Origini della Cattedrale: cap.4, di V.Schiavone

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(stralcio da ...)

“Alle origini della Cattedrale di Andria”

di Vincenzo Schiavone

4) Un documento marmoreo:
storia di una colonna-iscrizione; testo e contenuto.
Il sacro e il profano in quattro esametri leonini
(un monumento colto? Esame metrico.
Reminiscenze bibliche e voci di innografia medioevale).

Tre iscrizioni dunque, e fortunatamente scampate dopo secoli alle distruzioni o alle manomissioni operate dagli uomini. Le prime — due spesse lastre marmoree — nacquero con i due rispettivi pilastri, inserite nella loro struttura muraria nella quale sono rimaste; furono ricoperte dallo strato di stucchi che dopo la morte del vescovo Ferrante (1757-1772) diedero a tutta la cattedrale una veste nuova [10]. Così come oggi si vedono esse riapparvero, rimossi gli stucchi, nel 1965. Cominciamo con la terza, giacente attualmente presso l'Episcopio [oggi, 2010, è posta in Cattedrale sul 1° pilastro sinistro della navata centrale], dove attende di essere riposta nella cattedrale. Si dà qui di seguito il testo epigrafico con la sua trascrizione.
+ NON TIMET ERUMPNAM • TALEM TIBI VIRGO COLUMNAM
FABRICAT IN CELIS • GAUDE COMITISSA FIDELIS •
VIR TIBI RICCHARDUS • TU CONIUX NOBILIS EMMA -
ILLE VELUT NARDUS TU SICUT SPLENDIDA GEMMA •

(Non timet (a)érumpnàm. Talém tibi, vírgo, colúmnam
fàbricat: in c(a)elís gaudé Comítissa fidélis.
Vir Tibi Rícchardús, tu cóniux nóbilis Emma:
ílle velút nardús, tu sícut spléndida Gémma).

È difficile rendere con una traduzione la nobiltà austera della forma latina:
Foto dell'iscrizione posta sul 1° pilastro sinistro della navata centrale)
Forte nella sventura
questa colonna innalza,
o giovane donna per te:
in cielo t'allegra, Contessa fedele.
Riccardo tuo sposo
o mia sposa nobile Emma.
Egli come profumo di nardo
per te, quasi splendore di Gemma.

Evito di riferire al lettore sui risultati della ricerca storica del personaggio femminile di questa iscrizione, per dare un volto a questa Emma: una delle Emme normanne (sono una lunga serie) che scendevano dalla lontana Normandia, e vissute come spose accanto a questi personaggi senza scrupoli. Qui preferisco che la Emma di Andria rimanga nella memoria come immagine: di delicato animo femminile, rifugiata nella sua lontananza e quasi fuori del mondo, che aspetta, nella sua fedeltà, che il suo Riccardo dopo la morte violenta lo raggiunga, trepida di amore e di pietà; che sono i sentimenti che più vibrano nell'animo di una donna.
... ... ...
Questa iscrizione andriese incisa su una colonna frammentaria era già nota perchè fu pubblicata dal D'Urso nel 1842. Il benemerito «teologo della cattedrale» e storico di Andria, a leggere la descrizione [13] dettagliata e viva che egli ne fa nella sua «Storia di Andria», deve certamente averla vista ed esaminata direttamente. Essa, ci informa lo storico, fu rinvenuta in cattedrale sull'ultimo pilastro della navata di centro quando, nel 1779, rimossa una parte degli stucchi che ricoprivano a quell'epoca tutta la cattedrale, sullo stesso pilastro fu inserito una massiccio pergamo di noce: era l'epoca del pergamo, dal quale, nelle chiese rinnovate, le omelie scendevano dall'alto come suggestione sonora e visiva.
Il D'Urso, però, la pubblicò trascrivendola con una ambigua punteggiatura che ne travisava e manometteva il testo; e vi aggiunse anche, ed arbitrariamente, una data inesistente: 1069. La trascrizione fu pubblicata anche così nel 1860 dallo Schulz [14], con la stessa punteggiatura interpretativa del D'Urso: segno che lo studioso tedesco riportò l'iscrizione dal libro dello storico di Andria senza averla vista. Nè poteva farlo, perchè la preziosa colonna, l'anno successivo al suo rinvenimento era già sparita dalla cattedrale, nella quale era rimasta ancora, ma solo per breve tempo «negletta in chiesa; e propriamente sul pavimento al di sotto della cantoria» [15]. Non potette vederla l'archeologo e storico dell'arte Haseloff che, assai più dello Schulz [16], nel 1905 sapeva quasi tutto su Andria e che venne qui, come egli stesso scrisse, «nel paradiso della cattedrale» [17].
*
La colonna, a cui la stessa iscrizione fa preciso riferimento nel suo latino (talem columnam), non ha certamente l'aspetto di una colonna. Chi legge infatti vede solo un piccolo blocco marmoreo a superficie piana, delimitata da una lieve cornice scolpita. Lo spessore del blocco, però, è costituito da altre piccole facce quadrate, scolpite con due sobri motivi ornamentali che le impreziosiscono. La faccia opposta a quella scolpita dalle lettere eleganti, è una superficie convessa che presenta, in un tratto di 70 cm di lunghezza, una rastremazione di cm 2; ciò rivela chiaramente che l'intero blocco di marmo è quello che rimane di un'antica colonna. Le misure rilevate sulla superficie curva [18] hanno permesso così di risalire, in parte, alle dimensioni della originaria colonna di marmo, che doveva avere un diametro di 34 cm. L'entità della rastremazione calcolata, induce a pensare che l'altezza della colonna originaria doveva essere piuttosto modesta. E si tratta, probabilmente, di una colonna erràtica, delle stesse modeste dimensioni di quelle superstiti che ancora si conservano nella cattedrale di Andria, e utilizzata per fissare per sempre, in quattro esametri latini, le voci della storia. Una colonna antica dunque, che accoglie un'antica iscrizione di cui divenne supporto massiccio.
Non è possibile stabilire con certezza se questa colonna riscalpellata facesse parte di un monumento funerario vero e proprio (un sarcofago?) di cui essa costituirebbe, oggi, il relitto super-stite; o se, marmo e iscrizione, fossero essi stessi un monumento compiuto. È certo però che, l'uno e l'altra, sono legati alla cattedrale di Andria e alla sua fabbrica, assumendo per noi valore di interessantissimo documento storico che qualcosa può dirci sui primi tempi in cui anche ad Andria sorgeva una cattedrale, accanto alle altre, più celebri, della regione.
La iscrizione va oltre il valore documentario che assume per noi, e a me sembra stupenda per bellezza di forma, densa di sentimenti umani.
Essa inizia con un'espressione forte, di fierezza e di magnanimità: Non timet aerumpnam, («non teme sventura»). L'urto del dolore, che la morte reca con sè senza risparmiare i potenti, e forse anche l'aggressione di altri eventi legati in quel momento alla sua posizione travagliata e instabile di capo normanno, non lo abbattono nè lo intimidiscono; e, fiducioso nelle sue forze, egli affronta il suo destino, senza paura: non timet.
È fierezza guerriera che qui si esprime, anche se temperata da voce dolente. E la nobiltà il Normanno la sente come un fatto elitàrio, di supremazia e di prestigio, forse derivanti dal nome sonante (vir tibi RICCHARDUS): credo che nella memoria del Conte guerriero vincitore operassero voci o ricordi della Normandia, la lontana sua terra di origine.
Riccardo, conte normanno di Andria, ripeteva infatti, nel suo nome, il nome stesso di un altro Riccardo Normanno, potente e di gran fama: Riccardo Senza Paura di Normandia, il grande feudo in territorio francese. Riccardo Senza Paura aveva lì inaugurato la serie dei duchi [19], alleandosi con i grandi avversari feudali della Monarchia Francese; così che dalla forte rocca difensiva di Berieux aveva sottomesso feudatari laici ed ecclesiastici; protettore generoso di chiese e abbazie, sotto l'ombra feudale di lui poteva sorgere la primitiva cattedrale di Rouen.
Anche il Riccardo Senza Paura della Normandia aveva sposato una Emma, di natali certo più elevati della oscura Emma della nostra cattedrale, perché figlia di Ugo il Grande, Conte di Parigi (†956) della potente dinastia dei Capetingi [20], il duca più potente, quasi sovrano di Francia.
Al tempo della nostra iscrizione questi prestigiosi nomi normanni forse risuonavano nell'animo di Riccardo di Puglia come memoria di fierezza e affermazione di prestigio, dettati da volontà di potenza e di predominio nei confronti del clero e della popolazione.
Ma affiorano anche il sentimento di fedeltà (vir tibi), e l'amore (tu coniux) per la donna del cuore che la morte ha strappato alla vita e che Riccardo ora avvolge di luce ideale. Il cuore si volge a ciò che è lontano e come a un oggetto indefinito (tu sicut splendida gemma: «tu come splendore di Gemma»). Sembra sentimento vero, che ci concilia con l'animo orgoglioso del bellicoso avventuriero di Andria in quella stagione di odi feroci del tempo normanno.
Quel rapporto che lega Riccardo di Emma come profumo di nardo, sembra un'eco di quelle immagini di amore cortigiano con le quali si esprimeva la contemporanea letteratura feudale dell'epoca, come una trasposizione del rapporto politico di vasallaggio. Ma qui, al di fuori del quadro di costume e delle immagini, esso pare sentito come amore sincero (tu coniux). Il comitissa fidelis («contessa fedele») sembra anzi adombrare, e con delicatezza, il dramma dell'amore coniugale, che la vita può infrangere come legge fatale che non risparmia i potenti.
Si avverte piuttosto, nella nostra iscrizione, il riflesso di una mentalità e di un raffinato costume aristocratico comune alla società europea, sin dal Mille in rapida ascesa. Il nardo, come la mirra o il fiore del cipro, è il prezioso profumo ricavato dal «nardo», la pianta omonima dalla crassa radice oleosa, e usato per spalmare e profumare la pelle. E nardus è certo immagine fine e delicata, allusione al sentimento e all'affetto che ancora lega alla consorte fedele e vuole salire fino a lei, splendida gemma. Luminosa quest'ultima immagine, certo suggerita dalla visione della Corona Borealis, la bella costellazione antica del cielo boreale già menzionata dal Catalogo di Tolomeo e certo ben nota ai Normanni, esperti navigatori. In quella corona di stelle, segno del potere dei sovrani della terra, brilla la sua stella principale dal nome latino: Gemma, e dalla luminosità delicata e suggestiva [21]. Ed Emma è vista lì, nel paradiso laico di quella costellazione. L'iscrizione può considerarsi, così, anche voce di un mondo laicale che avanza, per distinguersi dalla visione sacra della vita, propria del Medioevo.
Questa iscrizione, se esaminata attentamente può suggerire diversi elementi di indagine, e preziosi per noi per poter risalire all'ambiente di cultura di Andria nel periodo storico in cui nasceva la sua cattedrale. Va subito detto, che sarebbe difficile attribuire a un normanno il livello di cultura che emerge dai quattro esametri latini. Il mestiere dei Normanni, lanciati in una vita spregiudicata di guerra e di avventura, era quello di capi, più che di uomini di cultura: Goffredo di Conversano, splendido munifico signore di quella città, padrone di mezza Italia meridionale, era un illetterato analfabeta e non sapeva scrivere il proprio nome [22]. Il vedovo Riccardo è qui certamente il Normanno committente dell'iscrizione; l'autore, sconosciuto per noi, sarà stato l'interprete del pensiero che il suo signore non era capace di formulare così. L'esame più approfondito del testo poi — che facciamo subito — ci suggerirà anche l'ipotesi che esso sia stato dettato da un chierico colto e di raffinata cultura.
*
Qualcosa ha da dirci intanto l'esame metrico del documento.
Gli otto emistichi, con i quali vengono costruiti i quattro elegantissimi esametri, si richiamano tra di loro con il gioco sonoro della allitterazione e della rima.
Nei primi due versi, le rime di erumpnam-columnam e celis-fidelis, fanno di essi due esametri leonini [23], i versi rimati della poesia latina medioevale nei quali l'ultima sillaba del secondo piede e la prima del terzo si accordano col sesto, così che il primo e il secondo emistichio rimano fra loro. Un espediente, questo, ben raro nella poesia classica latina [24].
Anche nei due esametri successivi, la stesura metrica viene arricchita dalla sonorità della rima: qui però il primo e il secondo emistichio del terzo esametro rimano con il primo e il secondo emistichio del quarto: RICCARDUS-NARDUS, EMMA-GEMMA. I due ultimi esametri presentano inoltre altre ricercatezze di simmetria. Nel quarto, infatti, i dattili e gli spondei si alternano con la stessa successione che hanno nell'esametro precedente, cosí che le misure metriche dei due esametri li suddividono in due strofe rimate:
VÌR TIBÍ RICCAIDUS
ÍLLE VELUT NARDUS

TU CÓNIUX NOBILIS EMMA
TU SÍCUT SPLENDIDA GEMMA

Quattro versi, dunque, fluttuanti con la loro sonorità tra la classica quantità metrica del ritmo latino e la versificazione accentuativa. L'anonimo autore non sembra appartenere alla schiera dei poetastri che gli ambienti colti, disdegnandoli, chiamavano «vulgares». Egli infatti, in un'epoca in cui andava gradualmente perdendosi il senso della quantità sillabica, conosce perfettamente le leggi del ritmo latino e non ha incertezze nell'uso dell'antico mòdulo metrico e delle classiche cadenze sonore. Ciascun esametro si presenta in ogni sua parte metricamente corretto e non c'è termine che venga qui usato con incerta prosodia [25]. L'uso che qui viene fatto dell'assonanza e della rima, nota propriamente nell'epoca alto medioevale, ci rimanda all'arte della poesia latina del sec. XI, epoca in cui la versificazione in rima perfetta veniva sapientemente esercitata [26]. È a quell'epoca e ai riflessi che quell'arte ebbe nel secolo successivo anche — come vedremo — nella diplomatica pugliese, che si ricollega questa iscrizione andriese. L'autore qui maneggia con sicurezza la lingua latina con la sua metrica, ma volgendola ormai, con consuetudine forse non improvvisata, alla versifcazione ritmica con la sua semplicità e musicalità a cui erano riservati gli sviluppi ormai imminenti nelle lingue romanze.
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Ma non c'è solo conoscenza del latino e della metrica, ma anche, molto evidente, il riflesso di una cultura sacra e di riminiscenze bibliche.
L'immagine del profumo di nardo dell'ultimo verso (ille velut nardus) sembra riecheggiare il biblico Cantico dei cantici ove il profumo del nardo sostiene, sin dall'inizio (I,11: nardus mea dedit odorem suum) il linguaggio degli affetti e dell'amore ed è simbolo, anche lì, della persona che ama, e che si fa presenza umana per comunicare, con il suo profumo, con l'amato [27]. E anche lì, nel celeberrimo canto della Bibbia, l'amore è profumo della esistenza e diviene forte come la morte [28], al di là della fragile vita.
L'espressione iniziale aerumpnam, lezione medioevale [29] di aerumna (ne derivò l'italiano letterario «erunna») [30], è termine non ignoto agli autori della letteratura latina classica [31], dove si trova usato nel senso di fatica onerosa e tragica e sempre con coloritura poetica, anche quando esso viene usato nella prosa [32] e assume il senso di calamitas, luctus. Nella letteratura medievale poi, che a noi qui più interessa, aerumna assume una squisita coloritura religiosa e nel senso cristiano della condizione umana legata alla eredità del peccato originale e alle conseguenze di dolore che essa comporta per l'uomo. In quest'ultimo senso, aerumnae si trova usato nel libro della Genesi, 3, 16, nel racconto della creazione dell'uomo e della sua tragica caduta.
In quel passo Dio stesso annunzia all'uomo: Multiplicabo aerumnas tuas (ove «aerumnas» è traduzione del testo greco λύπας , «dolori»). Nel Salmo 31, 4 (conversus sum in aerumna mea) aerumna è versione latina di ταλαιπωρία , infelicità. Nel Vangelo di Marco poi (4, 19: aerumnae saeculi) «aerumnae» diventa traduzione del termine greco μέριμναι , nel senso di «affanno, pena, preoccupazione del mondo», senso che tornerà poi, come eco, in Matt. 13, 33 e Luca 8, 24 in perìcopi evangeliche inconfondibili.
Reminiscenze, e non meno evidenti, di cultura sacra, suscita inoltre nel lettore l'espressione «virgo in celis gàude» (donna, rallègrati in cielo). E qui vengono subito alla memoria le parole analoghe dell'AVE REGINA CAELORUM, una delle grandi antifone [33], che celebra la celeste regalità della Vergine, bella sopra tutte le donne per la incomparabile sua bellezza interiore, corredentrice del genere umano, Vergine e Donna che genera Cristo luce del mondo:
Ave Regina caelorum
. . . . . . . . . . . porta
Ex qua mundo lux est orta:
Gaude Virgo gloriosa
. . . . . . . . . . . . . .
Sembrano trascritte, in questa colonna andriese, le stesse parole. Penso che non si debba trattare di casuale coincidenza e che l'iscrizione profana di Emma normanna in una cattedrale possa portare, anzi, anche il suo contributo per documentare il territorio di diffusione che questo celebre inno ebbe anche nella Puglia medioevale e risalire alla sua datazione. Di questo inno medioevale, come è noto [34], noi non conosciamo l'autore; sappiamo, però, che non è posteriore al secolo XII, poiché è nei codici di questo secolo che lo troviamo per la prima volta: questo documento sepolcrale andriese che - come vedremo - deve porsi tra il 1133 e il 1155, può confermarlo.
Questa voce di un inno mariano in questa cattedrale - che secondo la tradizione è dedicata alla Vergine assunta in cielo - viene certamente da una più antica tradizione innologica e liturgica diffusa in Puglia dopo l'incremento che vi ebbero le sedi vescovili a partire dal secolo XI quando, alle 15 diocesi che i documenti attestano in Puglia prima del secolo X, numerose altre se ne aggiunsero in nuovi centri cristiani di evangelizzazione come poi Andria: nelle nuove sedi, i dotti e la popolazione non potevano sottrarsi all'influsso che nella loro memoria esercitavano il canto liturgico, i salmi e la liturgia.

[10] M. AGRESTI. Il Capitolo Cattedrale di Andria e i suoi tempi, Andria,1911, pag. 333. Le chiese medioevali di Andria, nel Settecento mutano volto: non fu solo impresa maldestra di moda barocca, ma segno e bisogno di rinnovamento e di evangelizzazione, che investì, come una ventata le chiese di tutta la Puglia.
[13] R. DURSO, Storia della Città di Andria, cit., pagg. 49-50.
[14] H. W. SCHULZ, Denkmdler, cit., pag. 151.
[15] R. DURSO, Storia, cit., pagg. 49.
[16] A. HASELOFF, Die Kaiserinnengräber in Andria, Rom, 1905, pag. 8.
[17] Così in una lettera del 5 marzo 1905, al Sindaco di Andria, Avv. Vito Sgarra, definiva gli scavi che egli sognava un giorno nella Cattedrale. La lettera è in E. MERRA, Monografie, I, pag. 37.
[18] Devo questi dati tecnici alla cortesia dell'Ingegnere Fernando Palladino, che qui desidero ringraziare.
[19] Per qualche notizia si può vedere M. BLOCH, La Société féodale. (Trad. Italiana, Torino, 1962, pag. 62 sgg).
[20] M. BLOCH, La Société, cit., pag. 604-607.
[21] G. ARMELLINI, I fondamenti scientifici dell'astronomia, Milano,1952, I, pagg. 47-48, 52-54, 337. Nella Corona borealis i Greci vedevano la corona gemmata di Arianna, suo regale dono di nozze, che gli dei poi trasformarono in una corona di stelle. Oggi, GEMMA è solo un freddo termine scientifico (α Coronae Borealis).
[22] D. MOREA, Chartularium cupersanense, Montecassino, 1892, doc. n. 43, pag. 96.
[23] Strutture metriche e raccolta di testi medioevali sono in J. DESCROIS, De versu leonino, Thèse, Paris et Lyon, 1931.
[24] ORAZIO, Ep., 2, 3, 99; VIRG., Ecl., 8, 80.
[25] Così in “fabricat” la sillaba fa, breve per natura nella prosa, viene usata come lunga, come la scuola suggeriva ai poeti nella positio debilis.
[26] L'uso della rima divenne più frequente dopo S. Agostino, anche sul suo esempio (Cfr. G. B. PIGHI, La metrica latina, Torino 1968, pag. 561, sgg.).
[27] Vedasi anche nello stesso Cantico, "nardus" in 4,13 e 4,14, ove ricorre insieme col profumo della mirra usato per esprimere fascino, corrispondenza con la persona che si ama. E confronta R.E. MURPHY, Canticum canticorum, in The Jerome Biblical Commentary (Trad. italiana: Grande Dizionario Biblico, Brescia 1973, p. 651).
[28] «Quia fortis est ut mors dilectio» (8,6).
[29] Cfr. F. ARNALDI, Latinitatis Italicae medii aevi inde ab A. CDLXXVI usque ad A. MDXXII lexicon imperfectum, Bruxelles,1939, I, ad v. (Ristampa anastatica, Torino, 1970, pag. 45).
[30] Se ne veda il significato anche nei dizionari italiani più in uso (N. ZINGARELLI, Milano 1935 e Bologna 1983).
[31] THESAURUS LINGUAE LATINAE, Lipsiae, MDCCCC, p. 1066-1070.
[32] La spiegazione migliore è in Cicerone che del termine coglie il senso di "angoscia, tormentosa sofferenza interiore" (aegritudo laboriosa, in Tusc. 4,18), guardando, forse, a se stesso.
[33] Cfr. I. CECCHETTI, Ave Regina caelorum, in Enciclopedia Cattolica, VII, col. 521.
[34] H. A. DANIEL, Thesaurus Hymnologicus, Leipzig, 1856, p. 319.

(da "Alla scoperta del volto di S. Riccardo", AA.VV., Supplemento al Bollettino diocesano, Tip. Guglielmi, Andria, Dicembre 1985, pagg.45-57)