Il Convento e la Chiesa di S. Maria Vetere

Contenuto

Monografie Andriesi

di Emmanuele Merra, Tipografia e Libreria Pontificia Mareggiani, Bologna, 1906, Vol I, pagg. 383-457
Chiesa di S. Maria Vetere

VII.
Il Convento
e
La Chiesa di Santa Maria Vetere

sommario


I. - Il Convento.

Francesco d’Assisi, il santo più popolare, più poetico e più simpatico che vanti l’Italia nostra, fu come l’anima del secolo XIII e dei susseguenti. Non vi fu città che a lui non dedicasse un tempio ed un altare; non vi fu città che per l’Ordine di lui non murasse un chiostro, e non ne riguardasse i figli come una eletta benedizione di cielo. Fra queste città non ultima fu Andria, che pochi anni dopo la morte preziosa del santo uomo, due conventi gli eresse, uno pei Minori Conventuali e altro pei Minori Osservanti.
A poca distanza dalle mura di Andria, ora distrutte, sopra una dolce collina donde tutto si vede bellamente il panorama della sottoposta città, accanto ad un’antica chiesetta, appellata Santa Maria Vetere, è fama che gli andriesi di santo amore bollenti pel Serafino d’Assisi abbiano a pubbliche spese rizzato un chiostro ed una chiesa per l’Ordine dei Minori Osservanti da lui istituito [1]. I frati infatti di Santa Maria Vetere sono stati sempre mantenuti dalla Università di Andria, con la elemosina che sin dal principio della loro fondazione fu stabilita, cioè di 8 tomola di grano al mese, 30 some di vino e ducati 59 all’anno [2].
Sebbene il monistero dei Minori Conventuali di Andria si fosse cominciato a costruire nel 1230, e si fosse terminato nel 1346 [3]; pure questo di Santa Maria Vetere è il decimo fra i quarantotto della Provincia monastica di San Nicola; mentre qui ordinariamente faceva dimora il Ministro Provinciale; qui se ne conservava archivio; di qui usciva il visitatore degli altri conventi; e nelle sacre processioni prendeva il posto più onorifico di quello dei Conventuali [4]. Che se citasi una Bolla di Papa Eugenio IV dell’anno 1438, relativa alla fondazione di questo cenobio [5], essa dove senza dubbio ritenersi come una conferma, o come una sanatoria dell’erezione già fatta [6]. In quel tempo fungeva da Vicario provinciale un certo frate Antonio da Andria, a cui il medesimo Pontefice, con Bolla datata da Firenze l’11 settembre 1435, aveva data la facoltà di fondare tre conventi, tra i quali quello di Melfi [7]. Di questo frate Antonio da Andria fa menzione il Wadding negli Annali dei Frati Minori sotto l’anno 1438 [8]. Che poi la Bolla di Papa Eugenio IV sia stata veramente una conferma del convento dei Minori Osservanti, fondato in Andria, presso la chiesa di Santa Maria Vetere, molto tempo prima, si rileva dai seguenti fatti. Fin dal 1398 troviamo esser morto in odore di santità in questo convento, e seppellito in questa chiesa, un certo Fra Onorato sacerdote [9]. Nel 1419 qui venne tumulata Antonia Brunfort, figliuola di Federico, conte di Bisceglie, e moglie di Guglielmo Del Balzo, duca di Andria. Rilevasi dalla seguente epigrafe incisa sulla sua lapide sepolcrale, tra i due stemmi inquartati delle famiglie Del Balzo e Brunfort:
Lapide Antonia Brunforte, moglie Guglielmo del Balzo, 1419

DIGNA POLO PATRIA,
MULIEBRIS NORMA PUDORIS
DE BRUNFORTE JACET ANTO
NIA HIC VIGILIARUM STIRPS CO
MITIS, QUONDAMQUE TUIS DUX
ANDRIA SCEPTRUM.
1419.

Ai 23 aprile 1420 Francesco I Del Balzo, duca di Andria, facendo il suo testamento, che da alcuni giustamente si ritiene per apocrifo, chiama legatarii i frati di questo chiostro:
« Item lasso al monastero di S. Maria Vetere oncie sei pro una vice tantum » [10]. Questo convento adunqne non fu fondato nel 1438, ma molto prima. Esso, come dice il Wadding, ebbe l’obbligo di mantenere lo studio di teologia pei suoi alunni ed un ospedale pei suoi infermi [11]. Se non che coll’andare del tempo la scuola teologica venne, verso il 1650, trasferita prima in Lecce, e poi nel 1653 in Barletta, restando in Andria la scuola di filosofia [12]. Nel 1778 lo studio di teologia passò novellamente in Santa Maria Vetere. L’ospedale fu traslatato in Bari, e per cura del Ministro Provinciale, Fra Giacomo da Acquaviva, venne eretto dalle fondamenta.
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero argomento)

[1] Prope civitatem Andriae in Regno Neapolitano ex publicis facultatibus domus altera B. Mariae Veteris nuncupata, constructa est. LUCAS WAIDDINGUS, tomus XI, Annales. Minorum. Anno 1438, p. 51.

[2] Da notizie contenute nel Processo n. 996, vol. 164 della Pandetta nuova della Sommaria, conservata nell’Archivio di Stato di Napoli.

[3] E. MERRA, La chiesa di San Francesco in Andria Cenni storici. Trani, V. Vecchi, 1894, p. 4.

[4] D’URSO, Storia della città di Andria, lib. IV, cap. VII, pag. 72.

[5] Conventus hic in honorem B. V. Mariae Veteris, extra maenia civitatis Andriae, anno nostrae salutis 1438 ex publicis Andriensium sumptibus, et Apostolica Eugenii IIII Pont. Max. auctoritate erectus atque aedificatus fuit. F. BONAVENTURA A FASANO, Memorabilia minoritica Prouinciae S. Nicolai Ordinis minorum regularis obseruantiae, p. I. cap. V, p. 22.

[6] PASTORE, Storia mss. della città d’Andria, p. II, cap. VI, parag. 194. p. 135. Copia di G. Ceci.

[7] Admonet nos suscepti cura etc. Datum Florentiae, III Idus septembris 1435. BONAV. A FASANO, Mem., p. 81.

[8] Tom. XI, Annales Ordinis Minorum, anno 1438, p. 50. BONAV. A FASANO, Mem., p II, cap. I, pp. 80, 81.

[9] BONAV. A FASANO, Mem. Min. obser. etc., p. II, cap. VII, p. 150.

[10] D’URSO, Stor. d’Andria, lib. V, cap. IX, p. 100. Nel PASTORE Si legge: oncie 4, pag. 231.

[11] [Anno Christi 1438 - Eugenii IV anno 8 - Alberti Imp anno I. - Religionis Minorum anno 231 - Vicarii Observantium: Apiliæ, Antonium de Andria]
XXXI. Prope civitatem Andriæ in Regno Neapolitano ex publicis facultatibus domus altera beatæ Mariæ Veteris nuncupata, constructa est, quæ bino inservit usui, & adolescentibus in Theologia erudiendis, & infirmis medendis. LUCAS WAIDDINGUS, tomus XI, Annales. Minorum, Anno 1438, pp. 50-51.
— « Duplici fungitur munere hic conventus, in honor gloriosissimae V. Mariae e vestigio civitatis Andriae erectus, atque publicis Andrianensium sumptibus ex apostolica Eugenii IV. P. M. auctoritate, anno Dominicae Incarnationis 1438 aedificatus, valetudinarii videlicet, atque studij, cum et adventantes huius Provinciae patres fratresque infirmos humanissime exci piat, diligentissimeque medeatur, atque 18 studentes Theologos sub uno praelectore contineat sustentetque » F. FRAN. GONZAGA, De Origine Seraph. Relig. Franc. etc., Venetiis, 1603, p. II, Prov. S. Nic., p. 463.

[12] BONAV. A FASANO, Mem. Min. Prov. S. Nic., p. cap. V. p 22.

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II.  Anna de Salzedo.

In tempo in cui la Duchea di Andria fu feudo del gran capitano Consalvo di Cordova, questo convento trovò una benefattrice insigne nella pia signora Anna de Salzedo, sorella del governatore di Andria, Giorgio, che ne prese possesso nell’ottobre 1544, e vedova del gentiluomo Giovanni de Poggio, marchese di Marcianise. Invaghitasi della salubrità di questo clima, la Salzedo vi si trattenne sino al 1563, quando col suo fratello si ritirò in Napoli, perché questa Duchea fu venduta ai Carafa. Religiosissima e devotissima com’era di San Francesco d’Assisi, fu largamente munifica verso i frati di Santa Maria Vetere, ed a sue spese vi eresse un altare in onore della SS. Annunziata, ai piedi del quale si fe’ scavare ancor vivente il sepolcro. Passionata quant’altra mai di Sant’Anna, in ogni anno, ai 26 luglio, dispensava larghe elemosine ai poverelli, rimunerava i frati, e pietosamente provvedeva ai bisogni dei monaci, che dalla provincia venivano a curarsi nell’ospedale di questo convento. Il 25 ottobre 1583, trovandosi inferma nella sua abitazione, sita in piazza di San Giovanni dei Fiorentini, volle fare il suo testamento per mano del notaio Decio Benincasa, e non avendo figliuoli, lasciò ed istituì suo erede universale e particolare sopra tutti i suoi beni il venerabile monistero di Santa Maria Vetere di Andria, con i seguenti pesi e condizioni:
« In primis che detto monistero e lo P. Guardiano debbino con effetto e senza escusazione alcuna di qualsivoglia impedimento la quarta parte di quello che ogni anno in perpetuum perverrà, franco dall’eredità di essa signora Anna testatrice, al giorno della festa di S. Anna di qualsivoglia anno in perpetuum spenderla e dispensarla a vestiti dei poveri, tanto mascoli quanto femine, e quelli elemosinaliter dispensare per l’anima di essa signora testatrice a personse povere e bisognose ut supra, la quale dispensa si debba fare con vera carità, e zelo di elemosina, ed in quella non ci debbono fare intramettere signori, né ricchi, né persone qualificate, né farle a compiacenza d’altri, ma assolutamente a persone bisognose, con vero zelo di carità, e non altrimenti, perché così ha ordinato essa signora testatrice, e voluto e si debba osservare inviolabilmente.
Item con peso che esso monastero, erede istituito ut supra, e lo presente frate Guardiano e frati di esso presenti e futuri debbano con effetto celebrare e far celebrare una messa il dì in perpetuum, per l’anima ed in remissione dei peccati di essa testatrice, perché così ha disposto.
Item con peso che detto Guardiano e frati di detto monastero ut supra, erede istituito debbino fare una immagine della B. S. Anna, ornata, di spesa di duc. 30, incontro la cappella di essa testatrice, che è sub titulo SS. Annuntiationis sita in detta Chiesa, in onore di detta B. Anna et per memoria di essa testatrice; perché così ha voluto si segui et observi essa signora testatrice.
Item la signora Anna ha voluto che quandocumque venesse a passare dalla presente vita, suo corpo sia sepolto e posto loco depositi nella Ven. Chiesa di S. Joachini di Napoli, lo quale corpo seu cadavere si debba per detto monastero, erede istituito, e per lo P. Guardiano e frati di quello trasportare conducere e sepellire in detta cappella della SS. Annunziata di essa testatrice, sita dentro detta città ed ecclesia seu monastero ut supra in detta città di Andria, e così si debba osservare e non altrimenti.
Item vuole essa signora testatrice che sia celebrata li 13 e li 24 messa per l’anima sua in detta ecclesia di S. Joachini, e per quelle se le dia la elemosina necessaria.
Item la signora Anna testatrice ha raccomandata l’anima sua alla SS. Trinità ed a tutta la corte celestiale ad gloriam delli quali et pro remissione dei suoi peccati vole si paghino le infrascritte limosine pro una vice tantum:
All’Ospedale degl’Incurabili, duc. 50.
Al monastero del Gesù delle monache due. 30.
Alle monache del monistero Jerusalem di Napoli, duc. 30 » [13].
Dopo stabiliti altri legati a persone di sua famiglia, lascia esecutore testamentario il M. R. P. Fra Angelo di Nola, ministro della Provincia di Terra di Lavoro di detto Ordine di S. Francesco dell’Osservanza, con piena facoltà, dopo la sua morte, di vendere, alienare, raccogliere, pagare e concordare, quietare e comporre in giudizio. Per ciò che riguarda Andria, vuole che sia esecutore il R. P. Provinciale, a cui dà le stesse facoltà, concesse al ministro di Terra di Lavoro. A questo testamento segue un codicillo sotto il dì 29 dell’istesso mese. Dopo pochi altri giorni la De Salzedo passò a miglior vita, ed il Provinciale di Terra di Lavoro diè principio all’esazione dei crediti ed alla vendita dei mobili. Questa eredità ascese a ducati 6000; dai quali dedotte le spese necessarie per l’adempimento dei varii legati, e di quanto occorse per la spezieria, infermeria e la rifazione del convento di Andria, secondo la volontà della testatrice, rimasero ducati 3000. Dei quali 2000 erano impiegati sopra i beni dei signori Turboli di Napoli, e 1000 sopra i beni del sig. Marcantonio Casale di Marcianise, in provincia di Terra di Lavoro; donde ricavavasi annuo censo dell’8%.
Senonchè nel 1585, essendo pervenuta questa somma in potere dei Minori Osservanti di Andria, i Commissari della reverenda Fabrica di S. Pietro, dopo di essersi appropriata una parte considerevole di detta eredità, pretesero che i rimanenti ducati 3000 non andassero a beneficio di essi frati, perché, secondo il loro Istituto, incapaci di ereditare!
In tale doloroso ed inaspettato frangente i frati di Santa Maria Vetere ricorsero al Santo Padre Sisto V, supplicandolo istantemente di essere abilitati ad accettare siffatta eredità; mentre essi non avevano onde vivere. Il Pontefice accolse di buon grado la supplica, e, ponderato maturamente l’esposto dei Padri, emanò una sua Bolla, che incomincia « Exigit incumbentis Nobis apostolicae servitutis officium etc. »; nella quale dichiara che non ad istanza dei frati, o di chichessia, ma di propria volontà, e per sua mera liberalità, vuole che i Padri Osservanti della citta di Andria, sotto il titolo di S. Maria Vetere, siano capaci di acquistare l’eredità di D. Anna Salzedo, a tenore del testamento di lei, e di alienare, vendere, commutare ed impiegare in altri corpi la somma dei ducati 3000, liberamente loro pervenuta da essa eredità, con l’obbligo di adempiere scrupolosamente ai pesi loro ingiunti dalla testatrice; sotto pena della divina indignazione a chiunque contradicesse a questo suo rescritto, nonostante le capitolazioni di Paolo suo predecessore: « De non alienandis rebus ecclesiasticis ». Questa Bolla, datata da Roma il dì 13 marzo 1586, si conservò originalmente nell’archivio di S. Maria Vetere; ora non esiste più!
Assicurati i frati di questa eredità, furono solleciti di trasportare il cadavere della Salzedo da Napoli in Andria, e di collocarlo nella sua sepoltura gentilizia, che stava ai piedi della cappella dell’Annunziata, a destra dell’altare maggiore. E poiché dal fruttato dei duc. 3000 doveasi dedurre la quarta parte per spenderla in beneficio della vestizione dei poveri, e ciò far si doveva dai frati, nella loro chiesa; essi, considerando che nella scelta dei poveri potessero facilmente errare, non conoscendoli bene; considerando che volendo a tal uopo girare per la città, potrebbero cagionare scandalo a qualcuno; deliberarono in vigore delle facoltà ottenute dalla S. Sede, di affidare detta somma alla Università di Andria, con l’interesse dell’8%. L’Università, considerando alla sua volta che i frati, se avessero voluto badare alla scelta dei poveri, non avrebbero potuto attendere ai propri doveri; considerando che qualche scandalo ne potrebbe derivare; ben accettò il capitale di ducati 3000. Cosi avrebbero quelli potuto più santamente e tranquillamente attendere al servizio di Dio, della Chiesa ed alla orazione [14]. Quanta squisita delicatezza di coscienza nei monaci e nella Università di allora!
A tale effetto il 17 giugno 1587 adunatisi nel convento di S. Maria Vetere, per parte dell’Università, il notaio Giacomo de Morselli, general Sindaco di Andria, ed i signori Gianberardino Mele, Giandonato Conoscitore, Marino Superbo, notaio, e Gianluca Vangelli; e per parte dei monaci, Fra Paolo Marchiano, guardiano, Fra Deodato da Andria, vicario, Fra Francesco da Gravina, Fra Francesco da Pisticcio, Fra Lorenzo da Conversano, Fra Francesco da Conversano, Fra Pacifico da Acquaviva, Fra Vincenzo da Lecce, ed il Commissario Provinciale, Fra Lorenzo da Galatina, fu stipulato un pubblico istrumento per mano del notar Gianvincenzo di Tota, avanti al regio giudice Gianferdinando Conte, ed ai testimoni D. Girolamo di Clausulo. D. Paolo Cirece, D. Agostino Volpone, ed il magnifico dottore in ambo le leggi, D. Gianbernardino Conoscitore. L’Università promise di munirsi del regio assenso fra un anno, e per cauzione dell’annuo e perpetuo censo di ducati 240, che doveva ai frati, obbligava tutti i dazii, gl’introiti e le gabelle, e specialmente le gabelle della farina, del vino mosto, degl’introiti delle derrate e dei loro frutti. Dai 26 luglio 1588 pagò sempre esattamente tale censo al monistero di S. Maria Vetere; ma nel 1628, essendosi formato un nuovo stato dal reggente Tappia; la somma fu ridotta a ducati 204, da pagarsi ogni tre mesi sulle gabelle minute, cioè in dicembre, aprile ed agosto. In prosieguo il Municipio di Andria decadde dalla sua floriclezza; epperò nel 1740, ad istanza dei suoi creditori essendo stato dedotto in patrimonio; lo stato suddetto venne riformato, e dalla Regia Camera della Sommaria, nel 1741, fu sospeso un tale pagamento. Allora i frati col consiglio del loro Sindaco Apostolico, D. Felice Antonio Tesorieri, nel giugno 1742, comparvero nel supremo tribunale della Regia Camera, ed esibirono i documenti, donde nasceva il detto annuo pagamento, e donde appariva di essere stati mantenuti nel possesso sino al 1738, come rilevavasi da un certificato di Nicolò Antonio Tota, patrizio e Sindaco d’Andria dal 1.° settembre 1637 al 1.° agosto 1738 [15]. Laonde il dì 11 luglio del medesimo anno ottennero dal marchese D. Carlo Puoti, P residente Commissario, di essere mantenuti nel possesso di esigere ogni anno ducati 204. Senonché il signor marchese D. Antonio Turboli, appaltatore delle gabelle di Andria, dal 1711 al 1745, mai volle fare questo pagamento, a riserva di una sola annata; sicché i monaci restarono creditori del Municipio di ducati 897. Terminato l’appalto del Turboli, essi si portarono di bel nuovo in Tribunale, e nel febbraio 1747 ottennero che, senza pregiudizio dell’attrasso, che poi ricevettero nel 1754, l’Università, continuasse a fare loro annuo pagamento della suddetta somma. Nel settembre 1783, essendosi nuovamente riformato lo stato predetto, i frati, temendo che venisse loro impedito il solito pagamento annuo, ricomparvero nella Regia Camera, ed il 10 marzo 1785 ottennero dal marchese Granito, Presidente Commissario, il decreto che Università di Andria avesse dovuto continuare il pagamento degli annui ducati 204 in beneficio del monastero di S. Maria Vetere, giusta il decreto degli 11 luglio 1742. Tale decreto ai 2 aprile 1785 venne notificato alla Corte Ducale dal Sindaco Apostolico, signor Pasquale Spagnoletti [16]. Col passare degli anni questo censo si andò sempre più assottigliando da ridursi a ducati 183. 60!
Nel 1567 fu rizzato sopra 28 colonne di pietra un magnifico chiostro quadrato, in mezzo al quale si apre una vasta cisterna di freschissima acqua; mentre sopra correva una bella loggia coperta, ora mutata in dormitorio dei vecchi.
NOTE   

[13] PASTORE, Storia Mss. della città di Andria, p. II, cap. XI, parag. 262, pp. 314-15-16-17.

[14] Pro Magnifica Universitate civit. Andriae, cum V. Ecclesia et Conventu S. M. Veteris eiusdem civitatis. Da una copia di G. Ceci.

[15] SOMMARIA, Pandetta nuova, vol. 164, processo 996.

[16] Memorie dell’origine del Legato di D.a Anna Salzedo, mss. presso il signor G. Ceci.

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III.  Novelli benefattori del Convento.

In prosieguo il convento trovò altri benefattori che con pii legati lo soccorsero. Fra questi da annoverare la famiglia Imperati, una delle ventiquattro che in Andria formavano il seggio dei nobili [17], ed i fratelli de Mattia. Infatti sotto lo stemma degl’Imperati, messo in alto sulla porta del convento, avvi una epigrafe, nella quale si dice che Fabrizio Imperati, i fratelli de Mattia ed i frati benemeriti curarono l’accrescimento di queste celle per suffragare le anime di Laura Marroda e di Riccardo Imperati. L’epoca di questa epigrafe e inintelligibile; pare che debba essere il 1610.
Lapide attualmente presente sulla scalinata del cortile
LAURAE MARRODAE ET RICHARDI
IMPERATI FABRITIUS IMPERATUS ET
FRATRES DE MATIAE ET FRATRES BENE
MERITI PRO ANIMARUM SUFFRAGIO HAS
AEDES AUGENDAS CURARUNT. 10 0 (sic)
--- [in realtà vi si legge] ---
LAURÆ MARROCIÆ ET RICHARDI
IMPARATI. FABRITIUS IMPARATUS ET
FRATRES DE MATRE ET FRATRE BENE
MERITI PRO ANIMAR[UM] SUFFRAGIO HAS
ÆDES AUGENDAS CURA[VE]R[E]UNT. 16_ _
Nel dicembre 1691 un tale Giovanni Federico, con un suo testamento, rogato dal notaio Girolamo de Micco, lasciò a questo convento duc. 150, da impiegarsi nella compra d’una annua rendita per use della sagrestia; i frati però dovevano in ogni anno celebrare per l’anima sua 15 messe lette.
Con istrumento del 17 novembre 1709, disteso e sottoscritto da Sebastiano Cristiano, notaio apostolico, Aurelio della Fera legò alla confraternita della Concezione, allora non esistente in S. M. Vetere, la sua eredità col peso di somministrare ogni anno in perpetuo a questo convento duc. 15, perché i monaci celebrassero 200 messe lette per l’anima sua.
Nell’istesso giorno ed anno il terziario Fra Lodovico d’Andria, per mezzo del medesimo notaro, lasciò alla suddetta congregazione la sua eredità con l’obbligo di somministrare a questo convento carlini 12 l’anno per la celebrazione in perpetuo di 7 messe lette in suffragio della sua anima.
Con testamento del 28 aprile 1709, stipulato dal notar Michelangelo de Micco, Rosa Grazia Volpone lasciò a questo convento ducati 200, per formarsene un annuo censo. Da una metà doveva dirsi in perpetuo un numero di messe a carlini 3 l’una, e dall’altra metà doveano cantarsi 4 anniversarii perpetui per l’anima di essa testatrice e suoi defunti. Queste annualità erano destinate pel vitto e per gli abiti dei frati, nonché pel mantenimento della sagrestia e dell’altare della Concezione.
Cecilia Mele, con istrumento fatto dal notar Donato Menduti, li 17 marzo 1710, lasciò a questo convento duc. 50, perché dall’annua rendita se ne facessero ornamenti per la sagrestia. In ricambio i frati dovevano in perpetuo celebrare un anniversario per essa testatrice e suoi eredi.
Giuditta Imperati, con testamento rogato dal notar Menduti li 11 settembre 1714, fece un legato perpetuo in favore dei Minori Osservanti di S. M. V. di 5 messe lette ed 1 cantata, per l’anima sua con la elemosina di carlini 20 da somministrarsi dai PP. Carmelitani di Andria, ai quali lasciò tutta la sua eredita con questo peso [18]. In detto testamento: « comanda che il suo cadavere sia seppellito dentro la Chiesa di S. Maria Vetere fuora le mura di questa città, nella sepoltura del SS. Crocifisso, e che non debbono o possono far pompe funerali, ma alla povera vita, facendo detta elezione di sepoltura per una volontà continuata di seppellirsi in detta Chiesa, dentro detta sepoltura » (fol. 163).
Il 17 giugno 1716 Tiberio Rimedio, con istrumento del medesimo Menduti, legò ai frati ducati 30, il di cui annuo utile servir dovea per uso della sagrestia; ed essi dovevano in suffragio dell’anima sua e dei suoi morti cantare in ogni anno una messa.
Grazia Casalina, avendo fatto un apparato di seta per ornamento di tutta la Chiesa di S. M. V., lasciò ai Minori Osservanti obbligo di cantare ogni anno in perpetuo una messa per l’anima sua.
Gli eredi del fu Antonio Aurisicchio farmacista, fecero un legato d’una messa cantata in perpetuo ogni anno, per l’anima di esso Antonio, perché avea somministrate molte medicine al convento, e non gli erano state pagate [19].
In prosieguo non mancarono altri pii legati ai frati di S. M. V. come rilevasi dalla seguente Tabella dei legati perpetui di messe lette e cantate, rifatta il 6 marzo 1860 [20].
1 gennaio — Pel fu Francesco Ceci seniore, messe lette 4, cantata 1.
29 gennaio — pel fu arcip. Giuseppe Ceci, lette 4, cantata 1.
23 febbraio — Pel fu Felice Pastina, cantata 1.
23 marzo — Pel fu Francesco Ceci juniore, messe lette 4, cantata 1.
19 aprile — Per la fu Lucia Petusi, cantata 1, con l’ufficio dei morti, ed un numero di messe lette di gr. 22 ½ ciascuna, secondo il fitto di una bottega alla Chiancata.
1 giugno — Per la fu Antonia Nuzzi, lette 4, cantata 1.
13 giugno — Pel fu Giuseppe Siciliani di Giovinazzo, cantata 1.
20 giugno — Pel fu Oronzo Fasoli, cantata 1.
24 giugno — Per la fu Eleonora Fasoli, cantata 1.
15 luglio — Per la fu Suor Maria Nicola Fasoli, cantata 1.
1 settembre — Per la fu Francesca Scaramella, lette 10, cantata 1.
10 settembre — Pel fu Riccardo Fasoli, cantata 1.
15 settembre — Pel fu Nicola Ceci, lette 10, cantata 1.
5 ottobre — Pel fu. barone Carlo di Romagnano, cantata 1.
29 ottobre — Per la fa Caterina Zagaria, lette 19.
13 novembre — Pel fu Nicola Fasoli, lette 7, cantata 1.
24 dicembre — Per la fu Nunzia Nuzzi, cantata 1.

D. Mario Griffi nel 1860 lasciava il capitale di duc. 585, per la celebrazione di messe lette 79 in tutti i giorni festivi all’altare dell’Immacolata, ed una messa solenne nel giorno di S. Francesco, in suffragio dell’anima sua [21].
Finalmente verso il 1850, il signor Donato Fiordaliso di Cerignola, portandosi frequentemente nel convento di S. M. V. per respirare le aure salubri di Andria, vi fabbricò a sue spese alquante stanze che si appellano da lui.
NOTE   

[17] PASTORE, Storia mss. della città di Andria, p. II, cap. II, parag. 167, p. 202.

[18] Platea omnium bonorum tam stabilium quam censuum Conventus Carmelitarum Andriae, etc. A. D. 1716. Si conserva nella Curia vescovile di Andria.

[19] Ricordo delli Legati proprj del Cony. di S. M. Vetere d’Andria. Da una copia appartenente al sig. G. Ceci.

[20] Si conserva nella sagrestia di S. M. V.

[21] Si conserva nella medesima sagrestia la Tabella di questo legato.

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IV.  Obblighi dei Francescani di S. Maria Vetere.

Nel 1738, come rilevasi da un attestato del 5 dicembre, rilasciato dal Capitolo di S. Nicola di Andria, il convento di S. Maria Vetere contava ventidue religiosi; cioè il p. guardiano, lettore giubilato ed ex-diffinitore; quattro lettori, tre di teologia ed uno di filosofia; sette studenti professi, e gli altri addetti chi alla parte spirituale, e chi alla economica. Tutto ciò da loro si faceva « colla maggiore regolare osservanza, secondo il proprio istituto ». Avevano i seguenti obblighi: coro, orazione, meditazione, messa conventuale. Cinque padri erano destinati ad ascoltare le confessioni sacramentali del popolo, ed avevano il peso di assistere i moribondi, che eleggevano la sepoltura nella loro chiesa. Nel pianterreno del convento tenevano delle stanze, che servivano di ospedale per gli Abruzzesi, i quali nell’inverno venivano in Puglia, per custodire il real patrimonio delle pecore. Intervenivano alle processioni ed alle funzioni della cattedrale; nella loro chiesa si facevano gli esercizi spirituali, e vivevano di elemosine, fra cui quella dell’Università di Andria [22].
NOTE   

[22] SOMMARIA, Pandetta nuova, vol. 164, processo 996.

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V.  Provinciali eletti in questo Convento.

In varie epoche parecchi ministri provinciali furono eletti in questo convento.
Nel 1539 fu eletto il P. Fra Bonaventura Volpone di nobile famiglia andriese [23]. Nel 1577 Fra Clemente da S. Pietro Galatino, il quale, nel capitolo generale tenutosi in Parigi anno 1579, concorse al generalato [24]. Nel 1589 Fra Paolo Gravina, presente il Rev.mo P. Generale [25]; ma perché era egli decrepito, infermò, e morì in Andria il 24 marzo 1599. Il P. Guardiano Bernardino da Gravina, il 27 dello stesso mese, ne trasportò il cadavere in Gravina, e fu deposto nella Cappella del Sepolcro. Concorse tutta la città, ai funerali. Fu assai versato e dotto in teologia, nelle divine scritture e nella filosofia, delle quali scienze fu maestro di gran fama, come ne fa fede Fra Bartolomeo da Lama nella Cronica dei Minori Osservanti della provincia di S. Nicolò. Fu tre volte Ministro provinciale. Il 1 giugno 1595, alla presenza del Rev.mo P. Fra Bonaventura Calata Yeronense, ministro generale, fu scelto Fra Angelo Siribello da Bari, erudito in lingua ebraica e zelantissimo della regolare osservanza [26]. Nel 1614 Fra Lorenzo da Acerenza fu uomo per integrità di vita e per eccellenza di dottrina egregio, e scrisse un Commentario sul terzo libro delle sentenze di Scoto [27].
NOTE   

[23] BONAV. A FASANO, etc., p. II, cap. II, p. 88.

[24] Idem, p. 90.

[25] Idem, p. 91.

[26] Idem, p. 92.

[27] Idem, p. 94; cap. III, p. 128.

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VI.  Uomini di santa vita.

In questo Chiostro alquanti Frati dettero odore d’ottimi esempi di santità Fra Lorenzo da San Martino, laico, fu sommamente ammirabile per la contemplazione delle cose celesti, in cui era tutto immerso, e pel dono straordinario della predicazione, recitando spesso bellissimi sermoni intorno a Dio. In vita ed in morte operò meraviglie. Uscì da questo secolo verso il 1480, ed ebbe il titolo di venerabile [28]. Venne seppellito nella Chiesa di S. Maria Vetere, che il Wadding per sbaglio chiama della Concezione [29]. Però fin ora e rimasto ignoto il luogo della sua sepoltura.
Visse pure in questo convento, con gran fama di santità, il Venerabile Fra Onorato Sacerdote, di cui per lagrimevole incuria degli antichi Frati s’ignorano la patria ed il sepolcro. Questo servo di Dio per sette interi anni languì in un letto, dolorosamente afflitto da molte piaghe inverminite, che esalavano un fetore quant’altro mai nauseante. In mezzo alle sue acerbissime sofferenze, addimostrò sempre una pazienza ed un’allegrezza ammirabili, rendendone a Dio vivissime grazie. Un giorno ai Frati, che pietosi lo visitavano, predisse che sarebbe morto nella notte seguente, nell’ora in cui essi nel Coro avrebbero cantato il versetto: « Te ergo quaesumus tuis famulis subveni, quos pretioso sanguine redemisti ». Predisse pure che dopo morto né vermi si sarebbero veduti nel suo corpo, né più puzza avrebbero esalato le sue piaghe, ma un odore gratissimo. L’una e l’altra predizione si avverò pienamente. Rese l’anima a Dio nel 1398 [30].
Dimorò pure in questo convento il Terziario Fra Nunzio da Putignano, uomo di somma semplicità, di penitenza non ordinaria, e di santità specchiatissima. Domava il suo corpo con rigorosi digiuni e con aspri flagelli. Spirò l’anima sua benedetta nel convento di Lavello, l’anno del Signore 1632 [31].
Eguale spirito di penitenza e di grandissima austerità mostrò l’altro Terziario Fra Claudio da Vallata. Questo Frate, dopo di avere tutto il giorno lavorato assaissimo, passava le notti insonni, disciplinandosi senza modo e misura, massime negli anni che dimorò in questo convento di Andria. Circa il 1633 uscì di vita nel monastero di Trani, con fama di santità [32].
NOTE   

[28] Laurentius a S. Martino, Laicus rerum coelestium contemplationi totus addictus, de Deo gratissimos proferebat sermones. Res miraculosas fecit in vita et in morte. Sepultus in Conventu Andriensi Apulae Provinciae. WADD., tom. XV, n. VIII, p. 97.

[29] S. M.ae de Conceptione apud Andriam, in quo jacet Laurentius a S. Martino laicus, vita contemplativa, et dono praedicationis admirabilis, qui circa annum MCCCCLXXX ab hoc seculo migrans, miraculis claruit. WADD., tom. XV, p. 331.

[30] BONAV. A FASANO, Mem. Min. Prov., etc., p. II, cap. VII, pp. 150, 151.

[31] Idem, p. 158.

[32] Idem, p. 159.

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VII.  Uomini insigni per scienza e lettere.

Mentre in questo Chiostro, vissero parecchi Frati per santità di vita illustri, fiorirono pure alquanti altri per scienza, e per buone lettere insigni. Cosi nel 1650, dopo un solenne esame, sostenuto innanzi ai giurisperiti, venne eletto professore di Dritto Canonico il P. Fra Filippo d’Andria [33].
L’anno 1404 fiorì il P. Fra Giuseppe Accetta da Andria, il quale, toccando le corde della sua poetica cetera, cantò in versi esametri latini, divisi in 10 libri, la vita ed i miracoli del Serafino d’Assisi. L’Accetta fu appellato egregio poeta dal Wadding [34] e stimato dal Toppi [35], dal Tafuri [36], da Minieri Riccio, da Possevino [37], da Bartolomeo Chioccarelli [38] e da altri.
Il P. Fra Bartolomeo da Fasano, lettore di teologia, e ministro provinciale, scrisse nel convento di Santa Maria Vetere le memorie dell’Ordine dei frati minori della provincia di San Nicola di Bari, le quali vanno dal 1222 sino al 1655 [39].
In questo medesimo convento si distinse pure Fra Donato da Turi, Commissario della Provincia di Basilicata, provinciale, predicatore insigne e teologo sommo [40].
Fu egualmente celebre il superiore di questo convento, il P. Fra Giovanni Grimaldi andriese, provinciale, lettore giubilato e uomo di vita integerrima.
Finalmente in questo monastero eccelse pure il P. Fra Michele da Andria, quale celeberrimo predicatore ed esimio lettore di sacra teologia.
NOTE   

[33] Idem, p. II, cap. III, p. 114.

[34] Josep Aveta, aliis Aceta Andrius Apulus, egregius Poeta cecinit vitam et miracula S. Francisci, decem libris distincta carmine heroico latino. WADDING. Scriptores Ord. Minor., Romae, an 1750, p. 230.

[35] Bibl. Nap. ecc. P. Josephus Accetta Andriensis, egregius Poeta scripsit vitam, et miracula S. P. Francisci, Opus in decem libros distinctum, carmine heroice latino. B. A FASANO, etc., p. II, p. 126.

[36] Scritt. del Regno, tom. II, p. II, p. 179, an 1404.

[37] Apparat. Sacr., vol. II.

[38] De Illustrib. Scriptoribus Regni, p. 54., vol. II.

[39] Ex Conv. S. M. Veteris civitatis Andriae. Die 26 mensis oct. 1655. BONAV. A FASANO, Mem. Min. Prov. etc., p. 1.

[40] BONAV. A FASANO, Mem. etc., p. II, cap. II, p. 94.

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VIII.  Carte memorande conservate nell’Archivio dei Frati.

Questo convento nel 1655 era capace di 20 frati, ma difatti non ne contava che 15, forse perché dal 1649 sino al 1654 una costituzione apostolica di Papa Innocenzo X aveva proibito a tutte le comunità regolari, esistenti in Italia, di accettare novizi [41].
Questo convento, oltre di una ricca biblioteca, in cui tra gli altri libri, conservavasi il quaresimale manoscritto del XXV ministro provinciale, Fra Lorenzo Galatino, mandato da Papa Gregorio XIII, nel 1582 ad evangelizzare isola di Creta [42]; ebbe pure l’Archivio provinciale. In esso, tra le altre carte, vi erano le seguenti: la Bolla di fondazione del convento di Melfi: un manoscritto riguardante i venerabili, Fra Onorato, sepolto in Santa Maria Vetere, Fra Antonio da Minervino, laico, morto nel 1504, Fra Francesco anche da Minervino, chiamato comunemente il B. Francesco del fuoco, Fra Bernardino da Ruvo, Fra Lorenzo da Fellino, e Fra Lodovico da San Pietro Galatino [43]. In questo archivio conservavansi i diplomi di Papa Paolo V e di Scipione Spina Vescovo di Lecce, relativi al convento di Santa Maria di Istri in Lecce: una copia dell’Istrumento fatto da Goffredo Palagano di Trani in favore del convento di Santa Maria della Grazia, nel villaggio di San Vito: il decreto di Papa Clemente VIII, in cui si proibiva ai Padri Riformati di occupare i conventi degli osservanti, senza permesso della Congregazione dei Vescovi [44]: il testamento di Anna de Salzedo in favore di questi frati e dei poveri di Andria: la Bolla di Papa Sisto V, nonché altri documenti importanti. Ora nulla più esiste! Prima che il governo d’Italia avesse soppresso questi frati, essi avevano già soppresso con la loro incuria il sacro patrimonio della storia!
NOTE   

[41] Idem, p. 1, cap. IV, p. 21.

[42] Idem, p. II, cap. II, p. 91.

[43] Idem, p. II, cap. VII, p. 151.

[44] Idem.

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IX.  La peste!

Nel 1656 scoppio terribile in Andria la peste, che durò sei mesi, mietendo meglio di seimila vittime! Una grande stanza, attaccata a questo convento, fu mutata in lazzaretto pei poveri. Cessato il contagio, quest’ospedale rimase pieno di cadaveri, e sull’architrave della sua porta, chiusa a muro, furono incise queste parole: Tempore pestis. Non aperiatur [45]. È probabilissimo che i minori osservanti abbiano pietosamente assistiti gl’infelici appestati; mentre nei contagî, quelli che, a preferenza di tutti, prodigarono sempre cristianamente la loro vita a pro degli sventurati, nella speranza d’un premio eterno, furono i figli di San Francesco. Laonde il Gioberti potè dire ai nemici dei frati: « Ingrati! Andate in Oriente, quando la peste, perpetua inquilina de’ Turchi, esce da’ suoi luridi covili e si sparge devastatrice per le amene spiagge della Siria e dell’Asia Minore mutando le citta gaie e popolose in meste e dolenti solitudini. Al primo gittare del fiero morbo i poveri frati di quei contorni abbandonano volenterosi i loro eremi e le loro celle, e accorrono l’un dopo l’altro a soccorso degl’infetti con quella premura che voi avreste, andando ad una festa nuziale. E quando uno è morto, a un tocco di campanello, l’altro sottentra, fin che il flagello cessi, o sia diserto il convento. Questi esempii si rinnovano così spesso, come l’orribile calamita, che dà loro occasione; e ciò non ostante, vi basta il cuore di gridare contro i frati! » [46]. In tale morìa non bastando i cimiteri a ricevere le salme dei tanti, gittati là senz’onore di esequie; tra le altre ne furono riempite due cisterne nelle vicinanze di questo convento! [47].
NOTE   

[45] PASTORE, Storia di Andria ecc., p. 346.

[46] GIOBERTI, Il Primato ecc.

[47] D’URSO, Storia di Andria, lib. VII, cap. VIII, p. 149.

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X.  Ordine dato ai Frati di mandare nel regio esercito
i soggetti di loro prossima dipendenza.

Nel 1798 il Reame di Napoli essendo minacciato dalle armi dei repubblicani francesi, ecco il Cav. Michele Pucce Molton, il 24 aprile, da Trani spedire alla Curia Vescovile di Andria un dispaccio della regal Segreteria di guerra, con cui imponeva ai capitoli ed alle comunità religiose del Regno di « mandare nell’esercito regio i soggetti di loro più prossima dipendenza, come sagrestani, servienti, laici non professi, terziarii, artefici, bracciali dei loro territorii, guardiani delle loro industrie e dei loro campi, facchini, famigli ed altri devoti, atti alle armi. I monasteri di monaci e di monache, che contenessero 10 individui, dovevano dare 2 uomini: da 10 sino a 15, 3: da 15 sino a 20, 5: da 25 a 30, 6, e 7 se il numero fosse maggiore » [48]. L’arciprete D. Giuseppe Ceci in allora Provicario Generale del Vescovo di Andria, D. Salvatore Maria Lombardi, il giorno 29 aprile comunicò fedelmente tali ordini ai Capitoli ed alle comunità religiose.
La comunità dei Minori Osservanti, che componevasi di 17 individui sarebbe stata tenuta a dare al reale esercito 4 uomini. Ma il P. Guardiano attestò innanzi alla Curia Vescovile di non poter compiere un tale dovere, perché « avendo con tutto lo zelo e premura in pubblico refettorio, ed alla presenza di tutti li Padri della famiglia, insinuato a due Terziarii detto sovrano comando, giacché l’altro è nonagenario; li medesimi avevano risposto che sarebbono stati pronti ad ubbidire qualora fossero stati abili al real servizio; ma non potevano perché uno, tutto che fosse stato incardinato alle reali truppe, fu da quelle scartato, come invalido, dal signor Ispettore Dentice, come dal documento che dallo stesso si conserva; e l’altro, perché essendo d’un complesso delicato ed acciaccato di petto, si è inabile alla milizia » [49]. I Minori Osservanti pertanto non dettero nessun contingente all’esercito reale per la difesa del Regno.
NOTE   

[48] Curia episcopale di Andria.

[49] Curia episcopale di Andria.

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XI.  Abolizione dei Conventi nel 1809.

Nell’infausto giorno 23 marzo 1799, quando Andria fu assediata dall’esercito republicano, capitanato da Broussier, e nella mischia caddero estinti circa 685 andriesi, ed un numero assai più grande di soldati francesi; ogni comunità religiosa ebbe miseramente a deplorare le sue vittime, i saccheggi e l’imposizione d’una grossa taglia! Solo i Minori Osservanti pare che ne andassero provvidenzialmente immuni.
Il 7 agosto 1809 re Gioacchino Murat, con un suo decreto, insieme con gli Osservanti di Altamura, di Minervino, di Molfetta, di Ruvo, di Bitonto, di Conversano, di Trani e di Barletta, abolì anche quelli di Andria. Ma il 16 luglio 1811 il signor Domenico Antonio Patroni, scrivendo da Bari a Carlo de Vito Piscitelli, Capitano del Genio in Andria, davagli questa lieta novella: « I Riformati di Andria (i Minori Osservanti) si tranquillino pure; essi non saranno amossi » [50]. Infatti mentre gli altri conventi della Provincia vennero inesorabilmente chiusi; solo rimase aperto questo di Santa Maria Vetere, in cui furono concentrati i frati di altri chiostri. Il 15 agosto 1811 Mons. D. Salvatore Maria Lombardi, Vescovo di Andria, incaricato dal Ministro del Culto di scegliere quei monaci, che più a lui fossero piaciuti per formare il convento dei Minori Osservanti Andria; scelse dodici Padri e dieci laici, cioè: il Provinciale Fra Benedetto da Mola, il Diffinitore Fra Giovanni da Andria, al secolo signor Riccardo Ceci, il Diffinitore Fra Nicola da Mola, Fra Vincenzo da Andria e Fra Giustino da Trani, i quali già facevano parte della comunità di Santa Maria Vetere. Dal convento di Sant’Andrea di Barletta scelse Lettore giubilato Fra Giuseppe Maria da Canosa, il Diffinitore Fra Alessandro da Putignano, Fra Luigi da Putignano, Fra Francesco da Andria e Fra Domenico da Molfetta. Dal convento di Putignano scelse il Lettore giubilato Fra Vincenzo da Castellana e Fra Giuseppe anche di Castellana. I laici furono: Fra Benedetto da Putignano, Fra Domenico da Castellana, Fra Giuseppe Antonio delle Noci, Fra Vincenzo delle Noci, Fra Benedetto da Mola e Fra Michelangelo da Rutigliano, già residenti in Santa Maria Vetere. Da Barletta vennero Fra Biagio da Putignano e Fra Francesco da Rutigliano. Da Minervino Fra Giuseppe da Castellana e Fra Bonaventura da Putignano. In tal modo venne formata la comunità dei Minori Osservanti di Andria [51].
Passò più di mezzo secolo, ed il decreto del 1.° luglio 1866, chiudendo a nome della libertà, tutti i chiostri in Italia, chiudeva anche questo di Santa Maria Vetere!
NOTE   

[50] Curia episcopale di Andria.

[51] Curia episcopale di Andria.

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XII.  L’Asilo Senile.

Cacciati i Frati dai loro chiostri, questo convento resto per parecchi anni deserto! Fortunatamente pero nel 1885, l’Amministrazione Municipale di Andria, dietro le fervide premure di uno dei suoi consiglieri, il signor Salvatore Savarese, v’impiantò un asilo senile. Ma affinché quest’opera tanto cristiana ed umanitaria si mantenesse stabilmente in piedi, e la vecchiaia oltre di un asilo e di un tozzo di pane, ricevesse ancora i conforti della fede e della speranza d’un migliore avvenire in una vita interminabile e beata; il P. Vincenzo Savarese d. C. d. G., spiegò tutto lo zelo, perché l’opera del padre suo venisse affidata alle cure amorosissime ed instancabili di quelle eroine meravigliosissime della carità cristiana, le Piccole Suore dei Poveri, fondate in Francia nel 1840 dal Curato della parrocchia di San Servan, l’Abbate Le Pailleur, ed il 1.° marzo 1879 approvate dal Sommo Pontefice Leone XIII. Nel febbraio 1886 esse presero possesso di questo asilo, cui il Municipio largisce a titolo di elemosina cinquemila lire annue mentre quattordici Piccole Suore, instancabilmente agili e preste, come gli angeli della Provvidenza, girano sempre per Andria e per le città circonvicine, elemosinando in favore dei poveri vecchi, ai quali nulla, affatto nulla esse fanno mancare. L’asilo ora ne conta meglio di cento, tra uomini e donne, ed assai più ne conterebbe, se minori fossero le ristrettezze finanziarie del povero popolo, e meno inclementi volgessero i tempi alle industrie di queste appule contrade!
Cosi ai Minori Osservanti succedevano in S. Maria Vetere le piccole Suore dei poveri, ed al convento l’Asilo Senile. Nei ristauri, fatti nel 1900 dal Municipio, che spese meglio di 20 mila lire, il Convento è stato quasi del tutto trasformato, né vi si scorge più l’antico disegno Francescano!

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XIII.  La Chiesa.

Demolita l’antica chiesetta di Santa Maria Vetere, i di cui due venerandi avanzi pare siano le due stanze, che si vedono ancora a destra ed a sinistra dell’attuale campanile; venne costruita la nuova, non tutta di seguito, ma a poco a poco.
Infatti Francesco II del Balzo, duca d’Andria, nella sua Relazione storica dell’invenzione di San Riccardo, primo vescovo di questa città, avvenuta nel 23 aprile 1438, narra che un certo Tasso, uomo buono, semplice ed incapace di offendere chicchessia, avesse in morte lasciato tutti i suoi beni alla fabbrica della chiesa di S. Maria Vetere [52]. Dunque in quel tempo essa si costruiva ancora.
La facciata di questa chiesa, quale è al presente, non ha alcuna bellezza architettonica; francescanamente semplice. Vi si apre nel mezzo una gran porta, sormontata da una cornice acuta, sopra della quale avvi un’ampia finestra, che getta larga onda di luce nel sacro tempio, illuminato da altre sei grandi finestre. Il cornicione, che corona l’edifizio, è sormontato da una croce di ferro; a destra ed a sinistra si elevano la statue di S. Antonio e di S. Pasquale; nel mezzo, entro una nicchia, vi e quella di S. Francesco inginocchiato. Si vede manifestatamente non opera del trecento, quando questa chiesa cominciò ad essere costruita, ma del secolo passato, allorché per smania di novità nacque tra noi il barbaro gusto di rimodernare le chiese medioevali!
Essa ha un’unica nave, ornata di stucchi e di fiorami; in ogni lato è fiancheggiata da tre arcate, sotto delle quali s’innalzano sei altari. Sul presbiterio, diviso dal resto della chiesa da colonnine di pietra, che sostengono la balaustra, si eleva una svelta cupola, sotto di cui vedensi dipinte a fresco le imagini dell’Eterno Padre, di Gesù Cristo, della Vergine, ed i principali fatti della vita di S. Francesco, da corone di rose vagamente intrecciati. Nei quattro lati inferiori sono dipinti i quattro principali Dottori dell’Ordine, cioè S. Bonaventura, il dottore serafico; Ruggero Bacone, il dottore ammirabile; Duns Scoto, il dottore sottile; ed Alessandro di Hales, il dottore irrefragabile. Sotto di questa cupola è collocato il maggiore altare, che è di pietra, e non ha nulla di pregevole. Il ciborio solo è di marmo e rappresenta un tempietto sormontato da una cupoletta; è adorno di quattro piccole nicchie, in due delle quali vi sono le statuette di S. Francesco e di S. Ludovico, con quattro colonnine di marmo mischio. Questo ciborio poggia sopra sei leoncini di marmo bianco, ben scolpiti: due stanno dalla parte anteriore e quattro dalla posteriore. Dietro di questo altare vi è una splendida macchina di legno dorato, vagamente ornata di fantastici rabeschi. Nella nicchia di mezzo avvi un grande Crocifisso in legno, e nelle due laterali le statue di S. Michele Arcangelo e dell’Angelo Custode, bellamente smaglianti di oro. Questa macchina a destra ed a sinistra è fiancheggiata da due svelte colonne attorcigliate, adorne d’oro, con fiorami, cartocci, volute, festoni, basi e capitelli, che sostengono l’architrave, sporgente con mensole e con cornici dentellate e con gattoncini. All’architrave sottostanno i pilastri, fiancheggiati da spalliere, ornate di varii lavori, che terminano con testi ripieni di fiamme. Sull’architrave si aprono altre tre nicchie più piccole; in quella di mezzo vi è il busto dell’apostolo S. Giacomo il Maggiore, e nelle due laterali quelli di Santa Barbara e di Santa Tecla, vergini e martiri; tutti e tre portavano nel petto le proprie reliquie. Questi busti hanno le facce e le mani color di carne, e le vesti dorate. Finalmente un arcatone con fasce rilevate abbraccia questa macchina, tutta smagliante di dorature, e di un bellissimo effetto.
Dietro l’altare maggiore si vede il coro in noce. È di uno stile piuttosto pesante. La fascia del cornicione è bellamente rabescata; vi sono ventidue stalli superiori e dodici inferiori. A destra ed a sinistra dei bracciuoli dei due primi stalli inferiori si veggono scolpite a rilievo due statuette, rappresentanti una S. Francesco d’Assisi e altra S. Lodovico, vescovo di Tolosa. Due grandi quadri, con cornici dorate, si posano sul cornicione di questo coro: in uno è effigiato artisticamente il Serafino d’Assisi, in atteggiamento di ricevere nella mano destra dal Bambino Gesù, seduto sulle materne ginocchia di Maria, le stimmate con un chiodo; la faccia del Santo è veramente indovinata. Nell’altro quadro è dipinto l’Apostolo delle Indie, in atto di battezzare una regina indiana; sotto di esso si legge: Petrus Fanellus elemosinaliter fecit. 1666.
Oltre del maggiore altare, ve ne sono altri sei minori, tre a destra e tre a sinistra. Il primo, messo dalla parte dell’epistola, è dedicato alla Vergine delle grazie, che sostiene sulle ginocchia il Bambino, mentre ai piedi le sta genuflesso Sant’Antonio da Padova, e S. Giovanni da Capistrano sta dritto con una croce rossa sul petto ed una bandiera nella destra. Sotto di questo quadro è scritto: Ex devotione fieri fecit, et dono dedit Balthassar Bussola mediolanensis 1752. Nicolaus Frisardi pinxit. In cima in un ovale è dipinta l’Annunziata.
Nel 1563 Anna Salzedo vi aveva fatto costruire sul presbiterio, dalla parte dell’Evangelo, un altare in onore della SS. Annunziata, ed ai piedi di esso una tomba gentilizia, ove venne seppellita nel 1586. Ma rimodernatasi la chiesa, nel passato secolo, l’altare venne distrutto, e la pietra sepolcrale di questa insigne benefattrice fu spezzata! Dietro l’altare maggiore se ne vede un avanzo con sopra scolpito un guanto, stemma della spagnuola!
Il secondo altare è sacro alla Immacolata, dipinta in mezzo ad una corona di angeli, uno dei quali tiene in mano il giglio, e l’altro la Bibbia. Sotto di questo quadro si legge: Ex devotione Doctori Phisici Dom. Paulini Diomede civitatis Alessani. A. A. 1753. Nell’ovale si vede Santa Rosa da Viterbo, coronata di rose, in mezzo ad un rogo acceso [53]. Questo altare fu privilegiato da papa Gregorio XIII, il 18 novembre 1677, e gode le istesse indulgenze dell’altare di S. Gregorio Magno in Roma. A perpetua memoria di tale privilegio, a destra di chi entra in chiesa, avvi una lapide marmorea con la seguente iscrizione:

GREGORIUS PAPA XIII
AD PERPETUAM REI MEMORIAM. SALVATORIS DOMINI NOSTRI JESU CHRISTI AETERNO PATRI CONSUBSTANTIALIS ET AETERNI, QUI PRO REDEMPTIONE GENERIS HUMANI DE SUMMO COELI BEATO SOLIO AD HUIUS MUNDI INFIMA DESCENDERE ET CARNEM NOSTRAM EX UTERO VIRGINEO ASSUMERE DIGNATUS EST, VICES LICET IMMERITI GERENTES IN TERRIS ET EIUS EXEMPLA SECTANTES, ANIMABUS CRISTIFIDELIUM DEFUNCTORUM IN PURGATORIO EXISTENTIBUS, QUAE PER CARITATEM DEO UNITAE AB HAC LUCE DECESSERUNT ET PIORUM SUFFRAGIIS JUVARI MERUERUNT, OPORTUNA DE THESAURIS ECCLESIAE SUBSIDIA SUBMINISTRARE STUDEMUS, UT ILLAE QUANTUM DIVINAE BONITATI PLACUERIT ADIUTAE, AD COELESTEM PATRIAM FACILIUS PERVENIRE VALEANT.
DE DIVINA IGITUR MISERICORDIA CONFISI TENORE PRESENTIUM PERPETUO CONCEDIMUS UT QUOTIESCUMQUE SACERDOS SIVE SECULARIS SIVE REGULARIS MISSAM IN ALTARI CAPELLAE CONCEPTIONIS B. MARIAE SEMPER VIRGINIS, SITAE IN ECCLESIA DOMUS S. M. VETERIS ORDINIS FRATRUM MINORUM DE OBSERVANTIA CIVITATIS ANDRIENSIS, PRO LIBERATIONE UNIUS ANIMAE IN PURGATORIO EXISTENTIS, SUO VEL ALIENO ARBITRIO CELEBRAVERIT; IPSA ANIMA PER HUIUSMODI CELEBRATIONEM EASDEM INDULGENTIAS ET PECCATORUM REMISSIONES CONSEQUATUR ET AD IPSIUS LIBERATIONEM PRO QUA CELEBRABITUR DICTA MISSA OPERETUR, QUAS CONSEQUERETUR ET OPERARETUR SI PREDICTUS SACERDOS HAC DE CAUSA MISSAM AD ALTARE, SITUM IN ECCLESIA BEATI GRECORII DE URBE, AD ID DEPUTATUM CELEBRABET; NON OBSTANTIBUS NOSTRA DE NON CONCEDENDIS INDULGENTIIS AD INSTAR. ET ALIIS CONSTITUTIONIBUS ET ORDINATIONTIBUS APOSTOLICIS CETERISQUE CONTRARIIS QUIBUSCUMQUE.
DATUM ROMAE APUD SANCTUM PETRUM SUB ANNULO PISCATORIS DIE XVIII NOVEMBRIS MDLXXVII. PONTIFICATUS NOSTRI ANNO SEXTO ETC. GLORIERIUS.

Sotto questa lapide, a terra, vi è il sepolcro dei Confratelli della Concezione, con questa, epigrafe:

SEPOLTURA
DELLA CONFRATERNITA DELLA SS. CONCEZTONE
A. D. 1599.

Questa Confraternita, eretta nel 1577, soleva ogni anno nella festa della sua celeste Patrona, dotare due donzelle povere, perché potessero onestamente collocarsi in matrimonio [54]. Nel 1632 non avendo voluto i frati che il Vescovo di Andria, in allora monsignor D. Alessandro Strozza, entrasse nella loro chiesa per fare la santa visita a questa Confraternita; il Vescovo la trasferì nella chiesa della SS. Annunziata.
Il terzo altare è dedicato a S. Francesco da Paola. Nel quadro è dipinto genuflesso, mentre la Triade augustissima gli posa sul capo una triplice corona. Sotto di esso si legge: « Sacellum hoc Divo Francisco de Paola sacrum Andreas Valenzano de Rutiliano a fundamentis erexit. A. D. MDCCLII ».
Nell’ovale è dipinto S. Pietro da Galatona, sostenuto da due angeli nei suoi celesti deliqui. Su questo altare avvi in un’urnetta l’Arcangelo San Raffaele bellamente scolpito in legno dall’andriese Vito Brudaglio, il quale insieme col Padre Nicolantonio e col fratello Riccardo, nel 1776 scolpiva le statue di S. Francesco e di S. Pasquale [55]; ritoccate e messe entro due nicchie, scavate nelle pareti della chiesa, a devozione di Donato Fiordeliso di Cerignola, nel 1850.
Dalla parte dell’Evangelo il primo altare è sacro a Sant’Anna, la quale sotto un albero di palma insegna a leggere a Maria; mentre un angelo librato a volo sta per posarle una corona sul capo. Nell’ovale è dipinta S. Margherita da Cortona.
L’antico quadro, fatto dipingere dai frati, giusta la disposizione testamentaria di Anna Salzedo, che a tal uopo lasciava ducati 30 per l’antico altare che stava sul presbiterio dalla parte dell’Epistola, pare che sia quello che oggi si vede dalla parte dell’Evangelo. Sant’Anna seduta tiene sulle ginocchia a sinistra Maria, ed a destra Gesù Bambino, che le mette sul capo una corona. La faccia della santa matrona è veramente bella ed espressiva.
Appresso si apre un cappellone, dedicato a San Francesco d’Assisi, il quale è dipinto in tela, in atteggiamento di contemplare passionatamente un crocifisso, che stringe nelle mani. Nell’ovale sta effigiata la Madonna degli Angeli.
Finalmente l’ultimo altare è sacro alla Vergine del Pozzo con S. Pasquale e S. Pietro d’Alcantara genuflessi a lei dinanzi. Sull’ovale è dipinto un Santo ignoto.
Due pile di breccia rossa, in forma di grandi conchiglie, servono per l’acqua benedetta.
*
*       *
Sulla porta d’ingresso si eleva il bellissimo organo, elegantemente dorato e rabescato. Quattro svelte colonne a spira e dorate, due a destra e due a sinistra lo fiancheggiano. Sopra le cornici ricurve si levano in piedi due angeli, che sostengono due scudi bianchi. In faccia al parapetto dell’orchestra marmorizzata avvi una pregevole tela, rappresentante S. Gioacchino e S. Anna che presenta il mondo a Gesù Bambino, seduto sulle ginocchia di Maria, mentre S. Giuseppe, appoggiato al suo bastone fiorito, lo sta amorosamente guardando.
La volta della chiesa formata a cassettoni, dipinti a color di cielo, con cornici e con rosoni dorati, è di grand’effetto. Questi ornamenti furono fatti nel 1755, quando con le rendite della Salzedo, la chiesa venne ammodernata mercè lo zelo di due monaci andriesi, il P. Fra Giovanni ed il P. Fra Matteo Grimaldi, entrambi germani, ed entrambi preposti al regime di questo convento.
La Lapide murata a sinistra dell’ingresso del tempio, lo attesta eloquentemente.

D. O. M.
TECTORIO OPERE UNDIQUE INDUCTO
LAQUEARI INAURATO
ATQUE VIRGINIS ARIS SACELLISQUE EXTRUCTIS EXORNATISQUE
ET PAVIMENTO EX QUADRATO LAPIDE
ITERUM STRATO
IN NOVAM FERE TEMPLI FORMAM REDEGERUNT
PP. IOHANNES ET MATTHEUS GRIMALDI ANDRIENSES
KOENOBIO PRAEFECTI ANNO MDCCLV.
--- [in realtà vi si legge] ---
D ‣ O ‣ M ‣
TECTORIO OPERE UNDIQUE
INDUCTO
LAQUEARI INAURATO ATQ[UE] ORGԐNIS
ARIS SACELLISQ[UE] EXCITaTIS EXORNATISQ[UE]
PAVIMENTO EX QUADRATO LAPIDE
ITERUM STRATO
IN NOVAM FERE TEMPLI FORMAM
REDEGERUNT
PP. IOãNES & MaTTHÆUS GRIMALDI
ANDRIENSES
KUINOBIω PRÆFECTI•AN: MDCCLV

NOTE   

[52] Vir nomine Tassus, bonus, simplex, neminem offendens ... omnia sua in morte fabrice templi beate Marie Veteris nuncupate reliquit. HUGHELLI, Tom. VII, Hist. Invent. S. Richardi, ecc.

[53] « S. Rosa da Viterbo, terziaria Francescana, a provare la verità della fede entrò una volta in un rogo ardente, e rimasta in mezzo alle fiamme tre ore continue, ne riuscì illesa ». F. PANFILO DA MAGLIANO, Stor. Comp. di S. Francesco, ecc., vol. I, p. 152.

[54] BON. A. FASANO, Memor. Min. Obser., p. I, cap. V, p. 23.

[55] « Andria, 4 giugno 1776. Per mano del P. Maestro dei Zoccolanti si devono fare due Statue pannizzati dell’istesso legnio di S. Frangesco e S. Paschale a misura di palmi cinque e mezzo con pedagna indorata, pattuiti per Docati 60; per caparra Doc. 4, e recalia Doc. 3 » (sic). Da un registro di opere fatte da Nicolantonio Brudaglio e suoi figli, Vito e Riccardo. Si conserva presso Vito Brudaglio fu Lodovico.

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XIV.  Varii Sepolcri di Frati insigni.

Varii sepolcri di frati, che per dottrina e per pietà eccelsero nell’Ordine francescano, veggonsi in questa chiesa.
Sul pavimento del presbiterio, a destra del maggiore altare, avvi quello di Fra Bonaventura Volpone, illustre e ricca famiglia andriese. Uomo pio, zelantissimo dell’osservanza regolare, lustro e decoro dell’Ordine, custode e ministro provinciale; morì in questo convento nel 1562. Sulla pietra sepolcrale, ove questo frate sta scolpito a bassorilievo con gli stemmi del suo casato, consistenti in una volpe, si legge questa epigrafe:

HOC BONAVENTURA EX ILLO TAM SANGUINE CLARO
VULPONUM NATUS, CONDITUR IN TUMULO,
QUI SPRETIS MONDI POMPIS, OPIBUSQUE PARENTUM
INTENTA STUDUIT MENTE PLACERE DEO.
DIVI FRANCISCI SECTATUS VESTIGIA PATRIS
EXTITIT HIC FRATRUM CUSTOS, RECTORQUE MINISTER
OMNIBUS IMMENSO DIGNUS HONORE COLI.
OBIIT ANNO DOMINI 1562.

Il P. Fra Francesco Maculino, Dottore nell’uno e nell’altro dritto, Teologo esimio e uomo di vita integerrima, Commissario generale di tutta la famiglia Cismontana, essendo venuto a visitare questa Provincia di S. Nicola, sorpreso nel convento di Andria da una febbre gagliardissima, dopo sette giorni, ai 21 luglio 1602, nella verde età di anni cinquanta, passò a miglior vita. Pietosi i frati gli posero con moltissime lagrime il monumento, che ora non esiste più.

REV.MUS P. F. FRANCISCUS MACULINUS
ORDINIS MINORUM REGULARIS OBSERVANTIAE
TOTIUS CISMONTANAE FAMILLAE COMMISSARIUS GENERALIS
IN SAECULO V. I. D. THEOLOGUE EXIMIUS
VIR INTEGERRIMAE VITAE, QUI UT RELIGIONIS VISITANDAE
MUNUS OBIRET, ANDRIAM CONTENDIT, NATUS LUSTRA DECEM
LABORE TANDEM CONFECTUS ET AERUMNIS
SUPEROS PETIIT X. KAL. AUG. ANN. D. 1602
OSSIBUS ET CENERI HAEC MONUMENTA PII
MAXIMIS CUM LACRYMIS POSUERE FRATRES.

Qui riposano pure nella pace del Signore le ossa del P. Fra Donato da Turi, egregio predicatore, sommo Teologo, e benemerito Provinciale, morto in Andria nel giorno 10 ottobre 1625. Sotto la sua effigie, scolpita sulla pietra sepolcrale, si legge la seguente iscrizione:

D. O. M.   B. M. V.
QUI REGULARI OBSERVANTIA DOCTRINAEQUE PRAESTANTIA
DECORATUS VIXIT EXEMPLARI MORTE PRAEMIO
LAUREANDUS AD DOMINUM TRANSIIT
6. ID. OCTOBRIS 1625. F. DONATUS A TURO.

Sul medesimo pavimento giace ancora il P. Fra Michele da Andria, celeberrimo predicatore, esimio lettore di Sacra Teologia, uomo del tutto singolare per acutezza d’ingegno, per gravità di giudizio, per scienza non ordinaria. Dopo di avere degnamente esercitate in questa Provincia le cariche di Diffinitore, di Custode, e di Provinciale, a 64 anni, nel 1686, cessava di vivere! Il P. Fra Michele da Bari nel 1697 dolente di tanta perdita, vi apponeva sotto il basso rilievo, effigiato sul coperchio della tomba, la seguente epigrafe:
MICHAELI AB ANDRIA ORD. M. R. OBS. CONCIONATORI CELEBERRIMO, SACRAE THEOLOGIAE LECTOR EXIMIO, IN PAUCIS PLANE SINGULARI, INGENIO ACUTO, JUDICIO GRAVI, SCIENTIA CONSPICUO, VIRO UNDEQUAQUE PRESTANTISSIMO, QUI IN HAC ALMA DIVI NICOLAJ PROVINCIA, INGENTI OMNIUM LAUDE MORTIS NESCIA, DUM DIFFINITORIS, CUSTODIS, MINISTRIQUE PROVINCIALIS OPEROSO MUNERE ARDUA SUBIISSET ONERA DIGNUS UTILIUS TRIS VIVERE ET PERPETUIS, OBIIT AETATIS SUAE AN. 64. ANNO VERO CHRISTI NATIVITATIS 1686.
MICHAEL A BARIO TANTI PATRTS INDIGNUS IN CHRISTO FILIUS, PRAECLARUS LECTOR JURIS, JAM DIFFINITOR ET CUSTOS IN DEBITAE GRATITUDINIS TESSERAM, UT IN SEPULCRO VIVERET DOLOR, MOERENS POSUIT 1697.

Ai 21. febbraio 1762, dopo di avere, per incremento e lustro dell’Ordine Serafico, percorsa quasi tutta l’Europa, moriva in Andria d’apoplessia, nella età di anni 67, tra l’universale compianto, il P. Fra Giovanni Grimaldi Andriese, Lettore giubilato, uomo grandemente benemerito dell’Ordine, di cui fu ministro Provinciale. Il P. Fra Matteo, fratello germano, e guardiano di questo convento, perché non ne perisse la memoria, vi pose il ritratto in tela, dell’illustre defunto, sul presbiterio dalla parte sinistra, e sotto questa epigrafe:

P. JOANNI. GRIMALDI. CIVI. A NDRIENSI.
LECTORI. JUBILATO. HUIUSQUE. SACRI. COENOBII. MODERATORI.
VIRO. INTEGERRIMO. AMICIS. SOAVI.
MAJORIBUS. OBSEQUENTI. MINORIBUS. LENI.
ALIENIGENIS. CHARO. INDIGENIS. CHARISSIMO.
QUI. SERAPHICI. ORDINIS. VARIIS. DISTENTUS. CURIS.
TOTA. FERE. EUROPA PERAGRATA.
AC. MINISTERIO. PROVINCIALI. LAUDABILITER. FUNCTUS.
DUM. SIBI. IN. CHRISTIANAE. PHILOSOPHIAE. VACAT. MEDITATIONE.
INOPINO. PITUITOSAE. APOPLEXIAE. MORBO CORREPTUS.
INGENTI. OMNIUM. MOERORE.
SEPT. KAL. MARTIAS. PIE. DECESSIT. ANNOS. NATUS. LIII.
P. MATTHEUS. EX-DIFFINITOR. COENOBLIQUE. PRAEPECTUS.
FRATI. SUO. GERMANO. BENEMERENTISSIMO.
MONIMENTVM. HOC. F. C. CIƆ.D.CC.I.XII.

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XV.  Altri sepolcri di gentiluomini.

Sul pavimento di questa chiesa si osserva il sepolcro gentilizio della famiglia Accetta. Lo costruì per se Baldassarre Accetta seniore: lo ricostruì pei suoi, nel 1702 Baldassarre juniore. Nello stemma che lo adorna è scolpito un leone, che stringe tra le unghie un’accetta, ed è decorato della croce dell’ordine dei Cavalieri di Malta.
Sulla pietra sepolcrale è scolpita questa epigrafe:

BALDASSAR SENIOR DE ACCETTA
AC JUNIOR
CONDIDIT ILLE SIBI, HIC POSUITQUE SUIS
ANNO 1702.

Nel 3 febbraio, nel 5 giugno, e nel 14 ottobre 1805, troviamo della famiglia Accetta qui seppelliti un D. Domenico, una Domenica Maria del fu D. Domenico e D.a Teresa Zotti, ed un D. Tomaso. Ai 7 aprile 1811 un altro Tomaso Accetta d’anni 57 dei furono Domenico e Lucia Baldini [56].
Nel 1755, il signor Federico Conoscitore, Patrizio Andriese, fece ristaurare il sepolcro dei suoi maggiori, che da più di dugento anni addietro era servito sempre per gli eredi, e vi fece apporre la seguente iscrizione, affinché col rimodernarsi del tempio, non se ne perdesse il dritto:

MAJORUM SEPULCRUM
QUOD PLUS DUCENTIS AB HINC ANNIS CONDITUM
PERPETUO AD HAEREDES TRANSIIT
NE
NOVIS TEMPI OPERIBUS INTERCIDERET
RESTITUI TITULUMQUE FIERI JUSSIT
FEDERICUS COGNITOR PATRICIUS ANDRIENSIS
ANNO MDCCLV.

Anche nella circostanza dei ristauri fatti a questa Chiesa, i frati rinnovarono la pietra del loro sepolcro, che sta dietro altare maggiore, con questa umilissima indicazione:

SEPULCRUM FF. MINORUM
A. D. 1755.

Sul pavimento della chiesa si vede il sepolcro dell’illustre signore Giuseppe Siciliani, Patrizio di Giovinazzo. Essendosi egli portato in Andria a respirare aria pia salubre; qui il giorno 15 giugno 1779 trovo inesorabilmente la morte! L’amatissimo fratello D. Domenico, Canonico, ed il nipote Francesco, figlio dell’altro fratello, erede testamentario, gli posero lagrimando questa lapide:

HIC REQUIESCIT IN DOMINO PACIS
JOSEPHUS SICILIANUS PATRICIUS JEVENACENSIS
COLUMEN PATRIAE
OBVIAM NON MINUS EXTERIS QUAM CIVIBUS PRAESIDIUM
QUI CUM APUD ILLOS PERMULTIS REBUS
QUAM MAXIME UTILIBUS
PROBE SAPIENTER AC FELICITER CONFECTIS
IMMORTALE MERITO NOMEN FUISSET ADEPTUS
EHU MORS INVIDA
EIUS FALSA MELIORIS HUC VALITUDINIS SPE SEDUCTI
ANNO AETATIS LV AERE CHRISTI CIƆIƆCCLXXIX
IDIBUS JUNII QUOD TANTUM DENIQUE POTUIT
UNUM TOT BONIS FLEBILEM HUMANUM AD HUMUM REDEGIT
ILLUM JUVENACENSIS ECCLESIAE
CANONICUS DOMINICUS GERMANUS
FRATER AMANTISSIMUS
ET EX ALIO FRATRE NEPOS
HAERES ASSE GRATISSIMUS FRANCISCUS
CUM MAERORE ET LACRIMIS HOC LAPIDE CONTEXERUNT.

Sul presbiterio vi sono pure altri sepolcri. Vi è la tomba di Marino Mione di Andria, e del suo figliuolo notar Lorenzo, e dei loro eredi, murata nel 1540:

SEPULCRUM MARINI ET NOTARII LAURENCII
EIUS FILII DE MIONE DE ANDRIA ET HAEREDUM EORUM
A. D. 1540.

Vi è la tomba gentilizia di Pasquale Campanile di Tramonto, costruita per lui e pei suoi eredi nel 1575:

PASCALIS CAMPANILIS DE TRAMUNTO
SIBI SUISQUE SUCCESSORIBUS DICAVIT 1575.

Avvi ancora il sepolcro di un certo mastro Velardo e Domenico di Tatoya e suoi eredi. Dallo stemma, che consiste in una ruota con una manovella di ferro per girarla e certe funi che vi sono intorno, si vede chiaramente che questi Tatoya erano funajuoli:

SEPULCRO DE MASTRO VELARDO ET DOMINICO
DE TATOYA ET SUOI HEREDI 1583.

Avvi un altro sepolcro costruito nel 1694 da Giovanni Lorenzo Risis per sè, per sua moglie, e pei suoi figli. Lo stemma rappresenta tre cipressi con un fiore sopra. L’epigrafe è illeggibile, ad eccezione di queste poche parole:

LOCUM HUNC JOANNES LAURENTIUS RISIS
SUI UXORIS FILIORUM ETC.
1694.

Vi è pure il sepolcro di una certa Lucia Migiungoli, ma senz’epoca:

HOC EST SEPULCRUM LUCIAE MIGIUNGULI.

Oltre di queste tombe, dicesi vi sieno state pure quelle dell’Illustrissima casa di Excelsis, di Curtupasso, di Gammarrota, e di altri.
Anche in tempi a noi vicini, prima che si costruissero i Campisanti, qui seppellivansi varii nobili di Andria. Ai 15 settembre 1798 qui troviamo sepolto il signor Nicola Ceci: nel 20 gennaio 1810 la signora Chiara Onesti d’anni 50 dei furono Pasquale e .Trisina Jacobbe: nel 20 aprile 1811 la signora Maria Ricatti d’anni 78 dei furono notar Riccardo ed Anna Barletta: nel 18 febbraio 1814 il signor Leccisi d’anni 57 di Gennaro e Margherita d’Ambrosio: ai 7 luglio 1822 il signor Consalvo Ceci d’anni 76 dei furono Francesco ed Antonia Nuzzi: ai 25 giugno 1823 la signora Eleonora Fasoli d’anni 71 dei furono Oronzo e Nunzia Nuzzi: ai 20 gennaio 1834 D. Riccardo Carafa, ed ai 24 dicembre del medesimo anno D. Filomena Carafa del Principe D. Raffaele e della Principessa Donna Eleonora Capece Piscicelli. Dai 3 gennaio 1835 ai 6 luglio 1841, qui furono seppelliti quattro Franceschi, una Maria ed un Carlo Marziani dei signori Michele e Margherita D’Urso. Finalmente a tacere di mille e mille altri, che dal tempo della fondazione di questa Chiesa sino alla erezione dei Campisanti furono qui sepolti; il 22 gennaio 1841 troviamo il signor Giuseppe Aggiutorio dei furono Rocco e Caterina Valcarci di anni 83 qui tumulato [57].
NOTE   

[56] Libro dei morti, che sono stati tumulati in questa Cattedrale ed in altre chiese di questo Comune di Andria dal 1793 al 1845.

[57] Libro dei morti, che sono stati tumulati in questa Cattedrale ed in altre chiese di questo Comune di Andria dal 1793 al 1845.

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XVI.  Quadri della Scuola Veneziana.

La Chiesa di S. Maria Vetere ha una commoda e ben arieggiata sagrestia, che prospetta in un vasto giardino del medesimo Convento. Era a sufficienza fornita di ricchi arredi sacri, e di suppellettili di argento; ma sventuratamente nell’ultima soppressione, una parte fu incamerata dal Demanio, ed un’altra da qualche pio, devoto più delle robe, che di S. Francesco! In essa si conservavano dodici pregevolissimi quadri della scuola Veneziana, dipinti su legno, con fondo di oro; un solo era su tela. Con decreto del 15 aprile 1891 furono devoluti alla Pinacoteca del Museo Provinciale di Bari. Nel ricevere la consegna, di questi quadri il 20 giugno 1891 il Cav. Mirenghi, Presidente della Commissione del museo, dichiarava che essi potevano valere un 7000 lire.
I quadri della scuola Veneziana sono i seguenti:

1. San Francesco d’Assisi.

L’immagine è dipinta in piedi, con gli occhi bassi, e con le braccia aperte in atto di mostrare agli astanti le stimmate delle mani e del costato; a tal uopo la tonaca da frate, che indossa, aperta verso il lato destro in modo da far vedere parte del petto, nudo per una superficie di circa 2 centimetri quadrati. Intorno alla testa porta un’aureola circolare, formata da una fascia larga 15 millimetri, e adorna nel mezzo da stelle di color bianco. Il fondo del quadro è dipinto in oro, e l’intera pittura è eseguita a tempra su di una tavola, lunga m. 1,18 e larga m. 0,50. Questo quadro fu dipinto in Venezia da Bartolomeo Vivarini da Murano, nel 1483, come si vede dalla seguente iscrizione, che trovasi nel mezzo del lato inferiore, pochi centimetri al disotto dei piedi del Santo:

OPUS FACTUM VENETIIS PER
BARTHOLOMEUM VIVARINUM
DE MURANO 1483.

Questa immagine è eseguita con molto buon gusto, e perfezione. L’espressione del volto è ammirevole. Le ombre sono condotte con delicatezza e con morbide sfumature assai vaghe. Le pieghe dell’abito son fatte con precisione e naturalezza, specialmente alle braccia ed al petto.

2. Cristo poggiato alla croce.

Il busto di Cristo è dipinto sino ai lombi nudo, tenendo gli occhi bassi. Ha soltanto le ferite delle mani e del costato, grondanti di sangue. È incoronato con spine di color verde, e intorno al capo ha un nimbo circolare formato da una fascia larga 2 centimetri, adorna di stelle e di fiorellini. Dietro immagine è dipinto il legno della croce. Il fondo è dorato, e tutta la pittura è fatta a tempra su di una tavola, lunga m. 0,69 e larga m. 0,48. Questo lavoro si attribuisce a Bartolomeo Vivarini, come si rileva dal carattere del disegno e dalla intonazione delle tinte, che lo rendono perfettamente eguale a quello degli altri dipinti a tempra, che portano al disotto il nome dell’autore. Il lavoro si ritiene in conseguenza eseguito dal detto artista nella seconda metà del secolo XV. Il dipinto è eseguito con molto buon gusto. L’intonazione delle tinte e delle ombre è soavissima. La forma del nudo e le proporzioni delle varie parti sono abbastanza precise.

3. S. Pietro Apostolo e S. Bernardino da Siena.

Queste due immagini sono dipinte in piedi nell’atto di camminare. S. Pietro ha una veste di color rosso ed un manto giallo: nella sinistra ha due chiavi, e con la destra stringe verso il petto un libro. San Bernardino poi ha nelle mani un piccolo scudo circolare col fondo nero, sul quale è dipinto il monogramma del nome di Gesù. Intorno alla testa i due Santi hanno un’aureola circolare formata con cerchi concentrici, in mezzo ai quali sonvi delle stellette e dei fiori. Il fondo è dipinto in oro, e tutta la pittura è eseguita sopra una tavola, lunga metri 1,19 e larga m. 0,50. Il quadro manca d’iscrizione; si ritiene però dipinto da Antonio di Murano, mentre l’impronta è perfettamente simile a quella del quadro di S. Antonio da Padova, che porta il nome del suddetto autore. Il dipinto è eseguito con perfezione e delicatezza; l’espressione, le tinte, le pieghe degli abiti, tutto è condotto con molta abilità e diligenza.

4. S. Francesco d'Assisi e S. Giovanni Battista.

Le due immagini sono dipinte in piedi. San Francesco ha nelle mani una croce lunga e sottile, inclinata verso la spalla, e nella sinistra un libro di color verdeoscuro. Le stimmate delle mani e del costato grondano sangue, e hanno intorno dei raggi di luce, dipinti in giallo. S. Giovanni poi ha nude le braccia e le gambe, e indossa una pelliccia, che gli copre il ventre ed il petto. Sulle spalle ha un manto di color verde, con l’orlo dipinto in giallo. Tiene nella sinistra una croce lunga e sottile, intorno alla quale, verso la parte superiore, è avvolto un cartello, ove si leggono le parole: Ecce Agnus Dei. Ambo i Santi portano intorno alla testa un’aureola circolare. Il fondo del quadro è dipinto in oro. La pittura è eseguita a tempra su di una tavola, lunga m. 1,10 e larga m. 0,74. Si attribuisce a Bartolomeo Vivarini, perché l’impronta del disegno ed il dipinto sono per-fettamente eguali a quelli degli altri quadri, che portano il nome dell’istesso autore. Questo quadro pare sia stato fatto nella seconda metà del secolo XV. Le due immagini sono eseguite con molta valentia e buon gusto. L’espressione dei volti, le pieghe degli abiti, ecc., tutto è condotto con ammirabile precisione.

5. San Zosimo e Santa Maria Egiziaca.

Il Santo è dipinto in piedi, vestito da monaco; porta nelle mani la pisside, mentre la Santa è inginocchiata ai piedi, con le mani giunte, dalle quali pende il rosario. È ricoperta col mantello, che le fu offerto da San Zosimo. Il fondo del quadro è dipinto in oro; e tutta la pittura è eseguita a tempra su di una tavola, lunga m. 1,40 e larga m. 0,54. L’autore del quadro è ignoto. Dal dipinto, dal disegno e dalle tinte pare sia stato eseguito nel secolo XV. Il viso del Santo e quello della Santa sono eseguiti piuttosto bene. Poca diligenza si osserva invece nelle pieghe degli abiti, nelle proporzioni relative del corpo, e nel loro atteggiamento.

6. Sant'Agostino e Sant'Antonio Abate.

S. Agostino sta in ginocchio; ha la barba bianca; porta nella destra un lungo pastorale, e con la sinistra sostiene una città, cinta di mura e di torri, simbolo della magistrale sua opera: De Civitate Dei. Ha la veste di color rosso, e le spalle ricoperte da un piviale verde, orlato da una fascia adorna di varie figure di Santi. Sul capo porta una mitra bianca con fasce dorate. Sant’Antonio Abate sta in piedi appoggiato sopra di un bastone, che ha nelle mani. Indossa una veste di color verde, ed un manto di color rosso. Il fondo del quadro rappresenta il paesaggio di una città, messa in lontananza su di un colle, alle falde del quale scorre un ruscello. Il dipinto è eseguito a tempra su di una tavola, lunga m. 1,16 e larga m. 0,49. L’autore è ignoto; però dal dipinto e dal disegno si rileva essere stato eseguito nel sec. XV. Le due immagini, le quali non è certo che rappresentino S. Agostino e S. Antonio, nulla offrono di pregiato; sono eseguite assai mediocremente. Solo il mantello di S. Antonio è fatto con certa accuratezza.

7. S. Pietro Apostolo.

L’immagine è dipinta in piedi, tenendo gli occhi rivolti al cielo. Ha nella destra un libro di color rosso e nella sinistra una chiave. Indossa un abito di color nero ed è ricoperto con manto di color giallocromo. Intorno alla testa ha un nimbo circolare, formato da tre cerchj concentrici, in mezzo ai quali ricorrono tre filari di stellette. Il fondo del quadro è dorato. L’intera pittura è eseguita a tempra su di una tavola lunga m. 1,02 e larga m. 0,33. Se ne ignora l’autore; però dal carattere del dipinto e dal disegno si rileva che fu eseguito nel secolo XV. L’immagine del Santo è eseguita piuttosto bene. La testa e le mani sono fatte con diligenza e precisione. Si osserva solo poco studio e naturalezza nelle pieghe degli abiti.

8. La Pietà.

L’immagine della Vergine è dipinta seduta, alle falde del Calvario; essa piange stringendo al suo seno il corpo di Cristo morto, mentre la Maddalena, inginocchiata d’accanto, ne osserva le ferite dei piedi e delle gambe. La Vergine indossa una veste di color rosso, ed ha la testa ricoperta con un panno Bianco, che le scende sul collo. La Maddalena ha una chioma di biondi capelli, che le ricoprono le spalle. Sul suolo poi vi è una corona di spine, pregna di sangue.
Il fondo del quadro rappresenta il paesaggio del monte Calvario, sul quale veggonsi in lontananza piantate tre croci, presso le quali vi sono a guardia due soldati a cavallo. Il quadro è lungo m. 1,18, largo m. 0,50. Se ne ignora l’autore. Dalle tinte però, dal disegno e dal carattere del dipinto si giudica essere stato fatto nel secolo XV. Le immagini non sono eseguite con molta arte e precisione. Solo il volto di Cristo è fatto con certo gusto. Il resto del dipinto non offre alcun che di pregevole. Il fondo del quadro è eseguito molto mediocremente, massime le tinte del cielo azzurro e delle nubi.

9. S. Michele Arcangelo e S. Antonio da Padova.

Le due immagini sono dipinte in piedi. S. Michele è vestito da guerriero del medio evo, con armi, scudo e vestimenta in ferro. Porta nella sinistra una bilancia, nei di cui piatti vi sono due piccole figure umane, rappresentanti l’anima eletta, che trovasi nel piatto che s’innalza, e l’anima dannata in quello che si abbassa. Nella destra poi ha una larga lancia di ferro, che conficca nel petto di Lucifero, rappresentato in forma di nero drago, e che cadendo giù afferra con una zampa l’anima dannata che è nel piatto della bilancia. L’Arcangelo ha intorno alla testa un nimbo raggiato color d’oro. — Sant’Antonio poi guarda S. Michele, ed ha nella destra un giglio e nella sinistra un libro di color rosso: un’aureola circolare formata da cerchj concentrici, in mezzo ai quali sonovi dei fiorellini, gli circonda il capo. Il fondo del quadro è dipinto in oro, e l’intera pittura è eseguita a tempra su di una tavola lunga m. 1,18 e larga m. 0,51. Fu eseguito dal Vivarini nella seconda metà del secolo XV, e ciò si deduce dal carattere del disegno e dal dipinto, che sono simili del tutto a quelli degli altri quadri, fatti dagli stessi artisti. Il dipinto è eseguito con molta perfezione e buon gusto. Le tinte, le forme delle immagini, l’espressione del volto, le pieghe degli abiti, tutto è condotto con speciale abilità e precisione.

10. Santa Catarina Martire.

S. Catarina è dipinta in piedi nell’atto di mostrare agli astanti la ruota dentata, che tiene fra le mani, e con la quale ricevette il martirio. Ha la veste ed i calzari di color rosso, il manto di color nero, ed una folta chioma di capelli, che le ricopre le spalle. Intorno alla testa porta una aureola circolare, formata da una fascetta, larga 2 centimetri, adorna di fiorellini. Il fondo del qaadro è dipinto in oro. La pittura è eseguita a tempra su di una tavola larga m. 0,49 e lunga m. 0,41. Se ne ignora l’autore. Dal carattere del disegno però e dalle tinte si scorge che fu eseguita nel secolo XV. Le tinte cariche degli abiti della santa, e l’atteggiamento del viso le danno una espressione alquanto bella. Si osserva però poco studio nelle pieghe, nelle ombre ed anche nelle proporzioni relative del corpo.

11. S. Antonio da Padova e S. Ludovico vescovo di Tolosa.

Le due immagini sono dipinte in piedi. S. Antonio ha nella destra un giglio, e nella sinistra un libro, con fodero rosso ed ornato. San Ludovico d’Angiò, Vescovo di Tolosa, ha pure nella destra un libro simile e nella sinistra un pastorale di color bianco. In testa ha una mitra coperta di gemme, ed è avvolto in un piviale verde oscuro, coperto di gigli di color giallo. I due Santi portano anche intorno alla testa un’aureola circolare, formata da una fascia, larga 2 centimetri. Il fondo del quadro è dipinto in oro. La pittura è fatta a tempra su di una tavola, lunga m. 1,10 e larga m. 0,76. Fu eseguita da Antonio di Murano nel 1467, come chiaramente si rileva dalla seguente iscrizione, messa pochi centimetri al di sotto dei piedi di S. Antonio, e pare assolutamente originale:
ANTONIUS DE MURANO 1467.
Le due immagini sono dipinte con molta delicatezza. Le tinte, le ombre, le pieghe degli abiti, l’espressione, tutto è condotto con diligenza e buon gusto [58].

12. La Maddalena.

L’immagine è dipinta in piedi, mestamente ravvolta in un manto nero, con la testa bassa. È pallida oltremodo nelle sembianze, e da esse fa trasparire immenso dolore, che profondamente l’accora. Il fondo del quadro rappresenta l’interno di una caverna, che rischiarata appena dal bagliore di fioca luce, ne accresce la mestizia. All’ingresso trovasi un tavolo con sopra un vaso di alabastro, contenente unguento prezioso, con cui unse i piedi del Redentore in casa del Fariseo, e con cui lo imbalsamò sul Calvario. Il dipinto è eseguito ad olio su di una tela lunga m. 1,42 e larga m. 1,04. S’ignora l’artista da cui venne pennelleggiato. È un quadro del secolo XVII, come si deduce dal carattere del disegno e del dipinto. Il lavoro è condotto mediocremente: il volto della Santa è fatto piuttosto bene: le tinte degli abiti, del fondo e della spelonca sono eseguite con poco buon gusto.
Vuolsi che il volto di questa Maddalena fosse il vero ritratto della buona e pia Duchessa di Andria, D.a Maria Carafa di Stigliano, madre dei venerabili P. Vincenzo Carafa, generale dei gesuiti, e D. Luigi, abate di S. Maria dei Miracoli d’Andria, e moglie sventuratissima del Duca Fabrizio, miseramente pugnalato in Napoli con la Principessa Maria d’Avalos, la notte del 27 ottobre 1590, dal marito di costei Carlo Gesualdo, Principe di Venosa!
La santa donna, che per opera di carità cristiane, aveva tanto ben meritato della sua Duchea, nel 1606, si rese suora domenicana nel chiostro di S. Maria della Misericordia in Napoli, aggiungendo, per significato di penitenza, al proprio nome di Maria quello di Maddalena.
Un altro quadro, che rappresenta pure questa pia Duchessa, vuolsi fosse quello che, in Andria, nella Chiesa della SS. Annunziata, si ammira in alto sull’altare di essa Vergine. È dipinta la Maddalena, ritta in piedi, vestita a lutto, pallida pallida nel viso, in atteggiamento doloroso di contemplare Gesù morto, e disteso sopra di un funebre letto, accanto a cui arde pallido un cereo; mentre un angelo pare che guardi mestamente quella salma inanimata e pianga! Come la Maddalena rappresenta la sventurata Duchessa; cosi, io penso o m’inganno, il Cristo rappresenta certamente l’infelice Duca pugnalato! [le foto dei due quadri, riprodotti qui sotto, non sono presenti nel testo del Merra]

Sono questi i preziosissimi quadri, che per molti secoli ornarono prima la Chiesa e poi la Sagrestia di S. Maria Vetere. Ora non vi sono più! Le autorità civili li tolsero ad Andria, e ne fecero un dono a Bari, perché fossero meglio conservati! Non so se sia proprio il caso di ripetere con Tacito, per amor di patria, ciò, che egli diceva degli antichi Romani: « Raptores orbis, ubi solitudinem faciunt, ibi pacem appellant! ».

Deposizione nell'Annunziata di Andria La Maddalena di S.Maria Vetere (Pinacoteca Prov. Bari)
[Confronto, delle Maddalene, tra il quadro nell'Annunziata e quello già in S.Maria Vetere, oggi alla Pinacoteca Prov. di Bari]

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Nel 1866 sbanditi i frati dal Convento, la Chiesa venne affidata allo zelo del Rever.mo P. Provinciale, Luigi da Maddalone, che con alquanti monaci, funzionò da Cappellano, eletto dal Municipio. Gli successe il Canonico Priore della Cattedrale, D. Vincenzo Dell’Olio, il quale per mantenere sempre più vivo il culto, vi istituì una Congregazione spirituale di giovani, sotto il titolo di S. Bonaventura. Morto il Dell’Olio, fu nominato Cappellano il molto Reverendo Provinciale, P. Raffaele Miccoli da Andria; e passato questi a miglior vita, venne eletto il Padre Custode, Bartolomeo Losito da Andria, che con altri padri, e varii laici, lodevolmente zela il culto di chi fu tutto serafico in ardore, e promuove il massimo lustro delle sacre funzioni in questa Chiesa di S. Maria Vetere.

NOTE   

[58] Per la descrizione di questi quadri mi sono servito di un rapporto che la Commissione del Museo provinciale di Bari inviò al Ministero di Pubblica Istruzione. Il detto rapporto mi è stato con squisita gentilezza comunicato dal Comm. Perotti, Presidente della Commissione, a cui rendo vivissime grazie.