[nicchia delle reliquie - foto Sabino Di Tommaso - 23/09/2016]
Entrando dall'antistante sagrato, sul lato destro della chiesa si apre una porta laterale che immette in un piccolo disimpegno dotato di servizi; procedendo oltre, un corridoio introduce immediatamente a destra nell'ufficio parrocchiale e a sinistra, qualche passo più avanti, nella navata della Chiesa; in fondo al corridoio, sulla destra una scalinata porta al piano superiore dell'ufficio, mentre una porta e due gradini immettono nell'ampia sacrestia (foto panoramica su riprodotta)."
L'ambiente, realizzato a fine Ottocento unitamente alla chiesa, si presenta con una volta a botte,
ai lati della quale, alte, si aprono tre finestre, due a destra sul lato sud e una di fronte;
in fondo una porticina immette nella scala del campanile onde si raggiunge l'organo,
mentre una ampia porta a sinistra introduce nel presbiterio.
Arredi immobili della chiesa sono un lavabo sulla parete sud, forse primieramente utilizzato come sacrario,
un reliquiario, ospitato in una nicchia, e un ripostiglio nella parete ovest;
completano l'arredo l'armadio dei paramenti e dei testi sacri, una croce processionaria,
il completo del turibolo ed un attaccapanni.
[corona dell'Addolorata e foto storica del 1961 - elab. elettr. Sabino Di Tommaso]
Gli oggetti più rilevanti esposti nel reliquiario sono: la corona argentea che un tempo ornava il capo dell'Addolorata, posta al centro della mensola mediana, e i tre ostensori delle reliquie, collocati nel piano superiore.
Negli anni Sessanta del Novecento (e probabilmente anche negli anni precedenti) a destra della porta che dal presbiterio immette in sacrestia, c'era una bacheca con una statua dell'Addolorata, che aveva sul capo la corona argentea esposta in questo reliquiario.
La stauroteca, o reliquiario della croce, è l'ostensorio più bello (centrale nella bacheca); esso è riccamente scolpito.
Su una base con decori floreali sbalzati a bassorilievo s'erge la struttura in cui sono scolpiti molteplici simboli
della crocifissione di Gesù: centrale la colonna della flagellazione sormontata dai dadi (con cui i soldati
tirarono a sorte l'aggiudicazione delle sue vesti), i quali a loro volta reggono un calice e un'ostia raggiante
con il trigramma "IHS"; ai lati, tra segni minori riferenti i soldati romani (elmo, corazza, scudo, vessilli, ...)
emerge il gallo che richiamò S. Pietro e una scala; centrale, all'impugnatura, sono scolpiti il velo della Veronica
sormontato da una corona di spine, tra le due lance, quella che lo trafisse e quella che l'abbeverò d'aceto, e due flagelli;
nell'incrocio è incastonata la reliquia, sormontata dall' "INRI" e con l'etichetta "S. Cruce D.N.J.C";
nell'apice trilobato del braccio superiore è sbalzato il capo di Costantino circondato dal motto "IN HOC SIGNO VICES".
A sinistra nella bacheca è collocato l'ostensorio della reliquia attribuita a S. Giuseppe; un'etichetta infatti posta all'interno
della piccola teca ovale porta la dicitura "S. Joseph. S.B.V.".
Anche quest'ostensorio è riccamente scolpito, prevalentemente a motivi floreali; risaltano alla base due angeli oranti, sbalzati a tutto tondo,
e, nella parte superiore, una corona sormontata da una croce. La teca della reliquia è poi circondata da un elegante e fine
traforo metallico che la sorregge decentrata nell'ovale centrale.
L'ostensorio collocato a destra nella bacheca è detto portante una reliquia di S. Michele Arcangelo. Il decoro sbalzato nel metallo non ha riferimenti precisi con la reliquia ostentata.
Per quel che concerne la giustificabile incertezza e diffidenza che alcune reliquie possano effettivamente considerarsi di determinati personaggi, bisogna considerare che sono ritenute reliquie non solo quelle effettivamente appartenute a quel soggetto o ad un suo corredo, ma anche quelle che, semplicemente, sono venute a contatto con qualcosa che a tale soggetto faccia riferimento. Ad esempio, potrebbe essere considerata reliquia di S. Michele Arcangelo una qualsiasi particella sia venuta in contatto (diciamo per ipotesi) con il punto della grotta del Gargano dove la tradizione afferma che l'Arcangelo abbia lasciato, come segno della suo intervento, delle orme umane impresse sulla pietra.
[I 3 ostensori delle reliquie: di S.Giuseppe, della S.Croce, di S.Michele - elab. elettr. su foto Sabino Di Tommaso - 10/10/2016]
La Chiesa di Sant'Angelo possiede diverse statue, in base alle tradizioni devozionali della Comunità religiosa residente.
Una delle devozioni locali più importanti è quella di San Biagio, uno dei quattro protettori minori della Città di Andria e la cui festa viene celebrata il 3 febbraio.
In tale occasione viene esposta alla venerazione la statua del Santo, scolpita nel 1858 da Andrea Brudaglio
[1],
uno dei componenti un'importante famiglia di scultori andriesi, i Brudaglio appunto
[2].
Andrea, figlio di Vito (1753-1740), anch'egli scultore,
e nipote del rinomato scultore Nicolantonio (1703-1784), era nato probabilmente nel 1801; morì il 7 agosto 1859,
un anno dopo aver scolpito questa statua di San Biagio.
Sulla schiena, infatti, del manufatto (è un "simulacro vestito", cioè un manichino con parti rifinite,
come capo e mani, e parti abbozzate nella loro essenzialità strutturale; foto sotto) si legge:
[La statua di S. Biagio e la "firma" scritta sulla schiena della struttura lignea - foto Sabino Di Tommaso - 05/02/2018]
Come può rilevarsi dal sotto citato studio di Vincenzo Zito, sua è la ricerca della possibilità di attribuzione di questa statua ad Andrea Brudaglio; è per suo suggerimento che, in occasione della festa di San Biagio, mi sono recato in Chiesa a rilevarne l'autore, e constatare che fu esattamente Andrea Brudaglio a scolpirla nel 1858; ad oggi sembra che questa sia l'unica statua che con certezza possa attribuirsi a tale scultore.
Tra le reliquie presenti nel ricco reliquiario della Cattedrale di Andria, potrebbe ancora trovarsi una reliquia di San Biagio.
Mons. Ascanio Cassiano nella sua visita pastorale condotta in Cattedrale nel luglio del 1644 esamina una bella teca con la reliquia di questo Santo; scrive (in latino e qui anche tradotto):
[trascrizione del testo originale in latino] | [traduzione] |
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22. fuit allatũ aliud Reliquiarium ornatum ex arg.[en]to cum quatuor Cherubin sup.ra, inferius,
et à lateribus, et Cruce in summitate omnibus ex ære inaurato, et pede inaurato ad modum calicis.
In summitate Tabernaculi conspiciuntur hæ literæ male incisæ: S. Blasij.
In Reliquiario, seù Tabernaculo, sunt duo cristalli, in medio theca argentea, in qua est collocata pars ossis,
et ad Ill.mũ interrog.[an]tẽ fuit dictũ, esse partẽ ossis S.ti Blasij Episcopi, et Martiris,
et omnibus visis. m.[andavi]t reponi.
Int.[errogavi]t Dnus, unde, quando, et quo haberunt p[rædi]ctã partẽ ossis, et pro eius verificat[io]ne quid exhibeant.
Fuit responsũ ab immemorabili p[rædi]cta pars ossis fuit in hac Eccl[esi]a, et semp[er] honorata, et reputata p[er] os S.ti Blasij, et nemine unde,
et quando fuit habita, et p[ræ]ter antiquam traditionẽ nihil habere.
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Dal 22° posto fu portato un altro reliquiario ornato d’argento con quattro Cherubini sopra, più in basso e ai lati,
con una croce in cima, tutto di rame dorato, con il piede dorato come quello di un calice.
Sul tabernacolo si scorgono queste lettere incise male: S. Blasij.
Al centro del tabernacolo due cristalli con dentro una teca argentea, nella quale è riposta una parte di osso che,
all’Ill.mo interrogante, fu detto essere parte di un osso di S. Biagio Vescovo e Martire; avendo tutto osservato, ordinò di riporlo a posto.
Il Signore [Visitatore] chiese da dove, quando e come avessero avuto tale parte di osso e che cosa esibissero a comprova dell’autenticità.
Fu risposto che da tempo immemorabile esisteva in questa Chiesa quella parte di osso, sempre venerata e considerata come un osso di S. Biagio;
nessuno sapeva donde e quando si ebbe, e di non possedere altro che l’antica tradizione.
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Tale ostensorio della reliquia di San Biagio già non esisteva più ai tempi di Mons. Emanuele Merra, il quale a inizio Novecento elencando nelle sue "Monografie Andriesi" le sacre reliquie conservate in Cattedrale, scrive:
19°. - Reliquia di San Biagio Vescovo e Martire.Questa Teca era un vaso rotondo di argento, con il piede di bronzo dorato, dell’altezza d’un palmo e mezzo. Intorno intorno vi erano quattro Cherubini, ed era sormontato da una croce di rame anche dorato. Si vedevano malamente incise queste lettere: «S. Blasii». Quinci e quindi due cristalli, e nel mezzo una Teca d’argento, in cui stava riposto un osso di San Biagio Vescovo e Martire. Ora un braccio di legno dorato, entro cui vi è la Reliquia del Santo, forma la Teca, che conservasi nella Cappella della Madonna di Lourdes, sotto l’Immagine del Santo Martire, che è uno dei quattro protettori minori di Andria.
NOTE
Andrea, che prosegue l’attività paterna di scultore, il 14/1/1819 sposa Teresa Santoniccolo, filatrice, figlia dello scultore Giuseppe Santoniccolo, forse allievo del nonno Nicolantonio. Il contesto sociale in cui viene celebrato il matrimonio è attestato dalla qualità dei testimoni: abbiamo un D. Raffaello di Chio accolito, Francesco Margiotta agrimensore, Salvatore Castiglione proprietario e Francesco Barbaro agrimensore.
Gli sposi vanno ad abitare alla “Strada della Chiancata” n.25 dove, l’anno successivo, nasce il primogenito di nome Vito. Altri figli nascono successivamente ma tutti muoiono in tenera età, per cui Vito sarà l’unico erede della famiglia. Nulla sino al momento si conosceva dell’attività di scultore di Andrea, forse dovuto al fatto di non aver firmato le proprie opere. Recentemente nella diocesi di Andria è stata individuata una statua di S. Biagio che è stata attribuita allo scultore e che sarebbe datata 1858. Purtroppo la scheda descrittiva della statua risulta essere ancora in lavorazione. ...[Il figlio Vito] nato il 19 agosto 1820, in età adulta non segue l’attività di scultore del padre ma diventa “giometra”, come risulta dall’atto di matrimonio con Maria Losito del 10 gennaio 1849. Maria è figlia di Angelo Losito, proprietario, ed abita nella strada Fravina. Stranamente Maria, pur essendo figlia di un “proprietario”, quindi socialmente elevata, nella promessa di matrimonio non firma il documento dichiarando di non saper scrivere. Le condizioni economiche di Vito sono senz’altro floride, sia per l’attività professionale svolta e sia per le proprietà immobiliari ricevute in eredità assieme alla moglie. Non avendo avuto figli, finanziano la ricostruzione della chiesa di S. Angelo al Lago (oggi, dedicata a S. Michele Arcangelo e S. Giuseppe, recentemente restaurata), come risulta da un’epigrafe marmorea esistente nella retrofacciata della chiesa. Dediche ai donatori si trovano anche sull’altare maggiore e sull’altare di sinistra. ... Vito muore l'8 luglio 1908 all'età di 88 anni.
[il testo e le immagini della pagina sono di Sabino Di Tommaso (se non diversamente indicato)]