Questa tela della Natività di Francesco Calò (pittore molfettese nato nel
1749 e allievo come l'altro Calò di
Corrado Giaquinto) è una pittura ad olio su tela alta
m. 2,50 circa e larga m. 1,70.
Essa si trovava sul primo altare di destra, entrando nella Chiesa di San
Nicola, dove attualmente (2010) c'è una tela dell'Immacolata.
Conservata per diversi anni nell'Episcopio, oggi, restaurata, è posta
sull'altare della quinta
cappella di sinistra della Cattedrale, davanti alla nicchia che,
per alcuni secoli dal quattrocento, era stata il luogo delle
statue del presepe.
Nel titolo si è scritto che questa tela è stata dipinta da Francesco Calò e non da Vito Calò [2] in quanto un documento ne fa riferimento.
In modo relativamente preciso si trova indicazione nel Giornale Enciclopedico di Napoli edito nel 3° trimestre del 1820, in cui è scritto:
"(41) Pittori viventi di Napoli, e del Regno, riportati, secondo l'epoca della loro nascita.
... 2.° Francesco Calò da Molfetta, nato circa il 1749, pittore figurista ad olio, ed a fresco. Studiò in Roma. Pinse la chiesa di S. Nicola di Andria. È anche ritrattista.
... ... ..."
[testo tratto da " Giornale Enciclopedico di Napoli" - quattordicesimo anno di associazione, Tomo III., Luglio, Agosto e Settembre, Napoli, 1820, pp. 280-281 - Lo stesso testo è ripubblicato a pag. XXVII dell'appendice alle " Ricerche su l'origine, su i progressi e sul decadimento delle arti dipendenti dal disegno", di Gennaro Grossi, edito in Napoli nel 1821 dalla stessa tipografia di detto Giornale.]
Quando, nel 1820, è pubblicato il suddetto "Giornale Enciclopedico di Napoli", Francesco Calò è ancora vivo, mentre Vito, nato nel 1744, è già morto nel 1817; la contemporaneità della pubblicazione del giornale con la vita del pittore porta ed escludere un errore di persona.
Tuttavia le palesi ed elevate affinità del tratto tra il quadro dell'Adorazione dei pastori di Andria con quello di Molfetta, invitano a ipotizzare che Francesco Calò abbia dipinto il quadro di Andria o in collaborazione con Vito, o, più probabilmente, basandosi fondamentalmente sul suo esemplare disegno.
L'insieme è spettacolare con un gradevole effetto di luci che si sprigionano dal Bimbo nell'improvvisata culla, realizzata da una mobile mangiatoia per pecore, e gradualmente sfumano attenuando colori e tratto, man mano che raggiungono i personaggi più lontani dall'evento straodinario.
Da presso la zana pastorelli ammirano incantati il Neonato mostrato dall'amorevole Mamma,
che il lembo solleva del panno, acché tutti intorno saziino gli occhi ed il cuore
del dono d'Amore giunto in quella notte santa.
Giuseppe, leggermente appartato, non sa come trattenere la sua incontenibile gioia; con la sinistra
sembra voler calmare il suo cuore in subbuglio mentre col braccio destro
s'appoggia perché non vacilli svenendo per l'emozione.
Numerosi putti discendono da un'apertura del tetto con festoni inneggianti la Gloria dei Cieli
e spargendo incenso per il loro Dio fattosi adorato Bimbo.
In primo piano, un pastore, posato il bastone da pascolo, a stento trattiene
l'agnello portato in umile dono; parimenti la massaia, poggiati i capponi,
invita il figliolo con gesti e parole insistenti a donare sollecitamnete
l'irrequieta e bianca colomba.
Sulla destra da un'apertura della stalla si scorge una ristretta
panoramica notturna delle colline presso Betlemme, il cui cielo
è appena schiarito sulla linea dell'orizzonte.
In basso a destra il dipinto riporta lo stemma di casa Spagnoletti, probabile committente dell'opera: scudo incoronato con all'interno a destra un braccio armato di spada rivolta verso l'alto, e a sinistra una stella a sei punte.
Il dipinto appare come una mirabile sintesi di una iniziale evoluzione del barocco nel neoclassicismo (di derivazione caraccesca) e nel realismo (di tendenza caravaggesca). Caratteristiche tardo barocche del dipinto sono l'effetto illusionistico della prospettiva e soprattutto la rappresentazione scenografica e teatrale del tema. Tuttavia l'uso magistrale del chiaroscuro con l'alta espressività dei soggetti sono elementi che, propri del neoclassicismo e del realismo, denotano nei due Calò (Vito e Francesco) la tendenza a questo nuovo modo di riprendere la realtà e immaginare un evento.
Questo quadro dell'Adorazione dei Pastori o Natività, appare (come può vedersi nelle due foto) praticamente identico a quello (realizzato nel 1805 da Vito Calò) esistente nell'abside della Cattedrale di Molfetta, ad esclusione di qualche particolare come la postura degli angeli nel cielo e il cane dormiente raggomitolato in primo piano.
NOTE
“Talento elevato, vivacità di fantasia, estro nell’invenzione sono facoltà, onde sublimare nell’arte un egregio pittore.
Lo fu bravo nel dipingere a fresco Vito Calò.
Fu in Roma per molti anni. Di là reduce ebbe il primate fra gli altri della sua arte nella provincia. Gradì molto il suo dipingere a fresco in modo, che in molte città, e soprattutto in Andria esiston parecchi quadri, che sono ammirati dagli intelligenti dell’arte.
Nella cattedrale [di Molfetta] avvi un quadro [qui sopra riprodotto] della nascita di nostro Signore di esso Calò. [Sempre a Molfetta] Un altro nella chiesa del Purgatorio di Cristo morto con l’Addolorata. In quella dei Cappuccini sotto la volta un altro rappresentante un gruppo di figure colla Croce, ed un altro di S. Niccolò. Nella chiesa di S. Francesco un altro che rappresenta la Madonna col Bambino e S. Giuseppe da Copertino. Più, i quadri degli uomini illustri sulla Comune esistenti, sono opera dello stesso. Sendovi nelle case particolari molti quadri e ritratti suoi, e questi per brevità non sono da me menzionati.
Nacque in Molfetta nel 1743, e passò a miglior vita nel 1817.”