Origini della Cattedrale: cap.1-3, di V.Schiavone

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(stralcio da ...)

“Alle origini della Cattedrale di Andria”

di Vincenzo Schiavone

1) La Cattedrale di Andria nella bibliografia

È stata sempre impresa difficile leggere il volto della cattedrale di Andria, sorta in epoca medioevale su una cripta paleocristiana, rifatta nel Quattrocento, ricoperta di stucchi nel Settecento, alterata nella fisionomia da una facciata Ottocentesca e infine restaurata nel 1965, quando, abbattuta la facciata posticcia e raschiati gli stucchi riapparve nel suo interno la nuda pietra antica. Accanto ad esse due muri di pietra nuova chiusero le cappelle delle navatelle, modificando l'unità spaziale raggiunta dall'edificio e dando alla fabbrica una veste nuova.
Più difficile è stato perciò risalire esattamente al volto originario della costruzione architettonica, difficilmente leggibile prima che cadessero quegli stucchi. Questa cattedrale, perciò, non è tra le più note e più chiare della Puglia e scarso interesse essa ha raccolto tra gli studiosi, non solo per i rifacimenti, le trasformazioni o le sovrapposizioni subite nel corso dei secoli, ma anche per la mancanza, nelle fonti storiche, di notizie o di validi riferimenti a quelle sue origini: dati fondamentali per gli studi e per poterla ricollegare, così, alle cattedrali più celebri della regione. Un interesse particolare parve destare questa cattedrale alla fine dell'Ottocento; lo Schulz [1], nel suo viaggio nel sud d'Italia aveva visitato accuratamente la cattedrale di Andria: vi registrò scrupolosamente, ma anche con scetticismo, notizie locali, vi trascrisse alcuni testi epigrafici, diede qualche indicazione sulla storia più che sulla esatta struttura della fabbrica; nè altro potè vedere sotto la coltre di stucchi. Gli studiosi stranieri che in seguito le dedicarono attenzioni particolari, lo fecero soprattutto per l'interesse storico dettato dalle memorie sveve, legate alla cripta, nella quale sarebbero state sepolte le due mogli di Federico II. Così il canonico Emmanuele Merra, incaricato dal Ministro della pubblica istruzione di «ricercare le due tombe sveve nella cripta», vi scese nel 1892 nel vano tentativo di ritrovarle fra le cataste di «ceneri umane ammonticchiate» [2]. L'esplorazione del Merra e il successivo studio del Bernich [3] trassero ad Andria l'agguerrito archeologo tedesco Artur Haseloff, sollecitato soprattutto dall'interesse germanico per gli Hohenstaufen: ma anch'egli dovette disilludere i ricercatori di mausolei federiciani. L'Haseloff tuttavia, pur preoccupandosi soprattutto del materiale scultoreo rinvenuto nella cripta, è il primo che affronta su basi critiche il problema della struttura [4], delle misure delle navate, della storia delle forme della cattedrale di Andria, confessandosi però impotente di andare al di là dei dati generici circa la datazione dell'edificio, di fronte ai pochissimi superstiti resti dell'antica fabbrica che egli definì poi «di scarsa importanza» [5].
Quanto sulla cattedrale si legge sulla bibliografia locale posteriore allo studio dell'Haseloff, che è del 1905, non ci aiuta a risolvere il problema della originaria antichità, e che pure è indiscutibile. Anche Giuseppe Ceci, che fu pure esperto conoscitore delle arti figurative dell'Italia Meridionale, in un suo articolo del 1916 scritto dopo l'incendio che devastò la cattedrale di Andria [6], si arrestò davanti al problema, dopo avervi appena accennato.
Il successivo progresso degli studi sulle nostre cattedrali trovò cinquant'anni dopo una sintesi magistrale nell'opera del Petrucci che nel 1964 ne espose i risultati in una prestigiosa animata sintesi unitaria e con bellezza di stile. Nella cattedrale di Andria egli individuò «alcuni archetti a tutto sesto» che interpretò come «avanzi della primitiva costruzione romanica» [7]. Momento decisivo però, recentemente, sarebbe stata, per una conoscenza sistematica del romanico pugliese, la mostra barese del 1975 [8], che con rigore scientifico ne approfondì il problema delle origini, lo liberò dalla visione angusta di un fenomeno locale e di provincia collocandolo nel respiro delle idee che attraversarono la nostra terra nel secolo XI collegandolo alla storia della cultura e della società. È con questo criterio che può essere studiata la cattedrale andriese, anche alla luce di nuovi elementi di documentazione apparsi dopo l'ultimo restauro e che qui di seguito illustreremo.

2) Una cattedrale voce di secoli e «stile»

Va però osservato che gli studi sulle cattedrali di Puglia, anche quelli recenti, sembrano spesso prediligere la ricerca del dato storico documentato, per approdare, su quel fondamento, all'esame della struttura architettonica della fabbrica onde classificarla, e fatalmente, secondo determinate categorie stilistiche. Questa predilezione per gli stili, rischia così di trascurare o di ignorare alcuni dati e valori che sono invece di importanza rilevante e vanno per questo esaminati e meditati: ed è indispensabile farlo, perchè certi valori costituiscono il fondamento di una cattedrale e, senza di quelli, essa non ha pieno significato, e diventa anzi incomprensibile: scatola di pietre, incomprensibile anche come monumento architettonico e di stile.
Una cattedrale, infatti, non nasce come astratta esercitazione stilistica, ma ci rivela tutti i bisogni di un secolo, le aspirazioni delle moltitudini, gli ideali umani che unificano o che anche drammaticamente dividono gli uomini; una cattedrale esprime così in maniera tutta particolare le verità di cui, in quel secolo, in determinate epoche storiche vive la religione e di cui si alimenta una comunità. Questi fattori e bisogni e valori, tutti si traducono e tutti compiutamente si incarnano in quella costruzione, per rimanere duraturi nel tempo e come pietrificati.
Questa cattedrale ci viene da lontano, come una voce secolare; essa è sopravvissuta tra la folla delle case e dei tuguri che nacquero e muoiono nello spazio di qualche generazione. E su due pilastri consecutivi della navata di centro, sono incise due iscrizioni nelle quali, come su una fronte di pietra, riluce ancora un segreto pensiero. Un segreto che ci arriva da lontano, ed è, come vedremo, come l'anima di tutta la cattedrale. Noi esamineremo anche quel pensiero, insieme con gli altri elementi storici, architettonici e stilistici e come può essere possibile in pagine brevi e in rapida sintesi.

3) Vecchio e nuovo in una Cattedrale: tre iscrizioni latine superstiti

Le voci di un secolo e di una particolare società, anche con le sue guerre turbolenti, sono irripetibili; e anche irripetibili risultano gli avvenimenti storici di cui una cattedrale può essere documento: ma se dentro di essa il passato si è spento per sempre e la materia architettonica è rimasta ferma e immobile in forme cristallizzate, non altrettanto può dirsi per certe sue voci antiche che ancora oggi possono cogliersi come suggerimenti validi per la nostra esistenza umana: voci che possiamo considerare più da vicino, perchè esse sono per l'uomo; il quale può varcare le porte di una cattedrale non solo per contemplare un monumento ripensando al suo passato e alla propria cultura, ma anche per sentirsi parte di un'assemblea orante. Se il tempio pagano infatti era per la divinità, la cattedrale è tempio, che implica la presenza dell'uomo: dentro le sue mura, con altri uomini, non per rifugiarsi sotto le forme astratte, ma per sentirsi «chiesa» e rinnovarsi. Novità è sempre l'uomo, mentre vecchie restano le pietre.
Le vecchie pietre di questa cattedrale, così povera di apparato scultoreo, sono i pilastri quadrangolari, resti di colonne, rari bassorilievi, lastre sepolcrali, preziose iscrizioni latine, capitelli erràtici, isolati frammenti decorativi inseriti qua e là nella tessitura muraria dell'edificio. Alle iscrizioni latine della navata centrale di cui si è detto, e che sono inèdite, un'altra si è aggiunta, che è più lunga delle altre due, e, vedremo subito, forse la più bella e preziosa iscrizione di Andria. Essa, grazie alla volontà tenace di Monsignor Lanave Vescovo di Andria e alla sensibilità del Conte Ferdinando Spagnoletti, è ritornata ad essere documento della cattedrale andriese da dove mancava dall'anno 1780, quando vi fu rimossa per essere trasferita altrove [9]. È dalle tre iscrizioni che potremo apprendere qualche elemento utile per ricostruire i primi tempi della cattedrale.

[1] H. W. SCHULZ, Denkmiiler derKunst des Mittelalters in unteritalien, Dresden, 1860, I, pag. 150.
[2] (2) E. MERRA, Le tombe delle due imperatrici sveve Iolanda ed Isabella e la cripta della Cattedrale di Andria, in Monografie Andriesi, Bologna, 1906, I, pag. 16.
[3] (3) E. BERNICH, La cripta del Duomo di Andria, in "Napoli Nobilissima", XII (1904), p. 183-186, e spec. pag. 186.
[4] (4) A. HASELOFF, Die Kaiserinnengraber in Andria, Rom, 1905, pagg. 7-8, 17.
[5] (5) Così egli scriveva al Sindaco di Andria nel Marzo 1905 (la lettera è riportata da E. MERRA, Le tombe, cit., pag. 37).
[6] G. CECI, L'incendio della Cattedrale di Andria, in "Rassegna tecnica pugliese", IX (1916), pagg. 136-137: affermazioni generiche, non documentate.
[7] A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia, Roma, 1964, pag. 101.
[8] Alle sorgenti del Romanico in Puglia. Puglia XI secolo, Catalogo a cura di P. B elli D'Elia, Bari, 1975.
[9] R. DURSO, Storia della città di Andria, Napoli 1842, p. 50. La colonna, come attesta l'autore, nel 1842 era nel Palazzo Ducale di Andria.

(da "Alla scoperta del volto di S. Riccardo", AA.VV., Supplemento al Bollettino diocesano, Tip. Guglielmi, Andria, Dicembre 1985, pagg.41-45)