altare maggiore

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L'altare maggiore, opera di Marino Palmieri

già altare maggiore nella demolita Chiesa della Trinità presso il Duomo

altare maggiore
[elaborazione elettronica su foto di Michele Monterisi 2010]

Nel presbiterio risalta in tutta la sua bellezza un settecentesco altare realizato a Napoli dal marmoraro Marino Palmieri.

Per apprezzare e capire maggiormente l'opera (che nel 1965 sostituì il precedente del 1720 di Ferdinando Di Ferdinando) riportiamo stralci della ricerca effettuata dall'architetto Gabriella Di Gennaro.

Per quest'opera artistica, come per diverse altre, è anche consultabile una pagina di approfondimento nel percorso museale virtuale.

"La Basilica della "Madonna d'Andria" si impone per la ricchezza dei suoi altari marmorei, opera di valenti artisti e commissionati nell'epoca d'oro del barocco napoletano. ...
Questo superbo e imponente altare di epoca settecentesca è citato per la prima volta nell’opera di Giacinto Borsella (1770-1850), scritta intorno al 1850. ... L’altare, costato milleottocentoquaranta ducati, viene descritto nel documento [atto notarile del 1773] secondo il disegno presentato dall’artista [Marino Palmieri] con tale meticolosità da riportare i marmi da impiegare nella costruzione e le misure precise dell’altare. ... Questo altare verrà completato nel 1774 e quindi collocato nella chiesa del monastero delle Benedettine.
La chiesa e il monastero, nel 1939, furono demoliti per tutelare l’incolumità pubblica. L’altare maggiore fu conservato gelosamente dal Capitolo Cattedrale che, insieme al vescovo Mons. Brustia, nel 1965 ne fece dono al Santuario di S. Maria dei Miracoli.
In conclusione quest’opera, pregevole più per le ricche decorazioni scultoree che per i marmi impiegati, riprende nella tipologia il modello degli altari sanmartiniani della seconda metà del ‘700, e più precisamente lo schema più articolato dato da angeli capialtare e putti reggimedaglioni nel paliotto."
altare del Palmieri - la Fede altare del Palmieri - la Carità altare del Palmieri - la Speranza
[altare maggiore del Palmieri, particolari della Fede, Carità e Speranza, con tabernacolo d'argento 1824-1831circa - elaborazione elettronica su foto di Michele Monterisi 2010]
"... Sui contornali due figure allegoriche, la Fede e la Speranza, si inseriscono nella già ricca decorazione che caratterizza l’opera. Quella di sinistra, la Fede, regge una Croce ed un Ostensorio, simboli eloquenti delle virtù che rappresentano. A destra, invece, l’àncora simboleggia la Speranza. Le vesti delle figure sono caratterizzate da un ricco panneggio alla Sanmartino e per dirla col Borsella sembrano «aver muto il labbro» ma «parlanti e vive le fattezze» ...
"Ma il fulcro di tutta la composizione è la parte centrale superiore alla mensa: si tratta di un grande medaglione centrale, con fondo di fior di pesco chiaro, che riprende i motivi formali di quello del paliotto, bordato da una sequenza di volute appena arricciate che costituiscono una fascia continua. Un fregio superiore chiude la composizione in alto. Quindi, al centro dei gradini, in una cornice comprendente anche il tabernacolo, si innalza, in una gloria di angeli, la terza virtù, la Carità, che sorregge una fiaccola ardente. La porticina in argento del tabernacolo mostra a rilievo l’Ostensorio con quattro teste di Serafini con occhi umili e riverenti rivolti verso di esso."
altare maggiore del Palmieri, il paliotto
[altare maggiore del Palmieri, particolare del paliotto - elaborazione elettronica su foto di Michele Monterisi 2010]
"Nel paliotto è rappresentata a rilievo l’immagine a mezzo Busto di S. Benedetto, inserita in una cornice a volute ritmata da sottili listelli di marmo giallo di Siena. Lateralmente, quasi ad inquadrare questo originale medaglione con fondo di fiori di pesco chiaro, probabilmente di riuso, si adagiano due putti che reggono rispettivamente gli attributi del Santo:  una mitra ed un corvo avente nel becco un pezzetto di pane e sono rivolti verso S. Benedetto che regge il pastorale. Ai fianchi della mensa, sui pilastrini laterali, spicca lo stemma della famiglia De Anellis [foto sopra] ...  Coronato e circondato da volute questo scudo presenta nel centro un destrocherio che regge tra il pollice e l’indice un anello ..."

[stralci di testi tratti da Gli altari della Basilica di S.Maria dei Miracoli, di Gabriella Di Gennaro,  - in "La Madonna d'Andria", AA.VV., Grafiche Guglielmi, 2008, pagg.272-274, testo ripubblicato con ulteriori approfondimenti ed ampliamenti nel suo studio "Altari policromi marmorei del Settecento ad Andria ed altri arredi sacri", Schena Editore, 2020, pp. 158-165.]

Nel paliotto presso San Benedetto appaiono nelle braccia dei due angeli due suoi emblemi principali: La mitra ed il corvo imperiale.
La mitra ed il bastone (retto dal Santo) evidenziano, ovviamente, il suo titolo di abate; il corvo imperiale, invece ricorda l'uccello che lo frequentava durante il suo eremitaggio nello speco presso Subiaco, ed al quale ordinò di gettar via in un posto inaccessibile un pane avvelenato a lui offerto da un presbitero invidioso della sua santità; questo aneddoto - miracolo è raccontato da San Gregorio Magno nei suoi "Dialogorum" [1].


Per un ulteriore approfondimento sia storico che artistico si consulti l'ottimo citato studio dell'Arch. Gabriella Di Gennaro "Altari policromi marmorei del Settecento ad Andria ed altri arredi sacri", Schena Editore, 2020; per questo altare e relativo autore Marino Palmieri, le pp. 155-165.

Infine una descrizione di come erano realizzati i commessi marmorei che compongono questo altare settecentesco è possibile leggerla in un testo del Settecento di Jerôme Richard e nella su citata pubblicazione dell'arch. Gabriella Di Gennaro, nelle pp. 33-77.


NOTE

[1] Questo miracolo di San Benedetto (480c-547) è raccontato da San Gregorio Magno (540-604) al suo discepolo Pietro, nei "Dialogorum" (scritti nel 594) narrandogli "La Vita e i Miracoli del Venerabile Benedetto".
Ecco il testo originale latino trascritto dall'abate Angelo della Noce (fu il 136° abate di Montecassino, come riporta il Muratori, se non si considerano i mandati ripetuti, altrimenti è il 146° [1657- 1661 e 1665-1669]) assieme alla "Chronica sacri Monasterii Casinensis". Al testo latino affianco una mia traduzione.
[testo originale latino] [traduzione]

IN LIBER SECUNDUS
DIALOGORUM” MAGNI GREGORII PAPÆ

VITA, ET MIRACULA
VENERABILIS BENEDICTI

[ab Angelo de Nuce neapolitanus (1604-1691),
abbas Casini centesimus trigesimus sextus,
notis illustrata (1668)]

CAPUT VIII.
De infesto per venenum pane per Corvum longiùs projecto.

[GREGORIUS]…
Cum jam loca eadem in amorem Domini Jesu Christi, longe lateque fervescerent, ac sæcularem vitam multi relinquerent, & sub leni Redemptoris jugo cervicem cordis edomarent: sicut mos pravorum est invidere aliis virtutis bonum, quod ipsi habere non appetunt, [1] vicinæ Ecclesiæ Presbyter, Florentius nomine, hujus nostri Subdiaconi Florentii avus, [2] antiqui hostis malitia percussus, [3] Sancti viri studiis coepit æmulari, ejus quoque conversationi derogare: quosque etiam posset, ab illius visitatione compescere.
Cumque jam se conspiceret ejus provectibus obviare non posse, & conversationis illius opinionem crescere, atque multos ad statum vitæ melioris, ipso quoque opinionis ejus præconio indesinenter vocari, invidiæ facibus, magis, magisque succensus, deterior fiebat: quia conversationis illius habere appetebat laudem, sed habere laudabilem vitam nolebat, qui ejusdem [4] invidiæ tenebris cæcatus ad hoc usque perductus est, ut servo Omnipotentis Domini [5] infectum veneno panem [6] quasi pro benedictione transmitteret.
Quem vir Dei cum gratiarum actione suscepit: sed eum, quæ pestis lateret in pane, non latuit.
Ad horam vero refectionis illius ex vicina silva [7] corvus venire consueverat, & panem de manu ejus accipere, qui cum more solito venisset, panem, quem Presbyter transmiserat, vir Dei ante corvum projecit, eique præcepit, dicens: In nomine Jesu Christi [8] tolle hunc panem, & tali eum in loco projice, ubi a nullo homine possit inveniri.
Tunc corvus aperto ore, expansis alis circa eumdem panem coepit discurrere, atque cracitare, ac si aperte diceret, & obedire se velle, & tamen jussa implere non posse. Cui vir Dei iterum, atque iterum præcipiebat, dicens: Leva, leva securus, atque ibi eum projice, ubi inveniri non possit. Qui diu demoratus, quandoque corvus momordit, levavit, et recessit. Post trium vero horarum spatium abjecto pane rediit, et de manu hominis Dei annonam, quam consueverat, accepit.
Venerabilis autem Pater contra vitam suam inardescere sacerdotis animum videns, [9] illi magis quam sibi doluit.
Sed prædictus Florentius, quia Magistri corpus necare non potuit, se ad exstinguendas Discipulorum animas accendit: …
… … …

Dal Libro Secondo
dei “DIALOGHI” di PAPA GREGORIO MAGNO

VITA E MIRACOLI
Del Venerabile BENEDETTO

[annotata (nel 1668)
da Angelo della Noce napoletano (1604-1691),
centotrentaseiesimo abate di Montecassino,]

Capitolo VIII.
Il pane avvelenato portato via dal corvo.

[GREGORIO]…
Allorché quegli stessi luoghi erano già ampiamente infiammati dall’amore del Signore Gesù Cristo, e molti lasciavano la vita secolare e sotto il dolce giogo del Redentore sottoponevano i desideri del cuore, così come è costume dei malvagi invidiare negli altri il bene della virtù, che essi stessi non desiderano avere, il sacerdote della chiesa vicina, chiamato Florenzio, nonno del nostro suddiacono Florenzio, istigato dalla malizia del vecchio nemico, cominciò a emulare le opere del sant’uomo e a derogare anche dalla sua condotta: elementi che poteva anche controllare con la sua visita.
Quando poi [Florenzio] si accorse che non poteva competere coi suoi progressi, che cresceva l’opinione della sua condotta, che molti erano chiamati a uno stato di vita migliore, e che [Benedetto] era anche continuamente chiamato a manifestare la sua opinione, divenne sempre più infiammato dall’invidia; poiché desiderava essere lodato per tale condotta, ma non intendeva mantenere una vita lodevole, accecato dalle tenebre della stessa invidia, decise di inviare un pane avvelenato al servo di Dio Onnipotente, a mo’ di simbolo di benedizione.
L’uomo di Dio lo accolse ringraziando, ma scoprì il pericolo che si nascondeva nel pane.
All’ora del suo pasto un corvo veniva dalla vicina foresta e prendeva il pane dalla sua mano; venuto come al solito, l’uomo di Dio gettò davanti al corvo il pane avuto dal sacerdote e gli comandò dicendo: “In nome di Gesù Cristo prendi questo pane e gettalo in un luogo nel quale non possa essere trovato da alcuno.”
Allora il corvo, aperta la bocca e spiegate le ali, cominciò a correre attorno allo stesso pane e a gracchiare, come per dire chiaramente che intendeva obbedire, ma non poteva eseguire i suoi ordini. Allora l’uomo di Dio gli comandò insistentemente, dicendo: “Prendilo, prendilo tranquillo e gettalo lì dove non possa essere trovato.” Il corvo dopo aver a lungo indugiato lo prese nel becco, si alzò in volo e andò via. Gettato il pane, tornò dopo tre ore, e ricevette dalla mano dell’uomo di Dio il cibo che era solito prendere.
Il venerabile Padre, tuttavia, vedendo l’animo del sacerdote inasprirsi contro la sua vita, era addolorato più per lui che per sé stesso.
Per contro il predetto Florenzio, non potendo uccidere il corpo del Maestro, tramò per spegnere le anime dei discepoli: …
… … …

Note del testo latino   [Si avverte che i numeri di nota precedono quanto intendono annotare]
[1] … Parocum credamus Florentium, non utique ruralis Ecclesiæ. Loca enim illa per ea tempora penè deserta erant, ut ex contextu liquet: ergo populi Sublacensis Parochus: …
[2] Lauretus , & Haeftenus legunt, percussus,
[3] Æmulatur propriè, qui alterum imitari, illique aequalis esse conatur, … Florentius verò, teste Gregorio, Benedicti laudem quidem appetebat, sed habere laudabilem vitam nolebat. Invidus igitur potiùs, quam æmulator erat. Sed non raro pro eodem usurpantur.
[4] Cæcitas mentis invidia: caligo tamen à splendore reflexa: à pulchritudine nata deformitas strabonem facit. …
[5] Omnium vitiorum pessimum invidia: peperit enim mortem: omnium malorum pessimum. Invidia diaboli mors intravit in orbem terrarum. …
[6] Pro munusculo charitatis; pro eleemosyna, Græcè eulogia. …
[7] Unus fortè fuit ex tribus, qui dein altorem suum Casinum secuti sunt viæ comites. …
[8] Irrident Hæretici, & in fabulis numerant hujusmodi narrationes. Ipsi equiùs irridendi, ac deplorandi, ut qui non sciunt donum Dei, & quàm mirabilis Dominus in sanctis suis. …
[9] Zacharias Græcè. Pro illo magis, quàm pro se ipso Deum precabatur.

[Il testo latino è tratto da “ Rerum Italicarum Scriptores”, tomus IV, Ludovicus Antonius Muratorius, Mediolani, ex Typographia Societatis Palatinæ in Regia Curia, MDCCXXIII, p. 196-203]