origini della Chiesa e dell'ospizio, ipotesi

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Chiesa e ospizio di Sant’Angelo al lago
ipotesi sulle origini

Il culto dell’Arcangelo Michele da Monte Sant’Angelo in Andria

Gurgo: grotte sulla parete Est
[il Gurgo di Andria: grotte sulla parete Sud-Est; tra esse quella dell'Arcangelo (foto del 1999)]
I luoghi di devozione dedicati all’Arcangelo Michele sorti in Andria si possono far risalire al basso medioevo, tra il XI e il XIV secolo, in particolar modo
- quello sorto nella più grande delle spelonche di Gurgo, “ad instar” del garganico [1], nonché
- la piccola basilica di "Sant’Angelo al lago" fuori mura, servita di un adeguato “ospitium ad susceptionem peregrinorum con relativa confraternita, nell'Ottocento ricostruita a navata unica, re-intitolata a "S. Michele Arcangelo e S Giuseppe" e non più dotata di ospizio.
Non vanno comunque dimenticate:
-l’altra chiesetta di Sant’Angelo dei Mele in Via Quarti, chiamata un tempo nel quartiere di S. Micheluzzo, fu utilizzata per poco più di 25 anni (dal 1705 al 1730) come cappella del primo seminario  eretto da mons. Andrea Ariano nel dirimpettaio palazzo Volponi; La dedica all'Arcangelo e la deesis presente nella sua abside fa pensare che eretta non più tardo del periodo normanno, sia stata inizialmente di pertinanza dei Benedettini;
- un altro piccolo “Oratorium Sancti Angeli”, non più esistente già da fine Seicento, che sorgeva presso l’antica carrareccia che portava a Barletta.

Per dare conforto a questa tesi, pongo in premessa due citazioni di valenti studiosi che hanno approfondito la tematica della propagazione del culto dell’Arcangelo Michele.

Sulla diffusione del culto micaelico in Puglia Giorgio Otranto, professore ordinario di “Storia del cristianesimo antico” nell’Università di Bari, scrive:

Terra di santuari e terra di transito, la Puglia [nella tarda antichità] era attraversata da due vie di scorrimento veloce come l’Appia e la Traiana e da una fitta serie di strade secondarie, diverticula, sentieri, tratturi, costituenti un complesso sistema viario che ha facilitato contatti e rapporti fra Oriente e Occidente. (…)
Grazie ai santuari di S. Michele a Monte Sant’Angelo e di S. Nicola a Bari, la Puglia medievale ha conosciuto un intenso flusso di pellegrini, che spesso proseguivano il loro viaggio verso la Terrasanta, percorrendo la via Appia, la via Traiana e le loro ramificazioni, lungo le quali erano disseminati santuari, monasteri, chiese, cappelle, grotte, oratori, ospizi e ospedali per i pellegrini: tutti luoghi carichi di storia, talvolta anche ‘minuta’, che spesso rivive in un diario di viaggio, in un rudere, in un’epigrafe, in un frammento di tradizione orale. (…)
Credo che per nessuna altra realtà stradale, come per la Francigena, siano valide le osservazioni di Giuseppe Sergi, che, riprendendo alcuni spunti di Marc Bloch, ha convincentemente dimostrato che nessuna grande strada medievale può concepirsi come un percorso unico e definito, ma piuttosto in senso dinamico come un “asse viario” che si arricchisce di volta in volta di sentieri, tratturi, vie secondarie, raccordi, percorsi alternativi o paralleli: in definitiva come “area di strada” o “fascio di strade”, che possono avere un percorso prevalente e convogliano verso un determinato luogo.

[tratto da “Il cammino dell’Angelo tra strade e santuari di Puglia” di Giorgio Otranto, in “Roma ►◄ Gerusalemme – Lungo le vie francigene del sud”, AA.VV., Associazione Civita Ed., 2008, pagg. 82-95]

I romei o pellegrini infatti, nei loro spostamenti da un santuario all’altro, spesso non seguivano la via più breve, ma la più sicura o quella che permetteva loro di visitare sul percorso altri santuari minori. Così accadde, ad esempio al monaco francese Bernardus con Theudemundus e Stephanus, “fratribus in devotione caritatis”, tra l’867 e l’870 quando, recandosi dal Gargano a Bari (“Civitas Sarracenorum”), non seguirono la via litoranea ma vie interne molto più lunghe, attraverso Lucera e Troia, indi la via Traiana per Ordona, Canosa, Ruvo e Bitonto.

Su un più intenso e motivato uso della viabilità interna tra la Traiana e la litoranea da parte dei pellegrini per recarsi sul Gargano e in Terrasanta il prof. Pietro Dalena (Ordinario di Antichità e Istituzioni Medievali nell’Università della Calabria) scrive:

Soltanto sullo scorcio dell’XI secolo, la normalizzazione del quadro politico del Mezzogiorno, con l’affermarsi e il consolidarsi del dominio normanno che ne garantisce la tuitio [protezione] lungo le strade, restituisce ai porti pugliesi il tradizionale ruolo di testa di ponte per la Terrasanta. Inoltre la costruzione di numerose cattedrali ricettacoli di reliquie di santi e martiri e la fondazione di monasteri in un processo di generale rinnovamento dei distretti diocesani riattivano gli antichi percorsi e ridisegnano il quadro generale della viabilità interna. Lo attesta significativamente il modo con cui Guidone, nel secondo decennio del XII secolo, percepisce la stretta relazione tra la nuova realtà viaria e la distribuzione delle cattedrali e dei luoghi eminenti per la conservazione di ambite reliquie.
L’epopea crociata, inoltre, sostenendo il pellegrinaggio ai luoghi del Signore ne accentua la funzione di terra di transito su cui cominciano a sorgere xenodochia [ξενοδοχεῖον = ospizio gratuito per forestieri e pellegrini], luoghi di accoglienza e di ricovero per pellegrini.

[tratto da “Vie di pellegrinaggio nel Sud Italia verso Gerusalemme nel medioevo” di Pietro Dalena, in “Roma ►◄ Gerusalemme – Lungo le vie francigene del sud”, AA.VV., Associazione Civita Ed., 2008, pagg. 40-62]

Alla luce delle su esposte citazioni consideriamo i seguenti altri elementi concomitanti.

Nell’XI, XII e XIII secolo molti pellegrini diretti in Terrasanta si imbarcarono a Barletta o Trani, di essi non pochi provenivano dalla Traiana e pertanto, tra i vari diverticula utilizzati, percorrevano certamente anche quelli che attraversavano il territorio di Andria [2], la cui morfologia e paesaggio, del resto, erano ben conosciuti e descritti dai quei pellegrini odeporici, dai quali (oltre che dai documenti della pubblica amministrazione) attinse notizie anche l’Edrisi per stendere intorno al 1150 la sua “Geografia” o “Libro di Ruggiero”.
Egli racconta che

Re Ruggiero … mandò cercando per tutti i suoi paesi degli uomini che avevano pratica di quelli e soleano viaggiarvi; fece venire costoro a sé e per mezzo d' un suo ministro interrogolli, tutti insieme e ad uno ad uno, su quanto ei volea ritrarre intorno i paesi stessi [3].

Minervino, Grotta di S. Michele
[Minervino, grotta di S.Michele, particolare dell'interno
foto tratta dall'opuscolo citato in nota 5]

A sud-ovest di Andria, “in pertinentiis civitatis Minervii” (Minervino) già dal X secolo (documento del 1000) esiste una “speluncam et ecclesiam S. Salvatoris, et praedia; et apud civitatem Tranensem, in agro Andrae, vineas desertas habentes arbores olivarum quinque et viginti: et ad rivum nominatum Calogerorum praedia.[4]. Quella spelonca, trasformata in chiesa “ad instar” della garganica, fu successivamente dedicata a San Michele, probabilmente poco dopo la venuta dei Normanni (1000 circa), che diffusero il culto dell’Arcangelo nelle nostre terre sottratte ai Bizantini. [5]
Allo stesso periodo può ascriversi la suddetta chiesa in grotta di "Sant'Angelo in Gurgo" di Andria dedicata primieramente al Salvatore (da non confondersi con la chiesa di S. Maria di Trimoggia), come testimoniano due bolle pontificie, emessa una nel 1120 da papa Callisto II (citata da Ulysse ROBERT, Bullaire du pape Calixte II, Paris, 1891, pp. 277-279), l'altra nel 1175 da papa Alessandro III (citata da Giustino FORTUNATO, S. Maria di Vitalba, con 50 Doc. ined. pag. 35. Trani, V. Vecchi, 1898), annotate da Mons. E. Merra nelle sue "Monografie Andriesi".

Guillermi Apuliensis (Guglielmo Appulo, vissuto nel XI secolo) racconta nel suo “Gesta Roberti Wiscardi” (imprese avvenute tra il 1009 ed il 1085) che i Normanni vennero nell’Italia meridionale in pellegrinaggio alla grotta dell’Arcangelo per adempiere ad un voto. Qui essi nel 1009 incontrarono il ricco mercante Melo da Bari, vestito come un greco, mentre organizzava la rivolta contro il catapano bizantino Curcuas.

[trascrizione del testo originale in latino] [traduzione]
Horum (Normannorum) nonnulli Gargani culmina montis
Conscendere, tibi, Michael archangele, voti
Debita solventes. Ibi quendam conspicientes
More virum Graeco vestitum, nomine Melum, (…). [6]
Alcuni di questi Normanni salirono sulla vetta del Monte Gargano,
adempiendo il loro voto a te, Arcangelo Michele.
Là videro un uomo di nome Melo,
vestito alla maniera greca …

È probabilmente con la definitiva conquista del nostro territorio, tra il 1042 e il 1046, che i Normanni diffusero in queste terre la devozione a San Michele Arcangelo e, come abbiamo già accennato, le grotte naturali, spesso già utilizzate come luoghi di preghiera e dedicati al Salvatore, furono anche adibite all’emergente culto di San Michele Arcangelo, ad imitazione di quella garganica.

Non è comunque da escludere che il culto per l’Arcangelo esistesse già nelle nostre contrade prima del 1000, in quanto dominate con alterne vicende dai Longobardi, che riconoscevano in San Michele e nel Salvatore i loro più valenti protettori (questa devozione era per loro talmente importante da porre l’effigie dell’Arcangelo sul rovescio delle monete) [7].

In conclusione, pur non avendo documenti scritti che testimonino con certezza l’esistenza della piccola chiesetta – basilica di Sant’Angelo al lago col suo ospizio come esistente fin dagli inizi del basso medioevo, e che il primo documento è la “Legenda gloriosi Sancti Richardi quando migravit ad Dominum” scritta a metà Quattrocento da Francesco II del Balzo e scolpita su alcune formelle nella Cattedrale di Andria, tuttavia la serie di circostanze storiche su citate e la sua ubicazione topografica fuori mura presso l’Aveldio spingono a ritenerla necessariamente attiva come Ospizio dedicato all’Arcangelo già dall’XII secolo, per riposo-soccorso dei numerosi pellegrini che, provenienti da Bari-Corato od ivi diretti per l'antica mulattiera via Minucia, attraversavano il nostro territorio percorrendo i comodi “diverticula” – sentieri fluviali, visitavano santuari minori, e riprendevano quindi il cammino per la loro eventuale destinazione ultima, la Terra Santa, o San Nicola di Bari, o a San Michele sul Gargano.


NOTE

[1] Parlando della dolina di Gurgo, nel Settecento il prevosto Giovanni Pastore in una sua risposta alla Gazzetta Civica Napolitana scriveva:
In quella parte situata all’ostro (…) si entra per un’ampia apertura in un antro, formato intieramente di duri macigni, che lo cuoprono come volta a guisa di punto gotico, lungo circa passi otto, ed in larghezza circa cinque (…) In questa caverna si osservano alcune pitture, ritratte nella superficie dei lati, alla greca maniera, una delle quali rappresenta l’Arcangelo San Michele, e le altre altri Santi; ma oggi sfigurate in modo, che non fa distinguere quai personaggi rappresentar vogliono: opere posteriori al tempo della formazione del Casma, sebbene non vada a memoria d’uomo, e dal volgo viene appellato Sant’Angelo in Gurgo.
[testo riportato da Emanuele Merra nelle pagg. 302-303 del vol.I delle sue citate "Monografie Andriesi".]
 
[2] Dei diverticoli (strade minori, carrarecce, ma comunque di una certa importanza) che da e per Andria collegavano Canosa, Barletta, Trani, Venosa, ... ne parla espressamente nel 1154 l'Edrisi nella sua "Geografia" o "Il libro del Re Ruggiero", dove indica le distanze da percorrere tra le varie città.
Per Andria scrive:
"Di fronte a Barletta, lontana nove miglia dal mare, giace entro terra una città grande e popolata che addimandasi 'andarah (Andria)."
... Da Canosa ad 'andarah (Andria) diciotto miglia.
Poi ad '.trânah (Trani) diciotto miglia.
... Da Venosa ad 'andarah (Andria) cinquantaquattro miglia per levante.
Da Andria ad 'aţranah la marittima (Trani) ricordata di sopra, quarantacinque miglia per levante.
[In nota lo Schiapparelli (traduttore) scrive: "L' epiteto di marittima è dato ad Ortona, detta anche oggi Ortona a mare, per distinguerla da Ordona. Edrisi però anche qui confonde Trani con Ortona, come sopra."]

[3]L'Italia descritta nel «Libro del Re Ruggero» compilato da EDRISI”, di M. Amari e C. Schiapparelli, Roma, coi tipi del Salviucci, 1883, pag. IV.

[4]Chronica Monasterii Casinensis” Lib I., Auctore Leone, riportata in "Monumenta Germaniae Historica”, Scriptorum, Tomus VII, Hannoverae, Impensis Bibliopolii Aulici Hahniani, MDCCCLXVI, pagg. 622.

[5] Si legga, per un approfondimento, l'interessante opuscolo "La grotta di San Michele a Minervino Murge", di Autori vari, pubblicato nella collana "Biblia Pauperum" a cura della Biblioteca diocesana "San Tommaso d'Aquino" di Andria, nel 2009.

[6]Gesta Roberti Wiscardi”, liber primus, vv. 11-16, di Guillermi Apuliensis, in "Monumenta Germaniae Historica", Hannoverae, Impensis Bibliopolii Aulici Hahniani, MDCCCLI, pag. 241.

[7] San Michele Arcangelo era il protettore dei Longobardi. Paolo Diacono nella sua “Historia Langobardorum” racconta che il Re longobardo Cuniperto di fede cattolica, nella battaglia combattuta nel 688-9 presso Cornate sull’Adda (antica Coronate) contro l’ariano Alachis, attribuì a San Michele l’esito vittorioso. Per questo motivo l’Arcangelo è raffigurato da allora sulle monete longobarde.
Si riporta di seguito ad esempio l’immagine di una tremissis d’oro [moneta dal nome greco τριμίσιον, perché emessa inizialmente dai bizantini]; l'esemplare qui riprodotto è una tremissis coniata dal Re longobardo Cuniperto (688-700).

[l'immagine di una Tremissis d’oro coniata dal Re longobardo Cuniperto - foto pubblicata da “ Classical Numismatic Group, Inc.” e suo copyright]
Questa moneta longobarda presenta le seguenti impronte:
- sul fronte o recto c'è a rilievo il busto diademato, drappeggiato e rivolto a destra del Re Cuniperto con la legenda che lo identifica nel nome e nel titolo: “DN CVNI-INCPE RX”, a destra nel campo libero c'è una “manus Dei”;
- sul rovescio o verso c'è a rilievo San Michele Arcangelo in piedi volto a sinistra, che tiene nella destra una lunga croce e nella sinistra uno scudo, con la legenda “SCS MI-HAHIL” che lo identifica.
Il simbolo della “manus Dei”, mano di Dio, richiama il capitolo 242 dell'editto di Rotari del 643: “A chiunque conierà monete senza il comando del re sarà tagliata la mano”.

Sulla venerazione che i Longobardi avevano per San Michele, al quale attribuirono la suddetta vittoria su Alachis, ecco quanto scrive Paolo Diacono nel libro V, cap. 41 della sua “Historia Langobardorum”:

[trascrizione del testo originale in latino] [traduzione]
Cunincpert ad Alahis … in haec verba mandavit: «… Coniungamus nos ego et ille singulari certamine, et cui voluerit Dominus de nobis donare victoriam, omnem hunc populum salvum et incolomem ipse possideat».
Cumque Alahis sui hortarentur, ut faceret quod Cunincpert illi mandavit, ipse respondit: «Hoc facere ego non possum, quia inter contos suos sancti archangeli Michaelis, ubi ego illi iuravi, imaginem conspicio».
… Tandem crudelis tyrannus Alahis interiit, et Cunincpert, adiuvante Domino, victoriam cepit.
Cuniperto … mandò a dire ad Alachi: «… combattiamo … noi due soltanto in un duello; così che colui, al quale Dio vorrà donare la vittoria, governi tutto questo popolo, salvo dai danni della battaglia».
Essendo intanto Alachi, esortato dai suoi a far ciò a che Cuniperto gli aveva proposto, rispose: «Io non posso farlo, perché in mezzo ai suoi stendardi vedo l’immagine di san Michele Arcangelo, sulla quale gli giurai [fedeltà]».
… Alla fine il crudele tiranno Alachi perì, e Cuniperto, aiutato da Dio, vinse.

[il testo e le immagini della pagina sono di Sabino Di Tommaso (se non diversamente indicato)]