La Chiesa ed il Convento ... del Carmine

Contenuto

Monografie Andriesi

di Emmanuele Merra, Tipografia e Libreria Pontificia Mareggiani, Bologna, 1906, Vol II, pagg. 473-552
Chiesa del Carmine

XV.
La Chiesa ed il Convento
di Santa Maria del Carmine

sommario


I. - L’ultimo testamento di Flavio de Eccelsis.

Erano le ore sei della notte del 10 ottobre 1681, ed in un nobile palazzo, messo in Andria, lungo la strada, volgarmente detta la Chiancata, un ricco e pio patrizio, privo di figliuoli, giaceva a cinquant’anni sul letto della sua ultima infermità! La sua buona consorte, dolente gli sedeva accanto, sciogliendosi in lagrime amarissime e non consolabili, mentre egli al Notar Girolamo de Micco dettava il suo supremo testamento.
Era Flavio de Eccelsis, che dopo di avere raccomandata l’anima sua a Dio onnipotente, alla SS.ma Vergine ed a tutta la corte celeste, nominava erede universale di tutti i suoi beni la signora Lucia Griffi, sua amatissima consorte, a condizione che non dovesse passare a seconde nozze, e che dopo la morte di lei, la sua eredità, come quella di essa Griffi, dovessero servire per rizzare, in Andria, un Convento di Religiosi Carmelitani. Dal resto di queste due eredità volea che si fossero comprate annue rendite, pel mantenimento di detti Religiosi, che dovevano in perpetuo celebrare per le anime dei testatori un certo numero di messe, alla ragione di L. 2,15 per ognuna. Nel caso poi che i Carmelitani non volessero accettare tale eredità, dovesse andare a favore dei Padri Cassinesi di Santa Maria dei Miracoli di Andria, con gli stessi pesi [1].
Dopo alquanti giorni il de Eccelsis volle spiegare meglio la sua ultima volontà, ed alle prime disposizioni testamentarie vi aggiunse un codicillo, in cui, tra le altre cose, ordinava che non volendo i Carmelitani accettare questa fondazione, s’invitassero i Teresiani. Inoltre incaricava il Duca d’Andria, Ettore Carafa, per la elezione di due deputati, che dovessero presiedere alla fabbrica del Convento, con la facoltà che potesse sceglierne altri, nel caso che i primi eletti non avessero spiegato tutto il loro zelo per la fabbrica del Convento [2].
Dopo alquanti giorni essendo avvenuta la morte del de Eccelsis; la Griffi fece aprire e leggere il testamento ed il codicillo, e dopo la lettura, accettò la eredità, con tutte quelle condizioni, e patti in essi prescritti.
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[1] Il D’URSO dice che Flavio de Eccelsis voleva lasciare tutti i suoi beni alla Chiesa Cattedrale; ma che D. Ettore Carafa, duca di Andria, lo avesse persuaso a fondare un’altra Casa Religiosa. (Storia d’Andria, Libro VII, Cap. IX, pag. 151).

[2] Platea omnium bonorum tam stabilium quam Censuum Conv. Carmelitarum Andriae, confecta a R. Padre Alberto Morselli Andriensi Vicario Prioreque huius novae fundationis Conv. primo alunno. A. D. 1716, fol. 2. (Curia. Vescovile).

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II.  Domanda al Capitolo Cattedrale ed a Roma per la erezione del Convento dei Carmelitani

Intanto nel decembre del 1682, il Notar de Micco, in nome e per parte del Padre Fra Giovan Battista Barone, procuratore del Molto Reverendo Provinciale dell’Ordine Carmelitano, chiedeva al Rev.mo Capitolo Cattedrale di Andria il suo consenso ed il suo beneplacito, per domandare poi alla S. Sede il permesso d’impiantare in Andria il Convento, che i PP. Carmelitani volevano murare, in esecuzione dell’ultimo testamento e codicillo del fu Flavio de Eccelsis. L’otto decembre del medesimo anno, il Capitolo Cattedrale accettava la venuta in Andria di questo novello Ordine Religioso, col permesso del Vescovo, e con quelle condizioni, con cui gli altri Ordini Monastici stavano in questa città [3].
Ottenuto tale permesso dal Capitolo; il Provinciale di Puglia, nel 1683, inviò la seguente supplica alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari in Roma:
«E.mi e Rev.mi Signori, Fra Lorenzo Caraccini, Provinciale dei Carmelitani della provincia di Puglia, umilmente fa intendere alle EE. VV. come mesi sono, nella città di Andria, di detta provincia, passò da questa a miglior vita Flavio de Eccelsis, et nell’ultimo suo testamento (non avendo figli) dispose che della sua eredità ne fusse erede usufruttuaria Lucia Griffi, sua moglie, incluse ancora le due doti, ascendenti alla somma di Ducati 4000, et doppo la morte d’essa moglie, dall’eredità predetta se ne fondasse un Convento dell’Ordine Carmelitano; la detta Lucia confirmando con religiosa pietà la volontà di detto suo marito, vuole, come già per pubblico atto, rimettere l’usufrutto di detta eredità, con che da questo tempo s’edifichi detto Convento, et s’introduchi la Religione del Carmine in detta città, et le due sue doti restino salve per suo alimento, e che la disposizione predetta ridonda in grande onore et gloria di Dio, et della B. Vergine, come anche in evidente utile della Religione dei PP. et delle anime christiane. Supplica l’EE. VV. si degnino concedere licenza per la fundazione di detto Convento, essendo detta eredità sufficientissima per l’entrade, et sovvenimento dei Padri ascendendo alla somma di Ducati 20000 et più dei beni. Che della grazia per quas Deus etc.» [4].
Dietro questa domanda, il P. Provinciale si ebbe il seguente rescritto, che in italiano suona così: «La Sacra Congregazione degli E.mi Cardinali della S. R. C. istituita per gli affari e le consultazioni dei Vescovi e Regolari, vista la relazione del Vescovo di Andria [5], facendo da relatore l’E.mo Casenate, giudicò doversi un tale affare rimettere, come col tenore del presente decreto benignamente rimette, al medesimo Vescovo, affinchè essendo vero quanto si è esposto, dopo che si sarà accertato di essersi edificata la fabbrica del predetto Convento con la Chiesa, il coro, il campanile, la sagrestia, il refettorio, il dormitorio, gli orti ed i corridori, e di essersi del tutto composta e sufficientemente corredata di suppellettili, sia sacre come profane, per la chiesta erezione di detto Convento, e che con le rendite della predetta eredità si possano comodamente alimentare dodici Religiosi; faccia secondo il suo arbitrio e coscienza. In modo però che in tutto il resto si osservi scrupolosamente quanto dai Sacri Canoni, dal Concilio Tridentino, dalle Costituzioni Apostoliche, e da quelle del predetto Ordine è stato prescritto circa l’erezione di siffatti nuovi Conventi. Datato in Roma, il 10 decembre 1683. Il Cardinale Carpegna - B. Panciatico Segretario» [6].
Passati alquanti anni dalla morte del testatore, la vedova signora Griffi passò a seconde nozze col Signor Gian Lorenzo Guadagno, amicissimo del de Eccelsis, al quale nel suo testamento aveva legato la sua giumenta, il suo cavallo sauro, le sue armi, un carro di grano, un altro di orzo, e quattro bovi. Laonde essa prendendosi le sue doti, rilasciava l’eredità del suo primo marito ai PP. Carmelitani, come è dato rilevare dalll’istrumento, stipulato per Notar de Micco, nell’anno 1686.
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[3] Caose diverse, ecc. (Archivio della Cattedrale).

[4] Platea omnium bonorum etc. (Curia. Episcopale).

[5] Mons. D. Alessandro Egizio.

[6] Ex Bull, Carmelitano, etc. Pars. II, pag. 654.

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III. - Beni stabili della eredità de Eccelsis.

1. Un palazzo, sito alla strada, detta la Chiancata, con diversi appartamenti soprani e sottani, con cantina, pozzi ed altri membri.
2. Un altro palazzo, con varii appartamenti, giardinetto, cantina, soprani e sottani, posto nella strada, detta dei Lupicini, dietro il Monistero delle Monache Cassinesi.
3. Una masseria, denominata Petrone di carra 20, territorio boschivo e seminativo, con quattro peschiere, e metà di un’altra, posta in mezzo alla via, che mena a Monte Carafa, appartenendo l’altra metà alla Collegiata di S. Nicola. Ma avendo i Carmelitani ricomprato questo territorio, l’altra metà venne pure in loro dominio. La masseria Petrone, quando era posseduta dai Carmelitani, aveva un grande casino, con cinque stanze soprane, un magazzeno, un casolare, una stalla, un pollajo, e due camere sottane. Avanti vi s’innalzava una Chiesa, sacra alla Vergine del Monte Carmelo, con l’altare dipinto a fresco, con diverse imagini di Santi, con arredi sacri, e con una campana, che tuttora esiste. Vi erano quattro fosse, un parco murato di circa vignali due, con diversi alberi di frutti.
4. Vignali 16 in circa, con alcuni alberi di olivi nel luogo detto: Parco de Eccelsis, vicino al territorio della mensa Vescovile, ed a quello del sacro Monte di Pietà.
5. Un Trappeto, sotto il Palmento del Convento dei PP. Domenicani, denominato poi il Trappeto del Carmine.
6. Due Tupparoni, consistenti in due pezzi di terreno nel luogo, detto il Pennino della Madonna dei Miracoli d’Andria.
7. Carra 3 e versure 2 e ¾, nella contrada chiamata Maccarone, lungo la via, che mena a Corato, con cortile, parco murato, stalla e due peschiere, vicino alle terre del Capitolo Cattedrale.
8. Versure 14, e vignali 2 in circa nella contrada, detta di S. Potito, poco distante dal territorio di Maccarone [7].
Dai frutti di questi beni sorger dovevano la Chiesa ed il Chiostro, sacri alla Vergine del Monte Carmelo, monumenti imperituri della eminente pietà di Flavio de Eccelsis.
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[7] Platea omnium bonorum etc., fol. 4.

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IV. - La Chiesa.

Non appena i Padri Carmelitani della provincia di Puglia s’immisero nel pieno possesso della pingue eredità del de Eccelsis, chè di santo zelo ferventi per la maggiore propagazione del loro Ordine, spedirono in Andria due Monaci, il Priore ed un converso, e dettero principio alla fabbrica della Chiesa, che un giorno a Dio onnipotente, in onore della loro celeste patrona, dovevano solennemente dedicare. Ne fu mastro muratore un certo Domenico Morgigno.
Fino a tanto che essa non ebbe termine, fu loro assegnata da Mons. Alessandro Egizio, Vescovo di Andria, la Cripta di Santa Maria dell’Altomare, come si legge nella S. Visita, fatta da Mons. Triveri, nel 28 novembre 1694 [8], e per abitazione la Chiesa di Santa Maria la Nova, mentre si costruiva il Convento. Ma pare che in quest’ultima vi fossero abusivamente, perchè l’istesso Vescovo, nel medesimo giorno visitando quella Cappella, ordinava che si avvisasse il Procuratore dei Cavalieri di Malta, di cui era Commenda, perchè mandasse via quei Frati, che profanavano la casa di Dio, convertendola in dormitorio, in cucina, ed in refettorio! e se ciò non facesse, egli avrebbe fatto demolire l’altare, che frattanto interdiceva [9].
Fra il mezzo giorno pertanto ed il ponente, fuori della città, sopra una dolce collinetta, dove un tempo sorgeva un grande Casino, che poi nella terribile peste del 1656 fu mutato in lazzaretto; nell’anno del Signore 1690, venne, in mezzo alla gioia del popolo Andriese gittata la prima pietra inaugurale, con la seguente iscrizione, incisa sotto lo stemma dell’Ordine Carmelitano:
ANNO DOMINI
MDCLXXXX
BENE FUNDATA
EST SUPRA
FIRMAM PETRAM
Pare che il lavoro di questo tempio sia stato intermesso e ripigliato in diversi tempi, a seconda che si esigevano i fitti dei fondi, a tale scopo lasciati; mentre nel 1709, dopo diciannove anni, non lo troviamo ancora interamente compito! Ciò non pertanto in detto anno, fu con gran concorso di clero e di popolo, benedetto dal Vescovo di Andria, che in allora era Monsignor D. Nicola Adinolfi [10]. Terminato poi del tutto, nel giorno 11 novembre 1753, fu con solenne rito consecrato da Monsignor D. Domenico de Anellis, Vescovo e patrizio di questa città. Ne fissò l’annua festa nella III Domenica, dopo la Trinità, come dalla seguente epigrafe si rileva:
ANNO VULGARIS AERAE MDCCLIII
DIE XI MENSIS NOVEMBRIS
TEMPLUM HOC DEO AC VIRGINI DEIPARAE
SANCTAE MARIAE DE MONTE CARMELO
DICATUM
ILL.MUS AC REV.MUS D. DOMINICUS DE ANELLIS
PATRICIUS CIVITATIS ANDRIAE
DEI ET APOSTOLICAE SEDIS GRATIA
EPISCOPUS EIUSDEM CIVITATIS
SOLEMNI RITU CONSECRAVIT
EIUSQUE ANNI FESTUM DEDICATIONIS
AD DOMINICAM III POST TRINITATEM
TRANSTULIT. [11]
Una scalinata di pietra addirittura grandiosa, circondata da una balaustra, dal piede della collina incominciando a salire con una rampa, e poi dividendosi in due, mette capo al vestibolo del tempio. La costruì nel 1773 il bravo muratore mastro Raffaele Raimondo, mercé lo zelo operosissimo del Padre maestro, Fra Tommaso la Cinesta, Andriese. Cinque arcate, tre di prospetto, e due laterali, che s’impostano su cinque pilastri, tre interi e due incassati, con cornici, e basi, ne formano l’atrio, sormontato da un ricco cornicione. La facciata è spartita in tre campi, in quello di mezzo s’apre un ampio finestrone, ed ai lati ha due nicchie incavate nel tufo. Finisce a piramide, con un occhio nel mezzo; questo finimento fu fatto poco prima del 1850. Una maestosa porta dagli stipiti di pietra da taglio, ben lavorati ed ornati di rabeschi e di rosoni, mette nel tempio. Sopra l’architrave avvi il mezzo busto della Madonna del Carmine, a tutto rilievo su pietra; tolto quando la Chiesa addivenne sala di ammalati, fu rimesso nel 1839 [12]. Originariamente, in mezzo all’architrave, leggevasi inciso il seguente distico del rinomatissimo poeta dell’Ordine Carmelitano, Giambattista Mantovano:
DUM FLUET UNDA MARIS, CURRET PER AEQUORA PHEBUS
VIVET CARMELI CANDIDUS ORDO MIHI.
Questi bei versi furono vandalicamente cancellati col piccone, quando nel 1806, la Chiesa ed il Convento furono convertiti in Ospedale militare delle Puglie!
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L’architettura della Chiesa è assai semplice; ha un’unica nave proporzionatamente lunga e larga, con la volta sfogata, e tutta a tufo. Dieci finestroni, uno dei quali, che è amplissimo, si apre nel mezzo dell’atrio e prospetta la città, che si stende bellamente ai piedi, di vaga luce la irradiano.
La navata è fiancheggiata da tre arcate per lato, divise fra di loro da pilastri incassati, con capitelli e basi, e formano le Cappelle, che i Frati Carmelitani, in diversi tempi, ai seguenti Santi dedicarono.
1. Cappella della Concezione della B. Vergine. Fu essa fatta erigere dalla pietà della Signora Lucia Griffi, Vedova di Flavio de Eccelsis, la quale, con testamento dei 16 decembre 1698, rogato dal Notar Menduto, lasciava suo erede universale Gian Lorenzo Guadagno, suo secondo marito, con l’obbligo che, avvenuta la morte di lui, dovessero i suoi eredi erigere una Cappella, con l’Imagine della SS. Concezione, nella Chiesa del Carmine. Per dote di essa assegnò carra dua di territorio nel luogo detto Sporlincano. I Carmelitani poi, mondo durante, dovevano ogn’anno, dall’usufrutto, celebrarne messe, in detta Cappella, con lo stipendio di carlini tre la messa, per l’anima sua, del suo erede Guadagno, e dei suoi defunti. Ai 10 novembre 1721, essendo avvenuta la morte di Gian Lorenzo, il suo figliuolo D. Felice ne eresse la Cappella [13].
2. Cappella della B. Vergine del Carmine. Riccardo Carbone, con testamento del dì 8 giugno 1710, rogato dal Notar Menduto, istituì erede universale sua moglie, Angela Ficco, a condizione, che dopo la morte di lei, il Convento dei Carmelitani dovesse succederla nell’eredità. Al medesimo permetteva di vendere tutti i beni mobili ed immobili di essa eredità, e dal prezzo, rizzare una Cappella, in onore della Vergine del Monte Carmelo, dentro detta Chiesa. Avanzandone qualche somma, dovea comprarne annue entrate, o beni stabili, e dal fruttato celebrarne in perpetuo, in detta Cappella, un numero di messe, alla ragione di carlini due la messa, per sé e per sua moglie. I beni stabili, che il Carbone lasciò ai Carmelitani, furono i seguenti: 1.° Vigne 4 ½ a Burduito. 2.° Vigne 4 ½ nel chiuso detto la Grava. 3.° Vignali 4 in circa di terra, con alberi di mandorle, nel luogo detto del Crocifisso, sulla via di Barletta. 4.° Finalmente una casa alla strada degli Zingari [14].
3. Cappella di Sant’Anna. Ai 4 gennaio 1716, il magnifico Domenico Antonio Tupputi, con Istrumento di Notar Menduto, eresse per sua devozione, in questa Chiesa, un altare sotto il titolo di Sant’Anna, ed offrì ai Carmelitani ducati 200, affinchè dal reddito, mondo durante, celebrassero messe nel detto altare a carlini due, per l’anima sua e di tutti i suoi defunti [15]. Il quadro, che esiste ancora nella Chiesa del Carmine, rappresenta la Santa Matrona in atto di erudire la figliuola nelle divine cose della Bibbia, mentre S. Gioachino le sta alle spalle guardando entrambe, con uno sguardo di celestiale compiacenza.

Madonna del Carmelo
[foto del quadro della Madonna del Carmelo posto nel postergale dell'altare maggiore, non presente nel testo originale]

4. Cappella di S. Giuseppe. Questa Cappella pare sia stata eretta verso l’anno 1757. Infatti in tale epoca, essendo Priore il P. Maestro Musti, questa Cappella si trova la prima volta nominata, in un Inventario dei beni mobili dei Carmelitani di Andria [16]. S. Giuseppe sta dipinto in atto di morire, assistito pietosamente da Gesù, da Maria e da S. Michele Arcangelo, il quale con la spada sguainata pare lo difenda dal demonio, che gli freme sotto dei piedi; mentre l’Eterno Padre, e lo Spirito Santo, in forma di candida colomba, stanno in atto di accogliere l’anima benedetta in mezzo ad una schiera di angeli. Questo quadro sta dietro il maggiore altare.
5. Cappella di Santa Maria Maddalena dei Pazzi. Il quadro, che stava in questa Cappella, e che tuttora si vede nel primo vano a destra di chi entra in Chiesa, è veramente grandioso. La faccia della Santa, rapita in una dolcissima estasi di cielo, dinanzi ad una grossa croce, sostenuta da due angeli, ha una espressione davvero sorprendente, e rivela l’opera di un buon pennello; mentre il resto pare che sia d’altra mano. Si racconta che il pittore abbia lasciato il quadro incompleto, perchè non lo si volle pagare a dovere. Nella parte superiore del dipinto si vede la Vergine del Carmine, che librata sulle nubi, le porge un candido velo, mentre Gesù Bambino le sta mettendo sul capo una corona di spine.
6. Cappella di Sant’Alberto. Si mira ancora in Chiesa sul presbitero, dalla parte dell’evangelo, una gran tela, in cui è dipinto S. Alberto, aitante della persona, con un giglio nella destra, e con un libro nella sinistra. Narrasi che alla morte di questo Santo Carmelita, sia nato disparere tra i Frati se dovesse cantarsi per lui la messa funebre, o quella dei Santi Confessori; quand’ecco improvvisamente s’intese da un coro di angeli cantare l’Introito dei Confessori non Pontefici! Per questo un angelo porta scritto sopra un nastro il principio di quella messa: «Os justi meditabitur sapientiam».
7. Maggiore altare. In sulle prime questo altare fatto di pietra, fu negli ultimi tempi vagamente lavorato a musaico di finissimi marmi colorati, con due teste di serafini artisticamente scolpiti in marmo di Carrara, e messe agli angoli del secondo registro. Sembra fosse stata una imitazione del bellissimo altare maggiore della Cattedrale. Una croce di palmi sei, dodici candellieri, dodici vasi da fiori, carte di gloria e due grandi cornocopj, tutti d’ottone posti a destra ed a sinistra di questo altare, l’ornavano bellamente. Il sacro ciborio aveva una portellina, con chiave e pisside di argento; sul muro, dietro l’altare, eravi un quadro, rappresentante in mezzo busto la Vergine del Monte Carmelo, la quale stringe amorosamente tra le materne braccia un vezzosissimo bambino, che dolcemente la carezza; mentre due angeli le sostengono in alto sul capo la corona, e dodici serafini le stanno amorosamente estatici d’intorno a mirarla. Lo chiudeva una ricca cornice, arabescata e dorata, con un terso cristallo davanti. Una candida tendina, ricamata in seta, lo copriva. Ai fianchi aveva due piccole cornocopie d’ottone, con due candele per ciascuna, e con due lampadini, al di sotto pendenti. Vuolsi che questo bellissimo quadro fosse splendido dono della famiglia Carafa; ed è precisamente quello, che ora si venera nella Cappella del Carmine.
Dietro del maggiore altare aprivasi il Coro, in cui di giorno i Frati del Monte Carmelo recitavano le lodi divine. In esso vi erano sei Direttorj di canto Gregoriano, in pergamena, artisticamente miniati, nelle iniziali maiuscole, e massime in quelle delle feste principali di Nostro Signore, e della Santa Vergine. Alcuni di questi libri si conservano ancora; ma sventuratamente le preziose iniziali furono tagliate dalle vandaliche mani di certi Seminaristi Foggiani, venuti in questo Seminario, dopo il 1848!
Di notte i Carmelitani avevano il loro Coro, sopra il porticato della Chiesa, dove si elevava ancora l’organo, formato dapprima di sette e poi di undici registri, con innanzi una bellissima orchestra dorata. Due pile di breccia rossa, un pergamo, due confessionali ed un numero di scanni, mettevano termine all’abbellimento della Chiesa, che aveva pure cinque sepolture, una pei Frati sul presbitero, e quattro lungo la navata per quei secolari, che sceglievano di essere ivi seppelliti; mentre pare che più quete l’ossa dei mortali dormino il cinereo sonno della morte presso il santo altare di Maria!
Immacolata Concezione Madonna del Carmelo Transito di S. Giuseppe
[le tele degli altari laterali: l'Immacolata Concezione, la Madonna del Carmelo e il Transito di S. Giuseppe]
(le foto non sono nel testo originale)
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[8] Die 28 nov. 1694 Ill.mus... profectus est ad Eccl. S. Mariae de Altomari ... in praesentiarum custoditur a duobus Religiosis Carmel. cui concessa fuit ab Ill.mo D. Alexand. Egitio, ... usque quo Eccl. et Conv. Ordinis aedificatus fuerit. (Visit. E.pi Triveri, p. 70).

[9] Eodem die successive Ill.mus accessit ad Eccl. S. Mariae dictam della Nova... quae deservit pro habitatione duorum Relig. Ordinis Carmel, qui assistunt aedificationi novae Eccl. et Conv. sui Ord. adest parvum altare in quo dictum fuit quod celebratur in quodam festo; ex una parte constitutae sunt camerae pro habitatione duorum Relig. ex altera facta est coquina, media vero deservit pro Refectorio; ideo decretum fuit quod moneatur Proverator Equitum... Hyerosolimitarum ad quos dicta Eccl. spectat ad dimittendos illos Religiosos ex illo loco, alias altare demolietur, et interea sit suspensum. (p. 71, Arch. Vesc.).

[10] Caose diverse ecc., (Archivio della Cattedrale di Andria).

[11] Questa lapide trovasi in casa Bisceglie.

[12] In un notamento di spese portate da Mons. Cosenza per la Chiesa del Carmine si legge: «Per fissare la Madonna sulla porta della Chiesa: D. 1: 30».

[13] Platea omnium bonorum etc., fol. 133.

[14] Platea omnium bonorum etc., fol. 134.

[15] Platea omnium bonorum etc., fol. 140.

[16] Libro degli Inventarii dei beni mobili di questo V. Conv. del Carmine della città di Andria, nel secondo Priorato del M. R. Maestro Dom. Antonio Trani. An. MDCCXXXIX.

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V. - La Sacrestia.

La Chiesa aveva una commoda Sacrestia, ed antisacrestia, dalle di cui pareti pendevano undici quadri di varii Santi. Vi erano pure cinque statuette di marmo, e due palle di verde antico. Da un Inventario, che va dal 1742 sino al 1806, trascrivo l’elenco dei seguenti arredi sacri, che aveva questa Sacrestia.
«Candelieri d’argento 4. Un Incensiere con navicella d’argento. Una sottocoppa d’argento. Un paio d’ampolline d’argento. Una croce grande, col Crocifisso d’argento. Una crocetta di filagrana d’argento. Un Ostensorio d’argento. Una pisside grande d’argento. Un calice grande, ed un altro più piccolo d’argento. Due corone d’argento, una per la Madonna del Carmine, e l’altra pel Bambino. Un mazzo di perle, con passanti d’oro, per la Vergine. Un anello, ed una stella d’argento, con un rubino nel mezzo, per la medesima. Un Messale di velluto, con finimenti d’argento. Un Reliquiario di filigrani d’argento di Sant’Alberto. Un altro Reliquiario d’argento di Santa Maria Maddalena dei Pazzi. Un vasetto di argento per l’Olio santo. Un parato di lama d’argento. Un altro di drappo rosso. Uno di seta nera, coi corrispondenti piviali. Due vesti ricamate per la Pisside. Un velo per il Sepolcro. Un’ombrella ricamata. Un pallio di seta di damasco. L’Urna del Sepolcro, col cristallo. Cuscini 8 buoni, e 2 grandi di seta. Panni 2 di seta, uno bianco e l’altro rosso, ricamati, avanti il quadro della Madonna. Banderuole 2, una pei morti, e l’altra di seta bianca, coi lacci, per le processioni. Un Baldacchino indorato, con quattro Serafini. Una base della Vergine, con quattro angioletti d’intorno, del pari indorati. Un panno mortuario, ed un Catafalco. Uno strato rosso di seta. Un lettorino indorato. Una statua dell’Arcangelo Gabriele. Una tovaglia, con pizzo d’argento; senza numerare le pianete, i camici, le tovaglie e gli altri arredi per uso giornaliere. Finalmente la statua della Madonna del Carmine, la quale fu lavorata in Napoli, nel 1770, dal celebre scultore Giacomo Colombo, nel di cui studio trovavansi in allora ad apprendere scultura i fratelli Vito e Riccardo Brudaglio, Andriesi. Questi segretamente consigliarono il P. Maestro dei Carmelitani a scegliere delle due statue, che vi erano nello studio, la migliore, che è l’attuale: e costò ducati 47, compreso il trasporto in Andria [17]. Pare che prima di questa statua ve ne fosse un’altra, perchè nell’Inventario del 1745 si legge questa nota: «Tutto il vestito ed altro, che serve per la statua di Nostra Signora del Carmine e del Bambino, si conserva in casa della nostra devota Signora, Donna Ciciarosa Curtopassi». Come pure nell’Elenco dei beni mobili, lasciati nel 1714 dalla Signora Giuditta Imperati ai Carmelitani, si trova scritto: «Una Cannacca di perle piccole, con passanti 8 d’oro. Un secchietto d’argento ed una tovaglia di recamo, quale Cannacca di perle, secchietto e tovaglia di recamo, furono legate per uso del Venerabile Convento predetto di S. Maria del Carmine, per ornamento della Beatissima Vergine da detta Signora Giuditta, senza peso» [18].
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[17] Memoria d’arte dei Fratelli Vito e Riccardo Brudaglio: si conserva dallo scultore Vito Brudaglio fu Lodovico.

[18] Platea omnium bonorum etc., fol. 169 t.

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VI. - Il Campanile.

La Chiesa ornai bella e fatta, frequentata da gran numero di popolo devoto, che veniva a venerare la sua cara e simpatica Madonna dei Carmine, mancava del meglio, mancava del Campanile e delle campane. Dal principio essa ebbe una campanetta, sospesa ad un piccolo arco; ma finalmente nel 1772, per opera e cura del Padre Maestro La Cinesta di Andria, fu costruito in tufo un non dispregevole Campanile, che dall’alto della Chiesa dominava la sottoposta città. Come la grandiosa scalinata, così anche il Campanile dovette senza dubbio essere opera del Raimondo, che era il muratore del Convento. Nel 1782, i mastri Gerardo Bruno, e Gerardo Alita della Terra di Vignola fusero tre campane per questo Campanile [19], le quali unitamente alla campanetta, già esistente, coi loro suoni armoniosi rallegrarono, ma per ventiquattro anni appena, i cuori degli Andriesi, e li chiamarono a’ piè dei santi altari di Maria del Carmelo!
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Nella infausta giornata del 23 marzo 1799, su questo Campanile stavano appostati delle sentinelle Andriesi, armate di fucili, per spiare da quest’altura il nemico, che veniva da Barletta. Tra queste sentinelle si notavano mastro Vincenzo Grosso, mastro Michele Merra, e varii altri, i quali, ai primi albori, avendo scoperto il nemico già vicino alle mura; ne dettero l’avviso alla città, tirando una fucilata, alla quale tennero dietro altre fucilate, sparate dai compagni. Immantinente i Francesi risposero con vivissimo fuoco contro di queste sentinelle, che stettero impavide al loro posto, tenendo a tal uopo molti tufi e pietre ammonticchiate, per gittarle sopra dei nemici [20].
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[19] E. MERRA, La Chiesa di S. Francesco in Andria, Cenni Storici, pag. 25.

[20] D’Urso, Storia d’Andria, Lib. VIII, Cap. I, pag. 169.

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VII. - Il Saccheggio.

Nel sacco, che in quel giorno i Francesi dettero alla Chiesa del Carmine, varii oggetti sacri furono rubati, per cui nell’Inventario del 1800, fatto in tempo del Priorato del M. H. P. Maestro Diffinitore perpetuo, Nicola Maria Camaggi, si nota: «Manipoli n. 9 di varii colori, rimasti con 7 stole ancora di varii colori, dai barbari Francesi per il sacco dato». Nell’Inventario del 1802, compilato nel principio del Priorato del P. Baccelliere Giuseppe La Cinesta, si legge l’istessa cosa: «Manipoli n. 9, e stole 7 di varii colori, che rimasero dopo i passati infortunj»! Nel saccheggio furono pure involati varii oggetti di argento; mentre negli Inventarii, fatti dopo il 1799, non si trovano più notati. Per esempio un paio di ampolline d’argento; un crocifisso d’argento; un mazzo di perle, con passanti d’oro per la Vergine del Carmine; una stella d’argento, con un rubino nel mezzo, per la medesima; un vasetto d’argento per l’Olio santo; due Reliquiarii d’argento, uno di Santa Maria Maddalena dei Pazzi, e l’altro di Sant’Alberto.

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VIII. - Si ordina di mutare il Convento in Ospedale.

Nel 1806, il Convento fu mutato in Ospedale militare; ma essendo cresciuto il numero degli ammalati, e non bastando i dormitorii, il 12 aprile 1809, il gran Giudice, Ministro della Giustizia e Culto, Giuseppe Zurlo, ingiungeva da Napoli al Vescovo di Andria, Mons. D. Salvatore Maria Lombardi, come avendo S. M. con decreto del 3 corrente aprile, posto a disposizione del Ministro della Guerra la Chiesa dei Carmelitani, dovesse togliere da detta Chiesa quanto si fosse di sacro, a norma dell’altro decreto del 27 marzo, prossimo passato [21]. Ai 22 dell’istesso mese il Vescovo rispondeva da Napoli al Ministro, che essendosi subito tolto quanto vi era di sacro in questa Chiesa, era stata già consegnata alla disposizione del Ministro della Guerra, e che interinamente aveva fatto dare ai Carmelitani la Chiesa di Maria Mater Gratiae per ufficiare [22]. In tal modo la casa di Maria del Monte Carmelo fu convertita in schifosa sala di militari, ammalati di quel morbo, che sebbene non isconosciuto in Italia prima della calata di Carlo VIII; pure dilatossi cogli ospiti francesi, e ne conservò il nome! Il Campanile fu pure distrutto, e portate via le campane, una delle quali, dedicata a S. Elia, suona ancora, sebbene varie volte rifusa, sul Campanile di S. Agostino, forse cambiata in quell’epoca con qualche campana rotta di quella Chiesa.
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[21] Curia Vescovile, Incartamento dei soppressi Conventi.

[22] Curia Vescovile, Incartamento ecc.

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IX. - Arredi sacri del Carmine distribuiti a varie Chiese.

Il 30 maggio 1821, avendo il Re accordata la grazia di ripristinare in Andria il Convento dei Cappuccini, questi nell’anno seguente domandarono il Coro del soppresso Convento dei Carmelitani. La commissione esecutrice del Concordato, il 5 agosto 1822, scrisse al Vescovo di Andria, Mons. Lombardi, affinchè si compiacesse informarla, se con ciò si arrecasse danno o deturpazione al locale dei Carmelitani, e se Ella credesse opportuno di aderirsi alla domanda. Il Vescovo, in data del 17, rispondeva alla commissione: credere molto conveniente che si dessero ai Padri Cappuccini non solamente i pochi avanzi del Coro, ma anche gli stipi della Sagrestia. Anzi coglieva tale occasione per dirle: essere suo parere che sollecitamente si distribuissero alle Chiese, bisognose di questa città, quei pochi rimasugli di sacre suppellettili, che rimanevano ancora degli stessi Carmelitani, altrimenti a lungo andare tutto andrebbe a consumarsi. Intanto esponeva il desiderio che quegl’avanzi si dessero specialmente alla Cattedrale, la quale, dopo il saccheggio e l’incendio del 1799, era rimasta depauperata di arredi, con richiedersi dalla Chiesa di Nazaret in Barletta, anche per questa Cattedrale l’apparato, l’ombrella e l’omerale dei Carmelitani, che per ordine di quel Sottintendente, sette anni addietro, erano stati provvisoriamente prestati a quella Chiesa da questo Sindaco, che ne conservava il ricevo. Gli oggetti dei soppressi Carmelitani, necessarii alle varie Chiese, sarebbero i seguenti:
Alla Chiesa Cattedrale. Sei candelieri di ottone, la croce colla base, due cornocopie grandi; l’apparato in tessuto di argento e di oro, con l’ombrella ed il sopraomerale. Un pannetto di seta lattina: sei cuscini: campanelli piccoli di ottone: scanni: l’altare di marmo, diviso in pezzi, e la statua dell’Angelo Gabriele.
Ai PP. Cappuccini. Una pianeta bianca, ricamata; un piviale di Damasco rosso, e l’altro di Camelotto vecchio: due pianete di Portanova: una pianeta di Damasco color violaceo: una pianeta nera di Portanova: un piviale, e due tunicelle nere: un piviale di Portanova: tre camici di tela: una cotta: due banderuole per la Croce, una nera e l’altra di raso colorito: i pezzi del Coro, gli stipi, ed una campanella.
Alla Chiesa della Madonna Mater Gratiae. Quattro piccole Cornocopie di ottone per l’altare del Carmine: l’abito della B. Vergine e del Bambino: sei quadri grandi: il quadro della B. Vergine col pannetto e lastra di cristallo: statue della B. Vergine e del Bambino col piedistallo: le canne dell’organo n.° 285, e la cattedra di legname.
Al Capitolo dell’Annunziata. Il Baldacchino dorato.
Al Seminario. Gli avanzi della libreria dei soppressi Carmelitani, Domenicani, Agostiniani, e Conventuali [23].
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[23] Curia Vescovile, Carte dei soppressi Conventi, ecc.

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X. - Il Seminario Vescovile.

Nel 1837 essendo, per sovrana disposizione, cessato l’Ospedale militare delle Puglie, Monsignor D. Giuseppe Cosenza, Vescovo di Andria, profittando di tale occasione, presentò domanda al Ministro, e supplica al Re Ferdinando II, perché gli fosse stato concesso quel locale del Carmine, per uso del Seminario Diocesano. Il monarca annuì di buon grado alle preghiere del Cosenza, ed il 29 aprile del 1839, il Seminario fu aperto, ed il 31 maggio 1840 venne solennemente consecrata la Chiesa sotto lo stesso titolo, aggiungendovi quelli di S. Riccardo e di S. Carlo Borromeo, quali novelli protettori. Fece costruire tre altari di stucco lucido, due quadri, il pavimento di mattoni verniciati, le finestre, il pergamo, i confessionali, le gelosie dell’organo e del Coretto, la campana, e quanto occorreva, perchè potesse chiamarsi casa di Dio. Fece riportare novellamente nella sua antica sede il quadro della Vergine del Monte Carmelo, per la quale comprò pure due lastre di Boemia. A dir breve il Cosenza, per la sola Chiesa, spese la vistosa somma di ducati 1372-79 [24]. In quella ricorrenza, non saprei da chi, fu dettata la seguente iscrizione, che non fu incisa mai:
TEMPLUM HOC
DEIPARAE VIRGINI CARMELI TITULO
IAM INSIGNITUM
INIQUIS TEMPORIBUS AEGROTANTIUM MILITUM SORDIBUS
FOEDATUM PROFANATUM
JOSEPH COSENZA ANDRIAE EPISCOPUS
TITULO ALMAE VIRGINIS CONSERVATO
ADDITIS PATRONIS DIVO RICHARDO ET CAROLO BORROMEO
ARIS ERECTIS ADORNATISQUE
IN AUGUSTIOREM FORMAM CULTU SPLENDIDIORE
RESTITUIT
ATQUE INTER CIVIUM ADCLAMATIONES
PRIDIE KAL. JUNII AN CIƆIƆCCCXL
SOLEMNI RITU ET POMPA
CONSECRAVIT
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[24] Da una nota di spese, portate da Mons. Cosenza per la Chiesa del Carmine, favoritami dalla gentilezza di Mons. Arcidiacono D. Nicola Maria Troya, Prot. Apostolico ad. instar.

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XI. - Due Tombe gentilizie nella Chiesa del Carmine.

Essendo passata a miglior vita nel 1830 Vincenzina Porro, delizia unica di Riccardo e Maddalena Ceci, dieci anni dopo la seguì il suo genitore! Dapprima furono entrambi sepolti nella Chiesa di S. Sebastiano; ma per talune divergenze insorte con l’Arciconfraternita della morte; la signora Maddalena Ceci, moglie e madre affettuosissima dei cari estinti, chiese a Mons. Cosenza ed ottenne, che i due cadaveri fossero, nel 1843, trasferiti nella chiesa del Carmine.
La tomba di Vincenzina Porro, eretta a sinistra della porta maggiore, ha la forma di un’ara. Vi si vede un baule di verde antico, con l’immagine della tredicenne giovinetta, coronata da rami di papaveri. Un genio alato con la face capovolta le sta a destra, ed una giovinetta con un agnello a sinistra; in cima lo stemma di famiglia. Il monumento è terminato da due pilastri, che hanno le loro basi e cornici, ed il piedistallo di marmo nerognolo e rossastro. Nel mezzo vi si legge la seguente epigrafe:
MEMORIAE SEMPITERNAE
VINCENTIAE DILECTISSIMAE AMANTISSIMAEQUE FILIAE
D. RICHARDI PORRO
QUAE VENUSTATE AMOENITATE GRAVITATE
ANIMI CANDORE
VITAE INNOCENTIA INGENII SAGACITATE
RELIGIONEM MORUM AC SANCTITATE
PRAESTANS
CAETERIS QUAMVIS IN TENERA AETATE VIRTUTIBUS
ABUNDANS
ET NE MALITIA MUTARET INTELLECTUM EIUS
AD COELESTEM PATRIAM EREPTA EST XII KAL. JULII
D. RICHARDUS ET MAGDALENA CECI
ANDRIENSES PARENTES LACRUMANTES
H. M. P.
ANNO D. MDCCCXXX
COMPLETIS ANNIS XIII.
Il mausoleo di Riccardo Porro si eleva a destra della medesima porta. È tutto lavorato in marmi bianchi, con in cima il mezzo busto del benemerito estinto, e sopra lo stemma gentilizio. Una grande cornice fiorata cinge l’avello. Nel frontespizio si vede a basso rilievo l’addolorata consorte, che piange con lagrime non consolabili il marito. Ai fianchi due genii alati con le faci capovolte. Sotto si legge incisa questa epigrafe del Malpica:
O TU CHE TI AGGIRI
FRA QUESTE VOLTE SACRE AL SIGNORE
FERMATI PIANGI E PREGA
DI RICCARDO PORRO QUI LE OSSA DORMONO POLVERE
MENTRE LO SPIRITO SI RIPOSA IN DIO
NOBILE D’INGEGNO
DI COSTUMI SOAVISSIMI DI CUOR GENEROSO
VARCATO APPENA DI TRE ANNI L OTTAVO LUSTRO
LASCIAVA IL TERRENO ESILIO NEL DÌ 12 DECEMBRE 1840
FRA IL DOLORE DEGLI AMICI ED IL COMPIANTO DEI BUONI
MADDALENA CECI CONSORTE INCONSOLABILE
PER RACCOMANDARE ALLA MEMORIA DELLE GENTI
LE VIRTÙ DEL SUO DILETTO
ED IL PROPRIO AFFANNO
QUESTO SEPOLCRO INNALZAVA
Con istrumento del 21 ottobre 1843 per Notar Riccardo Latilla, la signora Maddalena Ceci fondò in questa Chiesa quattro Cappellanie semplici, con alquante messe cantate, donando per esse ducati annui 120, a peso suo, e dei suoi eredi. Con testamento poi del 21 maggio 1849, riconfermando tale fondazione, espresse il pio desiderio di volere dopo la sua morte essere sepolta accanto alle ceneri dei suoi cari; ma il suo desiderio rimase inesaudito, prima per l’opposizione di Mons. D. Gian-Giuseppe Longobardi, Vescovo di Andria, poi per le leggi vigenti!

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XII. - I Gesuiti.

Nell’anno 1850, essendo stati da Mons. Don Giuseppe Cosenza, preposti al regime del Seminario, i Padri della Compagnia di Gesù; la Chiesa del Carmine fu affidata alla loro direzione. Il P. Federico Tornielli, con il focosissimo ed operosissimo suo zelo, fece a devozione dei fedeli, rialzare il Campanile, che ornò di armoniose campane, delle quali una gli venne donata dalla munificenza di Re Ferdinando II, l’altra dalla pietà del signor Nicola Iannuzzi, la terza dalla devozione del popolo Andriese verso della sua cara Madonna del Carmine, e la quarta era la campanetta, che stava fin dal 1839.
Nella Chiesa i Padri innalzarono un altare ed una statua a San Giuseppe; fecero costruire sulla porta un’orchestra stabile per la musica; trasportarono dietro il maggiore altare la Sagrestia; fecero due grandi armadii, mutando l’antica Sagrestia in Oratorio per i Seminaristi.
Nel 1860, cacciati dai rivoltuosi i Padri della Compagnia, fu da Mons. Longobardi chiamato a sostituirli nel regime il Can.co Primicerio della Cattedrale di Andria, D. Giuseppe Maria Marziani, Dottore nell’uno e nell’altro dritto. Questi caldeggiò assaissimo il decoro ed il culto della Chiesa del Carmine, la fece riabbellire come e quanto meglio gli permise il suo zelo. Fece innalzare un altare ed una statua all’Addolorata dalla pietà della signora Agata Insabato nei Gioscia, e promosse la maggiore devozione della Vergine del Monte Carmelo. Finalmente D. Francesco Saverio La Rosa, Canonico della Collegiata Insigne di San Nicola, sciolse un voto, che aveva fatto, mentre era Seminarista, per essere stato liberato da certa morte; ed a sue spese rizzò un altare di marmo alla misericordiosa Madonna del Carmine, la quale, sebbene spesso spesso vegga questo suo tempio, ora chiudersi perfidamente al culto per opera dei malvagi, ed ora riaprirsi per opera dei devoti suoi; pure dall’alto di questa collina non cessa giammai di guardare, con occhio insaziabile di amore e di protezione, Andria sua.

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XIII. - II Convento.

Erano passati già sette anni, da che la Chiesa sacra alla Vergine del Monte Carmelo si andava rizzando; allorchè nel 1697, mercé la cooperazione e lo zelo del Duca di Andria, Ettore Carafa, di suo figlio l’Eccellentissimo Fabrizio, in allora reggente, e di altri due deputati, giusta le pietose disposizioni del nobile uomo Flavio de Eccelsis, cominciò ad innalzarsi il novello Convento. Ne fa fede la seguente lapida, posta a destra dell’ingresso nel Chiostro:
D. O. M.
DUCE ECTORE CARAFA ADIUVANTE PROMOVENTE
FILIOQUE EXCELLENTISSIMO FABBITIO NUNC REGENTE
VIRO NOBILI DE EXCELSIS FLAVIO PIO DISPONENTE
DOMUS ISTA CARMELITANAE MARIAE FILIISQUE
ERIGITUR
ANNO A PARTU VIRGINIS MDCXCVII
Questo Convento vide il suo termine nel 1741. Però la scalinata fu compiuta nel 1773, essendo Priore il P. Maestro Raffaele Bressani da Bari, figlio di questo Convento. Esso ha un chiostro sufficientemente vasto; è un perfetto quadrato, formato da pilastri di pietra lavorata, sopra dei quali s’innalzano degli archi. Nel mezzo una grande cisterna di limpida e freschissima acqua si apre. In fondo alle lunette interne del chiostro, è dipinta a fresco la storia del profeta Elia, da cui, dicesi, abbia origine l’Ordine Carmelitano; come pure gli uomini e le donne illustri di quest’Ordine. Sul portone, che mena al secondo piano, è pennelleggiata la Madonna del Carmine, in atto di dare il suo abitino a San Simone Stok. Mettevano in questo Chiostro otto stanze, la panetteria, il forno, la cucina, la dispensa, la cantina, ed il magazzino, che ora non esistono più.
Una commoda e larga scalinata, detta dai Frati la scala maggiore, a differenza della scala segreta, mena al secondo piano, formato da quattro grandi e molto ariegiati corridoi, intorno ai quali sono disposte ben diciassette camere, comprese tre del Refettorio, ed una del Deposito.
La Biblioteca formata in gran parte dal Priore Bressani nel 1773, aveva una stanza separata, ed era ricca di scelti libri; imperciocchè in questo Convento vi era lo studio della Filosofia e della Teologia [25]. Questo Chiostro aveva due loggiati, uno al di dietro, ed era il più piccolo, e l’altro più grande alla punta di esso.
Come il Monistero s’andava e poco a poco fabbricando; così venivano a poco a poco i monaci ad abitarlo. Per molti anni ve ne furono appena due, il Priore ed un Converso, e nel 1712, ne stavano appena sette, cioè tre Sacerdoti e quattro laici; non essendo ancora finito il fabbricato, nè completato il numero delle celle [26].
Allorchè nel 1773 ebbe il suo termine, questa casa riuscì: «una delle più amene, comode e gentili della Provincia, e fu abitata da numerosa famiglia [27]». Posta sopra della collina, vagamente sovrasta Andria, e tutto il bellissimo, e pittoresco panorama della città, e delle circostanti campagne, lussureggianti di messi, di viti, di mandorli, di ulivi, e di ogni specie di frutti, e sparse d’innumerevoli casini.
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[25] PASTORE, St. Mss. di Andria, Parte II, pag. 359.

[26] PASTORE, St. Mss. di Andria, Parte II, pag. 359.

[27] Esemplare di G. Ceci.

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XIV. - Lasciti fatti al Convento dei Carmelitani.

Col Convento e con la Chiesa del Carmine la devozione alla cara Madonna crebbe ogni giorno più in Andria, e con la devozione crebbero i pii lasciti in favore di questi Religiosi. Oltre di quelli, fatti dalla Griffi per la Cappella della Concezione, da Riccardo Carbone per quella del Carmine, e da Domenico Antonio Tupputi per quella di sant’Anna; troviamo quest’altri pii legati.
1. Il dottor Fisico Ferdinando Fellecchia, che in ottava rima scrisse un poema, pubblicato a Napoli nel 1685, sopra di San Riccardo, Vescovo e Patrono di Andria; per mezzo del Notar Girolamo de Micco fece, ai 31 luglio 1686, il suo testamento, ed istituì sua erede universale usufruttuaria Rosa Cirullo, sua madre; a condizione, che, dopo la morte di lei, tanto i beni di questa eredità, quanto i beni dotali e parafarnali di essa Rosa, ed altre sue ragioni, dovessero andare in beneficio del Convento dei Padri Carmelitani. Questi beni, in transazione, per evitare taluni litigi, che stavano per insorgere da parte degli eredi, furono i seguenti: 1.° Una casa consistente in tre camere, con cantina, sottano, soprani, pozzo, ed altri accessorii, posta dentro Andria, nella strada di San Francesco. 2.° Vignali 3 ed ordini 10 di terra, con alberi di mandorle, posti nel distretto di questa città, nel chiuso, detto di Burduito. Questi beni potevansi dai Padri vendere, senza solennità alcuna, ed il prezzo impiegarlo nella compra di beni fruttiferi, dai cui frutti dovevansi celebrare un numero di messe, alla ragione di carlini due la messa [28].
2. L’undici settembre 1714, la signora Giuditta Imparati, moglie del magnifico Domenico Antonio Sagariga, avendo fatto chiamare in sua casa, messa nella strada di S. Agostino, il Notar Donato Antonio Menduto, gli dettò il suo testamento. Dopo di avere raccomandata l’anima sua a Dio ed alla Vergine; tra le altre cose e comanda che il suo cadavere sia seppellito dentro la Chiesa di Santa Maria Vetere, fuora la mura di detta città, nella sepoltura detta del SS. Crocifisso, e che non debbano, o possano far pompe funerali, ma alla povera vita, facendo detta elezione di sepoltura per una volontà così continuata di seppellirsi in detta Chiesa dentro detta sepoltura». Istituisce, e con la sua propria bocca nomina, crea, e fa a sè suo erede universale e particolare il Convento del Carmine, con l’obbligo che i Rev.di Padri debbano dai frutti di sua eredità celebrare, nella Chiesa di S. Maria Vetere, una Messa cantata, col suono delle campane, nell’altare della Concezione di detta Chiesa, e messe 15 ogni anno per l’anima di essa Testatrice e suoi defunti, e che inoltre i Padri Carmelitani debbano celebrare in perpetuo, per sè e per i suoi morti, tante messe alla ragione di carlini due, quante se ne ricaveranno dai fruttati di quei beni, e debbano pure celebrarne tre, nel giorno del Santo Natale, anche in perpetuo. Ordina inoltre la Testatrice, che seguita appena la morte, si venda tutto il suo oro ed argento, e dal prezzo di esso si facciano celebrare in essa Chiesa, o altrove, per una volta sola; tante messe a grana dieci, quanto sarà il prezzo, per 1' anima sua e dei suoi defunti. Da questo argento vuole che si sottragga una posata, ed un bicchiere d’argento, che lascia al signor Domenico Antonio, suo marito, vita sua durante, e dopo vadano al Convento dei Carmelitani. Inoltre essa testatrice ordina al marito, che facendo parte della sua eredità una tovaglia ricamata, questa non possa prestarsi ad alcuno, ma debba servire nella esposizione del Venerabile, nella Chiesa di detto Convento. Al medesimo Domenico Antonio lascia circa vignali sei di terra, a condizione che, dopo la sua morte, debbano darsi al medesimo Convento, il quale dovrà farle cantare una messa nel dì della morte, nel settimo, ed al mese per una volta sola.
Nel giorno 3 decembre del 1720, la signora Imparati trovandosi inferma volle fare un codicillo, per mano del Notajo Nicola Bellapianta, e dispose che le messe, le quali dovevansi dire in S. Maria Vetere, si celebrassero dai Carmelitani, alla ragione di carlini due la messa, per sempre. Lascia pure una Cannacca di perle all’Immagine della Vergine del Carmine, ed alla Sagrestia un secchietto di argento, e molto rame, dopo la morte sua, col peso di vendersi, e farne celebrare tante messe a carlini due ad estinguersi, in detta Chiesa, per sé e per i suoi defunti; e lascia altre disposizioni a favore dei Carmelitani [29].
Per la morte di Domenico Antonio Sagariga, marito della Imparati, avvenuta li 5 novembre 1733, il Convento dei Carmelitani si mise in possesso dei vignali 6 ed ordini 6 di viti, posti nel chiuso di San Pietro, confinanti dalla parte di dietro col giardino del Convento di S. Maria Vetere. Di poi il 21 decembre del medesimo anno, con Istrumento del Notar Bellapianta, il Rev.do P. Alberto Morselli, Priore del Convento di Santa Maria del Carmine, li dava a miglioria a Mastro Francesco Ceci di Taranto, nato e domiciliato in Andria, a terza generazione maschile e femminile, per l’annuo canone di Duc. 10 e grana 50 [30].
3. Benedetto Saracino donò al Convento del Carmine una vigna ed ordini 10 in circa, anche nel chiuso di San Pietro, come da istrumento rogato dal notajo Michele Baldino, ai 30 ottobre 1710. Il Saracino si fece di poi religioso nel Convento di Andria, e quivi morì nel gennaio 1722. Ai 6 novembre 1730 il P. Maestro Giuseppe Lanzetta, Priore di esso Convento, la concesse in enfiteusi al Sacerdote D. Marino Santoro a terza sua nominazione maschile e femminile, per l’annuo canone di carlini 25 e grana 5, da pagarsi in ogni 15 agosto, come appare dall' Istrumento del Notar Giuseppe Bellapianta, del medesimo anno [31].
4. Finalmente Vito Antonio Civita, con testamento del Notajo Vito Domenico Menduni, il 5 maggio 1736, lasciò a questo Convento un capitale di Duc. 200, col peso di celebrarsi dalle rendite un numero di messe annue, con la elemosina di grana 22 ½, per l’anima sua, per quella di Angela Ficco sua moglie, e di Riccardo Carbone, suo primo marito [32].
5. In prosieguo i Frati Carmelitani, coi danari ricavati dalla vendita del secondo palazzo di Flavio de Eccelsis, messo alla via Lupicini, di un numero di animali esistenti nella masseria di Petrone, e dalle vendite di questo fondo, l’8 luglio 1694, come da Istrumento di Notar Donato Antonio Menduto, essendo Priore Frate Alberto Montenegro da Cerignola, ricomprarono dal Capitolo di San Nicola, per ducati 1590 un territorio di carra 5, con due parti di peschiera, nel luogo appellato Casa di Liso [33].
6. Fecero pure i seguenti acquisti: un palmento murato, con un piazzale innanzi, un torchio ed un pozzo nel tenimento detto Bottepiene.
7. Una cantina con pozzo, quattro camere e sottano, nel luogo chiamato Arco d’Andria.
8. Una bottega con soprano e pozzo, nella strada della Chiancata.
9. Vignali 4 ½ di terre seminatoriali, con alberi di mandorle, ed altri vignali 2, con diversi alberi di frutti, e vigne 8, ed ordini 34 di viti, con torre, pozzo ed altro nel chiuso, detto Casa d’Angelo.
I Carmelitani comprarono pure i seguenti corpi stabili, il 29 giugno 1714, dalla signora Carmosina Ciliberto, vedova del fu Leonardo Antonio Micale, per duc. 1334, coi 1500 ducati, ricevuti da Monsignor Adinolfi per la vendita a lui fatta del Palazzo de Eccelsis, alla Chiancata, per uso di Conservatorio. Li restanti ducati 166 furono impiegati nella rifazione delle camere, poste sulla cantina all’Arco d’Andria [34].
10. Versure 6 e vignale 1 di terra a Maccarone, che il Convento comprò da una certa Finizia Cirullo, vedova di Riccardo Colagrieco, ed altri vignali 3 in circa da Nicola Colagrieco, per ducati 9; dai quali furono dedotti carlini 20, per l’annuo censo di grana 10, dovuto alla mensa Vescovile. Il resto fu subito pagato, come da Istrumento del 10 febbraio 1687, rogato da Notar Domenico Genco [35].
11. Vignali 3 nel medesimo territorio, e propriamente al Trapizzo della via di Corato, appartenenti a D. Giovanni Gavetta, il quale trovandosi debitore verso della Ven. Confraternita di S. Angelo al Lago, fuori le mura di Andria, di ducati 48; le assegnò, col patto di ricompra, vignali 3, apprezzati ducati 90, che lasciò a beneficio del Convento del Carmine, il quale allora si stava ergendo, giusta il testamento di Notar Menduto del dì 7 febbraio 1693. Il Convento in forza di tale diritto pagò alla Confraternita li ducati 48, e questa gli rilasciò li 3 vignali, come dall’Istrumento di ricompra, stipulato dal medesimo Notaio, a dì 8 maggio 1701 [36].
12. Vignali 2, che il Convento comprò da D. Annella Piciono nell’istesso luogo, per ducati 20, dai quali furono dedotti carlini 20 per l’annuo censo di grana 10, dovuto alla Congrega del SS.mo della Cattedrale. Il resto fu pagato dal Convento in contanti alla medesima Annella, e questa alla sua volta, pagò ducati 4 alla sua sorella Lucia, la quale rinunziò a beneficio del Convento le ragioni, che essa vantava sopra i detti vignali, come da Istrumento stipulato dal medesimo Notaro, li 14 febbrajo 1713 [37].
13. Vignale 1, che i Padri comprarono da Grazia Ricaniello, vedova del fu Antonio Sardano e dai suoi figli, anche a Maccarone, per ducati 10; dai quali si dedussero carlini 10 per l’annuo censo perpetuo di grana 5, dovuto alla Confraternita del SS.mo della Cattedrale, come da Istrumento di Notar Menduto, dei 14 febbraio 1713 [38].
14. Vignale 1, che comprarono i Carmelitani dai fratelli Angelo Paolo e Nicolò Suriano, nel medesimo sito, per ducati 10; dai quali furono dedotti carlini 10, per l’annuo censo perpetuo di grana 5, dovuto alla medesima Confraternita, come da Istrumento dell’istesso Notaro, del 14 febbraio 1713 [39].
15. Il Convento comprò pure nell’istesso luogo Vignali 3 da Anna Nunzia Suriano, moglie di Michele Leone, e da Giuseppe e Michele Suriano, per ducati 30; dai quali furono dedotti carlini 30, per l’annuo censo perpetuo di grana 15, dovuto alla medesima Congrega, come da Istrumento di Notar Menduto, lì 16 febbraio 1713 [40].
16. Vignali 3 nell’istesso territorio, comprati dal Convento da Mastro Giuseppe Cocco, dal Chierico Riccardo, da Mastro Lorenzo, da Anna e Caterina di Bilanciaro per ducati 40, dovuti alla Commenda di S. Ciriaco, il resto fu pagato dal Convento in contanti ai detti venditori, come da Istrumento di Notar Menduto, lì 29 agosto 1713 [41].
17. Finalmente Vignali 3 nel medesimo territorio, comprati da Geronima Terlizzi e Grazia della Sala, per ducati 45, dai quali furono dedotti ducati 6, per l’annuo censo perpetuo di carlini 3, dovuti alla medesima Commenda, come da Istrumento di Notar Menduto, lì 6 novembre 1713 [42].
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[28] Platea omnium bonorum etc. fol. 125.

[29] Ibidem, fol. 163 e seg.

[30] Ibidem, fol. 180 t.°

[31] Ibidem, fol. 188.

[32] Ibidem, fol. 205 t.°

[33] Ibidem, fol. 205 t.

[34] Ibidem, fol. 24.

[35] Ibidem, fol. 50.

[36] Ibidem, fol. 59.

[37] Ibidem, fol. 62.

[38] Ibidem, fol. 63.

[39] Ibidem, fol. 65.

[40] Ibidem, fol. 67.

[41] Ibidem, fol. 69.

[42] Ibidem, fol. 71.

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XV. - Un maritaggio.

Ottavio de Eccelsis, nell’anno 1583, col suo testamento, rogato dal Notaio Consalvo de Morsellis, ordinò tra le altre cose, che seguita la sua morte, si pigliassero dalla sua eredità ducati 300, e se ne formasse un censo perpetuo, alla ragione del 10 % dai suoi eredi Giovanni Vincenzo, Pietro Paolo, e Flavio de Eccelsis, fratelli di esso testatore, per fare ogni anno, nel giorno della Concezione, un maritaggio di ducati 30, in persona d’un’orfana povera ed onorata di questa città. Flavio de Eccelsis confermò questa volontà, nel suo testamento, in favore dei Carmelitani, i quali soddisfecero tale pio legato, sino al 1686. Ma perché detto censo, poggiato sopra uno stabile di esso testatore, si era reso infruttuoso, il Convento mancò per molti anni di soddisfarlo. Saputosi dal Tribunale della Rev. Fabbrica, residente in Napoli, questo cominciò a molestare i Padri, che ricorsero alla S. Congregazione per essere ammessi ad una tollerabile transazione colla Rev. Fabbrica, sia per le sopraddette ragioni, sia perchè essi trovavansi nel principio della costruzione del loro Convento. Pertanto il 25 febbraio 1706, fu da Roma rescritto all’Ill.mo Pro Commissario Generale di Napoli per la composizione predetta a suo arbitrio, facendo pagare a questo Convento ducati 50 per il passato, ed obbligandolo a mettersi in corrente per l’avvenire. Nell’anno 1712 fu dai Carmelitani presentata un’altra supplica alla Congregazione del Concilio, per la rinnovazione del censo, perchè in tutto il Regno non correva più l’annualità al 10 %. La Congregazione rimise tale domanda al Vescovo di Andria, in allora D. Nicola Adinolfi, il quale ai 27 ottobre del medesimo anno, ordinò che il rinvestimento del detto capitale di ducati 300 si facesse dai medesimi Padri, con ordine della Curia Vescovile, alla ragione del 5 % in modo, che in ogni biennio fossero tenuti a fare detto maritaggio [43]. Ed infatti sino all’epoca della loro soppressione adempirono fedelmente un tale ordine.
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[43] Ibidem, fol. 217-218.

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XVI. - Quistioni tra i Capitoli della Cattedrale, S. Nicola
ed i Carmelitani per la festa del Carmine.

In Andria la festa della Madonna del Carmine fu celebrata sempre con pompa la più solenne che mai. Fin dal 1605, essendo stato nella Chiesa Collegiale di S. Nicola, eretta una Cappella, sotto l’invocazione di S. Maria del monte Carmelo; nella medesima, l’anno 1634, mercè lo zelo di alquanti pii Sacerdoti fu, col permesso dell’Ordinario, fondata una Confraternita di laici, sotto la stessa invocazione. Crescendo ogni giorno più nel popolo Andriese tale devozione, la solennità del Carmine, ai 16 luglio, cominciò a festeggiarsi con processione, con panegirico, con grande sfarzo, e con non ordinario concorso di popolo.
Circa l’anno 1610 anche nella Chiesa Cattedrale, una Cappella, posta sotto l’invocazione di S. Sebastiano, fu dedicata a Maria del monte Carmelo. Si fece un quadro molto bello per mano di un non mediocre pittore, chiamato mastro Andrea, con a destra e sinistra i Santi Stefano, e Sebastiano Martiri, e si cominciò, con eguale, anzi maggiore lusso, nel medesimo giorno a solennizzarne la festa. Senonchè il Capitolo Cattedrale per la supremazia che vantava sugli altri Capitoli, e per la sua unica parrocchialità, pretese che a lui esclusivamente competesse il dritto di farne la solenne processione per tutta la città, e che a tale processione fosse tenuto a prender parte tutto il Clero, sia secolare come regolare, alla maniera, che si praticava nella solenne processione del Corpus Domini. Il Collegio di S. Nicola portò la quistione innanzi alla S. Congregazione del Concilio, e questa, nel 1654, decise che la solennità del Carmine, con le processioni, e le altre solite funzioni, si dovesse celebrare dall’una e dall’altra Chiesa, in diversi giorni, però a quel modo, che nella medesima solennità si pratica, in Roma, tra la Chiesa di Santa Maria della Traspontina, ed in quella di S. Grisogono, cioè una processione nel giorno della festa, e l’altra nella Domenica seguente [44].
Intanto nel 1657, essendo finalmente cessato il terribile flagello della peste, che per sei mesi grandemente afflisse e decimò i miseri Andriesi; l’Università ed il popolo, forse per rendimento di grazie alla Vergine del Carmelo, che da tale castigo li aveva misericordiosamente liberati, un bel giorno tennero pubblica assemblea, e ad unanimità la elessero per celeste Patrona di Andria; indi per averne la conferma apostolica, scrissero alla S. Congregazione dei Riti. Il Capitolo di S. Nicola sospettando che, in tale deliberazione, vi fosse lo zampino della Cattedrale, con la quale, nei tempi andati, fu sempre in litigio, da passare entrambi per due acerrimi ed implacabili nemici, l’un contro l’altro armato; segretamente ricorse alla medesima Congregazione. Questa in data 30 giugno 1657, rispose non darsi luogo alla predetta Conferma [45].
Intanto mentre queste quistioni tra la Cattedrale e S. Nicola si erano in certo modo sopite; ecco poco dopo più di mezzo secolo, ridestarsi un’altra volta tra Carmelitani e la Confraternita laicale del Carmine ed Agonizzanti, canonicamente eretta nell’Oratorio della Cattedrale da Mons. Antonio Luca Resta, nel 1583. I Carmelitani nel 1709 pretesero che detta Congrega non potesse più portare il titolo del Carmine, nè potesse più festeggiare detta Vergine; ed altre simili pretese. La causa fu portata in Roma innanzi alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, la quale scrisse a Mons. Adinolfi per esserne informato. Il Vescovo premesso che la festività del Carmine si solennizzava da molti anni in Andria, prima che venissero i Carmelitani, i quali da trentatré anni appena erano venuti, ed attendevano ancora alla fabbrica del Convento; disse che esso Convento non era tuttavia perfezionato, e molto altro tempo richiedevasi per essere capace di contenere il numero necessario di Padri, ricercato dalle Costituzioni Apostoliche; non essendovi allora che tre sacerdoti e quattro laici appena [46].
Dopo ciò furono fatti alla S. Congregazione i seguenti dubbi:
1.° Se constasse che la Confraternita, eretta dentro la Chiesa Cattedrale di Andria, fosse sotto il titolo degli Agonizzanti, o piuttosto sotto quello del Carmine.
2.° Se la detta Confraternita debba trasferirsi nella Chiesa dei Carmelitani.
3.° Se stando la detta Confraternita sotto il titolo degli Agonizzanti, possano i Confratelli vestire l’abito di colore bianco, con la mozzetta di color rosso, o violetto, con l’effigie della Vergine del Carmine e delle anime del Purgatorio.
4.° Se i Confratelli possano questuare con l’istesso abito, e sotto il titolo della B. V. del Carmine.
5.° Se i Confratelli possano distribuire gli scapolari della B. Vergine del Carmine, con la licenza dei Padri Carmelitani, o senza di essa, ed ascrivere fratelli e sorelle alla detta Confraternita.
6.° Se i detti Confratelli possano nel giorno della festa del Carmine, o dentro l’ottava, solennizzarne la festa, fare la processione per la città, e godere delle Indulgenze, concesse dai sommi Pontefici, in occasione di detta festa.
La Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, udite le parti, dietro la relazione del Cardinale Corsini rispondeva in tal modo ai soprascritti dubbj, il 12 giugno 1711:
Al primo dubbio rispondea: affermativamente, alla prima parte, e negativamente alla seconda. Al secondo dubbio che si era provveduto nel primo. Al terzo rispose affermativamente. Al quarto rispondea che potevano, ma non sotto il titolo del Carmelo. Al quinto potevano, ma colla licenza dei Carmelitani e non altrimenti; in quanto alla seconda parte, potevano ascrivere alla Confraternita degli Agonizzanti. Al sesto dubbio rispondea negativamente.
L’anno appresso la Congregazione degli Agonizzanti riprese la causa, se cioè dovesse starsi, o allontanarsi dalla decisione, riguardante il sesto dubbio. Gli Eminentissimi Padri, ascoltate di bel nuovo le parti, dietro la relazione del medesimo Cardinale Corsini, stimarono doversi persistere nelle predette decisioni del 12 giugno 1711, e non doversi più riproporre tal causa. Così il Cardinal Carpegna, da Roma, lì 15 luglio 1712 [47].
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[44] CARD. DE LUCA, Lib. XIV, P. IV., Miscell. Eccl., Disc. XXXII Andrien solemn. pro Eccl. S. Nicolai cum Eccl. Cath. S. Mariae, pag. 77. Venet. M.DCCVI.

[45] PASTORE, Mem. mss. dell’origine, erezione della Chiesa di S. Nicola in Andria.

[46] Caose diverse ecc., (Arch. Capit. della Catt.).

[47] Platea omnium ecc., fol. 218 t. 219.

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XVII. - Litigi tra i Carmelitani e la Congregazione del Carmine di S. Nicola.

Erano passati ben quarantadue anni, da che queste quistioni tra i Carmelitani e la Confraternita degli Agonizzanti, erano state sopite; quando nel 1755 si ridestarono un’altra volta, con la Congrega del Carmine, eretta nella Collegiata di S. Nicola. Questa Confraternita, da circa un secolo, per decreto avuto dalla S. Congregazione dei Riti, celebrava la festività della sua titolare, nella Domenica in fra l’ottava, con l’intervento del Capitolo Collegiale, e col fare la processione per le strade della città, da determinarsi dal Vescovo. Il Vescovo di allora ordinò che le strade da percorrersi da questa processione, fossero quelle stesse, assegnate alla Collegiata, per la processione del Corpus Domini, nel lunedì dentro l’ottava del SS.mo Sacramento. La Congrega protestò contro tale decreto Vescovile, riserbandosi di far valere a miglior tempo le sue ragioni. Per la qualcosa nel 1755 ricorse alla Maestà del Re, esponendo il suo privilegio, e domandando la libertà di fare la processione per tutta la città, cosa che subito ottenne. I Padri Carmelitani a tale notizia ricorsero in Napoli al Delegato della Real Giurisdizione, sfolgorando, con amare ed acerbe parole, il Capitolo di S. Nicola, come fautore ed autore di tale usurpata giurisdizione. Varie ragioni furono addotte dai Carmelitani in quel Tribunale; ma essendo state esaminate e discusse, si conchiuse, che non pregiudicava affatto alla Religione Carmelitana la solennità di tal festa, con la processione; mentre questa si celebrava dalla Confraternita del Carmine, non nel giorno proprio di detta solennità, ma in un altro dì, secondo il decreto della Santa Congregazione. Per eseguirsi intanto siffatta decisione fu da Napoli data facoltà all’udienza di Trani, la quale destinò il Signor Uditore Panari, che il 20 luglio 1755, giorno destinato per tale funzione, venne in Andria ad istanza della Confraternita del Carmine, ed intimata la volontà del Monarca, ordinò che senza contradizione di veruno si eseguisse e si solennizzasse la contestata processione per tutta la città, a piacere dei fratelli e con l’associazione del Capitolo Collegiale, in abito corale.
Così ebbe termine questa contesa tra la Congrega del Carmine ed i Padri Carmelitani, che si svelenirono contro i Capitolari di S. Nicola, come autori di tale quistione; ed i preti di S. Nicola che, alla lor volta declamarono contro quelli della Cattedrale, e contro del Vescovo, Mons. D. Domenico de Anellis, che dicevano provocatori dei Frati contro di essi [48]. Erano le solite bizze, per cui nei passati secoli tanto facilmente si litigava!
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[48] PASTORE, Mem. mss. dell’origine, erezione della Chiesa di S. Nicola in Andria.

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XVIII. - I Frati Carmelitani contro il Capitolo Cattedrale per il dritto di sepoltura.

Terminati i litigi per la processione; ecco i Frati Carmelitani metterne in campo altri contro il Capitolo Cattedrale, per il dritto, che questo loro contrastava, di potere cioè seppellire i morti nella loro Chiesa. La quistione, al solito, fu portata in Roma innanzi alla Congregazione dei Vescovi e Regolari, la quale volle esserne informata dal Vescovo di Andria, Fra Cherubino Nobilione, che in data 15 novembre 1738 rispondeva: che dopo 40 anni dall’erezione del Convento e Chiesa del Carmine, i Padri pretesero nel 1723 il dritto di seppellire nella loro Chiesa; ma poi non ne parlarono più, sino all’anno 1732, in cui per altri quattro anni non curarono la decisione di tale causa.
Di nuovo nel 1736 fecero istanza presso della S. Congregazione contro il Capitolo Cattedrale, il quale ammettendo i Carmelitani, loro aveva negato il consenso di poter seppellire i morti nella loro Chiesa, perchè essi avevano ceduto a tal privilegio. Le ragioni da essi prodotte per ottenere il controverso dritto di seppellire erano che essi portavano i pesi d’intervenire a tutte le assistenze, che prestansi nella Cattedrale, nei giorni festivi di S. Riccardo, dell’Assunta, ed a tutte le processioni, e suppliche generali, e che la negazione di questo dritto era contro i privilegi concessi alla loro Religione. Secondariamente che nella fondazione del loro Convento e Chiesa in questa città, l’anno 1682, vi fu l’accettazione del Capitolo Cattedrale, e che essi costruirono molte sepolture alla vista di tutti, senza che alcuno vi si fosse opposto: che Mons. Adinolfi, nell’anno 1709 nel benedire la Chiesa, con essa benedisse ancora le tombe, che vi esistevano. E che infine in questa città le altre Religioni esercitavano pure questo dritto, che loro si negava. Le ragioni poi del Capitolo Cattedrale erano che nel darsi ai Carmelitani il consenso, di venire in Andria, si riservava il dritto di seppellire, dritto che gli spettava, come unica parrocchiale, e come si rileva dall’Istrumento di Girolamo de Micco, dei 17 decembre 1682, e dalla Conclusione Capitolare. Inoltre che il Capitolo non pretendeva impedire ai Carmelitani il dritto di seppellire nella loro Chiesa i cadaveri di chi si eleggeva in essa la sepoltura; ma solo che detti cadaveri si dovessero dal Capitolo trasportare dalla loro casa alla Chiesa tumulante del Convento, sul cui limitare essi dovessero pigliarselo, come si fa coi Padri Cassinesi, Cappuccini, e Padri di S. Giovanni di Dio. Che sibbene le altre Religioni di questa città intervenissero alle processioni funebri, con il Parroco della Cattedrale nella sepoltura dei cadaveri nelle loro Chiese, ciò è per antica concessione, non data ai Carmelitani. Che finalmente Mons. Adinolfi nel 1709 benedicendo la Chiesa, non benedisse le sepolture, ed anche ad averle benedette, servivano per quelli che ivi avessero eletta la loro tomba, portati però dal Capitolo Cattedrale [49].
Il 22 gennaio 1739 la S. Congregazione dei Vescovi e Regolari dette la sua relazione ai seguenti dubbj:
1.° Se competa ai detti Padri il dritto di seppellire i cadaveri di quelli, che si hanno eletta la sepoltura nella loro Chiesa. A questo dubbio rispose affermativamente.
2.° Se sia lecito ai medesimi unitamente al Parroco associare i cadaveri dei defunti, da tumularsi nella lor Chiesa, o piuttosto l’associazione spetti privativamente al Parroco e Capitolo fino alla porta di essa Chiesa. A questo dubbio rispose: alla prima parte affermativamente, e negativamente alla seconda.
3.° Se sian tenuti detti Padri di andare processionalmente a rilevare il Parroco della Cattedrale. A questo ultimo dubbio rispose pure affermativamente [50].
Per questa risoluzione il 6 aprile 1740 i Padri Carmelitani domandarono il Regio assenso, che fu loro concesso dalla maestà, del Re. E con tale quistione funeraria pare siasi chiusa l’era delle quistioni tra i Padri Carmelitani, i Capitoli, e le Congreghe laicali di Andria.
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[49] Caose diverse ecc., (Arch. Capit. della Catt.).

[50] Caose diverse ecc., (Arch. Capit. della Catt.).

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XIX. - Il Convento dei Carmelitani di Andria dichiarato di perfetta osservanza.

L’Ordine Carmelitano fioriva mirabilmente in Puglia, ed in gran numero i giovani domandavano di ascriversi a questa santa milizia. Laonde nell’anno 1722, il P. Provinciale dei Carmelitani Calzati di questa provincia spediva alla S. Congregazione della disciplina Regolare la seguente supplica: «E.mi e Rev.mi Signori, il Provinciale dei Carmelitani Calzati della provincia di Puglia, riverentemente espone alle EE. VV. come stante la quantità dei giovani professi, non ha detta Provincia Conventi bastanti, approvati da cotesta S. Congregazione per fare i detti giovani il loro professato; per ciò supplica umilmente l’EE. VV. degnarsi approvare per tale effetto il Convento di Andria, dove si vive con tutta la regolare osservanza. Che della grazia ecc.».
In risposta a tale supplica riceveva questo rescritto: «La S. Congregazione della disciplina Regolare, col tenore del presente decreto, designa, e deputa per il Professorio l’enunciato Convento di Andria, ed in esso dà licenza ai Superiori Regolari dell’Ordine dei Carmelitani, ai quali appartiene di collocare i religiosi professi, sotto la cura però del Maestro da deputarsi loro in modo speciale, e con l’obbligo di ivi esattamente osservarsi tutte le costituzioni dell’Ordine, riguardanti la legge del Professorio, e la vita comune, che gli stessi ànno professato. Non ostante qualunque cosa in contrario. Roma, lì 20 ottobre 1722. Il Cardinal Imperiale» [51]. Il Convento adunque di Andria era l’unico Convento Carmelitano di regolare osservanza, nella Provincia di Puglia.
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[51] Platea omnium bonorum ecc., fol. 220 t.

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XX. - Si formano in Andria undici Compagnie di Guardia Nazionale.

Mentre l’armata repubblicana di Francia, capitanata dal Generale Championnet, entrava vincitrice in Napoli nel 1799; i Borboniani si sollevavano nelle provincie, e le città si armavano per opporvi una valida resistenza. Andria, il 5 febbraio di quell’anno, radunò tutti i capi dei Capitoli, degli Ordini Religiosi, e delle famiglie e formò la Guardia Civica, divisa in undici compagnie, capitanata da Tommaso Accetta, per la propria difesa. Dell’Ordine dei Carmelitani intervennero il P. Alberto Marziani sotto Priore, ed il P. Giuseppe La Cinesta. In questo stesso mese essendo «pervenuta in Trani la notizia d’esser questa popolazione a favore del Re; si mosse una truppa di quel popolaccio a venire, come venne difatti in Andria, offrendo roba in aiuto, e vita, promettendo, giacché il castello era sotto al pieno loro dispotismo, somministrare pur anche armi e cannoni.
Quando questi frascari, zappatori, e facchini si viddero tal gente ardita al fianco e temeraria, si fecero cosi ardimentosi, che si avanzarono a carcerare alla cieca il Carmelitano P. Riccardo Cicco, un P. Agostiniano, forestiere qui stanziato, Vincenzo Latilla, Geremia Attimonelli, Riccardo de Dominico, Nicola Calabrese, Ignazio Addati ed altri; e dopo alquanti giorni di prigionia, li trasmettono insieme con Giuseppe Noja, e con i tre Connone, nel Castello dei loro novelli confederati, a fine di farne, quando loro piacesse, un crudo macello! Non passò molto ad eseguirsi l’infame loro disegno. Poiché fu nella vigilia di quel triste giorno (1.° aprile 1799) che quella ben agguerrita città fosse vergognosamente abbandonata dai suoi codardi e vili battaglioni urbani alla forza francese. Giuseppe Noja, Ignazio Addati, i figli di Connone col padre ed altri 26 tra Canonici, Frati, Galantuomini e bennati naturali Tranesi, che si trovavano nell’istesso carcere ristretti, furono dal furore di quel popolaccio indegno di Trani miseramente uccisi! Riccardo de Dominico venne, mortalmente ferito, a morire, dopo pochi giorni, nella sua casa, e gli altri, Dio sa, come camparono miracolosamente la vita» [52]. Tra questi restò prodigiosamente illeso il Carmelitano Padre Riccardo de Cicco, il quale in vedere, sotto una grandine di palle, cadere intorno a sé uccisi ben trenta Andriesi e Tranesi; invocò fiducioso il patrocinio della Vergine del Carmine, ed alzando il santo Scapolare, vide, mirabile a dire, le palle cadere innocue a lui davanti! A tale prodigio quei feroci marinai si commossero, liberarono immantinente dal carcere il Padre de Cicco, e raccolto un obolo, vollero che celebrasse per essi una messa alla Vergine, nella loro Chiesa del Carmine!
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[52] CAN.CO D. VINCENZO FRASCOLLA. Avvenimenti funesti della Città di Andria nel 1799, mss.

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XXI. - Il 23 Marzo 1799.

Il 23 marzo 1799 i Francesi, dopo una terribile resistenza da parte degli Andriesi, sfondata la Porta del Castello, si precipitarono furibondi in Città, in cui ogni casa sembrava un castello, «essendo mirabile il valore dei Borboniani, tanto che dieci di loro, dentro debole casa, sostennero per molte ore gli assalti di forte battaglione francese» [53]. Alcuni dei repubblicani, giunti sulla collina del Carmine, in fretta ed in furia salirono le scale del Convento, e spiranti ira e vendetta, lo corsero tutto!
Un soldato francese, grondante sangue da un’orecchia, ferita da una palla, tiratagli contro dall’alto del campanile, in vedere in mezzo ai corridoj il P. Alberto Marziani, gli corse incontro, e mostrandogli la ferita, gli spianò il fucile, e tirò il grilletto per ucciderlo. Ma il Marziani spaventato, invocò la Madonna del Carmine, ed il fucile non dié fuoco; e quegli senz’altro, mettendoselo ad armacollo, partì immantinente! Mentre il P. Marziani raccontava ai compagni l’accaduto; ecco presentarsi loro un altro soldato a domandare del P. Predicatore, chiesto premurosamente dal Generale Brussier; ma prima di averne risposta, andò via!
Questo predicatore era stato il P. Maestro Nicola Maria Camaggi, che in quei giorni, costretto dalla plebe inferocita, dovette predicare in mezzo alla piazza di S. Agostino, contro dei repubblicani Francesi. Dopo di ciò i Frati si dettero spaventati alla fuga, gittandosi dalla finestra del Refettorio, che guarda il giardino della SS.ma Annunziata. Di essi alcuni si nascosero in una grotta del Palmento di Saverio Calvi, ed altri si rifuggiarono nel loro Casino, a Casa d’Angelo. Solo lasciò nel Convento il P. Vincenzo Greco, il quale vecchio qual era, e podagroso non potè fuggirsene. Quando il povero vecchio vide i Francesi corrergli contro, li supplicò, con voce tremante, a volergli risparmiare la vita, perchè inchiodato su quel seggiolone, era incapace di far male a chicchessia; ne ebbero compassione, e lo lasciarono stare in pace! Intanto i repubblicani saccheggiarono le celle e la Chiesa, indi raccolti in mezzo ai corridoi i pagliericci dei Frati, vi accesero spietatamente il fuoco, il quale appiccandosi alla vicina Biblioteca, tutta la incenerì! In mezzo a quell’incendio rimase pure bruciata una cassettina, entro cui stava custodito il Bambino della Statua della Madonna del Carmine. Fu pure preda delle fiamme il ritratto in tela del benemerito fondatore della Chiesa e del Convento, Flavio de Eccelsis! I Padri di allora erano il Reggente P. Tomaso Mininno, P. Alberto Marziani, P. Nicola Maria Camaggi, P. Giuseppe La Cinesta, P. Elia Porzio, Fra Filippo, Fra Stefano, Fra Angelo, e Fra Michele, tutti Andriesi. Questi taciturni, mesti e costernati, il giorno dopo, che fu la solennità di Pasqua di Risurrezione, ritornarono nel loro Convento, che ahi ardeva ancora, e col triste bagliore delle fiamme, col suo fumo nerastro, riempiva di orribile spavento i loro animi terrorizzati!
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[53] COLLETTA. Stor. del Reame di Napoli, vol. I. Lib. IV, pag. 286.

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XXII. – L’Ospedale militare delle Puglie.

Mentre il principe Francesco regnava in Napoli, ed il padre, Re Ferdinando IV, stava in Sicilia; un presidio francese, in forza del trattato di Firenze, stanziava negli Abruzzi, e nelle Puglie.
Ai 24 giugno 1804, il Sindaco di Andria, Nicola Fasoli, faceva sapere in Consiglio, come il Signor Preside di Trani, il Brigadiere Giambattista Spiriti, gli aveva con lettera significato esser vicino l’entrata della Truppa Francese, per cui le Università adiacenti, al passaggio di quella, dovevano approntarsi per l’approvvigionamento necessario, che verrebbe tassato, con stabilire ancora un luogo adatto per l’Ospedale. All’uopo furono scelti il Capitano Consalvo Ceci, Domenico Accetta, Tommaso Barra, e Luca Antonio Valenzano [54].
Il giorno 3 ottobre, giunse in Andria la suddetta truppa di 1200 armati, compreso l’ospedale, che fu impiantato provvisoriamente nel Convento dei Carmelitani [55], per gli ammalati della medesima truppa e per quei della Provincia [56]. Ai 19 marzo 1806, il Sindaco di Andria, che in allora era D. Vincenzo Montenegro, ricevè ordine della prossima venuta in questa città dell’ospedale militare, ed a tale scopo, radunato il Consiglio, elesse per deputati Mastro Vincenzo di Pietro, Mastro Donato de Cicco del fu Sebastiano e D. Nicola Inchingolo [57]. Il 25 giugno del medesimo anno, l’Ospedale si era già definitivamente stabilito nel Convento del Carmine, ed il medesimo Sindaco facea sapere ai Consiglieri, come per ordine del Commissario di Guerra, il Signor Guizzardi, dovesse chiudersi quella Fossa [58], ove si dava sepoltura ai cadaveri dell’Ospedale militare, giacché gli aliti pestiferi, che di là esalavano, erano causa di pericolose malattie. Ordinava pure doversi innalzare una parte del muro del cortile di detto Ospedale, affinchè non uscissero fuori gli ammalati, e non potessero disertarsi. Finalmente comandava dovesse stabilirsi un corpo di guardia in detto Ospedale, con tutti quegli effetti, che sarebbero stati necessarii [59]. Ai 23 ottobre del medesimo anno, il general Sindaco di Andria, D. Nicola Mita, convocato pubblico parlamento, tra le altre cose, ricordò che in questa città trovavasi da più mesi stabilito l’Ospedale militare, in cui quasi sempre eravi un numero non meno di circa 400 ammalati, con moltissimi impiegati, e con la guarnigione militare di esso Ospedale di circa 30 soldati, col loro comandante [60].
Intanto i quattro grandi corridoi del Convento accoglievano gli ammalati; mentre le celle dei Frati servivano pel Comandante, per gli ufficiali, pei medici, pei chirurgi, pel Cappellano, pei servienti e per la Farmacia dell’Ospedale.
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[54] I.° Libro in cui si notano tutti li Parlamenti dell'Univ. di Andria ecc. (Arch. Comunale).

[55] D' URSO. Stor. della Città di Andria, Lib. VIII, pag. 179.

[56] I.° Libro in cui si notano tutti li Parlamenti dell'Univ. di Andria ecc., pag.269. (Arch. Comunale).

[57] I.° Libro in cui si notano tutti li Parlamenti dell'Univ. di Andria ecc., pag. 301. (Arch. Comunale).

[58] Quella fossa volgarmente è denominata centrullo, che è una voragine.

[59] I.° Libro in cui si notano tutti li Parlamenti dell'Univ. di Andria ecc., pag. 301. (Arch. Comunale).

[60] I.° Libro in cui si notano tutti li Parlamenti dell'Univ. di Andria ecc., pag. 314. (Arch. Comunale).

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XXIII. - I Carmelitani domandano il Chiostro dei soppressi Cassinesi.

Impiantato l’Ospedale militare nel Convento dei Carmelitani, i Frati dovettero malvolentieri abbandonare le loro celle!
Siccome poi nella notte del 16 febbraio 1807, i Padri Cassinesi erano stati cacciati dalla loro Badia di Santa Maria dei Miracoli d’Andria; i Carmelitani nel 1809 avanzarono supplica al Re Gioacchino Murat, esponendogli come il loro Convento, Chiesa e Sagrestia, essendo stati da parecchi anni, convertiti in Ospedale militare; Monsignor Vescovo aveva loro assegnato una Chiesa in mezzo alla Città, quella di Santa Maria Mater Gratiae; supplicavano quindi la Maestà del Re, affinchè concedesse loro il Monastero, e la Chiesa degli ex Cassinesi. Una tale supplica fu sottoscritta dai Padri, Nicola Maria Camaggi, Riccardo de Cicco, dal Vicario Priore, Tommaso Maria La Ginesta, Alberto Marziani, Giuseppe La Ginesta, Elia Porzio, Giuseppe Sinisi, e dai Laici professi Fra Giammaria Ettoli, Fra Michele Ventura, Fra Tommaso Molino, Fra Carmelo Barzolo, Fra Camillo Tempesta, Fra Filippo Tessa, e Fra Angelo de Nicolò.
Pervenuta al Re tale supplica, il 28 maggio 1809, il Duca di Cansano, consigliere di Stato ed Intendente della Provincia di Bari, scrisse a Monsignor Lombardi per sentire il suo parere. Questi con una lettera, datata il 19 luglio, gli rispose: trovar regolare la dimanda dei Carmelitani, perchè secondo il loro Istituto avessero potuto continuare a vivere vita religiosa, ed in pari tempo la trovava pure utile per il popolo Andriese. Imperciocché non essendo quell’Abbadia abitata, e non facendosi gli accomodi, e le riparazioni necessarie, tra poco sarebbero cadute quelle fabbriche, che ornai servivano di nidi agli uccelli, e di ricettacoli agli scandalosi e malviventi; essendo quella Badia situata circa un miglio lontana dalla città, e nel passaggio delle vie, che da Napoli, Melfi, Cerignola, Canosa, Minervino, Barletta, e da molti altri luoghi, portano nella città di Andria, ed in altre città della Provincia. Quindi abitandosi tale monistero da una Comunità Religiosa, resterebbero non solamente conservate le fabbriche, e tolti molti gravi inconvenienti; ma rimarrebbe ancora soddisfatta la popolazione di Andria e del Circondario, vedendo riaperta quella Chiesa, dove vi era gran concorso di popolo, per la devozione ad una Imagine della SS. Vergine, esistente nel soccorpo, ed in quel Circondario si darebbe a moltissime masserie e vigneti con abitazioni, la comodità della messa, nei dì festivi, e sopra tutto nel tempo della mietitura, della vendemmia, e nei mesi d’inverno. In fine il Vescovo assicurava il Duca che la disciplina monastica ed il servizio della Chiesa sarebbero esattamente osservati, perché i Religiosi Carmelitani erano tutti costumati, alla testa dei quali stava l’ex Provinciale Padre Tommaso La Cinesta, soggetto degnissimo per talenti, per cognizioni, e per esemplarità di vita [61].
Intanto mentre queste pratiche si facevano tra il Vescovo di Andria ed il Duca di Causano, in favore dei Carmelitani; nel settembre del 1809, per genio ed avarizia finanziera, venivano sciolti tutti gli Ordini monastici possidenti, lasciandosi solamente i mendicanti!
Nel concordato del 16 febbraio 1818, coll’articolo III erasi detto: «Ristabilimento dei Conventi nel maggior numero, che si possa, avuto riguardo alla quantità di beni restituiti, ed alle assegnazioni possibili alla finanza»; ma i Carmelitani non furono più ristabiliti in Andria, perché il loro Convento e la loro Chiesa continuarono ad essere Ospedale militare fino al 1836, ed i loro beni erano già stati prodigamente venduti tutti! Dei frati superstiti, che ogni speranza avevano perduta di ritornare nel loro Convento, parecchi col permesso della Santa Sede, si secolarizzarono, e furono aggregati nei due Capitoli Collegiali. Il P. Elia Porzio fu ascritto a quello di San Nicola, dove, dopo il 1799, era stato ascritto il Padre Delmastro, secolarizzatosi per necessità di famiglia; ed i Padri de Cicco, e Sinisi a quello dell’Annunziata. Gli altri non vollero abbandonare la loro cara Madonna del Carmine, che continuarono a venerare e festeggiare, con grande concorso di popolo, nella Chiesa di Santa Maria Mater Gratiae.
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[61] Incartamenti dei Conventi soppressi. (Curia Vescovile)

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XXIV. - Vendita dei Carbonari in Andria.

Nell’anno 1813 si fondò in Andria una importante vendita di Carbonari, che nel 1820 contava ornai 304 socii. Ne fu gran maestro dal 1816 al 1820, il medico Nicola Avolio, antico massone, che nel marzo del 1821, partì come Tenente della legione, alle frontiere contro gli Austriaci. Prima assai del 1820 esistè pure in Andria un’altra Società di Carbonari, che ebbe varii nomi cioè: dei Greci in solitudine: dei Cinque ovvero: del silenzio dei Greci. A quest’ultima società erano ascritti oltre 76 individui. Ne furono capi e direttori l’agrimensore Pasquale Pisani di Giovanni, ed il napoletano Francesco de Dominicis, domiciliato in Andria. Di questa società fu pure Regolatore il Canonico della Collegiale di San Nicola, D. Nicola Porzio, antico massone, ed ex Carmelitano [62]. In allora i Carbonari in Andria venivano iniziati ai misteri settarii, nel Refettorio una volta dei Carmelitani e poi dell’Ospedale militare delle Puglie, dagli Ufficiali francesi!
NOTE    (Nell'originale le note sono di chiusura, poste a fine trattazione)

[62] DENINNO. Le vendite dei Carbonari della Terra di Bari nel 1820.

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XXV. - Il Seminario Diocesano.

Nel 1836, per sovrana disposizione, l’Ospedale militare del Carmine fu chiuso. Mons. D. Giuseppe Cosenza, in allora Vescovo di Andria, profittando di tale favorevole occasione, presentò una domanda al ministro, ed una supplica a Re Ferdinando II, affinchè gli fosse stato concesso d’invertire il soppresso locale ad uso di Seminario Diocesano, perchè quello, che già stava accanto all’Episcopio, era disadatto ed incomodo assai. Il Re ben volentieri, il giorno 5 giugno 1837, si compiacque decretarne l’inversione, e Cosenza, avuta la consegna dell’ospedale, li 24 agosto del medesimo anno, contribuì munificamente alla maggior parte delle spese, che ammontarono a ducati 2985, 46 ¼. Sotto la direzione dell’Architetto Nicola Matera, fece abbattere dall’appaltatore Nicola Moscatelli le celle dei Frati, e formarvi sei Cameroni, oltre alle tante aggiunzioni e ristauri.
Il 29 aprile 1839, in mezzo alla gioia dell’intera cittadinanza, il nuovo Seminario fu aperto ai giovani Chierici, sotto la disciplina del benemerito Rettore D. Giuseppe Troya, Can.co Primicerio della Cattedrale.
A perenne memoria del fatto, fu dettata la seguente iscrizione; ma non fu mai incisa sopra alcuna memore pietra!
HOC COENOBIUM ANTEA CARMELITARUM
ANNO CIƆIƆCCCVI
IN MILITUM CONVERSUM NOSOCOMIUM
GREGORIO XVI PONT. MAX.
AC FERDINANDI II UTRIUSQUE SICILIAE REGIS P. F. A.
SINGULARI PRORSUS CONSILIO ET PROVIDENTIA
ANDRIENSIS DIOECESIS CLERICORUM SEMINARIO
VETERE NIMIUM ANGUSTO
NUNC DESTINATUM
QUO PUBES IN SPEM LAETAM
RELIGIONIS SUCCRESCENS ET CIVITATIS
LITTERIS SCIENTIISQUE COMMODIUS INSTITUERENTUR
IOSEPH COSENZA ANDRIAE EPISCOPUS
ÆRE SUO
REFECIT AUXIT ORNAVITQUE
AN. R. S. CIƆIƆCCCXXXIX.
Nel 1848 scoppiata la rivoluzione, il Troya fu dai rivoluzionarii cacciato via, ed il Seminario disciolto! Si riaprì nel 1849, sotto la direzione dell’ex Domenicano, il Padre Tozzi da Cerignola. Ma il Cosenza a cui era sommamente a cuore la buona educazione e l’ottima istruzione del clero, saviamente pensò affidarlo ai Padri della Compagnia di Gesù, i quali vennero a prenderne il reggime nel 1850. Per un decennio gli studi e la pietà furono bellamente in fiore per opera di quelli; ma per somma sventura i moti politici del 1860, li cacciarono via da quel luogo! Ne gioirono i tristi, n’ebbero sdegno i buoni.
Ai Gesuiti successe provvidenzialmente in quel reggime il Can.co Primicerio della Cattedrale, D. Giuseppe Maria Marziani, uomo per mente, per cuore, per tenacità di propositi unico anzi che raro. Egli non fece sentire la mancanza di quelli. Senonchè per inscrutabile giudizio di Dio, il Marziani nel 1874, con la coscienza tranquilla di aver fatto il suo dovere, si vide nella dura necessità di dovere abbandonare il Seminario! Da quel giorno non fu più possibile contarne i reggitori, tanti ne salirono e ne discesero a breve intervallo gli uni dagli altri! Da quel giorno il Seminario addivenne quella inferma Dantesca, che non può trovar posa in su le piume; ma con dar volta suo dolore scherma! (Purg., C. VI, v. 150).
È questa la storia delle vicende del Convento dei Carmelitani in Andria dal 1690 al 1899!