Opere del Santacroce, di T. D’Avanzo

Contenuto

Federico Santacroce
L’attività dell’Architetto fra Andria e Barletta

dell’Arch. Teresa D’Avanzo
(stralcio, su autorizzazione dell'autrice, allo scopo contattata dall'Arch. Vincenzo Zito il 04/03/2021)

Cap. IV
Esperienze del Santacroce
fra architettura religiosa e civile in Andria


… … …

Opere di sistemazione nel cimitero

Tra i primi documenti, in ordine cronologico, che testimoniano la presenza attiva di Federico Santacroce in Andria, figurano quelli relativi al cimitero comunale. Essi descrivono lavori di scarso rilievo seguiti dal giovane tecnico e affiancati a quelli, di una certa consistenza, progettati dall’architetto Domenico Recchia.

In questo contesto sembra quasi d’obbligo sottolineare l’importanza data al tema della morte nella cultura dell’Ottocento [1] in contrasto polemico con l’Editto napoleonico di Saint Cloud, del 12 giugno 1804, che prescriveva, per ragioni igieniche ed egualitarie, di inumare i cadaveri nei cimiteri fuori dalle città, in tombe le cui lapidi dovevano essere tutte uguali e con epigrafi controllate dalle autorità locali. Agli architetti, dunque, si proponeva il tema del cimitero che, il più delle volte, era affrontato ricorrendo al linguaggio dell’architettura egizia, assiro-babilonese o greca per realizzare tombe e porticati quasi sempre preceduti da monumentali ingressi [2].

Mentre si codificavano i caratteri di un gusto architettonico, le pià note figure letterarie del momento, [3] con una diversa interiorizzazione del concetto di morte, descrivendo ruderi e avelli, cercavano di "redimere" l’aspetto burocratico dell’Editto di Saint Cloud [4].

Conseguenza di tale editto fu la legge dell’11 febbraio 1817 emanata dai Borboni che imponeva di sistemare le sepolture a circa un quarto di miglio dall’abitato [5]. Per Andria, sebbene si progettasse una prima sistemazione tra il 1817 e il 1819, solo nel 1839, a richiesta dell’Università, l’architetto Domenico Recchia presentava il suo progetto, corredato di pianta, prospetto e sezione, approvati l’anno successivo. [6] Dai disegni è evidente che l’impianto proposto conferma gli aspetti di una maniera comune, durante l’Ottocento, di pensare la città dei morti. In un’area racchiusa da un alto muro di cinta, spiccano il “cappellone”, a pianta centrale e posto in asse con l’ingresso segnato da quattro tozze colonne doriche, e le tombe gentilizie poste sotto il porticato coperto con volte a crociera. I percorsi pedonali alberati riquadrano spazi rettangolari per le tombe comunali, ricalcando lo schema urbano a scacchiera. Procedendo i lavori assai lentamente, a Federico Santacroce, nel 1843, all’inizio della sua carriera di architetto, si affidava l’incarico di rilevare i lavori eseguiti fino a quel momento per conto dell’Amministrazione comunale dall’imprenditore Corrado Casiero. I lavori si erano fermati alla realizzazione delle fondazioni del muro di cinta, dell’androne con le stanze laterali e di una cappella per dare sepoltura a qualche impiegato comunale [7].

Contemporaneamente l’imprenditore Nicola Grossi costruiva un campo funebre, sistemato vicino al camposanto, destinato ad accogliere gli "Eretici, i Nati Morti e pubblici Impenitenti". Il locale, racchiuso da un muro di cinta, doveva essere costituito da due ambienti interrati coperti da volte a botte, da quanto si rileva dalla misura finale redatta da Federico Santacroce [8].

Progetto non realizzato di D. Recchia     Progetto suppletorio non realizzato di D. Recchia
[Progetto non realizzato di D. Recchia - Progetto suppletorio non realizzato di D. Recchia]

Intanto l’architetto Recchia, nel 1846, preparava un progetto suppletivo [9] che si discostava dal precedente per l’aggiunta di grandi parterres di ispirazione rinascimentale. Le aree di sepoltura furono ridotte mentre i sepolcri gentilizi restavano localizzati nella parte perimetrale.

Successivamente, nel 1854, il Sottintendente approvava la nomina dell’architetto Santacroce per un progetto di spesa riguardante i lavori di manutenzione alle coperture dei locali esistenti e la realizzazione di un ricovero per gli attrezzi e il carro funebre [10]. Nell’ottobre dello stesso anno, il Decurionato chiedeva all’Intendente di affidare il progetto del portico del cimitero al Santacroce perchè il disegno del Recchia non si riteneva soddisfacente [11].

Senza considerare gli ampliamenti che si sono succeduti nel tempo, la parte ottocentesca attualmente conserva due elementi simili a quelli rappresentati dai disegni dell’architetto Recchia: l’ingresso e la chiesa a pianta centrale allineati. Il portico non fu realizzato e l’odierno disegno del prospetto principale non rimanda alla maniera di Federico Santacroce.

Parte del prospetto esterno dell'ingresso     Particolare della tomba di Beatrice Santacroce
[Parte del prospetto esterno dell'ingresso - Particolare della tomba di Beatrice Santacroce]

Non sembra superfluo riferire che un segno della presenza dell’Architetto è riscontrabile nella tomba monumentale eretta in ricordo della figlia Beatrice. Essa, infatti, riporta elementi decorativi del repertorio ottocentesco di lontana ascendenza piranesiana. I festoni che ornano il mezzo busto a bassorilievo della fanciulla e le torce rovesciate, che simboleggiano la morte, sono ricavati in un blocco di pietra martellinata.

[Tratto da D’AVANZO Teresa, “Federico Santacroce – L’attività dell’Architetto fra Andria e Barletta”, Andria, Fondazione Porta Sant’Andrea, 1993, pp. 44-46, 56.]


NOTE

[1] G. ROCCHI, Il senso della morte nella cultura dell’Ottocento, in “Restauro”, n. 15, 1974.

[2] E. LAVAGNINO, L’Arte Moderna dai Neoclassici ai Contemporanei, Torino, 1961.

[3] Ugo Foscolo, in una commossa rassegna dei secoli e della morte che la gloria e la poesia trascendono, scriveva: “... siedon custodi dei sepolcri e quando il tempo con le sue fredde ali / vi spazza / fin le rovine, le Pimplee fan lieti / di lor canto i deserti, e l’armonia / vince di mille secoli il silenzio...” E ancora, nella poesia dell’Ottocento, dal Leopardi in “All’Italia” si legge: “O patria, mia, vedo le mura e gli archi / e le colonne e i simulacri e l’erme / torri degli avi nostri, / ma la gloria non vedo...” e dall’Adelchi del Manzoni: “... Dagli atri muscosi, dai fori cadenti...” Sono versi che fanno riferimento ai sepolcri privi di fama e dei quali solo gli stranieri hanno compassione. Nella meditazione leopardiana la morte pone fine ai travagli quotidiani, non è la morte eroica di Foscolo, négrave; quella cristiana del Manzoni. Cfr. “Restauro”, n. 15 1974, pp. 57-88.

[4] G. ROCCHI, Il senso della morte nella cultura dell’Ottocento, in “Restauro”, n. 15, 1974.

[5] “I cimiteri interagirono, nel tempo, con gli abitati e le loro espansioni ... in senso repulsivo. Infatti se posizionati molto vicini ad essi ne indirizzarono l’ampliamento verso altre direzioni e talvolta verso quella opposta, mai li attrassero. ... Tanto drastica fu la modifica nel comportamento dei viventi nei confronti dei defunti (da pregare loro sopra, nelle chiese, ad emarginarli lontano dalle case, nei campi santi) ... Non si riscontra un comportamento costante e generale nella localizzazione dei cimiteri rispetto agli abitati ... Infatti dalle planimetrie riscontriamo cimiteri sia sotto che sopra-vento rispetto agli abitati (e pure si badava allora molto più di oggi al regime dei venti, ritenuti apportatori di gravi morbi ...) e ubicati sia a quota inferiore (come fu poi prescritto per evitare lo scorrimento delle loro acque di pioggia verso gli abitati) che a quota superiore ... Fu certamente un criterio generale e costante di localizzazione la scelta di terreni profondi (cioè con roccia non superficiale)”. Cfr. D. DI BARI, Urbanistica dell’800 in Puglia, Bari, 1984, pp. 136.

[6] A.C.A. [=Archivio Comunale di Andria]: Cat. 10, Cl. 2, Fasc. 3, dal 1817 al 1841. Pratica relativa alla “Costruzione del Cimitero”, anni di riferimento 1839-1858.

[7] A.C.A.: Cat. 10, Cl. 2, Fasc. 3, dal 1817 al 1841. Pratica relativa alla “Costruzione del cimitero. Scandagli”, anni di riferimento 1841-1854.

[8] A.C.A.: Cat. 4, Cl. 6, Fasc. 1-2-3-4; 1841-1870, 1842-1860, 1838-1867, 1841-1850. Pratica relativa alla “Costruzione di tre sepolture fuori il camposanto per i neonati ed impenitenti”; anni di riferimento 1841-1845.

[9] A.C.A.: Cat. 10, Cl. 2, Fasc. 3, dal 1841 al 1869. Pratica relativa al “Progetto suppletivo del camposanto”, anni di riferimento 1844-1851.

[10] A.C.A.: Cat. 10, Cl. 2, Fasc. 3, dal 1841 al 1869. Pratica relativa alla “Riparazione delle fabbriche del Camposanto”, anni di riferimento 1854-1857.

[11] A.C.A.: Cat. 10, Cl. 2, Fasc. 3, dal 1817 al 1841. Pratica relativa alla “Costruzione del Cimitero. Scandagli”, anni di riferimento 1841-1854.