La Porta detta del Castello ed il Castello

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Andria

Escursione nella città dall’anno Mille al Milleseicento


La Porta detta del Castello ed il Castello

Ing. Riccardo Ruotolo


La Porta più importante della cinta muraria, realizzata dal normanno Pietro I, fu la Porta detta del Castello, così chiamata perché ubicata accanto alla struttura denominata il “Castello di Andria”.

Fino alla pubblicazione dell’opera del dott. Antonio Di Gioia “Andria, il castello e le mura”, la maggior parte degli storici andriesi, a cominciare dal Prevosto Pastore e fino al prof. Pietro Petrarolo (36), ha sostenuto che la Porta del Castello ha quel nome perché costruita in aderenza al Castello di Andria, ricordato come “Castrum Andriae(37); dopo il periodo svevo questa struttura fu amministrata dalla “Regia Curia angioina”.

Sappiamo che nell’anno 1228 l’Imperatrice Jolanda, moglie di Federico II, partorì in Andria il figlio Corrado e, dopo poco tempo, vi morì. Lo storico prof. Barbangelo ritiene probabile che l’Imperatrice abbia soggiornato, in quel periodo, nel Castello di Andria di proprietà regia. Ma tale residenza, ubicata accanto alla Porta detta del Castello, era idonea ad ospitare la famiglia dell’Imperatore?

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Sull’ubicazione del Castello di Andria le ipotesi sono due: la prima afferma che il Castello era ubicato accanto alla Porta e, quindi, coincidente con i ruderi ancora presenti oggi e che chiamiamo bastione di Porta Castello, e il maggiore sostenitore di questa tesi è lo storico prof. Pietro Petrarolo; la seconda sostiene che il Castello di Andria era ubicato dove oggi c’è il Palazzo Spagnoletti (38), luogo in cui i del Balzo (39), demolendo o ristrutturando il Castello normanno, costruirono la loro dimora, successivamente ampliata dai Carafa e, dopo un ulteriore ampliamento, diventata nell’Ottocento la dimora della famiglia Spagnoletti. Sostenitore di questa seconda ipotesi è il dott. Antonio Di Gioia nella sua opera “Andria – Il Castello e le mura”.

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Quando nell’anno 1983 pubblicai, dopo una laboriosa ricerca, la Pianta topografica della città di Andria (Figura -9-) fatta redigere dal Vescovo Mons. Ferrante per la divisione della città in due Parrocchie, invitai il prof Pietro Petrarolo a tenere una conferenza che avesse come tema l’illustrazione della Pianta.

Prima della presentazione ufficiale del documento ritrovato, insieme al Petrarolo per quasi venti giorni perfezionai lo studio del bastione accanto alla Porta del Castello perché eravamo entrambi convinti che fosse proprio quello il Castrum Andriae del Duecento di cui parlano Riccardo di S. Germano (40) e i due documenti di cui alla precedente nota (37).

La pianta topografica di Mons. Ferrante porta in basso a sinistra la scala metrica in passi napoletani con cui fu realizzata, “Scala di Passi Cento Napoletani” (un passo è uguale a circa 1,8457 metri), pertanto, leggendo la pianta nella sua scala, una volta ingrandita, fu possibile calcolare l’area dell’impronta del bastione accanto alla Porta del Castello, area che risulta essere profonda circa 30,5 metri e larga circa 41 metri, con una superficie d’impronta di circa 1.250 metri quadrati: ritengo che tale superficie sia stata ritenuta sufficientemente adeguata nell’XI secolo per un primo nucleo castellare della nascente città murata di Andria (Figura –18-).


Fig. -18- Presumibile area del primitivo impianto del Castello normanno di Andria.

Ad avallare ancor più questa tesi, è il racconto della presa di Andria nel 1350 da parte dei Tedeschi e Lombardi al servizio di Luigi Re d’Ungheria che era in conflitto con il Regno di Napoli e con la Regina Giovanna, evento minutamente descritto da Domenico di Gravina (41) nella sua opera “Chronicon de rebus in Apulia gestis”.

Questa Cronicon è stata pubblicata per la prima volta dallo storico Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) nella monumentale sua raccolta intitolata “Rerum italicarum scriptores”, opera composta da 24 volumi, pubblicata nel periodo 1723-1738 e che costituisce la prima grande raccolta di fonti medievali, come riporta il Dizionario Treccani.

Il Muratori, grande ricercatore di manoscritti storici medievali, non venne mai meno a un preciso impegno di verità e documenta minuziosamente con indipendenza di giudizio tantoché non ebbe alcun timore a bacchettare anche il papato.

Nella Prefazione alla pubblicazione della Cronaca di Domenico di Gravina, il Muratori racconta di aver rintracciato il “Cronicon de rebus in Apulia gestis” nella raccolta dei Codici manoscritti esistenti nella “Imperiale Biblioteca di Vienna” e chiama unico questo Codice per il quale ebbe l’autorizzazione dallo stesso Imperatore a tradurlo e pubblicarlo per la prima volta.

Afferma il Muratori che la Cronaca di Domenico di Gravina è Opera a dir vero, da farne non poco conto, perché da Autore sincrono si narrano le singole cose, in mezzo alle quali si trovò egli pure; il Muratori aggiunge che l’Autore fioriva in quei medesimi tempi, né quali queste cose avvennero, anzi s’immischiò nelle Rivolte del Regno (Regno di Napoli) tenendo le parti degli Ungheresi.

Leggendo la Cronaca relativa al periodo 1350 ci immergiamo nel saccheggio della città di Andria da parte degli Ungheresi ed abbiamo notizie precise ed utili per una plausibile collocazione del Castello di Andria.

Giovanna I, succeduta al Re Roberto, suo avo, come Regina del Regno di Napoli e dell’Italia meridionale, aveva sposato Andrea fratello di Ludovico Re d’Ungheria; però, dopo poco tempo i rapporti tra i due coniugi si deteriorarono e, poco prima che Andrea fosse nominato Re di Napoli, fu ucciso.

Nell’anno 1347 il Re d’Ungheria sitibondo di vendetta per l’ucciso fratello, radunato un esercito, discese in Italia e, dopo aver sottomesso il Regno di Napoli se ne tornò in Ungheria, mentre la Regina Giovanna si era rifugiata in esilio. Però, la Regina riuscì a rientrare a Napoli e a contrastare con volenza quelli che si erano schierati con il Re d’Ungheria, per cui Ludovico si vide costretto a ritornare in Italia nel 1350 per dare, per così dire, una sonora lezione alla Regina Giovanna sottomettendo e/o infliggendo pesanti sconfitte alle città che erano rimaste fedeli alla Regina.

Sceso in Puglia, Ludovico mise a ferro e fuoco la città di Canosa, quasi distruggendola del tutto, e si accampò poi in una pianura tra Canosa ed Andria.

Andria era rimasta fedele al Re d’Ungheria e il capo del suo esercito, che era costituito da Ungheresi e Lombardi, nominò comandante della città di Andria il capitano Filippo de Sulz, soprannominato Malispiritus, e lo stesso si insediò nel castello della città.

Dopo aver distrutto Canosa (Qui, destructa penitus substantia dictae Civitatis Canusii, singulas domos suas igne cremarunt), in attesa di partire alla conquista di altre città della Puglia rimaste fedeli alla Regina Giovanna, l’esercito Ungaro-Lombardo, accampatosi nei pressi di Andria, ebbe necessità di acquistare vettovaglie e fu mandata una delegazione a parlare con il comandante Malispiritus chiedendo di acquistare vettovaglie. Ma, come afferma Giovanni Jatta nella sua opera “Cenno storico sull’antichissima città di Ruvo nella Peucetia” – Napoli 1844, la popolazione di Andria è di per sè stessa molto ostinata nei suoi proponimenti e per tale ragione soffrì un gravissimo disastro.

Infatti, il comandante Malispiritus cercò di convincere gli andriesi a fornire a pagamento alle truppe accampate tutto ciò che alle stesse sarebbe bisognato, ma gli andriesi, sospettando un tradimento, negarono di somministrare i viveri richiesti disattendendo del tutto i consigli del comandante che prevedeva, per il mancato rifornimento di viveri, un disastro per la città. E fu così che l’esercito Ungaro-Lombardo attaccò le mura della città.

I tedeschi e i lombardi avevano rivolto i loro sforzi contro quella porta della città che porta il nome di porta del castello.

Gli andriesi nondimeno facendo sforzi straordinari coraggiosamente li respingevano. Il nobile andriese Giannotto Brancosio e i suoi uomini si schierano contro il Comandante Malispiritus, ingiuriandolo e chiamandolo traditore e responsabile dell’aggressione che la città stava subendo. Il Malispiritus uscì dal ca- stello per respingere tale ingiuria e malmenare il Giannotto. Essendosi però gli animi soverchiamente riscaldati da ambo le parti, si vide il Comandante suddetto obbligato a ritirarsi nel castello per salvare la sua vita.

L’assedio durò oltre tre giorni e gli andriesi restavano sempre vigili a difendere la Porta del Castello che rimaneva chiusa e continuavano ad accusare il Malispiritus di tradimento. Gli ambasciatori dell’esercito Ungherese-Lombardo, tornati all’accampamento, riferirono dell’atteggiamento ostile degli andriesi: sappiate, Signori Caporali e voi tutti che gli uomini di questa terra delle loro vettovaglie con nostro danaro non vogliono vendere (Scitote Domini Caporales, et vos universi exercitus viri, quod homines Terrae hujus de victualibus eorum nostro denario nec volunt vendere, nec donare, quamvis Dominus Malispiritus opportune et importune eos rogaverit, dicerit, et mandaverit).

I soldati della guarnigione ungherese che difendeva Andria, irritati dal vedere maltrattato il loro Capo Malispiritus che, sceso dal Castello per dialogare con il Giannotto fu costretto a rientrare, poiché essi stavansi nella parte superiore del castello, prese delle baliste e delle pietre, mortalmente lanciavano contro i difensori della porta della città, e per questi colpi tutti dal difendere la porta restarono impediti (Et exeunte Domino Malispiritu extra castrum, ad enormia verba procedit contra Ianoctum, et converso. Et hiis verbis interior briga oritur inter illos; quare miles idem Castrum compellitur introire. Hii autem, qui in superiori Castri parte sistebant, insultu viso contra Militem, acceptis balistris et lapidibus contra Cives defensores januae Civitatis mortaliter jaciebant, quorum ictibus omnes ab eadem defensione januae prohibentur).

Narra lo Jatta: Cessata la resistenza, i tedeschi e i lombardi entrarono in città, e vi commisero tanti eccessi che rifugge l’animo dal commemorargli.

Questo il racconto puntuale di Domenico di Gravina. Pertanto, risulta abbastanza evidente che il Castello di cui parla l’autore era ubicato esattamente accanto alla Porta: solo da questa posizione il lancio delle pietre e i dardi delle balestre potevano colpire chi difendeva la suddetta Porta.

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La considerazione che, insieme al prof. Petrarolo ci parve logica, fu la seguente: se il Castello di Andria lo si dovesse ubicare dove ora è sito il palazzo Spagnoletti, nella parte sua più antica che dovrebbe essere quella che prospetta piazza Vaglio, circa 130 metri distante dalla Porta del Castello, luogo in cui si trovavano gli andriesi per difendere la città, come potevano le balestre e le pietre scagliate dal palazzo Spagnoletti (presunto luogo del Castello di Andria) raggiungere gli andriesi accorsi a difendere la Porta del Castello?

La guarnigione del Comandante Malispiritus (Malospirito) non poteva che essere sul bastione accanto alla Porta, e il bastione era quello che chiamavano, fino a quell’epoca, il Castello di Andria.

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I Del Balzo, praticamente, iniziarono ad essere Duchi di Andria con Francesco I perché Bertrando Del Balzo, fuggito in Napoli all’epoca della presa di Andria da parte dei tedeschi e lombardi del Re d’Ungheria, non fu mai Duca di Andria e morì nel 1351. Presumibilmente fu proprio Francesco I Del Balzo a spostare il Castello, nella seconda metà del Trecento, dalle mura in vicinanza della Porta al sito dell’attuale palazzo Spagnoletti, in posizione più riparata rispetto alla Porta, e la costruzione non ebbe più la struttura castellare ma quella residenziale come si addiceva ai Duchi ed ai Conti padroni di una città.

Il racconto storico di Domenico di Gravina, pertanto, fornisce una valida conferma sulla ipotesi che quello che gli storici antichi chiamavano il Castello di Andria era come una piccola fortezza addossata alle mura e vicino alla porta principale della città che, per questo motivo, veniva chiamata la Porta detta del Castello.

Questa tesi, condivisa in pieno dal prof. Petrarolo, fu illustrata dallo stesso nella sala del Consiglio Comunale in occasione della pubblicazione della Pianta Topografica del 1761. Mi rammarico di non aver più trovato tra le mie carte la relazione del Petrarolo, molto dettagliata e piena di riferimenti storici.

Come abbiamo già riferito, anche il Fellecchia nella sua opera “La vita del gloriosissimo San Riccardo” edita a Napoli il 1685, p. 92, quando parla dell’ingresso in Andria di San Riccardo afferma che entrò in città dalla porta del Castello che era munita, e forte, vicino ad un Castel fu fabbricata.

Tutto ciò è plausibile perché, come oggi sappiamo in seguito alle ricerche effettuate dal Di Gioia, San Riccardo venne in Andria dopo essere stato in Terra Santa e, quindi, giunse in Andria dal mare e/o dalla via litoranea che da brindisi portava Trani.

Per quanto riguarda il numero delle porte e la loro ubicazione, il Fellecchia nella quarta strofa dello stesso sesto canto scrive:

Numer perfetto ancor contien di Porte,
Ch’una guarda vers’Austro, e vien chiamata
Del Castello, perché munita, e forte
Vicina ad un Castel fu fabricata.

Si resta un poco perplessi sul nome del vento verso cui guarda la Porta perché, se si considera il guardare come un vedere dall’interno della città verso l’esterno attraverso la Porta, la Porta del Castello guarda verso Nord, e non verso Sud da dove spira il vento che si chiama Austro o Ostro; se invece il Fellecchia volesse intendere il guardare la città dall’esterno attraverso la Porta, allora il nome del vento è quello giusto. Questo modo di vedere le Porte lo ritroveremo anche per la Porta detta Della Barra.

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Vincenzo Zito ritiene alquanto improbabile che il Castello di Andria potesse essere ubicato all’interno del circuito murario, cioè dove ora sorge il palazzo Spagnoletti, perché sarebbe una posizione del tutto inidonea per poter essere considerata opera di difesa della città; pertanto, propende per l’ubicazione del Castrum Andriae accanto alla Porta del Castello, e credo che abbia ragione, anche perché, nel suo saggio “Il Castello Normanno-Svevo di Andria, una questione controversa” che abbiamo già citato, adduce argomentazioni molto plausibili.

Anche il D’Urso è dello stesso avviso perché afferma che nel 1308 Bertrando del Balzo realizzò alloggiamenti per i militari proprio accanto alla Porta del Castello, cioè dotò il Castello di strutture idonee per l’alloggio dei difensori della Porta di accesso alla città, strutture che successivamente furono utilizzate dai Carafa come deposito di grano e mulini.

Zito riporta anche, nel suo già citato saggio “L’antica porta del castello di Andria”, la notizia che presso la Biblioteca provinciale di Bari ci sono schede che si riferiscono al Castello ed alle mura di Andria nell’anno 1530 e riferisce anche che gli atti originali sono andati perduti.

È abbastanza ovvio che il primo nucleo del Castello fu eretto dai Normanni quando, accorpando il villaggio di Andria con i più piccoli insediamenti ad esso vicini, realizzarono la cinta muraria, nucleo castellare che fu concepito per essere sede della milizia che doveva difendere la città. Successivamente gli Svevi possono aver ampliato il bastione primitivo rendendolo idoneo oltre che per la difesa della porta da parte della guarnigione dei soldati, anche come dimora, occasionale, dei componenti della famiglia imperiale, e i circa 1.250 mq. della struttura potevano permettere queste funzioni.

Qualcuno si è cimentato nel disegnare il castello di Andria realizzato presso la Porta del Castello, ma è pura opera di fantasia; come anche mi sembra fantasioso ritenere che Andria abbia avuto più circuiti murari che si sono succeduti più o meno nell’arco di un secolo.

Il canonico Riccardo D’Urso nella sua “Storia della città di Andria”, nel libro V – Cap. II, narra che nel 1305 la contea di Andria sotto Carlo II Re di Napoli venne data in dote a sua figlia Beatrice sposata al Principe Azzo d’Este e poi, in seconde nozze, a Bertrando del Balzo. Quando nel 1308 i coniugi Bertrando e Beatrice stabilirono di venire ad abitare in Andria, Bertrando assoldò altra milizia per la custodia della famiglia e il Castello venne da lui maggiormente munito e fortificato; ed al fianco che guarda il mezzogiorno vi aggiunse i quartieri, dove i suoi soldati erano alloggiati. Di questi Quartieri ora rimane intatto il solo Portone, che sporge nel piccolo parco del Signor Canonico D. Michele Marchio. Tutto il rimanente delle fabbriche venne dalla casa Carafa ridotto ad uso di Molini, oggi di nostra pertinenza.

Questo passaggio del D’Urso mette un punto fermo sulla questione della ubicazione del castello di Andria costruito dai Normanni: era quello i cui resti oggi noi chiamiamo il Bastione di Porta Castello, accanto a cui c’era, fino alla demolizione della Porta, la casa del Canonico Marchio. Le tracce di tutto ciò sono ancora visibili in via Gelso, e la tradizione popolare chiama questo luogo sopra i molini.

Che poi i Del Balzo, per mutate esigenze, abbiano dato corso alla costruzione di una dimora più confortevole e meno militaresca nel posto ove ora è presente il Palazzo Ducale, ampliato poi dai Carafa e nell’Ottocento dagli Spagnoletti, è un’altra storia.

Quando il D’Urso dice che quei locali adibiti a molini sono oggi di nostra pertinenza, fa delle affermazioni a ragion veduta perché lui era Canonico della Chiesa Cattedrale, lettore di Sacra Teologia ed esaminatore sinoidale, quindi, conosceva bene le proprietà che aveva il Capitolo Cattedrale e la loro provenienza.

Infine il D’Urso riferisce che nell’Ottocento, quello che restava dell’antica fortezza divenne proprietà di privati e precisamente dei canonici Porro e Marchio.

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La Porta del Castello è disegnata nella pianta topografica che fece redigere il Vescovo Mons. Francesco Ferrante nel periodo 1759-1761 quando procedette alla divisione della città di Andria in due Parrocchie. Lo studioso Giuseppe Ceci (42), nella sua memoria “Cenni sulla topografia e la popolazione di Andria” inserita nella pubblicazione del prof. Nicolò Vaccina “Andria le sue Vie e i suoi Monumenti” edita in Andria dalla tipografia Rossignoli, afferma che questa pianta topografica fu rilevata con scrupolosa esattezza di misure nel 1758 dall’architetto Carlo Murena e fu incisa in rame e poi riprodotta in minori proporzioni nell’articolo su Andria che Riccardo Colavecchia inserì nell’opera dell’Orlandi sulle città d’Italia (Perugia 1770, tomo II, pag. 68).

Il Ceci è l’unico a riferire che questa pianta topografica fu redatta da Carlo Murena (43) e fu poi pubblicata nell’opera dell’Orlandi “Delle Città d’Italia….” ; però, se osserviamo la pianta inserita nell’opera dell’Orlandi (Figura -19-) e la confrontiamo con la pianta topografica della Figura -9- notiamo che quella cui fa riferimento il Ceci è piuttosto grossolana, senza la didascalia sottostante ed anche con qualche errore come quello che indica la Chiesetta di Sant’Andrea con nome scritto al rovescio (Figura -20-).


Fig. -19- Pianta topografica inserita dell’opera di Cesare Orlandi che lo storico Giuseppe Ceci attribuisce all’arch. Carlo Murena.


Fig. -20- Chiesa di S. Andrea: errore nella scritta S. Andrea (riportata al rovescio) nella pianta topografica inserita nell’opera di Cesare Orlandi del 1770.

Considerato il curriculum di tutto rispetto e di alto profilo dell’architetto Carlo Murena, ci sembra estremamente improbabile che sia stato il rilevatore e disegnatore di una pianta topografica, e se poi tale pianta fosse quella della Figura -19-, abbastanza grossolana, appare del tutto improponibile l’attribuzione al Murena. Una conferma seppure indiretta della pianta originale fatta redigere dal Vescovo Ferrante nel periodo 1759-1761 possiamo trovarla nell’opera storica del canonico Michele Agresti “Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi”, edita in Andria il 1911 dalla Tipografia Rossignoli, in cui a pagina 14 del volume I pubblica sotto il nome di Andria antica la pianta di cui alla Figura -9- e afferma: La pianta, che qui riproduciamo (in piccolo formato) fu riprodotta nel 1762 dal Vescovo del tempo Monsignor Ferrante quando agitavasi, presso la S. Congregazione del Concilio, una lite tra il Capitolo e detto Vescovo circa i diritti parrocchiali, come, a suo tempo, narreremo.

Come riferito nella precedente nota -43-, nel 1759, proprio l’anno in cui il Ceci afferma essere stata redatta la pianta topografica della Figura -19- dall’architetto Murena, lo stesso architetto fu invitato a presentare un progetto per le porte della Basilica di San Pietro, ed è improbabile che a fronte di commissioni così importanti potesse anche dedicarsi al rilievo della pianta di una città molto lontano dalla Roma dove lavorava. Ritengo che la pianta topografica di Andria fu redatta da validi compassatori del luogo, nel periodo 1759-1761, su commissione del Vescovo Mons. Ferrante, con la finalità di suddividere tutto l’agglomerato urbano in due parrocchie, come descritto in basso nell’incisione di Figura -9-; il Colavecchia, quando fu sollecitato dall’amico Orlandi a redigere una memoria sulla città di Andria per inserirla nella sua opera “Delle Città d’Italia….”, è probabile che abbia fatto incidere da persona poco attenta la pianta topografica di Andria copiandola in modo grossolano dall’originale commissionato da Mons. Ferrante, ed abbia fatto omettere tutta la didascalia sottostante perché non interessante ai fini della pubblicazione del libro dell’Orlandi.

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La Porta del Castello è sempre stata ritenuta da tutti la Porta più importante della città perché rivolta verso il mare, verso la strada litoranea e, soprattutto, verso i porti di Trani e Bari da dove era molto probabile che potessero giungere i nemici che volessero attaccare la nostra città. E la storia dell’ultimo millennio conferma in pieno questa verità: basta ricordare solo ciò che avvenne nell’anno 1799.

Su questa Porta è stata effettuata un’accurata ricerca da parte dell’architetto Vincenzo Zito presso l’Archivio di Stato di Bari, con l’inatteso risultato di venire a conoscenza di disegni della Porta del Castello di Andria in un fascicolo del settore Amministrazione comunale antica – Polizia urbana e rurale ASB B.3 – F18 “Per la nuova pubblica impresa da Michele Mininno 1811-1812”.

I suddetti disegni sono stati pubblicati dall’architetto Zito nel suo saggio “L’antica Porta del Castello di Andria”, disegni che ho visionato anch’io quando ho fatto ricerche nello stesso Archivio.

Il disegno più emblematico della Porta del Castello, che mi ha anche suscitato perplessità, è quello della Figura -21-, per le sue ridondanti forme baroccheggianti e per le difformità con altri disegni che ritraggono scorci della stessa Porta. Il disegno della Figura -21- raffigura una Porta ad un solo fornice, con i piedritti laterali muniti di alti basamenti da cui si elevano sia la struttura dell’arco, realizzato con conci bugnati e che termina con un cartiglio, sia i piedritti composti da paraste lisce e terminanti con capitelli che si raccordano con l’arco sul cartiglio. Al di sopra dell’arco c’è una struttura con volute che racchiudono una nicchia al di sopra della quale vi è un’ulteriore struttura con volute e pigne o pinnacoli, mentre nella nicchia è riportata la scritta vi è la statua del Santo Patrono.


Fig. -21- Disegno della Porta di Andria detta del Castello in stile barocco molto accentuato,
come pubblicato nel saggio storico di V. Zito “L’antica Porta del Castello di Andria”.

Ai due lati della porta sono disegnate due costruzioni di solo piano terra, ciascuna con una porta d’ingresso; nella parte bassa del disegno sono riportati i tracciati della strada che conduce a Corato, della Strada che conduce a Barletta e della Grande Strada de Cappuccini, principio della Via nuova, che conduce a Trani. Sui marciapiedi di dette strade sono disegnate schematicamente delle case con solo il piano terra, come quelle poste ai lati della Porta.

Il disegno non rappresenta una Porta di difesa ma piuttosto una struttura scenografica, mentre le case ai lati e sul davanti sono rappresentate molto schematicamente. Sulla sinistra del disegno, in attacco alla Porta, vi è un riquadro composto soltanto da due lati al centro del quale è scritto qui si pretende fabbricare. Per spiegare questa frase ci viene in aiuto un corposo carteggio intercorso tra il signor Mininno, proprietario di due botteghe a piano terra ubicate alla sinistra della Porta per chi la guarda, al di sopra delle quali il Mininno intendeva costruire in sopraelevazione due stanze, e i cittadini che inviarono lettere all’Intendente di Bari per scongiurare la costruzione di tali stanze perché, secondo loro, avrebbero deturpato la visione della Porta e il suo ornato.

Il primo documento inviato all’Intendente di Bari a firma dei cittadini che contestavano la costruzione che il Mininno aveva già cominciato a realizzare, è chiamato “supplica” ed è datato 10/11/1811. Il testo del documento-supplica contenuto nel fascicolo Polizia urbana e rurale ASB B.3 – F18 dell’Archivio di Stato di Bari, come anche di tutti gli altri documenti dello stesso fascicolo, è stato da me fotografato e trascritto da Sabino Di Tommaso.

La prima supplica dei cittadini che si opponevano al progetto del sig. Mininno così recita:
   I qui sottoscritti zelanti Cittadini di questo Comune di Andria:
con suppliche espongono a V.E. come è venuto in mente a Mastro Michele Mininno di Francesco Paolo della città medesima edificare alcune camere su di due botteghe, che l’appartengono, situate al fianco della Porta Magnifica di detto Comune appellata del Castello; e perché con l’estollere tali fabbriche intende non solo servirsi d’appoggio del laterale, e parte della Prospettiva di essa rispettabile Porta, ma ben anche seppellirla contro ogni legge sotto di un privato vile edificio; viene perciò questo ad essere di comune dispiacere a questa Popolazione si per l’eccellenza, e pregio, che si verrebbe a togliere al di lei disegno, ed opra, si anche perché essendo l’unica Carrozzabile, sono obbligati i Forastieri ad entrarvi per essa, ed oggi piucchemai, perché è centro della nuova strada già designata che sporge a Trani;
   posto questo ne ricorrono quindi alla clemenza, e giustizia insieme di V.E. e la supplicano compiacersi ordinare a chi si conviene, che niente s’innovi, e che a norma delle altre città ben governate non si permetta mai la costruzione della nuova fabbrica in faccia a quella cospicua Porta, almeno sopra la piccola bottega, che l’attacca, venendo questa di già dominata da un braccio della Prospettiva esteriore della Porta, che l’occupa per metà; per cui pochi palmi lascerebbero di vuoto, e ciò perché verrebbe altrimenti a perdere il preggio di essere isolata in ambe le sue prospettive interna ed esterna, e più non sarebbe così eminente la sua elevazione, e l’avranno a grazia.
   Andria lì dieci Novembre 1811
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Seguono 35 firme di andriesi, tra cui il Canonico Figliolia, Giuseppe Squadrilli, Carlo Marchio, il Canonico Vito Antonio Infante, il Canonico Michele Zinni, il Canonico Civita, Giammaria Marchio, il Canonico Leopoldo Cotreman, il Ca- nonico Martignano, il Canonico Camaggio, ed altri.

Altri oppositori al progetto del Mininno, tra cui i Deputati Consalvo Ceci e Vito Nicola Porro, inoltrarono supplica all’Intendente, e a comprova delle loro asserzioni si fanno il dovere di rimettere a V.E. la pianta della menzionata porta, colla designazione delle fabriche, che si vogliono inalzare per deformarla, e la supplicano dare ordini opportuni, affiché ne sia vietata l’impresa col far demolire, quel poco furtivamente han fabricato, e l’avranno a grazia, ut Deus.

Dalla trascrizione di queste due suppliche emergono alcuni elementi molto significativi. La Porta del Castello da parte dei sottoscrittori della supplica viene chiamata magnifica, rispettabile, eccellenza, di pregio, cospicua, unica carrozzabile e quindi, visibile dai forestieri provenienti da paesi vicini che volessero entrare in città; pertanto, a fronte di tanta eccellenza, diventava uno sfregio il voler costruire in aderenza una fabbrica che chiamano vile, e, per suffragare esaurientemente la loro opinione, inviano all’Intendente una pianta della Porta, cioè un disegno, per evidenziare la magnificenze del manufatto, il suo pregio, la sua eccellenza.

L’Intendente era quindi chiamato a giudicare in base ad un disegno e, per ottenere il provvedimento desiderato, il disegno doveva essere il più bello possibile, quasi un’opera d’arte da non toccare, tantomeno da deturpare con una costruzione vile da realizzare in aderenza.

A questo punto diventa giustificabile un interrogativo: il vero disegno della Porta del Castello era proprio come quello presentato dai supplicanti? Oppure il disegnatore ha voluto rappresentare un manufatto di fantasia, poco ancorato alla realtà, per dimostrarne il grande pregio? L’interrogativo è giustificabile perché il disegno sembra fatto proprio per essere funzionale al desiderio dei firmatari delle suppliche, come si vedrà nel seguito.

Si è reso necessario, per cercare di dare una risposta all’interrogativo, esaminare la risposta del Mininno. Nel fascicolo preso in esame c’è infatti anche la risposta che il Mininno invia all’Intendente nel periodo 11-25 novembre 1811.
In una prima istanza si legge:

Michele Mininno di Francesco Paolo della comune di Andria espone a V.E. come egli ha ricevuto impedimento alla sua fabrica vicino la Porta detta del Castello ad istanza solo del Sacerdote D. Giuseppe Porro dell’istessa Comune. Questi, Signore, abitando dirimpetto, e non avendo motivi come direttamente impedire detta fabrica, perché gli si oppone la legge, trovandosi distante cin- quanta palmi, ha voluto comparire indirettamente con estorquere tante firme da Persone poco intese delle ragioni del supplicante sotto il mendicato nome di Cittadini zelanti.

Per dirimere la questione, in data 11 dicembre 1811 si riunì il Decurionato del Comune di Andria che così deliberò: di non consentire affatto a far formare tale edificio (da parte del Mininno), essendo ciò un abuso pregiudizievole assai; per cui ne implorano da V.E. oltre all’essere giusto, la grazia a non far deturpare un illustre pubblico edificio, oggi isolato, da quel privato, che se gl’intende affiancare.

Furono incaricati di effettuare rilievi della Porta e di esprimere il loro parere sull’opportunità di costruire o meno in aderenza un nuovo fabbricato l’ingegnere Vincenzo Matera e dei Capimastri Muratori del Comune di Andria. Gli incaricati certificarono che si poteva edificare in attacco alla Porta del Castello sino al cornicione della parte esterna, e dalla parte interna sino al finimento dell’antiporta; ed inoltre dichiararono che con tal nuovo edificio sulle sue botteghe, non viene il Mininno a deturpare la Porta della Città, anzi la verrebbe a rendere assai più ornata, e vistosa, non meno dalla parte esterna, che interna della città.

Questo parere redatto il 12 dicembre 1811 fu accompagnato da due rilievi fatti dall’ingegnere Matera: uno raffigurante la Porta e la sopraelevazione proposta dal Mininno vista dall’esterno, cioè dalla nuova strada per Trani, con la sopraelevazione a sinistra della Porta, l’altra con la sopraelevazione sulla destra della Porta perché la vista è dall’interno della città. I due disegni di Figura -22- e Figura -23-, eseguiti nello stesso periodo in cui fu fatto il disegno di Figura -21-, riportano una Porta del Castello di forma diversa.


Fig. -22- Lato sinistro della Porta detta del Castello, guardata dalla nuova strada per Trani,
con la sopraelevazione che il sig. Mininno voleva realizzare. Disegno eseguito da Vincenzo Matera - Anno 1811,
come pubblicato nel saggio storico di V. Zito “L’antica Porta del Castello di Andria”.

La legenda della Figura -22- si riferisce anche alla Figura -23- e riporta:
A - Facciata esteriore della Porta
B - Facciata esterna delle due Botteghe fino all’altezza di questo segno +
C - Facciata interna della stessa Porta
D - Facciata interna di una bottega con il sopradetto segno nell’altezza +
E - (non è riportata alcuna dicitura) F - Pianta della suddetta Porta
G - Facciata esterna della stanza che si deve fare sopraelevando Bottega ed accanto la suriferita Porta
H - Facciata interna della sopradetta stanza ed accanto alla alla denominata Porta
I - Pianta delle stanze di sopra adiacenti due Botteghe


Fig. -23- Porta detta del Castello, facciata interna - lato destro. Disegno eseguito da Vincenzo Matera - Anno 1811,
come pubblicato nel saggio storico di V. Zito “L’antica Porta del Castello di Andria”.

L’architetto Vincenzo Zito ha elaborato l’immagine di Figura -22- ricavando il disegno dell’intera Porta (Figura -24-) che, come si può constatare, è diverso da quello di Figura -21-.


Fig. -24- Porta detta del Castello. Disegno elaborato dall’arch. Vincenzo Zito, come pubblicato nel suo saggio storico “L’antica Porta del Castello di Andria”.

Dai documenti si evince che le botteghe a piano terra accanto alla Porta furono cedute al Mininno fin dal 1758 … ad oggetto di fabbricarsene sopra delle case, magazzini, e botteghe da un lato fin’ al torrione appellato de’ molini, e dall’altro lato fino al torrione di S. Francesco. Preso atto di ciò, e considerato che per la città di Andria le sue mura, et antemura sono distrutte e che edifici si sono formati, o si stanno costruendo sulle mura, attaccati all’altre porte della città, e nelle fossate istesse, fu permesso al Mininno di costruire in aderenza alla porta, fino al cornicione, come da disegno della Figura -22-, a condizione che lo stesso paghi ciocchè i periti valuteranno per l’appoggio dell’edificio sulla fabbrica della Comune. Questa determinazione è del 28 gennaio 1812.

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Ho ritenuto opportuno riportare stralci dei documenti della controversia tra il sig. Mininno e il Comune, nonché i disegni della Porta del Castello allegati alle suppliche, per mettere in evidenza la discordanza tra il disegno di Fig. -21- allegato alla supplica dei cittadini e il disegno della stessa Porta di cui alle Figure -22-, -23- e -24- effettuati nello stesso periodo da periti non di parte: un Ingegnere e dei Capimastri incaricati dal Comune. Risulta evidente che all’esagerazione barocca del primo disegno si contrappone uno stile classico della Porta nella parte inferiore fino al cornicione e sobrio barocco nella parte sovrastante, come dal disegno completo di Figura -24-; pertanto, diventa non attendibile il disegno della Porta di Fig. -21-.

Inoltre, nei documenti si parla di due torrioni, uno a sinistra della Porta ed uno a destra chiamato torrione di San Francesco; quest’ultimo non esiste più, evidentemente fu subito abbattuto forse perché uguale a tutti gli altri realizzati intorno alle antiche mura, mentre, quello tuttora esistente su via De Gasperi e che doveva rappresentare i resti dell’antico Castello, è stato conservato.

Infine, quando si descrivono le condizioni precarie della muraglia, si parla di mura e di antemura, oltre che delle fossate. Questi piccoli riscontri servono a completare la visione delle antiche mura che cingevano la città.

La Porta del Castello tornò a far discutere ancora una volta nell’anno 1844 quando il Comune incaricò l’architetto Federico Santacroce (44) di redigere un progetto di abbattimento della Porta valutando anche i costi dell’operazione.

Anche questa volta ci furono cittadini favorevoli e cittadini contrari all’operazione con conseguenti petizioni da un lato e dall’altro. Come nel 1811, il primo a lamentarsi del progetto di abbattimento fu un Canonico della Chiesa Cattedrale, il Sacerdote Don Vito Fortunato perché, per demolire la Porta bisognava anche demolire parte della sua casa che era addossata alla Porta dalla parte interna.

Il Fortunato mandò una sua lettera al Sottintendente Matrica decantando il valore storico che la Porta aveva avuto fin dai tempi dei Normanni, e, proprio come avvenne nel 1811, anche questa volta il Canonico ebbe i sostenitori della sua tesi.

Il Sottintendente Matrica il 16 settembre del 1844 mandò una nota all’Intendente di Bari di questo tenore:

Sig. Intendente
La porta denominata del Castello, che si vuole demolire in Andria, non è il monumento storico che ricorda i tempi del Guiscardo, e di Pietro, figliuolo del Conte di Trani, come va dicendo il Sig. Canonico D. Vito Fortunato nella sua qui unita supplica rassegnata all’Eccellentissimo Ministro degli Affari interni. Fu edificata nel 1774
(è evidente che si tratta dell’anno della ristrutturazione della Porta), a spese di un muratore che in compenso ebbe dal Comune un tratto di terreno adiacente alle vecchie mura. Lo dice la ispezione che vi è, ed è questo un fatto che detta diceria del Sig. Canonico non può rimanere rovesciata.
Quindi, si parla di un rifacimento della Porta da parte di un muratore e il risultato non poteva essere che modesto, non certo come quello del disegno della Figura -21-.

Continua il Sottintendente affermando che era utile questa porta quando la Città era tutta cinta da muraglia; ma di questa non ne rimane ora neppure la traccia, imperocchè lo smisurato aumento di questa popolazione ha fatto che fuori dell’antica linea delle mura siesi edificato tanto da superare la vecchia Città. Quella porta dunque rimane senza obbietto: è un ingombro inutile in mezzo dell’abitato: e quando si viene dalla via di Trani, anziché produrre quelle amabili illusioni delle quali nella supplica si parla tompagna sconciamente la gran strada palazziata de’ Cappuccini; mentre, demolendosi, quella strada avrebbe come sfondo lo sfogo del più bel largo della Città denominato la Catuma.

Appare evidente da questo passo che la voce del Sottintendente era all’unisono con quella degli Spagnoletti, diventati grandi proprietari terrieri e Conti, che avevano tutto l’interesse che la Porta del Castello fosse abbattuta perché in questo modo il loro grande palazzo avrebbe avuto una grandissima visibilità per tutti quelli che giungevano da Trani: con la demolizione della Porta la loro dimora diventava il grande sfondo dell’importante arteria lungo la quale altri possidenti stavano realizzando le loro dimore.

Conclude il Sottintendente minimizzando il danno che subirebbe il Canonico ed afferma che la casa in parola poi si compone da quattro stanze superiori, e da due sottani: con la demolizione della porta perderebbe una piccola stanza col corrispondente sottano, ed il Canonico avrebbe dal Comune il compenso di Ducati 430,39, giusta il progetto già formato.

La lettera di supplica che il Canonico Fortunato aveva inviato al Ministro degli Affari Interni, in cui si parla del Guiscardo, era di questo tenore:

Al Ministro Segretario di Stato
Degli Affari Interni
Vito Fortunato di questa Cattedral Chiesa di Andria espone all’Eccellenza vostra quanto segue.
… . Fra le porte che si vide volersi demolire l’una detta del Castello e l’al- tra detta di S. Andrea. Per preggio architettonico, per utilità topografica, per stimazione storica, la prima di esse non può dirsi seconda ad alcun’altra delle nostre Provincie. A questo punto il Canonico passa a descrivere le sensazioni che la Porta induce in chi ammira il monumento e parla di aggradevole sensazione, poiché vi si ammira una letizia architettonica del genere misto, e che dovrebbe dirsi Italiana, perché alla sveltezza corintica si unisce in bella armonia la solidità pestiana, e la Romana magnificienza (questa descrizione si addice di più ai disegni della Figura -19- e non a quelle delle Figure -22-23-), alle quali prerogative il genio dell’arte non trascurò aggiungere quella proprietà prima si vede aver essa servito mirabilmente all’oggetto, alla difesa mai diruta, a potente città, d’una città che a tempi del Guiscardo era considerata come insuperabile fin dalle armi di quel formidabile.

Dopo altre note e suppliche tra l’Intendente, il Sottintendente, i cittadini e lo stesso Ministro degli Interni, il 12 settembre del 1847 il Comune di Andria adotta la Deliberazione con cui si dichiara:

Il Decurionato
Intesa la proposta del Signor Sindaco
Ritenuto che i mezzi di cautela per lo adempimento della obbligazione offerta dall’offerente Nicola Grossi (era colui che aveva vinto la gara dell’appalto della demolizione della Porta), propone le condizioni che devono regolare il contratto di appalto per la demolizione, con tutte le garanzie di cautela a favore del Comune e si stabilisce che: si darà principio all’opera dal momento in cui saranno approvate le proposte condizioni, e sarà proseguita senza interruzione alcuna, in maniera che ove un ritardo di otto giorni si verificasse senza bisogno di alcuna giuridica interpellazione, rimarrà facoltata l’Amministrazione Comunale di continuarla a spese dell’Appaltatore.

Il tenore della Deliberazione non lascia dubbi: l’appaltatore dovrà procedere alla demolizione della Porta senza ritardi, altrimenti continuerebbe i lavori il Comune stesso addebitando le spese all’appaltatore.

Così, la Porta del Castello, nel 1847 cessò di esistere, mentre, per la Porta di Sant’Andrea si ebbe il non luogo a procedere, probabilmente perché la sua presenza non dava fastidio a nessuno.


NOTE    _

(36) Petrarolo Pietro
Il prof. Pietro Petrarolo (1927-2007), dopo aver conseguito la laurea in “Lettere moderne” presso l’Università agli Studi di Bari con il massimo dei voti, ha insegnato Lettere italiane e Storia negli Istituti Tecnici e Magistrali. Appezzato conferenziere e studioso di storia locale, ha pubblicato diversi studi frutto di approfondite ricerche d’archivio fra i quali ricordiamo: “Antonio Gramsci l’uomo l’ideologo, il militante”, Tipogra- fia Guglielmi 1978 Andria, “Castel del Monte-guida” Tipografia Guglielmi 1979 Andria, “Castel del Monte” Tipografia Guglielmi 1982 Andria, “La trasformazione del Convento di San Francesco in Palazzo Comunale” Tipografia Guglielmi 1982 Andria, “La storia dei Cappuccini in Andria” Tipografia Guglielmi 1982 Andria, “La Chiesa di Santa Maria del Monte” Italgrafica Sud 1985 Bari, “Andria dalle origini ai tempi nostri” Sveva Editrice 1990 Andria, “San Nicola Trimodiense” Sveva Editrice 1993 Andria, ”Federico II e la dinastia sveva” Sveva Editrice 1993 Andria, “Il Santuario di Santa Maria dei Miracoli” Sveva Editrice 1996 Andria, “Ettore Carafa e l’assedio di Andria del 23 marzo 1799” Sveva Editrice 1999 Andria.

(37) Castrum Andriae
Nel sito web Andriarte di Sabino Di Tommaso sono riportati stralci di due documenti che parlano di Castrum Andriae.
Il primo di epoca sveva, datato 16 marzo 1240 e proveniente dalla cancelleria di Federico II, parla di un mandato inviato dall’Imperatore al governatore Alessandro figlio di Enrico per ringraziarlo per quanto amministrativamente aveva fatto durante la residenza del figlio dell’Imperatore nel castello-rocca di Andria e nel testo si leggono le frasi … de expensis factis in castris Bari, Trani et Andriae … e … et quod fecisti fieri in castro Andrie ubi F. noster moratur …; questo documento è stato pubblicato da Jean Luis Alphonse Huillard – Bréholles (1817-1871) nella sua opera “Historia diplomatica Friderici Secundi” pubblicata a Parigi nell’anno 1859, tomo V, parte Ii, pagg. 848-849.
Il secondo documento è di epoca angioina, datato 28 novembre 1269, e parla dei compiti assegnati ai castellani per la custodia, cura e manutenzione dei castelli; la frase che parla del castello o rocca di Andria così si esprime …. Mandamus … Item in terra Bari … In castro Andriae unus Contergius tantumdem …; questo documento è stato pubblicato da Giuseppe Del Giudice nella sua opera “Codice diplomatico del Regno di Carlo I e II D’Angiò”, Napoli 1863, vol. I, app. II, pagg. LXXV-LXXXI.

(38) Spagnoletti
Le leggi napoleoniche del 2 agosto 1806 che abolivano la feudalità e quella del 13 febbraio 1807 che soppresse gli Ordini religiosi, favorì l’ascesa di proprietari terrieri che seppero gestire al meglio le opportunità nate dall’applicazione di tali leggi. Ci furono famiglie che da fattori delle aziende agricole dei feudatari diventarono ricchi proprietari di beni confiscati al clero e svenduti dai deposti Duchi e Conti. Si formò così una elìte proprietaria egemone della vita politica e amministrativa della città di Andria, come afferma lo storico prof. P. Petrarolo, e in questa elìte c’era la famiglia Spagnoletti. In questo modo, circa il 75% delle terre fertili dell’agro di Andria diventò di proprietà di poche famiglie, cioè di una piccolissima parte della popolazione.

(39) Del Balzo Bertrando
L’ultimogenita del Re di Napoli Carlo II d’Angiò si chiamava Beatrice che nel 1305 sposò Azzo VIII d’Este ed ebbe in dote la Contea di Andria ed il Castel del Monte. Rimasta vedova nel 1308, “sposò in seconde nozze Bertrando del Balzo”, che apparteneva ad un’antica famiglia della Francia meridionale, e decise di stabilirsi in Andria; in quell’occasione, donò alla città di Andria la Sacra Spina. Quando Beatrice morì nel 1330, sua figlia Maria “cedette al padre Bertrando per 30.000 once d’oro la Contea di Andria”; pertanto, da quell’anno ebbe origine il governo della città di Andria da parte della famiglia del Balzo.
Il governo della Contea di Andria da parte della famiglia del Balzo, iniziato con Bertrando, continuò con Francesco I che, per aver difeso la Regina Giovanna, ottenne il titolo di Duca di Andria; pertanto, la Contea di Andria divenne Ducato sotto i del Balzo. La dinastia continuò con Guglielmo (1398-1431) e poi con Francesco II del Balzo (1431-1472) che è ricordato soprattutto per il ritrovamento delle ossa di San Riccardo e per l’istituzione della Fiera d’aprile di Andria. Ultimo del Balzo fu Pirro, primogenito di Francesco II, che governò il Ducato dal 1472 al 1487.

(40) Riccardo di San Germano
Riccardo di San Germano (1170 circa–1243) (oggi la località San Germano si chiama Cassino), fu un cronista ed è ricordato soprattutto per aver scritto una “Chronica” degli avvenimenti avvenuti nell’Italia meridionale nel periodo 1189 – 1243, quindi in epoca sveva. Nel 1220 entrò a far parte della Curia dell’Imperatore Federico II di Svevia e, pertanto, fu notaio imperiale. Le vicende narrate nella sua “Chronica” hanno un alto grado di veridicità perché sono state vissute da lui personalmente.

(41) Di Gravina Domenico
Domenico di Gravina (o da Gravina, sua città natale dove svolse la sua attività di Notaio) è vissuto nella prima metà del Trecento (1300-1355). Lo si ricorda come “cronista” perché riportò per iscritto gli avvenimenti che accaddero in Puglia negli anni 1332-1350, narrando anche il conflitto che scoppiò nel 1348 tra il Re d’Ungheria e il Regno di Napoli al tempo della Regina Giovanna. La sua Cronaca, inserita nella collana “Rerum Italicarum Scriptores” Tomo XII, parte III, pagg. 689-691 di Ludovico Antonio Muratori (1672-1650), è ritenuta molto attendibile perché narra avvenimenti contemporanei alla sua esistenza.

(42) Ceci Giuseppe
Nato ad Andria nel 1863, fu un erudito e storico soprattutto delle vicende napoletane perché per lui Napoli era la seconda patria. Nel 1892 completò tre grossi volumi dello storico Bartolomeo Capasso intitolati “Monumenta ad neapolitani ducatus historiam pertinentia”, perché non disdegnava di prestare agli altri la sua opera erudita. Collaborò attivamente con la rivista “Napoli Nobilissima” ed anche con la rivista “Japigia” in cui pubblicò: nel 1930 “un dimenticato ingegnere pugliese”, nel 1933 “Nella chiesa di San Nicola”, nel 1935 “il viaggio di una principessa in puglia nel 1549” e, sempre nel 1935 “Un monastero delle bene- dettine in Andria”. Sono anche preziosi i suoi saggi su Andria e sulle arti figurative nell’Italia meridionale.

(43) Murena Carlo
Carlo Murena (1713-1764) fu un architetto molto stimato ed apprezzato. Allievo e poi collaboratore di Luigi Vanvitelli e amico di Urbano Vanvitelli e del Cardinale Francesco Barberini, si inserì proficuamente in ambienti culturali ecclesiastici romani. Progettò Chiese, Monasteri, Cappelle, strutture ospedaliere e ricostruì complessi monumentali. Nel 1758 fu invitato a presentare un progetto per le porte di San Pietro e l’anno successivo fu eletto accademico di merito dell’Accademia di San Luca. Rimodulò anche progetti di Carlo Maderno ed altri edifici religiosi.

(44) Federico Santacroce
Federico Santacroce (Barletta 1814-1882) esercitò con successo la professione di architetto pur non avendo seguito uno specifico corso di studio, ma lavorando nello studio del quotato architetto bitontino Luigi Castellucci. Furono molto apprezzate le sue idee e i suoi progetti quando lavorò su Napoli tanto da meritare a soli 23 anni la nomina di Architetto della Real Santa Casa degli Incurabili. I suoi principali progetti, da lui firmati a volte come ingegnere e a volte come architetto, furono realizzati nei Comuni di Barletta e di Andria dove ricoprì le cariche di Ingegnere Comunale e Capo dell’Ufficio d’Arte. Tra le sue opere più significative realizzate in Andria ricordiamo la direzione dei lavori, progettati dall’amico architetto Castellucci, per la trasformazione del Convento di San Francesco in Palazzo Comunale, la realizzazione del nartece della Chiesa Cattedrale allineando la facciata con il campanile, il vestibolo della Chiesa della Madonna dell’Altomare, la ristrutturazione del Convento di Santa Maria Vetere, la casa del Canonico Losito che prospetta sul sagrato della Chiesa del Crocifisso, il piano urbanistico del Borgo della Spina e la sistemazione del tratto iniziale di via Barletta compreso anche quella di piazza Municipio. Nella città di Barletta la sua opera più significativa fu il progetto di restauro e ristrutturazione del Teatro Curci. Preziosa ed esaustiva è la pubblicazione dell’architetto Teresa D’Avanzo intitolata “Federico Santacroce – L’attività dell’Architetto fra Andria e Barletta”, a cura della Fondazione Porta Sant’Andrea di Andria dell’anno 1993.