M.5,00 x 3,50, circa. Di nessun valore è poi la vasta tela dipinta ad olio figurante la cena.

Nel coretto, rispondente sull’altare maggiore, vi sono gli stalli, ma nulla presentano d’interessante. Sulle pareti vi sono tele assai scadenti, al muro a ponente è sito un organo antico, ha dicitura in caratteri romani dipinti a nero e posti sul vano dei pedali, essa dice: Thomas De Martino Neapolitanus – Regiae Cappellae Suae Maestatis Organarius, A. D. 1736. Detto organo è protetto da una cassa decorata al gusto dell’epoca, con ornati assai eleganti e dipinti su fondo bigio tirante al celeste, previa ingessatura. Gli ornati sono ad imitazione stucco con ombre calde interpolati da teste d’angeli e cartelle lumeggiate da tinte imitanti le dorature e del pari son le portelle. Il colore s’è serbato quasi integro per essere impastato con latte e colla di frumento. L’organo misura m. 1,75 x 1,39 x 1,06. Ha N° 3 scomparti di canne fra le flautate, le umane, i bassi e controbassi. I scomparti sono formati da ornati ad intaglio in legno ornati in oro zecchino. I pedali danno la compressione all’aria che viene alimentata da soffietti a mantice. Per tutto il suo insieme l’organo è opera da conservarsi. Ricorda quello di S.° Agostino in Acquaviva delle Fonti.

misure e forma originarie dell'Icona di Andria
[ricostruzione dell'Icona di Andria, con le probabili scritte in greco (elaborazione Sabino Di Tommaso)]

Da detto coretto per una porticina, s’entra nell’ambulatorio delle grate. Alle mura di questo ambulatorio sono pure appesi quadri ad olio su tela e stampe di nessun pregio. Ma fra tante, è notevole un quadretto di Madonna orante che regge un libro, dipinto ad olio su tela e a mezzo busto; sono giusti i toni dei chiari e degli scuri, trasparenti le penombre, areose l’ombre. Il disegno è corretto; dolce l’espressione e bene interpretato l’atto di chi ora e le luci hanno anima e sentimento. Tutto l’insieme resta intonato su fondo scuro ed è privo di durezze. Può ascriversi alla scuola del passato secolo, detta degli accademici, che s’educò ai pennelli dei più eccelsi quattrocentisti. La tela è sciupata e patinata dal tempo, l’imprimitura arricciata. Misura m: 0,60 x 0,50. La cornice che la contiene non ha nessun valore.

In uno scarabattolo a vetri, di gusto barocco, con cimase e piedi a fogliame, in legno scolpito, deturpato da tinta celestina, mentre in origine era dorato ad oro zecchino, è costudita una statuetta in legno scolpito a tutto tondo figurante Cristo che cade sotto il peso della croce, mentre sale il Golgota. Questa statuetta è ben proporzionata ed anatomicamente esatta. I tondeggi delle carni ed i movimenti dei muscoli sono trattati con proprietà ed accuratezza e sia che l’abito s’accorci o si dislarghi, la forma umana traspare esatta. L’espressione di sofferenza e di fatica, come la rassegnazione, sono assai realmente espressi. Questa è buona scultura in legno di scuola napoletana del 1700 e misura m: 0,60 x 0,30, mentre lo scarabattolo è di m: 0,80 x 0,90.

Presso questo scarabattolo, trovasi una spinetta a coda, la cui cassa è senz’alcun ornamento, rimonta al 1820 e misura m: 3,90 x 1,50 x 0,70 di altezza. È meritevole di essere conservata (per quel suo suono dolce e lene, quasi velato che pone nell’animo quei sentimenti che a noi inspirano i tramonti autunnali e le notti lunari, o l’improviso apparire del mare con una vela all’orizzonte oltre un verde prato con alberi asolanti [= arieggianti, che si librano alti] nel puro cielo) [bella e intensa riflessione poetica!].

Su dipinto ad encausto, vedesi una Madonna col putto, di quelle dette comunemente di S.° Luca. L’iconografia della figurazione, la grandezza maggiore del vero, le aureole dorate, la dicitura in greco, gli occhi ampi a mandorla, la bocca ad arco, il viso ovale, il mento robusto, il colore bruno; la dicono una tavola, la tavola istessa di legno di quercia, di fattura bizantina o tutt’al più: bizantina – benedettina; benché sia molto sciupata e restaurata, tuttavia non ha perduto di carattere. La parte superiore finisce a trilobo: misura m: 1,20 x 0,85. [riproduzione a sinistra, non presente nel documento]

Di notevole ancora un altro scarabattolo posato su tavolino a quattro gambe. Lo scarabattolo è dorato con ornati barocchi di buon gusto e fornito di lastre per tre lati, misura m: 1,85 x 1,00, ed è dorato ad oro zecchino dal tempo patinato. Custodisce un Bambin Gesù in cera di nessun valore.

In un armadietto vi sono dei libri di nessun valore. Non si trovarono né messali, né pergamene, né paramenti, né infule, essendo andate tutte distrutte, giuste le asserzioni delle monache e del loro vicario, il 1877 [data errata, fu il 1799] all’epoca della prima conquista francese e della generale soppressione degli enti religiosi monastici.

L’interno della chiesa è ad una sol nave. Ripartiscono le mura numero sei pilastri che formano altrettanti vani, nei quali trovansi, esclusi i primi e gli ultimi, gli altari.
In fondo, rimpetto all’ingresso, trovasi l’altare maggiore, con ai muri laterali le porticine dei comunichini per le monache.

Ogni pilastro regge un arco che gira per la volta. In alto le mura hanno un doppio ordine di cornice alla maniera attica e molto sporgente. Le volte sono a cannucce, riquadrate in vario senso da cornici a fogliame e cartocci; sugli archi vi sono cartelle con putti. Questa decorazione in stucco è assai bene condotta, concepita con larghezza e fine gusto.

Sull’asse della volta vi sono numero quattro pitture riguardanti la vita di S.° Benedetto. Quella centrale porta l’iscrizione: Calò 1822 pittore Molfettese ch’ebbe grido di buon artefice ed infatti i dipinti hanno eccellenti qualità pittoriche, di disegno e di composizione, e mostrano tutte le qualità ed i caratteri di quella schiera di pittori pugliesi, che con il Nicola Porta, il Giaquinto ecc, si accostarono alla pittura spagnola, divenuta italiana in Napoli, a cagione di quelle tinte a contrasto, di forti chiari, e di forti scuri, ossia luce ed ombre tangenti, che conferiscono ai dipinti energia e mistero che tanto predilessero il Ribera, il Fracanzano, il Caravaggio, Paolo de Matteis, Mattia Prete ed il Finoglia [3].

D’uguale scuola sono i quadri, ma sventuratamente furono assai malamente ritoccati da perdere qualsiasi pregio. Si salva un poco quello dell’altare maggiore, è notevole invece la tela ovale figurante S.° Sebastiano, sul viso del quale il dolore è espresso assai bene e così la fiducia che vedesi espressa negli occhi, di meritare da Dio il premio del cielo. Lo spasimo dei muscoli, l’anatomia del corpo, gli scorci, sono condotti con verità, le tinte son giuste ed ottimi i rapporti delle gradazioni, il disegno è morbido. Il tutto areoso e conservasi in buono stato.

È notevole l’altare maggiore in marmo policromo, abbellito da sculture a tutto tondo lateralmente e ad alto rilievo a centro sulla custodia. Le figure laterali rappresentano la Fede e la Speranza, la centrale la Carità. Sono sculture di non disprezzabile valore. Hanno caratteri e qualità apprezzabili per anatomia, pensiero e proporzione. La centrale presenta alcune mende, massime nel segno del piede. È altare del gusto e dell’epoca dell’abate Puoti, del Barocci, ecc, di quel gusto misto di fasto e di grazia, che fu in Napoli così in voga; e il descritto altare, come gli altri, sono lavori Napoletani.

Così pure il pavimento, che è un vecchio Capodimonte a mattonelle smaltate a fondo bianco con ornati azzurri, verdi, gialli da sembrare un grazioso tappeto con nel centro l’arma di S.° Benedetto, il corvo che porta stretto nel becco la pagnotta, cibo quotidiano del monaco taumaturgo. In certi punti, il pavimento ha perduto lo smalto, ma tuttavia è assai interessante e di effetto gentile. Io qui debbo osservare che può provenire dalle fabbriche di Rutiliano, essendo ivi stata fondata una fornace intorno al 1700 per opera del Capitolo Palatino di S.° Nicolò di Bari e condotta da artisti Napoletani.

Notevoli sono pure sei porticine in legno a due battenti a fondo giallo tirante al verde, così colorate, previa ingessatura con tinta mesciuta a latte e glutina di frumento, decorate da bastoni dorati con volute, ai quali si attorcigliano e pendono festoni di pallide rose a foglioline verdi. Il tutto è di un gusto assai gentile.

La chiesa così, sia per li stucchi che per gli altari, le grate e il pavimento, à una nota concorde sino nei dettagli, i quali sono con cura studiati, e forma un esempio completo di barocco, pieno di grazia, di gentilezza e genialità. Una nota sola si rende discorde, ed è per via del bianco dato alle pareti e che coprì le dorature degli ornati, le tinte dei fondi patinate dal tempo d’un tono basso e severo, assai confacente all’ambiente. Queste dorature e tinte iniziali affiorano dove la calce è caduta. Molte crepe riscontransi al soffitto ed agli angoli che fanno gli archi con la volta.

Da questa rapida esposizione e descrizione delle opere mobili ed immobili di vario genere del Monastero e chiesa delle Benedettine in Andria, si può ben chiaramente vedere che presentano qualità tali da essere meritevoli di rispetto e di cure.

La chiesa dovrà essere tal quale conservata, e del pari le facciate esterne della istessa chiesa e del Monastero. Facciate che non debbono subire alcuna alterazione di linea, manomissioni di sorta, sia con apertura di vani nuovi o di altri consimili adattamenti. Così pure è da raccomandarsi per la chiostra, massime per i loggiati.

Un’azione di tutela e di rispetto così intesa, ci conserveranno allo studio forme architettoniche che segnarono una gloria nel cammino dell’arte.

E sono da riguardarsi e conservarsi:

  1. grate del 1° e 2° parlatorio.
  2. Seggiolone in legno a spalliera e bracciuoli sito nel 2.° parlatorio.
  3. Stipo a due sportelli nel corridoio delle grate, maniera impero epoca 1820.
  4. Spinetta del 1820, sita nell’ambulatorio delle grate.
  5. Organo a cassa decorato sito nel coretto, epoca 1736 dell’Organaro Tommaso De Martino Napoletano e della R.a Cappella di S.a Maestà.
  6. Tela della Madonna orante, di autore ignoto, sita nell’ambulatorio delle grate, epoca secolo scorso.
  7. Scarabattolo e statua in legno di Cristo caduto sotto il peso della Croce, sito nell’ambulatorio delle grate, autore ignoto epoca 1700.
  8. Tavola di scuola bizantina – Benedettina, sita nell’ambulatorio delle grate, autore ignoto, epoca 1100.
  9. Scarabattolo e tavolino in legno scolpito, sito nell’ambulatorio delle grate, autore ignoto epoca 1700.

E i quadri del Calò

L’Ispettore

firmato A[ngelo]. Pantaleo

Bari 22 Dicembre 1909

Il Soprintendente

V. Cremona [quasi illeggibile]

[testo qui restituito da una copia del documento originale, manoscritto su carta intestata "Sopraintendenza ai Monumenti della Puglia e del Molise", dell'isp. Angelo Pantaleo]
NOTE   (note del redattore di questa pagina, non presenti quindi nel testo originale!)

Questo documento (integralmente trascritto da una copia dell'originale) insieme ad altri citati nelle pagine dedicate al Monastero delle Benedettine di Andria, proviene da una accurata, onerosa e proficua ricerca svolta dall'arch. Rosangela Laera presso l'Archivio Comunale e l'archivio della Sovrintendenza per i Beni Architettonici.
Quanto è scritto tra parentesi quadre non è nel documento, ma è aggiunto dal redattore di questa pagina.

[1] Il testo della lapide è riportato dal Borsella a pag. 235 del suo "Andria Sacra":
"Pius PP. IV edita bulla hujus sacri cœnobii fundationis
Sub die IV Mensis Maii 1563 ut magis
Paternæ Charitatis suæ erga illud documenta
Præberet indulcenziæ Plenariæ thesaurum in forma
Iubilæi in perpetuum alio brevi elargitur
Omnibus utriusque sexus Fidelibus, qui facta peccatorum
Suorum confessione, ac devote sumpta Eucharistia
Ecclesiam SS. Trinitatis monialium cassinentium
S. Benedicti Civitatis Andriæ visitaverint
ibique fusis præcibus pro felici statu et conservatione
S. Ecclesiæ oraverint, toties prædictam acquisierint
Indulgentiam, quoties dictam Ecclesiam oratum
Ingressi fuerint a primis Vesperis festivitatis per
Totam octavam SS. Trinitatis inclusive: facultate
Ipsis concessa sibi Confessarium sæcularem, aut
regularem eligendi, suo arbitratu, ab Ordinario
Loci tamen ad probatum; a quo absolvi queant a
quocumque detineantur peccato; valeantque
Commutari vota in alia opera pia, haud tamen
Ultra mare, ad limina Apostolorum S. Iacobi in
Compostoellis, Castitatis et Religionis uti in dicto brevi
clare exaratur. Datum Romæ die VII Mensis
Mai 1563. Anno V Pontificatus sui"
[2] Il testo della lapide è riportato dal Borsella a pagg. 235-236 del suo "Andria Sacra":
"D. O. M.
Templum hoc SS.mæ individuæ Trinitati sacrum
Ad hoc fastigium erectum, novamque formam restitutum
exultumque marmoreis sacellis, lapidibus musivis
Marmorato plastico super inducto inauratis cancellis
et testudine picturis exornata pavimento de vernicatis
lateribus strato eius sanctimonialium venerabilis collegio
et Abatissa Domna Heduvigi Totta suppliciter poscentibus
illustrissimus Dominus dom.ni Xaverius
Palica, Congregationis CoelestinoruM, Ordinis S. Benedicti
Episcopus Andriæ, Patritius Barolitanus
SS. D.ni nostri prælatus domesticus solioque pontifici assistens
solemni ritu et pompa consecrarit
IV Non iunias MDCCLXXVI"
[3] Angelo Pantaleo, qui scrive:  "Sull’asse della volta vi sono numero quattro pitture riguardanti la vita di S.° Benedetto. Quella centrale porta l’iscrizione: Calò 1822 pittore Molfettese"

È evidente che la data vista e trascritta dall'ispettore Pantaleo è in netto contrasto con quella riferita da Giuseppe Ceci nel suo opuscolo "Un Monastero di Benedettine in Andria" del 1935, dove scrive "un pittore pugliese che segnò il suo nome a piedi della tela centrale della volta: Vitus Calò inv. ct pinr. 1774".

Il sottoscritto, pur ritenendo la data scritta dal Ceci più coerente con gli altri eventi occorsi in quel tempo alla Chiesa, ne resta comunque dubbioso sulla sua precisione. in quanto leggermente disallineata con quella dell'epigrafe incisa sulla porta, che (di norma) indica quando la costruzione della Chiesa fu terminata (e non quando fu successivamente rifinita negli arredi); nonché anche con l'epigrafe posta sopra la (stessa) porta sulla controfacciata "Io Domenico Catedra della / Città Monopolite˜ / A.D. 1775", in quanto quest'ultima dimostra che nel 1774 non erano stati ancora eseguiti gli stucchi (contrattati con lo stuccatore napoletano Domenico Catedra con atto del 15/03/1774) nei quali successivamente sarebbero state realizzate, nelle forme polilobate ivi disegnate, le tele.
Comunque anche la data affermata dall'ispettore Pantaleo viene posta in dubbio dalla epigrafe, affissa su un'acquasantiera dell'ingresso, (qui sopra riportata) che commemorava la consacrazione della Chiesa, nella quale era scritto "Templum hoc ... Ad hoc fastigium erectum ... testudine picturis exornata ... IV nonas iunias MDCCLXXVI", cioè "Questo tempio ... così magnificamente eretto ... ornato nella volta con dipinti ... 2 giugno 1776"; questa indicazione, per contro, potrebbe riferirsi alle due tele della Trinità poste nel presbiterio, sul dossale e calotta superiore, provenienti dalla precedente chiesa demolita ed ivi immediatamente adattate.