L'incendio del 1916, di G. Ceci

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L’incendio della Cattedrale di Andria

di Giuseppe Ceci (1863-1938)

(stralcio da: " Rassegna Tecnica Pugliese", 1916, fasc. IX)
Nella notte tra il 17 e il 18 aprile un violento incendio divampò nel presbiterio e nel coro della cattedrale di Andria.
Appiccatosi il fuoco, per cause che saranno accertate dall’inchiesta giudiziaria, ai panneggi dell’apparato per l’esposizione del Santissimo sull’altar maggiore, l’incendio si propagò al soffitto e alla tettoia, ma per l’opera delle autorità e di cittadini volenterosi, favorita dal vento di ponente che respingeva le fiamme verso il coro, queste si arrestarono al grande arco che divide il presbiterio dalla nave trasversa.

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La cattedrale di Andria fu costruita nella seconda metà del secolo XI, quando per l’importanza a cui si elevava questo luogo, diventato allora centro di un vasto feudo, si ordinava anche qui una nuova sede vescovile.

altare maggiore
[Cattedrale di Andria. L’altare maggiore.]

Mentre il villaggio si ampliava e fortificava nella cinta delle mura e si avviava a diventare una Città, accanto al castello feudale e sull’antica chiesetta parrocchiale del secolo VIII, rimasta come succorpo, si sovrapponeva con pianta più vasta la nuova cattedrale.
Ma di quel tempo avanza soltanto il basamento della torre campanaria. La ricostruzione, gli ampliamenti e le decorazioni che la chiesa ha avute dal secolo XV alla metà del XIX le hanno fatto perdere l’impronta primitiva e conseguentemente l’importanza che viene dall’unità architettonica.
Tuttavia nelle singole parti essa presenta opere di interesse artistico e storico, alcune di un carattere più elevato, altre di minor rilievo, ma sempre importanti per le memorie locali.

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L’incendio ha in parte distrutto, in parte danneggiato tutte quelle opere che si trovavano nel presbiterio e nel coro.
Ne intraprendo l’enumerazione, rimandando alla perizia tecnica, che dovrà compilarsi dopo accurati assaggi, lo stabilire quali danni ha sofferto la costruzione. Sono totalmente distrutte le seguenti opere:

1. Soffitto del presbiterio.
Rimontava ai primi anni del sec. XVIII, ed era composto di tavole piane dipinte con architetture e figure di mediocre pennello.
Cattedrale di Andria. Presbiterio e coro.
[Cattedrale di Andria. Presbiterio e coro.]

2. Quadri su tela del coro.
Erano tre, uno sotto la volta e due alle pareti laterali, ed erano racchiusi da cornici a rilievo di stucco. La tela della volta rappresentava secondo la descrizione del canonico M. Agresti [1] «vitello d’oro, adorato dal popolo israelitico, ed il Sommo Sacerdote Aronne, obbligato ad offrirgli olocausto, fra una turba di vecchi, fanciulli, donne lattanti, che accorrono dai lontani padiglioni ad adorare quell’idolo d’oro. A poca distanza vedesi Pure il serpente di bronzo nel deserto: indi il Sinai coinvolto di fumo e di fiamme, in cima al quale vedesi Mosè che riceve da Ieova le tavole della Legge».
La tela in cornu Evangelii; rappresentava «Davide, che, a suon di arpa, precede l’arca del Signore, circondata dal popolo ebreo festante con timpani e sistri, mentre i figli di Abicondab (Ora ed Ozia) miseramente giacciono per terra fra le ruote del carro, traente il benedetto vaso».
La tela dell’altra parete rappresentava «Aronne, rivestito delle infule e dell’efod, che sacrifica un ariete sopra un grande altare soffuso d’incenso, mentre gli Israeliti gli si affollano intorno». Erano opere in quello stile largo e decorativo sebbene alquanto vuoto della scuola solimenesca, dovute ad un modesto ma fecondo pittore della nostra provincia: Nicola Porta [2] da Molfetta (1710-1784).

3. Coro.
Era in noce scolpito e nei due ordini conteneva sessanta stalli oltre quello pia elevato, nel centro, pel Vescovo. Due iscrizioni rammentavano il nome del Vescovo che l’aveva commesso, Mons. Ascanio Cassiano (1641 -1657) e quello dell’intagliatore, Scipione Infante da Bagnoli (Avellino), che l’aveva costruito, e anno 1650 [3].
Solidamente incassato nelle linee classiche, tradizionali in lavori di questo genere, aveva anche una ricca e fantasiosa ornamentazione.
È così descritta nel volume già citato: «Gli stalli di questo coro, comodi e ben intagliati, hanno un parallelogramma liscio alle spalle, sormontato da cornice e due colonnette ai fianchi con piedistalli e capitelli corinti, su cui poggiano i braccioli con cornice curva, portante alle estremità la testa di un putto.
Nella gran fascia che cinge il prime ordine dei sedili, sono scolpiti dei genii con istrumenti musicali, dei leoni, dei capricciosi draghi, delle teste di serpenti, degli struzzi, dei vasi di fiori, degli uccelli, aquile, pesci, lupi, centauri ed altri ornamenti fra i quali due puttini che strappano la lingua agli orsi, e di quanto in quanto degli stemmi del Vescovo Cassiano e dei cappelli prelatizi.
La fascia che cinge la spalliera del secondo ordine degli stalli, porta intarsiate molte figure di grifoni, di puttini cavalcanti dei leoni, rinoceronti trattenuti per le coma, di stelle, fiori, uccelli, puttini che suonano le tibie, le cetre etc.
La cresta del coro, eretta su spaziosa cornice, presenta figure di scimmie che sostengono lo stemma del Vescovo Cassiano, composto di tre colline con rosa e stella in cima» [4].
Questo coro era una pregevole opera d’arte e la sua perdita addolora. Aveva importato a suo tempo la spesa di diecimila ducati (L. 42.500).

4. Libri corali.
Erano conservati in un grande armadio in noce, con soprastante leggio, messo nel coro alle spalle dell’altare maggiore.
Sei erano in pergamena e i tre più antichi rimontavano al secolo XV. Ecco come li descrive il compianto prof. Francesco Carabellese: [5]

«I. Antifonario graduale.
Membranaceo in fol. di carte 220, modernamente numerate, mutilo in principio ed in fine forse di più carte, in scrittura gotica calligrafica, con lettere iniziali di varia grandezza, miniate o semplicemente colorate in rosso o azzurro con qualche carta interpolata come la carta 8.
È assai poco conservato per l’umido, specie d’aceto, di cui pare abbia subito un bagno a tempo della peste, onde l’aceto combinandosi con gli elementi metallici dell’inchiostro o dei colori ha prodotto qua e là corruzione della scrittura.
Appartiene al secolo XV. Il P a carte 38 è in grande su fondo azzurro; nel corpo è riprodotta in oro e colori la Natività, la Vergine con S. Giuseppe che adorano il Bambino, in fondo all’alcova due animali e bella prospettiva.
Il fregio esterno splendidissimo della stessa iniziale si estende a rettangolo per i quattro margini della pagina con quadretti che li interrompono di quando in quando, rappresentanti animali (cervo, pavone), angeli e figure umane, con ornamentazioni d’animali e vegetali (foglie e fiori su per gli steli) in mezzo a cui sono profuse bacchine auree. Ma si trova in stato di conservazione deplorevole.
A carta 40 nell'E è rappresentata l’Epifania, miniatura assai bella e ricca di figure con molto oro ed i soliti fregi splendidissimi per tutto il margine; assai belli i visi della Vergine e di S. Giuseppe, e bello lo sfondo del Presepe: è miniatura molto rovinata e restaurata in modo peggiore.

II. Antifonario graduale (sèguito dell’altro).
Membranaceo in foglio di carte 124, non numerate, mutilo in fine, del resto simile al precedente.
Appartiene anch’esso alla seconda metà del secolo XV o alla prima metà del seguente: malissimo conservato.
A carta 3 l’iniziale è stata grossolanamente aggiunta da mano posteriore; dell’antica lettera si scorge un frammento soltanto, come della miniatura si vede solo la parte inferiore, cioè i Giudei caduti atterriti sulla tomba di Cristo sollevato in aria, di cui si vedono le gambe; qualche frammento ci è rimasto del ricco fregio marginale di solida fattura e stile del rinascimento. A c. 30, come a c. 46 ed altrove la lettera con la miniatura è stata asportata via; rimane però quasi intatto fregio marginale ricchissimo e bellissimo con quadretti intercalati nelle ornamentazioni di foglie, fiori, animali (bove, mostro alato) ed angeli.

III. Altro antifonario.
Membranaceo del secolo XV, mutilo in principio ed in fine, di carte 150 circa, numerate modernamente, in folio, con rilegatura posteriore, con carte di guardia, restaurato ed un po’ meglio conservato degli altri due. Qualche carta è interpolata. Le iniziali sono semplicemente colorate in azzurro e in rosso con fregi a colori.»
Gli altri antifonari, più recenti, non avevano niente di notevole.

Cattedrale di Andria. Presbiterio. Lato ove era il trono e il coretto del Vescovo
[Cattedrale di Andria. Presbiterio. Lato ove era il trono e il coretto del Vescovo]
3. Trono e coretto episcopale.
Erano entrambi in legno dorato e sebbene fossero uniti, appartenevano ad epoche diverse.
Più antico, della seconda metà del 1600, era il coretto soprastante, con graziose gelosie in legno intagliate finemente; mentre il trono, di un gonfio barocco, era stato lavorato al tempo di Monsignor de Anellis (1743 - 1756) da un artefice andriese, Tommaso Porziotta.

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Altre opere che l’incendio ha distrutto interamente seguono quelle che sono state soltanto danneggiate:

1. Altar maggiore.
Magnifico lavoro in commesso e sculture eseguito per incarico di Monsignor Ariano (1697-1706) da Iacopo Colombo, uno scultore, nato a Venezia, che lavorò in Napoli tra il cadere del sec. XVIII e la prima meta del secolo seguente [6].
Liquefatto il mastice, si sono staccati i pregiati marmi variopinti che si intrecciavano nei riquadri, nelle fasce e nel paliotto a significare fiori, frutta e simboli: i frammenti sono calcinati. In discreto stato permangono le belle teste di angioli a rilievo.

2. Mensola all’angolo orientate del presbiterio.
È dello stesso stile dell’altare e probabilmente dello stesso autore. Si trova nelle stesse condizioni: ben conservate le sculture; totalmente distrutti i mosaici.

3. Balaustra del presbiterio.
Fu eseguita su ordinazione del Vescovo Bolognese (1822 - 1830). Si sono staccati da molti pilastrini le impellicciature di marmi rossi.

4. Pilastri esterni della cappella di S. Riccardo.
Questa cappella, prossima al presbiterio, cominciava a risentire gli effetti del calore, ma i danni si sono ristretti ai pilastri esterni dai quali si è staccata l’impellicciatura di marmo nero.

5. Quadri della cappella di S. Riccardo.
Sono opere accademiche di Michele de Napoli.
Nell’affrettato salvataggio, una di esse, e propriamente quella che rappresenta il viaggio di San Riccardo, San Ruggero e San Savino al Gargano, è rimasta bucata in due punti.

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Riassumendo, oltre i danni materiali, la cattedrale ha sofferto la perdita di due opere di notevole pregio artistico — il coro del sec. XVII e i libri corali miniati del rinascimento — e di altre, sebbene di minor pregio, importanti però per la storia e la cultura regionale.
L’incendio inoltre, distruggendo la tettoia, ha lasciato libera l’entrata delle acque: in caso di qualche pioggia torrenziale è da prevedere l’allagamento della cripta con il conseguente pericolo della rovina non soltanto di quella costruzione tanto interessante sotto il riguardo archeologico, ma anche dello intero presbiterio e delle navate adiacenti.
Invoco dunque solleciti provvedimenti che assicurino la conservazione dell’edificio.
Risalendo poi alle cause dell’incendio fo la proposta che sia assolutamente vietato di apparare con drappi le chiese quando esse siano coverte da soffitti in legno o da tettoie a capriate apparenti.
Andria, 20 aprile 1916.
Giuseppe Ceci
Ispettore onorario pei monumenti

["L'incendio della Cattedrale di Andria" di Giuseppe Ceci, in "Rassegna Tecnica Pugliese", 1916, fasc. IX, pagg. 136-141]

NOTE    (Nell’originale la numerazione è di pagina e non progressiva)
[1] AGRESTI. Il Capitolo Cattedrale di Andria. (Andria, Rossignoli, 1912) II, 52.
[2] I quadri erano firmati e vanno aggiunti agli altri accennati da G. De Luca nel cenno su questo pittore pubbl. in Arte e Storia. XIII, 1894, p. 67- 68.
[3] Di questo valente artista si conserva un altro magnifico coro nella sua città natale. Conf. M. TEDESCO: Di un coro intagliato esistente in Bagnoli, città del Principato Ulteriore, in Poliorama pittoresco, XVIII, 1858-59, p. 107; Opere d’arte esistenti nelle chiese e presso private famiglie di Bagnoli Irpina (Avellino, Maggi, 1883); Le opere d’arte a Bagnoli Irpina, in Arte e Storia, XIII, 1894, p. 87.
[4] AGRESTI, Op. cit., II, 51.
[5] I manoscritti delle Biblioteche di Bitonto, Terlizzi, Trani, Andria, Barletta, Canosa, Bisceglie, Ruvo (Forlì, L. Bordandini, 1896). (Estratto dall’opera a cura di Giuseppe Mazzatinti: "Vol.6: [Ancona, Città di Castello, Osimo, Noto, Bosa, Molfetta, Bitonto, Sulmona, Bagnacavallo, Novara, Terlizzi, Trani, Andria, Barletta, Canosa, Bisceglie, Ruvo, Poppi, Longiano, Arezzo, Faenza]").
[6] D’Addosio: Documenti inediti su artisti napoletani, in Arch. stor. nap., XXXIX, 1914, p. 552.